In occasione delle celebrazioni a
100 anni dalla morte di Modigliani, arriva al cinema solo il
30 e 31 marzo e l’1
aprile Maledetto Modigliani,
prodotto da 3D Produzioni e Nexo
Digital. Diretto
da Valeria Parisi e scritto con
Arianna Marelli su soggetto di Didi
Gnocchi, il docufilm racconta la vita e la produzione di
Amedeo Modigliani (1884-1920), un artista
d’avanguardia diventato un classico contemporaneo amato e imitato
in tutto il mondo.
Livornese dalla vita breve e
tormentata, Dedo o Modì, come fu soprannominato, viene qui narrato
da un punto di vista originale: quello di Jeanne
Hébuterne, l’ultima giovane compagna, che si suicidò due
giorni dopo la morte dell’amato, avvenuta all’Hôpital de la
Charité di Parigi il 24 gennaio del 1920.
All’epoca Jeanne era incinta e lasciava una figlia di un anno. È
proprio a partire dalla sua figura e dalla lettura di un passo dai
“Canti di Maldoror”, il libro che Modigliani teneva sempre con sé,
che si apre il nuovo docufilm della stagione 2020 della Grande Arte
al Cinema. Il docufilm trae ispirazione anche dalla mostra
“Modigliani – Picasso. The Primitivist Revolution” curata da
Marc Restellini che aprirà all’Albertina di Vienna
nel settembre del 2020 ed è arricchito dalle immagini di opere
esposte sia all’Albertina, sia alla
National Gallery of Art di Washington, nei
musei e nelle collezioni di Parigi e nella grande
mostra “Modigliani e l’avventura di Montparnasse”
del Museo della Città di Livorno.
Per comprendere Modigliani, quarto
figlio di una famiglia di origini ebraiche sull’orlo di
una crisi finanziaria, bisogna partire proprio dalla sua Livorno e
da una provincia italiana che sin dagli albori gli è troppo
stretta. Modigliani decide di partire e andare in cerca di altro.
Va a Firenze, poi a Venezia. Arriva a Parigi nel 1906, a 21 anni.
Sembrerebbe un approdo. È qui che nasce la sua leggenda:
tombeur de femmes, alcolista, artista maledetto. In realtà
è un uomo che maschera una malattia, che si aggrappa alla vita e
alla propria arte. Ha una verità da trasmettere: valori universali
racchiusi nella semplicità di linee e volti che ne fanno uno dei
maggiori esponenti di primo Novecento e un classico del XXI
secolo.
Nel docufilm sono proprio i suoi
dipinti ripresi in set dedicati, da “La Filette en Bleu” al
ritratto di Jeanne Hébuterne, a parlarci. Giocando tra riprese
della città di oggi e foto e filmati d’archivio in bianco e nero,
la voce narrante di Jeanne racconta di quella Parigi di inizio
secolo: la ville lumière, la metropoli, il centro della
modernità, già mercato d’arte e polo d’attrazione per pittori e
scultori da tutta Europa. Quelli che allora facevano la fame e oggi
valgono milioni, primo fra tutti proprio Modigliani. Durante il suo
errare da un alloggio di fortuna all’altro, Amedeo Modigliani,
povero, affamato, ma pieno di entusiasmo, incontra un’aspirante
poetessa russa, la ventenne Anna Achmatova, e la
giornalista e femminista inglese Beatrice
Hastings. Tutte donne che raffigura e i cui volti, tra
cariatide e ritratto, diventano icone stesse della sua arte. Il suo
orizzonte immaginativo – comune a Pablo Picasso, a
Constantin Brancusi e a molti altri – è del resto
quello del primitivismo: l’interesse per le culture extraeuropee e
antiche, un altrove nello spazio e nel tempo in cui gli artisti
delle avanguardie cercano il ritorno alla natura, minacciata dalla
modernità. Ma Modigliani declina il primitivismo in una maniera
unica, fondendolo con la tradizione classica e rinascimentale.
Il docufilm percorre le tracce
dell’artista nei suoi luoghi più tipici: le strade, le piazze, il
quartiere livornese della Venezia Nuova, la sinagoga, il mercato
centrale, le montagne vicine e la campagna in cui aveva imparato il
mestiere di pittore coi macchiaioli e dove trova poi materia per le
sue statue, l’arenaria e il marmo. Scopriamo poi Modigliani nel
confronto con le opere degli altri artisti a lui coevi, primi fra
tutti proprio Brancusi e Picasso raccontati
attraverso opere e spazi (l’Atelier Brancusi del Centre Pompidou e
il Musée Picasso Paris). Tra i pittori dell’École de Paris, c’è
anche Soutine, ebreo come lui, con il quale per un
periodo condivide una casa-studio ancora rimasta inalterata.
