Broad Green Pictures adatterà
per il cinema il romanzo bestseller Oprhan
Train, di Christina Baker. A produrre il
progetto gli Academy Award nominee Michael London
e Janice Williams, di Groundswell Productions. A
occuparsi della sceneggiatura invece lo scrittore Award-winning
Christopher Monger, già autore di
Temple Grandin, The Englishman Who Went Up a Hill
But Came Down a Mountain.
Fra il 1854 e il 1929 era normale
vedere piccoli orfani attraversare gli USA sui treni, dall’East
Coast fino alle fattorie del Midwest, abbandonati al loro destino e
alla fortuna. Nel libro si racconta la storia l’amicizia
fra Vivian Daly, un’immigrata irlandese di 91 anni che fu per
l’appunto una piccola orfana in viaggio da New York al Minnesota, e
Molly Ayer, una diciassettenne incaricata di aiutare la signora a
mettere ordine nella sua soffitta. Fra le due si scopriranno molti
parallelismi, perché in fondo molte cose non sono ancora cambiate
ai nostri giorni.
Dopo l’uscita delle foto che lo
ritraevano nudo a Bora Bora, Justin Bieber è
praticamente rimasto in assoluto silenzio, fino ad ora. L’artista
ha rotto il no comment durante un’intervista a Access Hollywood che
andrà in onda lunedì 19 ottobre, dicendo: “La prima cosa che ho
pensato è stata… come possono fare questo? Mi sento violato,
intrappolato, come se non potessi neppure uscire fuori, come se non
potessi stare nudo in una mia casa privata. Non posso sentirmi
tranquillo neppure in una mia proprietà.”
Le foto arrivano in un momento
particolare per il cantante, che sta per uscire con un nuovo album
chiamato Purpose a novembre. Con il suo pezzo “What Do You
Mean?” è riuscito ad arrivare al numero 1 delle Hot 100 di
Billboard lo scorso mese: “Per tanto tempo la gente ha pensato che
fossi stato già numero 1 ed è vero, su iTunes per esempio, ma non
su Billboard. È qualcosa di davvero speciale, credo di essere
l’artista più giovane a raggiungere quel risultato, è
sconvolgente.”
Promo e anticipazioni di
Downton Abbey 6×05, l’atteso quinto
episodio della serie britannica di successo targata BBC.
In Downton Abbey
6×05 Neville Chamberlain fa visita a
Downton per cena e subito si ritrova coinvolto nel
piano di Violet che mira a salvare l’ospedale e
questo avrà conseguenze imbarazzanti per tutti; nel frattempo,
Andy si trova particolarmente a proprio agio e
riesce a parlare apertamente a Mr Mason mentre lo
aiuta a trasferirsi a Yew Tree Farm ed infine
Mary non è sicura di aver incontrato l’uomo giusto
per lei.
Si intitolerà JSS, The Walking
Dead 6×02, la seconda puntata della sesta stagione che
andrà in onda sul network americano AMC.
In The Walking Dead 6×02 quando la situazione sembrava
essere finalmente tornata alla normalità ed i cittadini di
Alexandria collaborando fra loro erano in qualche
maniera riusciti a contenere la minaccia che avrebbe rischiato di
spazzare via la loro casa, improvvisamente sorge un nuovo problema
all’interno della comunità, che provocherà non pochi problemi anche
a Rick ed ai suoi compagni.
Presentato a Venezia 72, ecco il
secondo trailer del nuovo film di Tom
Hooper con Eddie Redmayne e
Alicia Vikander, The Danish
Girl.
La pellicola, in
cui Eddie Redmayne interpretata proprio
la Wegener, nata uomo e diventata donna dopo essersi sottoposta,
nei primi decenni del ‘900, ad una serie di interventi chirurgici,
è ispirato al
romanzoThe Danish
Girldi David
Ebershoff (edito in Italia col titolo La
Danese), e sarà diretto da Tom
Hooper, che aveva già lavorato con Redmayne
in Les Misérables. Nel cast ci
saranno anche Alicia
Vikander e Amber Heard.
