In I Bambini di Cold
Rock, Cold Rock è una cittadina tra i monti segnata da
tragici eventi di bambini che scompaiono senza lasciare indizi o
testimonianze utili per ritrovarli. Con il tempo si è andata
consolidando una leggenda, “l’uomo alto” è colui che porta via i
bambini che non fanno più ritorno. In Julia Denning è un’infermiera
che all’interno della comunità cerca di fare del suo meglio per
quei pochi che sono rimasti. Durante la notte viene svegliata dai
dei rumori notturni la sua preoccupazione è diretta al figlio che
misteriosamente è scomparso, nel tentativo di cercarlo per la casa
s’imbatte con l’uomo alto e comincia l’inseguimento per tentare di
riportare David a casa. Il Tenente Dodd e lo sceriffo della città
cominciano la caccia alla ricerca dell’uomo e delle risposte. Chi
è? Che cosa ne fa di questi bambini?
Pascal Laugier si è fatto notare al
pubblico durante il Festival di Toronto nel 2008 con il film dal
nome Martyrs, un horror che ha fatto breccia nel
cuore degli appassionati del genere.
Con I Bambini di Cold
Rock si cimenta con il thriller, prendendo un fatto
di cronaca nera frequente in America, ossia la denuncia di
scomparsa e rapimento dei bambini, e contornarla con un aura
soprannaturale e quasi fantastica che gravita intorno al ruolo di
questo enigmatico uomo.
La sceneggiatura è a stretto
contatto con il lavoro di montaggio, di fatti l’incipit del film si
rileverà essere un cambio sul punto di vista, che all’interno del
film sono spesso frequentati dal regista. Laugier nello scrivere il
percorso della storia si sofferma molto sulle possibili riletture
in un’altra angolazione, con il risultato che si comprende la
direzione del film solo dopo che lo si è visto con un’altra
consapevolezza. Gioca molto sui fotogrammi in più per lasciare la
suspense e tutta la grammatica necessaria per far vivere l’ansia
nello spettatore, ma ciò che tradisce questo schema è la voce
interna. Oltre ad essere raccontato in voice over da una delle
co-protagoniste di Jessica Biel (The Illusionist), Jenny
(Jodelle Ferland – Twilight: Eclipse) c’è
un doppio se non terzo autore nel film, ossia il lavoro di
montaggio che molto spesso suggerisce, con delle volute panoramiche
o campi totali, strutture di sceneggiatura che insinuano il dubbio
nello spettatore da non credere fino in fondo ai personaggi e il
terzo autore dovrebbe essere il tenente Dodd (Stephan
McHattie – The Watchmen) che essendo un federale
incaricato a risolvere il caso, ha uno sguardo esterno e quindi
diffidente su tutta la comunità di Cold Rock.
A parte gli interrogativi di
sceneggiatura che si susseguono durante la visione del film, nel
finale le motivazioni non reggono fino infondo, vengono sviscerati
in maniera troppo utopistica che non sposa l’intera immagine che si
è avuto per il film. L’intenzione mancata è forse da attribuire a
un misto di generi: horror per alcune sequenze, thriller per
determinati risvolti e impegnato socialmente per il tema del film,
che non sono stati approfonditi nel tempo giusto.
La regia di Laugier rimane comunque
esteticamente bella da vedere, fa entrare in scena come un
personaggio della storia questa cittadina fittizia che viene
perlustrata in ogni situazione e a cui lo scenografo Jean André
Carrière (Il mistero di Sleepy Hollow) da una sorta di
aura tenebrosa che viene sposata dalla fotografia di Kamal Derkaoui
(Martyrs) con una luce fredda e per alcuni ambienti
asettica; inoltre gli inseguimenti sono quasi tutti dei piani
sequenza in cui Jessica Biel sa tenere bene il livello emotivo.
Gli attori sono tutti entrati nel
ruolo e gli unici dubbi sono dovuti a delle incongruenze, ma il
personaggio e le conseguenze che vivono emergono bene.
I Bambini di Cold Rock
sarà al cinema questo weekend, consigliato a chi ama i thriller non
troppo pretenziosi.
Per tutti i cinefili del mondo
Viggo Mortensen è il Re per antonomasia, non solo
perché deve la sua fama internazionale al personaggio di Aragorn
nato dalla penna del professor Tolkien, ma perché è regale in
tutto, e persino il suo modo di sorridere ricorda quello di un
affascinante e benevolo sovrano che dall’alto del suo sconfinato
potere dispensa saggezza e bellezza in ogni sua espressione.
Viggo Mortensen è
stato Aragorn, ma è stato anche un Lupo Solitario, un
artista incaricato di assassinare una donna, un padre disperato nel
mondo in rovina, un sicario mafioso, un luminare della psicoanalisi
e tantissimo altro ancora, riuscendo sempre, in ogni sua
trasformazione, a tratteggiare personaggi maschili di grande
carisma e spessore morale, nel bene e nel male.
Viggo Peter Mortensen
Jr. nasce a New York nel 1958. Americano doc vanta però
origini danesi, canadesi e norvegesi e trascorre l’infanzia in
Argentina, dove impara lo spagnolo, capacità che ne favorirà alcune
scelte artistiche nel futuro. Dopo il divorzio dei genitori
trascorre un breve periodo a Copenaghen, per poi tornare nello
stato di New York, dove si diploma alla Watertown High School a
Watertown. Si laurea in scienze politiche e letteratura spagnola,
ma si trasferisce poi in Danimarca e fa i lavori più diversi:
camionista, barista, cameriere e fioraio. Solo quando torna negli
Stati Uniti, all’inizio degli ani ’80, comincia seriamente a
pensare ad una carriera da attore.
Dopo un’esperienza
teatrale piuttosto intensa e qualche provino andato male,
Peter Weir lo sceglie per un ruolo nel suo
Witness – Il Testimone del 1985. Nell’anno precedente gli
era già capitato di recitare per Jonathan Demme e
Woody Allen (i film sono Swing Shift – Tempo
di swing e La Rosa Purpurea del Cairo) ma viene
tagliato al montaggio. Stessa sorte gli capiterà più avanti nel
1998 con La Sottile Linea Rossa di Terrence
Malick, destino che ha condiviso con moltissimi altri
attori (Edward Norton e Billy Bob
Thorton tra gli altri). Doveva interpretare il Sergente
Elias per Oliver Stone in Platoon, ma il
ruolo andò a Willem Defoe, divenuto poi suo grande
amico. Insomma l’esordio è difficile e pieno di delusioni, fino a
che nel 1991 l’esordio alla regia di Sean Penn con
Lupo Solitario gli offrirà il primo ruolo di rilievo.
