Silenzio, parla Martin Scorsese… Intervista al regista di Killers of the Flower Moon

Leonardo DiCaprio e Martin Scorsese in Killers of the Flower Moon 10 marchi
Gentile concessione di © 01 Distribution

In arrivo nelle sale italiane il 19 ottobre con 01 Distribution prima di approdare su Apple TV+, Killers of the Flower Moon (qui la recensione) segna il grande ritorno di Martin Scorsese. Tratto dall’omonimo libro-inchiesta di David Grann, il film racconta dei crimini perpetrati negli anni ‘20 ai danni della tribù di nativi Osage dopo la scoperta del petrolio nei terreni dell’Oklahoma a loro assegnati. Interpretato dai fedelissimi del regista Leonardo DiCaprio e Robert De Niro e dall’astro nascente Lily Gladstone, Killers of the Flower Moon ci è stato presentato da Scorsese stesso. Ecco la nostra chiacchierata con il grande autore di Taxi Driver, Toro scatenato e L’età dell’innocenza.

 

Quando ha deciso di trasporre in immagini la storia dei nativi Osage e del loro genocidio?

Mentre mi accingevo a completare The Irishman mi hanno portato il libro di Grann proponendomi di realizzarne un film. In principio non pensavo di essere il regista giusto per farlo, devo ammettere che da giovane non sapevo nulla o quasi della questione dei nativi americani e di come fossero stati trattati. Gli anni ‘70 sono stati il decennio in cui l’opinione pubblica ha iniziato a scoprire veramente la verità su una condizione che purtroppo ancora oggi sussiste. Prima c’era una sorta di idealizzazione agiografica, una specie di mito del “buon selvaggio” alla maniera di Rousseau. Ho subito messo in chiaro che se avessi deciso di girare Killers of the Flower Moon avrei tentato di rappresentare il mondo degli Osage in maniera realistica, anche nelle scene in cui la loro cultura contempla la possibilità di visioni o sogni. Quello che vediamo nel film è reale tanto quanto il mondo dei bianchi.

Come ha lavorato con la comunità del luogo per ricostruire eventi e ambientazioni?

All’inizio la tribù Osage era scettica riguardo al progetto, ho fatto del mio meglio per rassicurare i membri che saremmo stati il più possibile veritieri, accurati nella rappresentazione della cultura e dei loro rituali. Siamo stati estremamente scrupolosi nel prestare attenzione a particolari come il nome dei bambini, le coperte, gli indumenti e ovviamente il linguaggio. Lily, Leonardo e Robert l’hanno imparato con entusiasmo, tentando di scoprire quanto più possibile di questa civiltà antica. Si tratta di una questione delicata, i discendenti delle vittime di tali crimini vivono ancora in quei luoghi e non parlano molto di ciò che è avvenuto ai loro avi. Tutte le licenze che ci siamo presi in fase di riprese sono state approvate dalla comunità Osage.

Vi sono differenze sostanziali tra il testo di partenza e quello che il suo film racconta?

Siamo passati attraverso molte riscritture della sceneggiatura, cambiando spesso prospettiva. Il libro di David Grann si concentra in gran parte sul lavoro dell’FBI, la prima vera grossa indagine che rese celebre l’agenzia e gli conferì potere. Con Eric Roth abbiamo lavorato a questo aspetto della trama per quasi due anni, ci siamo spinti fin dove potevamo. Pian piano però abbiamo compreso che il cuore della storia era il rapporto tra Mollie e Ernest, la loro storia d’amore. Quello è stato il momento in cui Leonardo DiCaprio è entrato nel film come protagonista, mentre all’inizio doveva interpretare l’agente dell’FBI Tom White, la parte che poi è andata a Jesse Plemons. Da quel momento la sceneggiatura ha iniziato a cambiare, è diventata una storia raccontata dall’interno, ha lasciato venire in superficie il peccato e l’omissione, la complicità. La storia d’amore tra i due presuppone fiducia, e da qui si determina il tradimento.

Gli anni 20 killers-of-the-flower-moon
Cortesia di 01 Distribution & RaiCinema

Lei è un cineasta principalmente “urbano”, come si è trovato a realizzare un film nelle praterie specifiche del western?

È vero, io sono un uomo di città, cresciuto nel Lower East Side di New York, ci ho messo una vita a capire cosa volesse dire che il sole tramonta a Ovest tanto per fare un esempio. La prima volta che sono andato in Oklahoma per vedere alcune possibili coibentazioni è stato nel 2019, durante la lunghissima post-produzione di The Irishman, prima che scoppiasse la pandemia. Quando mi sono trovato di fronte quegli scenari naturali ne sono rimasto scosso, possono aprirti veramente il cuore e la mente. Specialmente quando guidi in quelle strade dritte per miglia e miglia e puoi ammirare bisonti o cavalli selvaggi. Allo stesso tempo ho iniziato anche a percepire quanto tali luoghi possano essere sinistri: quando non hai nessuno intorno per miglia, tutto può succedere, specialmente cento anni fa quando avvennero i fatti che racconto nel film.