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Di seguito la trama del libro:
“Copenaghen, anni Venti. Greta è una giovane americana iscritta
all’Accademia delle Belle Arti. Lì conosce Einar, il suo timido e
taciturno insegnante, di cui si invaghisce. I due giovani si
sposano e dedicano la loro vita comune alla pittura. Greta si
specializza nei ritratti e quando una sua amica non può posare per
gli ultimi ritocchi, Einar si presta come modello. Indossati gli
abiti femminili, il pittore finisce per immedesimarsi a tal punto
da assumere un’altra identità e il nome di Lili. Da quel giorno
Lili compare sempre più spesso nella vita privata e sociale della
coppia fino alla decisione definitiva di Einar di affrontare
un’operazione chirurgica per diventare donna.”
Alice nella città,
la sezione autonoma e parallela della Festa del Cinema
di Roma dedicata alle giovani generazioni e alle
famiglie, prevede domani (domenica 18 ottobre,
alle ore 12.00 in Sala Sinopoli) l’anteprima italiana in 3D del
film, presentato come Evento Speciale, Pan – Viaggio
sull’isola che non c’è, di Joe Wright con Hugh Jackman,
Amanda Seyfried e Rooney Mara. Dopo “Espiazione” e “Orgoglio e
pregiudizio”, Joe Wright, dirige un film live-action per tutta la
famiglia che racconta l’origine della leggenda dell’amato
personaggio nato dalla penna di Sir James Matthew Barrie.
Il red carpet dell’Auditorium parco
della Musica si trasforma nell’Isola che non c’è: sarà allestito un
e vero e proprio villaggio indiano dove giocolieri, effetti
luminosi ed esplosioni di colore saranno i protagonisti della
domenica mattina di Alice nella città.
Domani è anche il giorno di
Closet Monster, diretto da Stephen Dunn,
presentato alle ore 22.30 al cinema Avorio nella sezione
Alice/Panorama. Già vincitore del Best Canadian Feauture Film
all’ultimo Toronto Film Festival, il film sarà accompagnato a Roma
dal regista.
Alex Lawther, il giovane Alan
Turing di The Imitation Game, presenterà domani sera al
cinema Avorio alle 20.30 Departure,
il film diretto da Andrew Steggall.
Alle ore 15:00 a CASA ALICE i
The Pills sono i protagonisti del primo
appuntamento con la Linea Frame, segmento composto da incontri e
presentazioni diretti al giovane pubblico di Alice nella città
focalizzati su temi educativi, film di prossima uscita e volti
giovani più amati dai ragazzi. I The Pills
parleranno di Mezzogiorno meno un quarto, il loro
debutto cinematografico dietro la macchina da presa.
Ian McKellen è
Sherlock Holmes nel trailer italiano di Mr.
Holmes, film in cui l’attore inglese veste i panni di uno
Sherlock invecchiato e ormai lontano dalle gesta di detective da
anni.
Questo è il nuovo trailer in
italiano per il film diretto da Bill
Condon (Twilight: Breaking Dawn,
Dreamgirls).
Grandi aspettative per il Mr. Holmes
di Ian McKellen che, dopo essersi
guadagnato incondizionata ammirazione anche da parte del pubblico
più giovane con le interpretazioni di Magneto e Gandalf, torna a
collaborare con il regista che nel 1998 lo ha portato alla
nomination all’Oscar come miglior attore in Demoni
e dei.
Nella pellicola McKellen interpreta il
noto investigatore nato dalla penna di Sir Conan Doyle, ormai
93enne, in pensione e alle prese con ricordi che lo tormentano.