Inizia un periodo di parti di rilievo in film importanti: nel ’93 è
accanto a Al Pacino nel bellissimo Carlito’s
Way, nel ’95 diventa Lucifero ne L’ultima
profezia, in cui lotta con l’Arcangelo
Gabriele/Christopher Walken, mentre nell’ anno
seguente recita accanto a Nicole Kidman in
Ritratto di Signora di Jane
Champion, nell’appassionato ruolo di Caspar Goodwood.
Oltre a partecipare all’esordio alla regia di Penn, Viggo è anche
in Insoliti Criminali, esordio dietro la macchina da presa
di un altro grande attore, Kevin Spacey.
Viggo Mortensen: il Re del cinema
contemporaneo
E’ un periodo piuttosto impegnato
per Mortensen, rispetto alle delusioni iniziali. L’attore inanella
infatti una serie di interpretazioni di rilievo: recita in
Allarme Rosso e in Soldato Jane,
e si trova a prendere parte a due remake di film del grande Maestro
Alfred Hitchcock, Il Delitto
Perfetto e Psycho. Entrambi
i film non sono molto riusciti, anche se Psycho (diretto da
Gus Van Sant) è un remake shot-for-shot
dell’originale, ma il nostro ha la possibilità di misurarsi con il
thriller e di mettere ancora una volta alla prova il suo
incredibile talento attoriale. Intanto trova il tempo di
partecipare a due commedie con due partner d’eccezione: il 28
giorni è accanto a Sandra Bullock, mentre in
A Walk on the Moon – Complice la luna è l’innamorato di
Diane Lane.
Siamo ormai nel 2000 è
la vita di Viggo Mortensen sta per cambiare
definitivamente. Peter Jackson, che ha messo in
cantiere il folle progetto di una trasposizione cinematografica del
Il Signore degli Anelli
di John Ronald Reuel Tolkien, sta cercando un
attore per interpretare Aragorn il Ramingo e per caso manda la
sceneggiatura a Viggo. L’attore, contattato appena due gironi prima
dell’inizio delle riprese stava per rifiutare l’incarico, quando
suo figlio allora ragazzino, gli chiese di accettare perché
conosceva bene la saga letteraria. Mai scelta fu più saggia!
Viggo Mortensen trova così il successo e
l’affermazione mondiale che merita, e il mondo trova il suo Re
dell’Ovest. Nei panni di Aragord, Viggo non dimentica la gavetta e
mette nel personaggio tutto se stesso: il tono riflessivo, l’ardore
in battaglia, la sopraffazione di fronte al proprio destino e la
volontà di fare del bene e di sacrificarsi per gli amici. Mortensen
porta alla luce in maniera eccelsa una delle tante straordinarie
figure cristologiche di Tolkien, restituendolo per l’eternità al
cinema e alla memoria collettiva. Dopo la Compagnia
dell’Anello nel 2001, seguono quindi Le Due Torri nel
2002 e nel 2003 Il Ritorno del Re, vera e propria
consacrazione del suo personaggio che lascia per sempre le spoglie
di Grampasso il Ramingo e diventa agli occhi della Terra di Mezzo
Aragorn figlio di Arathorn, erede di Isildur, Elessar, Gemma elfica
del suo popolo. Il trionfo di Viggo Mortensen è totale e il suo
nome e il suo volto diventano tra quelli più noti al mondo. Il suo
viso che stringe la spada Andùril campeggia da quel momento in poi
nelle camerette di tutti gli adolescenti (e non) del globo e tutti
i registi vogliono lavorare con “l’attore che interpreta
Aragorn”. La verità però è che Viggo è effettivamente una
Gemma, un uomo prezioso e un artista raro. Si dice che sul set de
Il Signore degli Anelli, Viggo abbia stretto una
grande amicizia con il suo cavallo, e lo stesso farà con il suo
compagno a quattro zampe in Hidalgo – Oceano di Fuoco,
film immediatamente successivo, tanto da portarsi a casa gli
esemplari equini. Segue Il destino di un Guerriero, altro
film cappa e spada che lo vede protagonista.
Dopo il grande successo comincia
per Mortensen un altro periodo, inaugurato dalla doppia
collaborazione con David
Cronenberg. Da Spider in poi, la filmografia
del regista di Videodrome ha preso una piega inaspettata;
cominciando ad indagare le mutazioni mentali e non più quelle
fisiche, Cronenberg trova in Mortensen il suo attore ideale. La
collaborazione con Cronenberg porta alla luce due dei film migliori
della sua filmografia, e lo stesso vale per il regista:
A History of Violence e La
Promessa dell’Assassino mostrano come Mortensen non
sia necessariamente legato allo stereotipo del “cavaliere senza
macchia”, ma come invece sappia trovare in sé ogni personaggio
richiesto dalla sceneggiatura. Per Le Promessa
dell’Assassino il consenso è così unanime tra pubblico e
critica che l’attore si guadagnò un British Independent Film Award
e un Satellite Award, fu candidato al Golden Globe e agli Oscar
2008, dove però dovette cedere il passo al Daniel
Day-Lewis de Il Petroliere.
Nel 2008 Viggo
Mortensen arriva in Italia e all’allora Festa del film di
Roma, presenta ben due film, concedendosi al pubblico per un
bellissimo incontro sul suo cinema e per una valanga di foto,
autografi, battute e risposte decise, gentili, dimostrando ancora
una volta la sua grande sensibilità di uomo e di artista. Alla
Festa Viggo presenta Appaloosa, western
sui-generis in cui è diretto da Ed Harris, che
recita al suo fianco insieme a Renée Zellweger e
Jeremy Irons, e Good, bellissimo film che
ci racconta l’altro lato del campi di concentramento, in cui Viggo
è un professore tedesco – ariano, che si trova coinvolto per
convenienza nel regime nazista, scoprendo troppo tardi che il suo
tacito consenso è costato la vita a moltissime persone di origine
ebraica, tra cui un suo caro amico professore, interpretato da
Jason Isaacs. Il film purtroppo non è uscito nei
cinema italiani ma rimane una delle più belle interpretazioni di
Mortensen.
Nel 2009 è il momento di un’altra
grande performance per il nostro Mortensen. John
Hillcoat lo sceglie per interpretare il personaggio
protagonista in The
Road, adattamento del crudo e omonimo romanzo di
Cormac McCarthy. Viggo è un padre disperato che
lotta per il figlio in un mondo in rovina. Nel 2011 arriva per lui
la terza e infelice collaborazione con David
Cronenberg. Il regista lo sceglie per interpretare Sigmund
Freud in A Dangerous
Method, e Viggo ce la mette tutta per dare corpo
al capostipite della psicanalisi, ma la sua bella performance si
scontra con un film brutto, verboso e troppo lungo.