Killers of the Flower Moon adopera la colonna sonora di Robbie Robertson in maniera audace, quasi innovativa. Che idea c’è alla base di questa scelta?

Molti miei film possiedono una loro musicalità interna. Per le scene di pugilato in Toro scatenato ad esempio mi sono ispirato ai balletti di Scarpette rosse: tutto è visto dall’interno del ring, nella testa del combattente, allo stesso modo in cui nell’altro film vediamo ogni cosa con gli occhi di Moira Shearer. Sul set di Quei bravi ragazzi invece facevo sentire Layla durante le riprese con movimenti di macchina elaborati. Qualcuno mi ha fatto notare a ragione che Killers of the Flower Moon possiede la cadenza di un bolero, che parte lento per poi acquistare ritmo e potenza fino all’esplosione finale. In questo mi aiuta moltissimo lavorare con Thelma Schoonmaker in sala di montaggio, non potrei avere collaboratore migliore per capire i miei film. Il giro di basso di Robbie Robertson che adopero per quasi tutto il film è sexy, pericoloso e carnale.

Leonardo DiCaprio Robert De Niro Killers of the Flower Moon
Gentile concessione di © 01 Distribution

Cosa l’ha portata a scegliere Lily Gladstone per il ruolo di Mollie?

La casting director, Ellen Lewis, mi ha fatto vedere Certain Women di Kelly Reichardt e sono rimasto colpito dalla sua bravura. Durante la pandemia abbiamo iniziato a collaborare via Zoom e la presenza, la calma e l’emozione che il suo volto lasciava trasparire mi hanno conquistato. Puoi capire che la sua mente è costantemente a lavoro dietro quello sguardo così pacato. La prima scena che abbiamo girato insieme è quella della cena tra Mollie ed Ernest, dove lei lo interroga. Lily è stata magnifica nel far capire che Mollie sa perfettamente che tipo di uomo é Ernest, in cosa si sta cacciando quando decide di sposarlo. L’alchimia con Leonardo è stata incredibile fin dall’inizio, hanno avuto libertà di improvvisazione e spesso abbiamo riscritto delle scene proprio grazie al loro supporto. Un’altra qualità di attrice di Lily che vorrei sottolineare sta nel fatto che il suo impegno, il suo attivismo nella vita reale non sono mai andati a sovrastare il personaggio che stava interpretando. Questo è segno di grande competenza professionale. Per me lavorare con lei è stata una boccata d’aria fresca: ormai la mattina faccio fatica sul set, non ho più le energie di un tempo. Quindi avere intorno attori più giovani ed entusiasti come Leo, Jonah Hill, Margot Robbie o Lily Gladstone mi aiuta notevolmente a iniziare il lavoro.

E invece cosa vuole aggiungere riguardo il suo rapporto con Robert De Niro e Leonardo DiCaprio?

Con Robert siamo cresciuti insieme, ci conosciamo fin da quando eravamo adolescenti. È l’unico attore che sa veramente da dove vengo, che tipo di persone frequentavo. Gli anni ‘70 per il nostro rapporto sono stati un grande banco di prova, abbiamo sperimentato tutto il possibile e abbiamo scoperto di poterci fidare l’uno dell’altro. In quel periodo Robert come star possedeva un potere enorme e avrebbe potuto facilmente prendere il controllo dei nostri film. Non ho mai avuto paura di questo. Lavoravamo in libertà, desiderosi di sperimentare, senza alcuna paura. Anni dopo mi disse che in un film intitolato Voglia di ricominciare aveva recitato con un ragazzo, un certo Leonardo DiCaprio, e mi consigliò di lavorarci un giorno. Lo disse in maniera quasi casuale, ma non lo era affatto. Non era da Bob, uno che non dà mai questo tipo di suggerimenti. Così anni dopo Leo rese possibile la realizzazione di Gangs of New York, visto che dopo Titanic era una star mondiale. Il nostro rapporto si è consolidato con The Aviator, ho capito grazie a quel film che eravamo sulla stessa lunghezza d’onda. La svolta è arrivata con The Departed, un thriller che Bill Monahan riscriveva continuamente per stare dietro all’interpretazione febbrile di Leo. Quello è stato il progetto che mi ha fatto capire quanto, anche se abbiamo età diverse, possediamo moltissime cose in comune, un’affinità umana e intellettuale. Per The Wolf of Wall Street mi sono fidato completamente di lui, e durante le riprese mi ha regalato momenti incredibili.

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