La trama ufficiale del
film: “È il 1947. Un invecchiato Sherlock Holmes torna da un
viaggio in Giappone dove, mentre si trovava alla ricerca di una
pianta rara con potenti capacità di rigenerazione, ha assistito
alla devastazione della guerra nucleare. Ora, nella sua casa al
mare, Holmes trascorre il resto dei suoi giorni occupandosi delle
sue api, con la sola compagnia della sua governante e del giovane
figlio di questa, Roger. Alle prese con il venir meno delle sue
capacità mentali, Holmes fa affidamento sul ragazzo mentre rivisita
le circostanze del caso irrisolto che lo ha costretto a ritirarsi,
e cerca risposte ai misteri della vita e dell’amore, prima che sia
troppo tardi.”
James McAvoy
reciterà accanto a Charlize Theron nel prossimo
thriller di Focus Features intitolato The Coldest
City. Il regista, annunciato di recente, sarà
David Leitch, già dietro la macchina da presa di
John Wich.
Il thriller è incentrato sugli
eventi che seguono il ritrovamento del corpo morto di
un agente sotto copertura del MI6, alla vigilia della caduta
del Muro di Berlino. Charlize Theron veste i
panni della “super-spia” Lorena Broughton, che ha il compito
di recuperare la lista, contenente tutti i nomi degli
agenti che lavorano sotto copertura a Berlino, che l’uomo avrebbe
dovuto portare nella Berlino Ovest.
La Broughtonrischierà la propria
vita per salvare quella degli altri agenti britannici e si troverà
ad esplorare una cultura piena di inganni e doppio gioco dove
nessuno può veramente fidarsi di nessuno.
Theron figurerà anche come
produttrice del progetto basato uno script di Kurt
Johnstad (300: L’Alba di un Impero).
Il film sarà prodotto da Denver e
Delilah Productions, Oni Press e Sierra Pictures. La Universal
Pictures distribuirà il film in Australia, Nuova Zelanda, Benelux,
Cina, Francia, Germania, Italia, America Latina, Svizzera e Regno
Unito, mentre la DeAPlaneta curerà la distribuzione in Spagna.
Ecco due nuove clip
di Burnt, prossimo film con
protagonista Bradley Cooper che vede
l’attore di American
Sniperdietro ai fornelli nel ruolo dello
Chef Adam Jones.
https://youtu.be/-gXEH0DwQ1E
https://youtu.be/Z2UAIzSToHY
Adam Jones è un cuoco che ha
distrutto la sua carriera facendo uso di droghe e comportamenti
eccentrici. Decide di rimettersi in riga e tornare a Londra per
riscattarsi guidando un ristorante di alto livello in grado di
fargli guadagnare tre stelle Michelin.
Sceneggiato da Steven
Knight (Locke), Burnt annovera
nel cast anche Emma Thompson, Daniel
Brühl (Il quinto potere,
Rush), Jamie Dornan (50
Sfumature di Grigio), Alicia
Vikander (Ex Machian, The Danish
Girl), Uma
Thurman e Lily
James (Cenerentola).
Il filmmaker Kelsey
Mann, protagonista di una masterclass, mostra le prime
inedite immagini del nuovo film Disney Pixar, Il
viaggio di Arlo.
Alle ore 15, presso il Teatro
Studio Gianni Borgna, il pubblico potrà assistere alla masterclass
con Kelsey Mann: il filmmaker, ai Pixar Animation Studios dal 2009,
ha collaborato al film premio Oscar® Toy Story 3, diretto il
cortometraggio Party Central, e ricoperto il ruolo di story
supervisor di Monsters University. Nel corso dell’incontro, la
Festa presenterà in anteprima un footage del nuovo film
Disney•Pixar, Il viaggio di Arlo, diretto da Peter Sohn
(Parzialmente Nuvoloso) e prodotto da Denise Ream (Cars 2), con
Kelsey Mann come Story Supervisor. Il film sarà nelle sale dal 25
novembre, distribuito da The Walt Disney Company Italia. Prima
della masterclass, la Cavea dell’Auditorium ospiterà un colorato e
preistorico carpet ispirato alle ambientazioni de Il viaggio di
Arlo. Nell’ambito della retrospettiva “Viaggio nel mondo Pixar”,
sarà inoltre proiettato alle ore 17 presso la Mazda Cinema Hall,
Toy Story 3 di Lee Unkrick, preceduto dal corto Day and Night di
Teddy Newton.