Nel 2012
Mortensen ha partecipato al film argentino
Todos tenemos un Plan, in cui mette in
mostra il suo fluente spagnolo e presto lo vedremo in On The
Road, film tratto dal romanzo di Jack
Kerouac e diretto da Walter Salles, in
cui interpreta Old Bull Lee/William S. Burroughs.
Viggo Mortensen è
un attore, anzi una persona, che mette d’accordo tutti: i piccoli e
i grandi, i giovani e i vecchi, gli uomini e le donne. La sua
bellissima personalità traspare in maniera disarmante con i fan e
le sue doti artistiche vanno al di là della recitazione.
Compositore, pittore e bravissimo fotografo, Viggo coltiva i suoi
talenti con passione, conscio dell’importanza che l’arte ha per lo
spirito. Le sfumature caratteriali dei suoi personaggi hanno
dimostrato quanto sia importante saper fare e amare tante cose
diverse nella vita. Balzato in età avanzata alla ribalta del
successo ha offerto tantissimi ritratti eccezionali di uomini e
anime, ma nella memoria collettiva rimarrà sempre il Re
dell’Ovest.
Le parti live-action di Avatar sono
state girate in Nuova Zelanda e si sono buone possibilità che le
cose non cambino per i sequel. Tuttavia, golosissime agevolazioni
fiscalipotrebbero dirottare le riprese dei prossimi capitoli del
franchise in Cina. Per avere accesso agli sgravi, però, la
produzione deve reclutare degli attori cinesi. Un problema? Niente
affatto, dal momento che James Cameron aveva già pensato a qualche
Na’vi con gli occhi a mandorla. Sentiamolo:
“Possiamo tranquillamente avere
Na’vi cinesi. E [nelle sequenze live-action] ci possono essere
cinesi che parlano inglese. Stiamo progettanto un futuro per
Avatar e, se
proviamo a immaginarcelo, non è strano prevedere la presenza di
cinesi su Pandora”
Insomma, si cade sul morbido.
Ricordiamo che l’uscita di Avatar 2 è
prevista per il 2015. Sicura la realizzazione di Avatar 3, molto
probabile quella di un quarto capitolo.
Casey Affleck
entra nel cast di Race to the South Pole, prodotto da suo fratello
Ben e Matt Damon. La pellicola racconterà la vera storia di due
esploratori, Roald Amundsen e Robert Falcon Scott, che, all’inizio
del XX secolo, si lanciarono verso l’ancora inesplorato Polo Sud;
in competizione l’uno contro l’altro! La spuntò per poche settimane
Amundsen. Lo sconfitto Falcon Scott non riuscì nemmeno a far
ritorno in Gran Bretagna per farsi consolare: perse infatti la vita
durante il viagio di ritorno. Casey Affleck si calerà proprio nei
panni dell’intrepido avventuriero inglese. Non si sa se Ben Affleck
e Matt Damon scenderanno nell’agone anche come registi, o se invece
resteranno soltanto in produzione. L’ultimo gettone davanti alla
macchina da presa per Casey Affleck risale al 2011, con Tower Heist
– Colpo ad alto livello di Brett Ratner.
Ecco alcune foto rubate dal set di
Kick-Ass
2. Conoscendo, dal primo film e dal fumetto, il
temperamento della giovane e indomita Hit Girl, e vedendo come
viene su bene Chloe Moretz che la interpreta, c’era da aspettarsi
uno sviluppo del genere, e infatti ecco il sempre imbranato Kick
Ass alle prese con una ‘focosa’ Hit Girl in sella alla sua moto
viola, rigorosamente targata HG.
Ecco la foto “incriminata” e a
seguire la gallery:
Ecco il secondo atteso trailer di 007 Skyfall
diretto da Sam Mendes con ancora una volta Daniel Craig nei panni
di Jemas Bond. Il filmato, con molte scene inedite è ricco di
azione.Ecco a voi le immagini:
Diretto da Sam Mendes (Revolutionary
Road), Skyfall esordirà nelle nostre
sale il 31 ottobre 2012.
Ecco il primo teaser trailer di
Beautiful Creatures – La Sedicesima, film tratto dal
primo romanzo della serie di best-seller nata dalle penne di
Kami Garcia e Margaret Stohl. Nel
film Ethan (Alden Ehrenreich), un giovane che
desidera fuggire dal suo paesino, si innamora della nuova arrivata
Lena (Alice Englert), e insieme scoprono oscuri
segreti sulle loro famiglie e sulla loro piccola città.
Beautiful Creatures – La Sedicesima diretto da
Richard LaGravenese (P.S. I Love You),
vede nel cast Emmy Rossum, Viola
Davis, Jeremy Irons e Emma
Thompson.
Dopo tante speculazioni e
tentativi di immortalare sul set Iron Patriot, arriva forse una
conferma sulla sua presenza. Infatti il nuovo artwork uscito di
Iron
Man 3 a sopresa presenza Iron Patriot in tutto il suo
splendore.
Dopo l’uscita
dell’atteso Full Trailer de Lo hobbit, arrivano ben cinque finali
diversi del trailer, tutte scene inedite, uno dedicato a Pungolo,
una a Gollum e una a Gandalf e in fine a Bilbo.
L’artista Wesley Burt ha
diffuso i primissimi concept design che ha realizzato per il
franchise Transformers, per il Thor di Kenneth Branagh e per
Battleship
Philip Seymour Hoffman è pronto per
dirigere Ezekiel Moss, thriller scritto da Keith Bunin (In
Treatment); la sceneggiatura ha trovato posto nella Black List
2011. La storia, ambientata
I mercenari 2 è
piombato nei cinema italiani ad agosto saziando tanti fan con le
imprese macho di Sylvester Stallone,
Jean-Claude Van Damme, Arnold Schwarzenegger e
compagnia menante. Un po’ di ceffoni e di proiettili pare siano
avanzati: molto probabile, dunque, un terzo capitolo della serie.
Pare che Nicholas Cage abbia già prenotato il camerino per
l’eventuale Expendables 3. Il produttore del franchise Avi Lerner,
intenzionato ad aggiungere alla terza sgroppata di Sly e soci un
tocco di classe ed esperienza, ha dichiarato d’aver presto contatti
– udite udite! – con Clint Eastwood.
