Il regista Martin Campbell propone con Memory (qui la recensione) un film ricco d’azione, ma anche cupo e drammatico in quanto affronta temi delicati come il traffico di esseri umani, la corruzione sistemica e la vendetta, arricchiti da una riflessione amara sul declino mentale e sull’identità. Interpretato da Liam Neeson, il film presenta quindi una moltitudine di punti di vista e storie che si intrecciano tra loro, fornendo così un ritratto variegato delle tematiche trattate. In questo articolo, esploriamo proprio il significato del finale del film.
La trama di Memory
Nel corso del film, Alex Lewis (Liam Neeson) è incaricato di uccidere due persone: uno è un imprenditore corrotto coinvolto nel traffico sessuale; l’altro, a sua insaputa, è una giovane ragazza di nome Beatriz Leon, adolescente vittima dello stesso racket. Quando Alex scopre che Beatriz è solo una ragazza innocente, cambia radicalmente: si rifiuta di ucciderla, sfidando direttamente i suoi mandanti e, di fatto, firmando la propria condanna a morte. Questo gesto sancisce la sua ribellione morale e l’inizio di un percorso personale di espiazione.Ma la redenzione arriva troppo tardi: Beatriz viene comunque uccisa.
Alex, devastato, decide allora di vendicarsi eliminando i responsabili, tra cui il suo ex-alleato Mauricio. È in questo momento che Memory si trasforma da un action-thriller a una parabola cupa sulla giustizia personale. Tutti gli indizi portano inoltre ad un’unica figura chiave: Davana Sealman (Monica Bellucci), una potente e ricca immobiliarista del Texas, madre di Randy Sealman, uomo coinvolto nel traffico e nello stupro di Beatriz. Davana è la mente dietro il tentativo di insabbiamento: ha ordinato l’uccisione della ragazza per proteggere suo figlio, e ora è pronta a tutto pur di cancellare le prove rimaste.
La spiegazione del finale
Alex, pur se debilitato dalla malattia e da una ferita da arma da fuoco, riesce a farsi strada tra le sue guardie e a raggiungerla. Ma quando ha finalmente Davana nel mirino, non preme il grilletto. È un momento significativo: Alex non è un assassino cieco. In lui, malgrado tutto, resta un residuo di umanità e lucidità morale. Nonostante abbia vissuto una vita nell’ombra, conserva un codice etico. Viene quindi arrestato dalla polizia di El Paso. Vincent Serra (Guy Pearce), l’agente dell’FBI che segue l’indagine, insiste per ottenere il suo trasferimento in custodia federale, temendo che la malattia e la debolezza fisica possano portare alla sua morte prima di ottenere una confessione o la verità completa.
Il titolo Memory assume a questo punto un significato sempre più tragico. Alex afferma di avere le prove che possono inchiodare Davana: una chiavetta USB contenente documenti riservati che ha nascosto da qualche parte. Il problema è che non ricorda dove. Il suo Alzheimer sta progredendo rapidamente. In ospedale, sotto vigilanza, diventa il bersaglio finale di Davana, che corrompe un medico per iniettargli una sostanza letale e metterlo a tacere. Nel momento cruciale, però, Alex riesce a sopraffare il medico e a usarlo come scudo per fuggire.
Con uno stratagemma ingegnoso, riesce a far credere agli agenti dell’FBI di avere un ostaggio: quando aprono il fuoco, colpiscono l’uomo sbagliato. A bordo dell’auto di Vincent, in un attimo di lucidità, Alex balbetta un frammento di ricordo legato alla panetteria del padre e alla scritta sull’insegna. Quel dettaglio porta Vincent a scoprire dove Alex aveva nascosto la chiavetta. È un momento toccante, malinconico e carico di significato. Il killer ormai morente ha giocato la sua ultima carta, affidando a chi lo ha inseguito per tutto il film la possibilità di far luce sulla verità. La sua memoria – fragile, spezzata, inaffidabile – diventa l’ultimo barlume di giustizia possibile.
Se Alex ha cercato redenzione, Hugo Marquez – l’agente messicano sospeso da Serra nel corso del film – incarna il volto della vendetta fredda e sistematica. Rappresenta quella parte del sistema che, privata degli strumenti ufficiali della giustizia, si sporca le mani pur di ottenere un risultato. Marquez, accompagnato da Linda Amistead, agente dell’FBI, sviluppa nel corso del film un legame sempre più stretto con Beatriz, diventando una sorta di figura paterna o protettiva. Quando lei muore, qualcosa si spezza anche in lui. Con la legge incapace di colpire Davana, Hugo decide dunque di agire per conto proprio.
Mentre Linda distrae Vincent, portandolo a bere dopo l’ennesima frustrazione con il procuratore distrettuale (che si rifiuta di usare le prove recuperate ritenendole insoddisfacenti), Hugo si introduce nella residenza di Davana, vestito di nero, e la uccide tagliandole la gola. La notizia della morte di Davana arriva in TV, come un fulmine. Vincent e Linda capiscono, ma non possono (o non vogliono) fare nulla. Linda recita la preghiera di Santa Ines, che Hugo le aveva insegnato, come un atto di giustizia simbolica. Vincent, a sua volta, comprende che quella morte non è ufficialmente attribuibile a nessuno. Forse anche lui ha ormai superato il confine tra legalità e complicità.
Nessuno esce quindi davvero vincitore da questo finale. Alex è morto, consumato dalla sua mente che si sgretola e da una vita spesa nella violenza. Hugo ha ottenuto vendetta, ma non giustizia nel senso tradizionale: ha dovuto uccidere nell’ombra, diventando ciò che combatteva. Vincent e Linda si trovano a metà tra due mondi: fedeli alla legge, ma ormai consapevoli che a volte la legge non basta. Il film lascia quindi emergere una riflessione lucida e crudele: in un sistema dove il potere protegge i colpevoli e sacrifica le vittime, la vera giustizia può sopravvivere solo in forme distorte, personali, ai margini della legalità.