Peter
Sollett e la protagonista Ellen
Page presenta
Freeheld, storia d’amore e diritti
civili: il regista e l’attrice saranno sul red carpet
dell’Auditorium e sfileranno per incontrare pubblico e
accreditati.
Freeheld,
film con protagoniste Ellen Page e
Julianne Moore, che narra la storia di Laurel
Hester, detective di polizia, che, nel 2005, dopo aver scoperto di
avere un cancro terminale, si batté affinché la sua convivente,
Stacie Andree, le venisse versata la pensione.
Scritto da Ron
Nyswaner e diretto da Peter Sollet, il
film si basa sul documentario premio Oscar del
2007 dallo stesso titolo. Nel cast del film ci sono
anche Steve Carell, Michael Shannon e
Josh Charles. Il cast stellare, i temi sociali
trattati, la lotta per la parità di diritti, potrebbero fare
di Freeheld un valido contendente
alla prossima Notte degli Oscar.
Domani è il grande giorno del
premio Oscar Paolo Sorrentino che incontra il
pubblico della Festa di Roma 2015,
all’insegna della suo successo e della sua carriera che sembra
procedere a vele spiegate. Infatti, l’autore è tutt’ora a lavoro
sulla nuova serie televisiva targata Sky e HBO.
La serie vede protagonisti un cast
internazionale con Diane Keaton, Silvio Orlando, Scott
Shepherd, Cécile de France,Javier Camara, Ludivine
Sagnier, Guy Boyd, Andre Gregory, Sebastian Roché, Marcello
Romolo, Ignazio Oliva, Vladimir Bibic e Nadie Kammalaweera.
La trama ufficiale:
The Young Pope racconta
l’inizio del controverso pontificato di Pio XIII, al secolo Lenny
Belardo (Jude Law), un personaggio complesso e contraddittorio,
così conservatore nelle sue scelte da rasentare l’oscurantismo ma
allo stesso tempo straordinariamente pieno di compassione per
poveri e i deboli. Un uomo di potere, che caparbiamente resiste a
coloro che corteggiano il Vaticano, noncurante delle implicazioni
derivanti dalla propria autorità. Nel corso della serie, Belardo si
troverà a confrontarsi con l’abbandono degli affetti personali e
con la costante paura di essere abbandonato anche dal suo Dio. Egli
è tuttavia un uomo che non ha paura di farsi carico della
millenaria missione di difendere proprio quello stesso Dio e il
mondo che Lo rappresenta.
A Saint Martin, Sebastian, Belle e
Cesar attendono il ritorno di Angelina, che è stata insignita di
una medaglia al valore per i servizi resi durante la guerra.
L’aereo che la porta a casa, però, ha un violento incidente e la
ragazza viene data per morta. Ma Sebastian, il suo amico a quattro
zampe e Cesar, l’uomo che l’ha accolto in casa sua e cresciuto, non
si arrendono e partono alla ricerca della ragazza. Per trovare
Angelina avranno bisogno del fondamentale aiuto di un pilota che li
accompagni nella spedizione, che metterà Sebastian davanti a una
grandissima scoperta.
Il secondo capitolo del film tratto
dai racconti dell’autrice francese Cècile Aubry e
dal successivo anime della MK Company trasmesso a
partire dal 1991, resta fedele alle sue origini. Sebbene quella di
Sebastien possa essere considerata una storia di vita universale, e
quindi suscettibile a letture in chiave moderna in materia di
ambientazione, la grande forza e il successo di pubblico
riscontrato dal primo capitolo, che sarà presumibilmente ripetuto
dal secondo, sta proprio nel lasciare immutata la storia.