L’82enne attore e regista
californiano è stato sentito in merito da ExtraTV; quando gli è
stato domandato se Stallone lo voglia nel cast de I mercenari 3,
Eastwood è caduto dalle nuvole: “Davvero mi vuole?
– ha detto – Non ho ancora avuto l’occasione di vedere I
mercenari. E non ho letto nulla”
Quando gli è stato chiesto se,
qualora arrivasse un’offerta, la prenderebbe in considerazione, il
texano dagli occhi di ghiaccio ha risposto:
“Probabilmente no. Credo di essere più adatto a
dirigere qualcosa. Forse sarò il regista de I mercenari
3“
Beffardo, ironico Clint. Chissà se
i contatti di cui parla Lerner ci sono stati davvero. Ad ogni modo,
l’accoppiata Expendables-Eastwood (attore o regista) non sembra
proprio azzeccata. Anche se, a ben pensarci, Space Cowboys (2000),
di e con CE, non è estraneo a uno spirito revival a tratti affine a
quello, certo più sempliciotto, che anima il franchise de I
mercenari. Clint Eastwood sarà nelle sale italiane
dal 29 novembre con Trouble With the Curve (regia di Robert
Lorenz), suo ritorno davanti alla macchina da presa dopo l’annuncio
di ritiro del 2008, seguito all’uscita del pregevole Gran
Torino.
Il Festival Internazionale del Film di
Roma spalanca le porte agli allievi degli atenei italiani. A
partire dalla settima edizione, gli studenti di tutte le facoltà,
non solo quelle di cinema,
Ecco a tutti voi, dopo
molte attese il Full Trailer de Lo Hobbit: un viaggio inaspettato,
la prima parte dell’incredibile nuovo viaggio nella terra di
mezzo,
Novità per All You Need Is
Kill, sci-fi diretto da Doug Liman, protagonista
Tom Cruise: Bill Paxton è
recentemente entrato in trattative per partecipare al film. Il
regista di Jumper avvierà le riprese dell’adattamento del romanzo
di Hiroshi Sakurazaka il prossimo mese nel Regno Unito. La trama
seguirà le vicende di un soldato coinvolto in una guerra contro
un’invasione aliena venire ucciso e tornare in vita, ripetendo
all’infinito la giornata della propria morte, imparando ogni volta
qualcosa di nuovo per poter forse riuscire a mutare il suo destino.
Nel cast anche Emily Blunt e Charlotte Riley, mentre per Paxton
sarebbe pronto il classico ruolo del ‘sergente tutto d’un pezzo’
visto tante volte nei film USA a sfondo bellico.
Agenda affollata per Peter Berg:
l’attore e regista (Hancock, Battleship), visto in Leoni per
Agnelli e Smokin Aces tra gli altri, sarà prossimamente in Lone
Survivor insieme a Taylor Kitsch, Eric Bana, Emile Hirsch e Ben
Foster. A fianco dell’attività sul grande schermo, Berg rilancia
quella per la tv: così, dopo aver sceneggiato Friday Night Lives,
eccolo prossimo protagonista della serie di spionaggio M.I.C.E.,
che verrà trasmessa dalla NBC.
Al centro della storia originale un
pilota decorato dell’Areonautica israeliana che scopre che i suoi
genitori, ebrei russi emigrati, sono delle spie: quando questi
subiranno pressioni per far entrare anche il figlio nella loro
attività segreta, quest’ultimo si troverà costretto a decidere se
essere fedele alla famiglia o alla propria Naizone. L’acronimo
M.I.C.E. del titolo sta per Money, Ideology, Coercion and Ego. La
versione americana porterà il tutto negli Stati Uniti, mantenendo
però il coinvolgimento della Russia, partendo dal fatto che i
rapporti con gli U.S.A. attualmente non sono dei migliori.
Dopo essere stato presentato al
Festival
di Cannes nel 2012, arriva anche nelle sale italiane il
documentario sulla vita di una delle leggende viventi del cinema
americano: Woody Allen. Lungo la bellezza di 113 minuti
Woody è diretto da Robert Weide
ed è nato dal successo televisivo targato PBS e
dalla serie intitolata American Masters, dedicato proprio al
prolifico regista newyorkese. Forte del successo ottenuto in
televisione, Weide lavora su una versione cinematografica e il
risultato è Woody Allen: A Documentary, uno straordinario
viaggio nella vita dell’uomo Woody prima che del maestro.
Uno dei maggiori pregi del
documentario è certamente la capacità del racconto, molto
suggestivo ed evocativo, che consente allo spettatore un accesso
senza precedenti nella vita e soprattutto al processo creativo del
regista newyorkese, riuscendo a tirar fuori un affresco incredibile
che inizia dall’infanzia e finisce ai giorni nostri. In questo
excursus troviamo gli inizi sulla carta stampata, i primi
passi da cabarettista sui palcoscenici, per poi passare alla stella
della tv, fino ad arrivare agli esordi del mondo del cinema, dove
Allen trova la sua massima ispirazione. Da lì in avanti la storia
si concentra sul regista, attore, sceneggiatore e quindi vengono
raccontati con grande lucidità e anche sincero distacco il
virtuosismo di Allen che varia tra i genere, i successi, gli
insuccessi, le delusioni, le muse, gli Oscar e i film più
recenti.
Una storia fatta di acclamazione ma
anche di pesante condanna della vita privata, fatta di
testardaggine e indipendenza dagli Studios, amore per la scrittura
e per la libertà di espressione, che culminano finalmente con il
grande successo ai botteghini di
Midnight in Paris, il film che ha incassato di più
nella storia del regista e che, finalmente, per buona pace
dei critici, lo riporta alla consacrazione che merita.
Infine, molta attenzione è data
anche alla straordinaria peculiarità che contraddistingue Allen da
tutti gli altri registi viventi e non, ovvero la sua straordinaria
prolificità, che lo rende forse unico nel suo genere e ne fa uno
dei massimi filosofi della vita. A questo proposito è interessante
riprendere proprio una testimonianza del documentario, offerta da
un’altra leggenda come Martin
Scorsese, che proprio parlando del regista, rimarca a
più riprese come non esista nessuno nel panorama del cinema passato
e presente che abbia così tanto da dire sulla vita come lui, e
siamo d’accordo tutti che questo basta a conferirgli un aura di
leggenda. Anche per questo il film merita di essere visto e la vita
di Woody Allen merita di essere scoperta.