Ritroviamo Modigliani anche al caffè La Rotonde con Jean
Cocteau che ne fissa per sempre la presenza sulla
“terrace” insieme a Picasso, André Salmon e Max
Jacob. Di nuovo riusciamo a individuare tracce di
Modigliani nella Parigi di oggi: il vagare notturno scendendo le
scalinate di Montmartre verso Montparnasse nuovo centro di
aggregazione, le passeggiate intorno al Pantheon, le cancellate
chiuse del Jardin du Luxembourg. E poi i carri immaginifici della
nuit blanche parigina che rappresentano possibili
allucinazioni provocate dalle droghe – l’hashish, l’oppio e
l’assenzio – che aprono le porte della visione. Ci sono poi i suoi
mercanti e collezionisti: Paul Alexandre, il
medico mecenate; Paul Guillaume il dandy parvenu
ritratto più volte; Léopold Zborowski, l’ultimo
mercante dell’artista, un poeta avventuriero, capace – grazie alla
conoscenza del collezionista Jonas Netter – di
garantirgli un piccolo salario mensile.
Modigliani, però, morirà povero e
non riconosciuto. Solo in seguito diventerà uno degli artisti più
quotati al mondo. E tra i più copiati. Il suo stile sembra facile,
ma è solo apparenza. Lo scopriremo al porto franco di Ginevra, nel
laboratorio di Marc Restellini, tra i maggiori
esperti al mondo di Modigliani che nel docufilm racconta la cifra
dell’arte di Modigliani e la sua evoluzione. E a Londra, tra le
fiere d’arte e lo studio di un pittore – falsario dichiarato – che
ora firma le sue opere d’imitazione alla luce del sole. Solo pochi
decenni fa – nel 1984, a 100 anni dalla nascita dell’artista – le
teste ripescate nei fossi livornesi hanno sconvolto il mondo con
una delle truffe più celebri che la storia dell’arte ricordi.
Tra gli interventi del docu-film,
oltre a quelli dello storico dell’arte e specialista di Amedeo
Modigliani Marc Restellini, quelli di Ann
L. Ardis, professoressa e Dean al College of Humanities
and Social Sciences della George Mason University, esperta di
letteratura modernista inglese; Chloe Aridjis,
scrittrice e studiosa di poesia francese dell’Ottocento;
Harry Bellet, giornalista di Le Monde, studioso e
critico d’arte; Giovanni Bertazzoni, Co-Chairman
Impressionist and Modern Art Department Christie’s; Laura
Dinelli, responsabile Musei Civici di Livorno;
Pier Francesco Ferrucci, Direttore Unità di
Bioterapia dei Tumori, IEO che da studente è stato tra gli autori
della famosa “beffa delle teste” del 1984 a Livorno; l’ebraista
Paolo Edoardo Fornaciari; lo scrittori
Simone Lenzi, attualmente assessore alla Cultura
del Comune di Livorno; il gallerista David Lévy; la
pittrice Mira Maodus; lo stilista,
costumista e artista Antonio Marras; la pittrice
Isabelle Muller; la curatrice del Musée d’Art
Moderne de Paris Jacqueline Munck; l’artista
John Myatt che grazie al suo talento per
l’imitazione, tra il 1986 e il 1995 ha falsificato e collocato sul
mercato – insieme al suo complice John Drewe – 200 opere di maestri
moderni; il collezionista Gérard Netter; l’artista Jan
Olsson; la curatrice del Musée Picasso Paris
Emilia Philippot; il Direttore Generale
dell’Albertina di Vienna Klaus Albrecht Schröder;
il Vicepresidente della Comunità Ebraica di Livorno, Guido
Servi; il regista, sceneggiatore e produttore
cinematografico Paolo Virzì.
La Grande Arte al Cinema è un
progetto originale ed esclusivo di Nexo Digital.
Nel 2020 la Grande Arte al Cinema è
distribuita in esclusiva per l’Italia da Nexo Digital con i media
partner Radio Capital, Sky Arte, MYmovies.it, Arte.it e in
collaborazione con Abbonamento Musei.