Sfruttando l’affetto dei piccini, ormai diventati grandi, cresciuti
guardando la celeberrima serie tv animata, il film di
Christian Duguay, si presenta come un seguito in
cui, finalmente, Sebastien ha più di un lieto fine, con buona pace
di tanti bambini che hanno sperato che ciò accadesse in tempi
possibilmente più brevi di una serie animata e con meno
sofferenze.
Presentato al festival di Roma nella
sezione Alice nella Città, come da promessa, si
rivela un buon prodotto per il pubblico giovanissimo, costellato di
messaggi e personaggi positivi sullo sfondo di un momento storico
difficile. Non manca l’azione e la suspance ma, ciò che appare
strano allo spettatore odierno è la totale assenza di un
personaggio negativo. Un ruolo, quest’ultimo, lasciato interamente
alla natura, impervia, bellissima e terribile.
Se dunque l’amicizia tra i due
principali protagonisti resta nel cuore, non può dirsi lo stesso
dei personaggi che li circondano, che restano utili solo ai fini
della trama.
Si è spento all’età di 91 anni
Morando Morandini, celebre critico cinematografico
italiano, il più grande, e autore del famoso dizionario del cinema
e delle serie tv.
La Stampa riporta:
In una recente intervista aveva
confessato: «Per dirla secca, sono nato al cinema con i film
francesi degli ultimi anni ’30. I miei idoli erano Jean Gabin,
Arletty, Michèle Morgan. E Gary Cooper tra gli attori americani.
Tra le attrici la Davis, la Hepburn, Carole Lombard. E Dorothy
Lamour di cui mi innamorai col tramite di John Ford in Uragano
(1937). Ford e Hawks erano i miei director preferiti, ma ricordo
che mi lasciai incantare da Winterset (Sotto i ponti di New York,
1936) di Al Santell e rimasi sconvolto da Delitto senza passione
(1934) di Ben Hecht». E ancora: «Sono andato fuori dai sentieri
battuti sin dall’inizio, grazie a una passione precoce per il
cinema, se a 12 anni leggevo sul Corriere le critiche di Filippo Sacchi, per
passare poi al settimanale Film di
Doletti e approdare alla rivista Cinema al liceo».
Cinefilos.it in
collaborazione con Mazda mette in palio biglietti
per la proiezione di Domenica terzo giorno al
Festa del Cinema di Roma 2015.
Tra le proiezioni di domani:
Mazda Cinema Hall
Toy Story 3 La grande fuga 17:00 Freeheld 20:00 Office 3D 22:30
Per vincere il biglietto vi basta
contattare la nostra redazione
([email protected]) fornendo i vostri dati e
il numero di cellulare, poi previa conferma vi basterà ritirare il
biglietto allo spazio Mazda e provare la fantastica 360 experience
con Mazda prima del film.
Monica Bellucci è
la protagonista dei nuovi scatti di Esquire. L’attrice
italiana naturalizzata francese arriverà a novembre al cinema con
Spectre, in cui interpreta una Bond Lady
atipica.
Per la primiere ufficiale
de Lo chiamavano Jeeg Robot alla
Festa di Roma 2015 abbiamo intervistato il protagonista, il
bravissimo Claudio Santamaria, che ci ha
rivelato le sensazioni provate nell’interpretare un supereroe nel
cinema italiano:
Presentato in anteprima mondiale al
Festival di Toronto e primo frontrunner per la corsa agli Oscar,
Room di Lenny Abrahamson
racconta la storia di Joy (Brie
Larson), rapita da un maniaco e costretta a vivere in
una sola stanza, quattro pareti e pochissimo arredo, che la giovane
donna condivide con Jack (Jacob
Tremblay), il figlio di cinque anni, avuto proprio in
seguito agli abusi del suo aguzzino.