La conferma, della quale alla luce
di recenti dichiarazioni rilasciate da Joss Whedon
forse non c’era nemmeno bisogno, l’ha data ufficialmente
James
Gunn, che attraverso il proprio profilo Facebook ha
confermato che sarà lui a scrivere e sedere dietro la macchina da
presa per Guardians of The Galaxy, uno dei nuovi
progetti Marvel in cantiere per il grande
schermo.
James Gunn ha
voluto mettere la parola fine alle speculazioni degli ultimi tempi
che avevano sollevato qualche dubbio a riguardo; il regista ha
spiegato di aver volutamente tenuto un basso profilo riguardo il
progetto in precedenza. A queste dichiarazioni sono seguite quelle,
molto più ‘consuete’, riguardo la volontà di dare agli appassionati
qualcosa di bello, maestoso ed unico. L’uscita di Guardians
of The Galaxy, che sposterà l’azione dalla Terra allo
spazio, seguendo le avventure cosmiche di un gruppo di supereroi
provenienti da vari angoli della galassia, è prevista negli Stati
Uniti nell’agosto 2014.
Gli anni ’90 l’anno portato alla
ribalta – con film che vanno da Thelma e Louise a
Fight club – come giovane attore di talento, ma anche come
sex symbol, grazie al fisico da classico bello americano: biondo,
occhi azzurri e mascella volitiva da masticatore di chewing gum,
tutto questo è Brad Pitt (è stato eletto due volte
l’uomo più sexy del mondo dalla rivista People). La prima metà
degli anni 2000 lo hanno visto protagonista delle cronache rosa e
delle riviste di gossip con due storie d’amore tra le più
chiacchierate di sempre con belle colleghe altrettanto lanciate
nello star system (Jennifer Aniston e
Angelina Jolie, ma c’erano già state
Juliette Lewis e Gwyneth
Paltrow).
Tutto ciò ha rafforzato l’immagine
mondana di Brad Pitt, ma ne ha forse messo un po’
in ombra il talento cinematografico, specie in una fase
caratterizzata da qualche pellicola non entusiasmante. In seguito,
con la sua attuale compagna Angelina Jolie, è
riuscito ad imporre ai media una diversa immagine di sé, mettendo
la propria popolarità al servizio di cause umanitarie e incarnando
così agli occhi del pubblico la sintesi perfetta tra favola
romantica, glamour e impegno. E che lo scapestrato giovanotto
sciupa femmine sia maturato, lo confermano le sue mutate scelte
cinematografiche. La sua carriera si è diretta verso film più
impegnati, in cui ha offerto prove d’attore notevoli al fianco di
registi acclamati come Iñárritu, Tarantino e
Malick, che lo hanno consacrato definitivamente
come star di Hollywood.
La febbre del sabato sera
è uno dei suoi film preferiti (perché, dice, rappresenta una
cultura molto diversa dalla sua, “una terra straniera da
esplorare”); ciò che lo affascina di più nella vita è proprio
l’esplorazione, la scoperta, e se non facesse l’attore vorrebbe
fare l’architetto. È molto attaccato alla sua famiglia (sei figli,
di cui tre adottivi, con la compagna Angelina Jolie) ed è un padre
stucchevolmente tenero, quando dice ad una platea di giovani
increduli che il suono che ama di più al mondo è il respiro di suo
figlio che dorme. Insomma, sembra che con gli anni (49 il prossimo
18 dicembre) si stia trasformando in un pacato saggio, mentre
qualche ruga sul suo volto ne aumenta il fascino.
Brad Pitt Biografia
William Bradley
Pitt nasce a Shawnee, cittadina del sud degli Stati Uniti,
poco distante da Oklahoma City, nel 1963 e cresce a Springfield,
nel vicino stato del Missouri. Il padre lavora in una ditta di
trasporti e la madre a scuola. Ha un fratello e una sorella,
entrambi più piccoli. Si iscrive a scuola e poi all’università, ma
a due settimane dalla laurea lascia il college per iniziare a
lavorare. (Ha frequentato anche una scuola di giornalismo).
L’altezza di Brad Pitt non è la
peculiarità migliore ma è comunque alto 1,80 centimetri.
Fin da ragazzino i suoi maggiori
interessi sono lo sport, i film e le ragazze. Ed è facendo uno dei
molti lavori che accetta all’inizio per mantenersi (l’autista di
spogliarelliste) che viene a sapere delle lezioni di recitazione di
Roy London. Saranno per lui fondamentali:
“Sono state la prima cosa che mi ha davvero indirizzato verso
la direzione nella quale volevo andare”. È così infatti che
nell’’87 esordisce sul grande schermo in Senza via di
scampo di Roger Donaldson e prosegue con
altri piccoli ruoli. Ma in quegli anni lavora molto soprattutto in
tv, partecipando a numerosi serial tra cui 21 Jump Street
e Genitori in blue jeans. Nel ’90 partecipa a Vite
dannate e così conosce Juliette Lewis, che
diventa la sua compagna.
Brad Pitt Filmografia
Siamo nel 1991 quando fa una breve
apparizione in Thelma e Louise di Ridley Scott, dove interpreta il giovane J.
D.: simpatica canaglia a cui le due donne danno un passaggio;
ladro, ma così sexy da risultare irresistibile per
Thelma/Geena Davis. Non c’è dubbio che il ruolo
del giovane seduttore gli si confaccia e quella prova non può che
imporlo all’attenzione di pubblico e addetti ai lavori, facendolo
diventare il nuovo idolo delle teenager degli anni ’90. Lo stesso
anno ottiene il suo primo ruolo da protagonista nella pellicola di
Tom DiCilloJohnny Suede, in cui il suo
personaggio tenta di sfondare nel mondo della musica, coadiuvato da
una stravagante acconciatura. Nel ’92, invece, Pitt sarà diretto da
Robert Redford per In mezzo scorre il
fiume. Viaggio alle radici dell’America attraverso la storia
di una tradizionale famiglia americana degli anni ‘10-’20 del
secolo scorso, raccontata con lirismo romantico alla Redford e un
tuffo nella natura, soprattutto nelle acque del Montana. Neanche a
dirlo, nella famiglia Maclean, capitanata dal papà e reverendo Tom
Skerritt, Brad Pitt interpreta il figlio più
scapestrato, all’opposto dell’assennato fratello
Norman/Craig Sheffer.
Dal ’94 al ’96 l’attore
dell’Oklahoma inanella una serie di successi che ne consolidano la
fama e ottiene i primi riconoscimenti, oltre a stringere
collaborazioni illustri. Alla fine degli anni ’90 sarà ormai chiaro
che non si tratta solo di un bel “bamboccio” senza spessore, ma di
un professionista dalle ottime capacità.
Questo risultato Pitt
lo ottiene accettando ruoli eterogenei. Quello dell’apprendista
vampiro Louis, dal cuore troppo tenero per accettare la sua
sanguinaria natura, in Intervista col vampiro (’94) di
Neil Jordan, interessante rilettura
sensual-estetica di queste macabre figure, in cui però l’astro
nascente Pitt deve vedersela con un Tom Cruise che
non può non affascinare nel ruolo del maestro di Louis, Lestat, suo
contrario poiché cinico, crudele e senza scrupoli.
L’interpretazione di Brad non è molto apprezzata dalla critica, ma
resta nel cuore del pubblico più giovane, che lo omaggia con
l’MTV Movie Award per la miglior performance maschile e
come miglior attore più attraente (ma Cruise e Pitt rimediano anche
un Razzie Award come peggior coppia cinematografica dai loro
detrattori). Lasciato il mondo dei vampiri, Pitt è tra i
protagonisti di una saga familiare che affonda le radici negli Usa:
Vento di passioni (’94) di Edward Zwick,
in cui interpreta Tristan, il più ribelle e tormentato dei tre
fratelli Ludlow – assieme ad Aidan Quinn/Alfred e
Henry Thomas/Samuel – rivali in amore, che vivono
la dolorosa esperienza di una guerra mondiale (uno di loro morirà),
e i cui destini restano indissolubilmente intrecciati. Qui Pitt
convince, coadiuvato da uno script che fonde dramma, romanticismo e
passionalità. Così arriva anche la prima candidatura ai Golden
Globe.
Il 1995 è l’anno
dell’incontro con il regista David Fincher, che lo
vuole per Seven:
l’intesa con Brad Pitt è immediata. Parlandone,
l’attore ha ricordato: “Parlavamo la stessa lingua, ci
piacevano gli stessi film” e a proposito del personaggio di
David Mills, che del poliziesco è protagonista accanto a William
Somerset/Morgan Freeman, “è un personaggio che
vede il mondo in bianco e nero, con buoni e cattivi e paga per
questo”. I due detective, aspetto e temperamento opposti, a
fare squadra per necessità, sono alle prese con un serial killer
colto e moralista che uccide punendo le sue vittime con il
contrappasso per aver commesso i sette peccati capitali.
Seven
è estremamente coinvolgente e singolare è la scelta di non mostrare
mai il momento in cui le vittime vengono uccise, ma solo il macabro
risultato.
Inoltre, il regista approfondisce i
caratteri dei due investigatori, che inizialmente potevano apparire
stereotipati. Nel cast anche Kevin Spacey,
efficacissimo nel ruolo dell’assassino. La pellicola conferma le
doti attoriali di Brad Pitt e diviene
presto un cult. La collaborazione tra Brad
Pitt e David Fincher è talmente riuscita
che si ripeterà altre due volte, con due successi. Una chiuderà gli
anni ’90 e ne uscirà un altro cult, Fight club
(1999), mentre l’altra sarà nel 2008 per Il curioso caso di
Benjamin Button.
Intanto, il nostro attore guadagna
il Golden Globe per la sua interpretazione di un pazzo ne
L’esercito delle 12 scimmie, creatura del genio di
Terry Gilliam. Un criminale (James
Cole/Bruce Willis) è in viaggio nel tempo per
salvare l’umanità da un virus letale. Il viaggio assume presto i
contorni dell’incubo, mentre lungo il cammino il protagonista
incontra improbabili compagni come appunto lo schizzato Jeffrey
Goines/Brad Pitt, per il cui ruolo l’attore si
prepara studiando da vicino i degenti di un reparto
psichiatrico. Il risultato è una performance di indubbia efficacia
e aderenza, che gli vale il premio come miglior attore non
protagonista, oltre che una nomination all’Oscar.
L’anno successivo a dirigerlo è
Berry Levinson nel drammatico Sleepers,
con cast pieno di star tra cui Robert De Niro,
Dustin Hoffman e Vittorio Gassman. Sempre
di giovani con infanzia-giovinezza traumatica si parla, come spesso
nel cinema di Levinson. Il tema è forte ed è quello degli abusi
sessuali subiti in riformatorio da parte di un gruppo di ragazzini
americani che, da adulti, cercano vendetta. Anche qui, la critica
non è entusiasta, ma il pubblico apprezza, e la fama di Brad
cresce. Lo vediamo poi alle prese con un’avventura umana e
d’esplorazione come quella di Sette anni in Tibet, dove si
allontana dalla natia America per interpretare l’alpinista
austriaco Heinrich Harrer, nel viaggio che dal ’38 agli anni ‘50
del secolo scorso lo portò da seguace del nazismo a sostenitore
della causa tibetana.
Il decennio si chiude con
Fight Club, dramma che vede Fincher
e Brad Pitt ancora insieme ad indagare gli
abissi della mente umana, ma anche a puntare il dito contro una
società dei consumi che ci ha illuso di un presunto benessere,
lasciandoci vuoti e alienati, senza prospettive. Lo spettatore è
posto di fronte a ciò che spesso accade, dove impera questo vuoto:
si dà sfogo ai più bassi istinti umani, come la violenza, per
sentirsi vivi e cercare una via d’uscita, in una deriva sempre più
pericolosa. C’è chi la definisce un’operazione furba ma
accattivante, che mescola analisi psicologica e critica sociale per
attrarre il pubblico, e chi ne loda invece lucidità e onestà,
nonché il meccanismo narrativo perfettamente orchestrato. Sulle
capacità e l’estrema efficacia dei due protagonisti nei rispettivi
ruoli però pochi hanno dubbi: Brad Pitt e Edward Norton la fanno da padroni, col primo
forte, coraggioso e violento, a trascinare l’altro – schivo e
inquadrato – verso l’abisso.
Nel frattempo, Brad è al centro
delle cronache rosa per la sua storia d’amore con l’attrice
Jennifer Aniston. I due si sposano nel 2000 e
decidono anche di aprire una casa di produzione cinematografica: la
Plan B Entertainment. Il nuovo millennio da attore, invece, si apre
con il fortunato Ocean’s Eleven – Fate il vostro
gioco di Steven Soderbergh, che riunisce
le star più glamour di Hollywood in un film d’azione su
un’organizzatissima banda di rapinatori che mette a segno un
memorabile colpo ai danni del ricchissimo e crudele di turno. Basta
dire che del cast è protagonista George
Clooney/Danny Ocean ed ha accanto Julia Roberts,
Brad Pitt, Matt Damon e Andy Garcia.