Il racconto profondamente
drammatico di Abrahamson ci accompagna nella vita solitaria,
essenziale, ma non per questo grigia di una donna che cerca di fare
di tutto per dare serenità e salute al figlio. Un bambino che
rappresenta tutto il suo mondo e a cui si aggrappa per trovare un
senso alle estenuanti giornata di prigionia. La svolta a metà della
storia segna non solo un cambiamento di tono e di prospettiva, ma
anche una rivoluzione degli orizzonti della storia che, per la
maggior parte, è raccontata attraverso gli occhi svegli e attenti
di Jack, un’anima curiosa e acuta attraverso cui scorgiamo il
turbamento e la difficoltà di una donna traumatizzata per la vita,
a cui è stato tolto il futuro.
Il film si basa su
Stanza, letto, armadio, specchio, romanzo di Emma
Donoghue, ispirato al caso Fritzl, che a metà degli anni
2000 destò molto scalpore in Austria. In questo caso la prigionia,
che nel libro e nel film dura sette anni, ne durò 24, con
l’aggravante, se così si può dire, della consanguineità tra vittima
(figlia) e carnefice (padre).
Il racconto di Abrahamson rivela
una realtà sconcertante, violenta e depravata per quanto
tratteggiata con tatto e con pochissimi momenti di violenza
mostrata. Quello che invece si sente prepotentemente nel film è la
tensione degli snodi narrativi fondamentali che, accompagnati da
una grande intensità delle interpretazioni, costituiscono i picchi
emotivi del film, regalando un ritmo ben scandito a tutta la
storia.
Room
commuove e spaventa, mette alla prova l’essere umano di fronte alla
banalità del male e alla malvagità dell’uomo, ma regala anche una
prospettiva interessante e vitale su quello che lo spirito di
sopravvivenza, la voglia di vivere, di combattere e, di nuovo, la
curiosità dello stare al mondo sono in grado di ottenere anche
nelle situazioni più buie.
Brutti sporchi e cattivi nell’Era
del cinecomic supereroistico. Potrebbe essere riassunto così, con
il giusto grado di approssimazione, Lo chiamavano Jeeg
Robot, film di Gabriele Mainetti con
uno stropicciato Claudio Santamaria nei panni di un eroe
riluttante.
Enzo è un ladruncolo qualunque, un
disgraziato che vive di film porno e yogurt, chiuso in quattro mura
a Tor Bella Monaca, nella periferia romana, insieme alla sua
disperata solitudine. Un giorno, mentre cerca di sfuggire
all’arresto per il furto di un orologio, Enzo cade nel Tevere, dove
viene esposto ad agenti chimici, buttati da chissà chi sul letto
del fiume. Qualcosa di straordinario lo investe, qualcosa che lui
stesso fatica a capire come e che gli cambierà completamente
la vita e la prospettiva.
Gabriele
Mainetti, alla sua opera prima dopo essersi messo alla
prova con il cortometraggio, confeziona un film che, rimanendo
perfettamente fedele alla realtà in cui è immerso, si affaccia al
cinema internazionale con straordinaria efficacia, senza perdere
mai di vista la sua vera identità. Senza paura di essere smentiti o
di esagerare in alcun modo, La chiamavano Jeeg
Robot è una delle migliori storie di supereroi
raccontate sul grande schermo degli ultimi anni. La genesi, la
presa di coscienza, il sorgere di una nemesi, la perdita, la
sofferenza e infine l’accettazione del proprio scopo nel mondo sono
calati nella sporcizia e nella povertà di una periferia senza
speranza, conferendo un’aura sofferta ma anche buffa allo splendido
protagonista, Claudio Santamaria, che affronta in
maniera straordinariamente umana una trasformazione sovrumana. Pur
arenandosi nella parte centrale perdendo il ritmo narrativo in
favore dell’indagine sui personaggi, il film di Mainetti si fregia
di un’ottima regia e di grandi interpreti, protagonisti e
comprimari, raccontando una storia a metà tra realtà e fantasia,
senza cedere alla spettacolarizzazione a cui siamo ormai assuefatti
e concentrandosi sui caratteri e sulle emozioni.