Grande successo di pubblico per un film diretto abilmente da un
premio Oscar e che mette in campo risorse con le quali è difficile
sbagliare. Grande operazione commerciale, seguita dai meno riusciti
ma proficui Ocean’s Twelve (2004) e
Ocean’s Thirteen (2007), sempre diretti da
Soderbergh. Tra Brad Pitt e George
Clooney nasce una vera amicizia. Nel 2004 il nostro attore
è Achille nel kolossal Troy di Wolfgang
Petersen, che rilegge in salsa americana l’intera epopea
dell’Iliade, cui è liberamente ispirato.
È probabilmente sul set di Mr e Mrs Smith di Doug Liman,
dove interpretano una coppia legata da amore-odio e spionaggio, che
scatta la scintilla tra Brad Pitt e
Angelina Jolie, con conseguente crisi del
matrimonio di lui, che nel 2005 divorzia dalla Aniston con gran
clamore da parte dei tabloid. Jolie conferma in maniera
inequivocabile la relazione solo nel 2006, annunciando la prossima
nascita della loro figlia. Seguiranno due gemelli nel 2008 (a cui
sono da aggiungere tre adozioni, due delle quali precedenti la
relazione, ma che Brad Pitt riconoscerà a
tutti gli effetti).
Intanto, sul fronte
cinematografico, il 2006 vede un’altra collaborazione illustre per
Pitt, con uno dei registi più innovativi degli ultimi anni: quella
con Alejandro Gonzáles Iñárritu, che lo sceglie
per l’ultimo lavoro della sua trilogia del dolore – dopo
Amores perros e 21 grammi –
Babel. Coadiuvato ancora dal fido e ottimo sceneggiatore
Guillermo Arriaga, Iñárritu ci coinvolge in un
intreccio di storie umane ad alto tasso di emotività, dove l’uomo
ha a che fare con legami forti, ma anche con grandi e indicibili
dolori, confrontandosi coi mali del nostro tempo a diverse
latitudini. Un caos che In realtà è un meccanismo perfettamente
studiato, in grado di catturare lo spettatore facendo leva
sull’inevitabile empatia, e che trova alla fine la sua
ricomposizione. In tutto ciò all’attore di Shawnee è affidata la
parte di un padre che subisce la perdita di un figlio. Il suo
matrimonio entra in crisi e, per cercare di ricominciare, parte con
la moglie per un viaggio. Qui, le circostanze disperate e l’estrema
sofferenza che affronteranno sarà occasione di sincero confronto e
riconciliazione.
L’interpretazione
di Brad Pitt, in coppia con l’altrettanto
brava
Cate Blanchett, è sentita e efficace. Per lui
una nomination al Golden Globe, che però non
ottiene. Ma il progetto è senz’altro vincente: il regista si
aggiudica la Palma d’Oro a Cannes, la pellicola guadagna il David
di Donatello e il Golden Globe, la colonna sonora è premiata con
l’Oscar.
Questo è un periodo di
scelte molto azzeccate per l’attore, che veste anche i panni del
celebre bandito Jesse James
inL’assassinio di Jesse
James per mano del codardo Robert Ford.
Così, riceve ottimi riscontri non solo da parte di un pubblico
ormai fedele, ma anche dalla critica e si aggiudica la Coppa Volpi
a Venezia come miglior attore. Afferma di essersi documentato molto
per preparare il ruolo e di averne ricavato l’immagine di un uomo
tormentato, che si è impegnato a restituire nel film.
Nel 2008, il ritorno a lavoro sotto
la direzione di David Fincher porta nella
carriera del divo Pitt un nuovo successo, che anche stavolta mette
d’accordo critica e pubblico. Le trasformazioni a cui si sottopone
e il ruolo complesso di un uomo la cui vita procede temporalmente
al contrario, al centro di Il curioso caso di Benjamin Button, gli
valgono la nomination all’Oscar e al Golden Globe, che però gli
sfuggono. Ad ogni modo, è ormai una delle star più richieste e
acclamate, avendo dato prova in circa vent’anni di carriera, di
sapersi adattare e dare corpo in maniera convincente ai ruoli più
diversi. Lo dimostra ancora una volta immedesimandosi egregiamente
nel ruolo del bastardo per Quentin Tarantino e
contribuendo, assieme ai colleghi – Christoph Walts,
Eli Roth, Michael Fassbender, Mélanie Laurent tra i
principali – allo straordinario successo di Bastardi senza
gloria, ovvero la guerra, i nazisti, gli americani visti con
originalità e ironia dall’occhio del regista.
Lo scorso anno, poi, lo abbiamo
visto nella visione del mondo targata Terrence
Malick, ovvero in The tree of life, nella parte di un padre
severo e autoritario. Dell’uomo Malick, Pitt dice che sia molto
amabile, “è così piacevole parlare con lui”, del regista
nota come abbia lasciato agli attori degli spazi d’improvvisazione,
mentre del proprio personaggio: “è un padre che lotta contro
qualcosa più grande di lui e cerca di preparare i figli a questo
tipo di difficoltà”. La sua è un’ottima performance, accanto a
quella del collega Sean Penn. Il film ottiene
svariati riconoscimenti, tra cui la Palma d’Oro a Cannes.
Anche lavorare con Bennet
Miller per L’arte di vincere gli ha dato molte
soddisfazioni. Il manager della squadra di baseball da lui
interpretato ha guadagnato tre nomination (Oscar, Golden Globe e
BAFTA), dovendosi però accontentare del NYFCCA, premio della
critica newyorkese, come miglior attore.
Dal 19 ottobre sarà invece nelle
sale italiane, nei panni del killer, con
Cogan – Killing Them Softly, che lo vede tornare a
lavorare col regista Andrew Dominik dopo il
successo de L’assassinio di Jesse James.
La vicenda di Jeff Buckley, forse
la più grande voce della musica americana a degli anni ’90 (e
non solo), scomparso per annegamento in circostanze mai del tutto
chiarite (resterà per sempre il dubbio se si sia trattato di un
malore o di un suicidio) è al centro di vari progetti
cinematografici: ad arrivare per primo sugli schermi dovrebbe
essere quello diretto da Daniel Algrant e da lui scritto, assieme a
David Brendel ed Emma Sheanshang, presentato al
recente Toronto Film Festival.
Il film s’intitola Greetings from
Tim Buckley, con riferimento al padra di Jeff, altro gigante della
canzone americana negli anni ’70, anch’egli morto giovanissimo per
overdose. Un padre dal quale Jeff ereditò la grandissima voce e
forse il talento, ma che non riuscà mai a conoscere veramente e la
cui ombra aleggiò sulla breve vita del figlio per tutta la sua
durata. Il film prende le mosse da un concerto-tributo a Tim cui
Jeff, nonostante tutto, partecipò: un’esperienza dalla quale uscì
profondamente cambiato. Jeff è interpretato da Penn Badgley (Gossip
Girl); Imogen Poots sarà invece il suo amore Allie. Il film non ha
ancora una data di uscita, ma i buoni riscontri ottenuti a Toronto
potrebbero accelerarla. Nel frattempo, procede la lavorazione del
biopic ufficiale, ancora alle batture iniziali: la regia
sembrerebbe essere stata definitivamente assegnata ad Amy Berg
(West Of Memphis).
About Face – Dietro il Volto di una
Top Model – Che cosa si cela dietro ai volti impassibili delle
modelle in passerella? Quali vite scorrono dentro i corpi scultorei
che tutte (o quasi) le comuni mortali invidiano? Quali pensieri,
speranze e paure vorticano nelle teste di chi si è sempre
guadagnato da vivere solo grazie al proprio, perfetto, involucro
esteriore?
About Face – Dietro il Volto di una
Top Model (About Face: The Supermodels, Then and Now),
documentario diretto dal fotografo Timothy
Greenfield-Sanders e presentato al Sundance Festival 2012,
sembra proprio nascere per tentare di rispondere a queste domande.
E le risposte, vaghe, incerte, plurali, arrivano proprio dalle
dirette interessate: (ex-)modelle che, ormai lasciatesi alle spalle
il momento di maggior fama, si fermano a riflettere sul loro lavoro
e sul loro passato e che, incalzate da un regista silenzioso, si
raccontano. Il risultato è un film corale che riesce a non cadere
nelle trappole della retorica né del buonismo ma che, al tempo
stesso, sceglie deliberatamente di non sostenere alcuna tesi.
About Face – Dietro il Volto di una Top Model, il film
Personalità del calibro di
Isabella Rossellini, Carol Alt,
Marisa Berenson, Karen Bjornson,
Carmen Dell’Orefice e molte altre, vengono
intervistate singolarmente e hanno l’opportunità di dire ciò che
pensano in fatto di invecchiamento, chirurgia estetica e bellezza,
senza che le loro parole vengano piegate o distorte al servizio di
un’idea.
Emerge così un ritratto composito,
sfaccettato e piuttosto fedele di ciò che è (o almeno era) una
modella: una donna con dei sogni di gloria, delle vanità, delle
pretese di successo, ma, contemporaneamente, una donna “normale”,
che desidera sopra ogni cosa una famiglia, dei figli e
un’indipendenza economica. Vedere e sentire le testimonianze “senza
trucco” di queste donne, però, ha un effetto imprevisto e
straniante: più si svelano, infatti, più le loro vite sembrano
simili a quelle delle persone comuni. Perfino il tono con cui
parlano della vita in tournée tra feste, droga e incontri con
artisti e persone eccezionali, lascia trapelare, più che un amore
spassionato per il loro mestiere, un’immensa nostalgia per la loro
gioventù. E forse, ciò che colpisce maggiormente nel film di
Sanders, è che non c’è nemmeno tanta differenza tra ascoltare loro
o una qualunque madre o nonna immersa nei ricordi del passato.
About Face – Dietro il
Volto di una Top Model in questo senso ha quindi un
immenso pregio, poiché squarcia quel velo di mistero e quell’aura
di inavvicinabilità che il mondo della moda impone, per mostrare
ciò che una modella è realmente: una donna, molto bella sì, ma in
fondo uguale a tutte le altre. Film interessante che fa capire, una
volta di più, la forza del genere documentario. Distribuito da
Feltrinelli e, purtroppo, solo tre giorni al cinema (nelle sale The
Space il 24, 25 e 27 settembre).
Arriva finalmente una notizia
sull’inizio delle riprese di Sin City 2, atteso sequel di Sin City
tratto dall’omonima graphic novel che sarà diretto da
Robert Rodriguez insieme aFrank
Miller.
La lavorazione della pellicola
inizierà a Novembre e ad annunciarlo è stata Rosaria Dawson in un
intervista a MTV. L’attrice ha anche spiegato che il film sarà una
sorta di prequel del primo capitolo, quindi servirà a farvi
comprendere tutte gli accenni fatti nel primo capitolo.
Vi ricordiamo che la pellicola
si intitolerà Sin City: A Dame to Kill For e nel cast confermati ci
saranno Jessica Alba, Mickey Rourke, Clive Owen, Rosario Dawson,
Michael Madsen e Devon Aoki. Il film uscirà negli USA il 4 Ottobre
2013.
Tra meno di un mese,
l’11 ottobre, troveremo in sala Cogan – Killing Them
Softly, la terza opera scritta e diretta dal neozelandese
Andrew Dominik, basata sul romanzo poliziesco
“Cogan’s trade” di George V. Higgins. Questo
thriller, vicino al neo-noir, racconta di tre giovani ed
inesperti criminali che compiono una rapina ad una partita di poker
protetta dalla mafia, causando una crisi economica della
criminalità locale. I malavitosi derubati decidono così
d’ingaggiare un assassino professionista, Jackie Cogan, per
eliminare i colpevoli e ritrovare il denaro rubato.
Dopo la classifica parziale dei film che concorreranno
per entrare nella cinquina del miglior film straniero agli Oscar
2013, veniamo ora a sapere da Comignsoon.it che la Francia
E’ Batman-news che grazie ad un
attenta e meticolosa visione di uno dei trailer ha notato che la
data dell’uscita del Blu-ray de Il Cavaliere Oscuro – il
ritorno sarà nel periodo di Dicembre. Il video è stato postato
dalla Warner Bros sul canale youtube ufficiale Ecco
dov’è apparsa l’informazione:
Ecco invece il video in
questione:
Non ci sono notizie invece su un’uscita italiana del Blu-ray,
non ci resta che aspettare una comunicazione ufficiale della WB
Italia.
Alexandre Desplat è stato chiamato da
Kathryn Bigelow per le musiche di Zero Dark Thirty,
difficile dire se sia il migliore sulla piazza ma sicuramente è uno
dei più prolifici nel panorama
Dopo la buona accoglienza al
Festival di Toronto, ecco la locandina ufficiale del film
Argo, diretto e interpretato da Ben
Affleck, che racconta la storia vera di una fuga
rocambolesca