I riferimenti cinematografici
illustri sono innumerevoli, dalle inquadrature mutuate da
Il Cavaliere Oscuro, alla colonna sonora
che ricorda in maniera molto precisa quella de L’uomo
d’Acciaio, fino al villain splendidamente folle di
Luca Marinelli, che, truccato in maniera
eccessiva, sfigurato e pazzo, sembra una crasi all’amatriciana (nel
senso migliore del termine) dei Joker di Jack
Nicholson e Heath Ledger.
La forza del film però risiede nel
fare propri tutti questi riferimenti, palesandoli con onestà e
cucendoli addosso a un tessuto narrativo italiano nell’anima e
universale nel linguaggio.
La redazione di
Cinefilos.it ha provato oggi la
360 Experience, la divertente iniziativa proposta da
Mazda, sponsor ufficiale della Festa del Cinema di
Roma 2015. La nostra direttrice Chiara Guida,
insieme alle giornaliste #CinefilosTeam Serena Concato,
Ludovica Ottaviani e Dalila Orefice ha provato questa
interessante iniziativa che ogni cinefilos dovrebbe riconoscere.
Infatti, l’istallazione riproduce il noto effetto Bullet Time
sviluppato nel film culto The Matrix gustatevi il video:
Nella seconda giornata della Festa
del Cinema di Roma sono arrivati per presentare la serie tv
Fauda, il regista Assaf
Bernstein, la produttrice Liat Benasuly e
gli attori Lior Raz e Laetitia
Eido.
Fauda, dall’arabo
“Caos”, racconta da entrambi i punti di vista il conflitto tra
Israele e Palestina ed è reduce di un’enorme successo in patria, in
particolare per la qualità di non offendere nessuno. “Il nostro
intento era proprio quello di abbracciare tutto il mondo
medio-orientale” conferma il regista Bernstein.
“Ero nelle forze speciali quando
ero giovane e avevo da tempo questo sogno di rappresentare sia la
situazione israeliana che palestinese e raccontare il prezzo che ne
pagavano le famiglie” racconta Lior Raz, che
oltre ad essere protagonista è anche creatore di Fauda, “E’ un
soggetto di cui discuto da più di 20 anni e non pensavo proprio
avrebbe avuto questo successo. Questa serie mi ha proprio cambiato
la vita: ero già un attore ma non così famoso. La gente ci
riconosce per strada, ci abbraccia e notiamo l’impatto che ha avuto
sulle persone. Guardando Fauda le persone possono decidere da che
parte stare e ad esempio ricevo mail da tutto il mondo in cui mi
dicono che ora, conoscendo tutta la storia e le motivazioni,
provano compassione per l’altra fazione.”
Il soggetto alla base di Fauda è
attualissimo in un momento storico come questo che il mondo
arabo-israeliano sta vivendo e la produttrice Benasuly racconta,
“Abbiamo girato la serie l’anno scorso durante la guerra ed è
stato parecchio difficile.Magari c’erano dei bombardamenti e ci
dovevamo nascondere tutti nei rifugi. Molti attori poi erano
spaventati di partecipare ad un progetto del genere perchè non
volevano essere identificati come collaboratori del Governo
Israeliano. Altri invece hanno avuto coraggio e volevano fortemente
far parte di Fauda.”
“Il successo di Fauda sta nel
fatto che non è uscito come un prodotto o strumento politico.
Raccontiamo storie, diamo un volto ai terroristi, dei sentimenti e
motivazioni, delle famiglie.” continua il regista sull’impatto
della serie, “Ad esempio la serie è principalmente in arabo e
per gli Israeliani è una lingua normalmente usata per la satira.
Noi invece l’abbiamo usata per il drama e ora molta gente la sta
studiando.”
“Più di una persona mi ha detto
‘Voglio impare la lingua dei nostri vicini’ dopo aver visto la
serie. All’improvviso gli altri sono diventati ‘i vicini’, quindi
persone non così lontane, da poter conoscere…e io questo lo vedo
come un grande cambiamento, una grande apertura di mentalià”
aggiunge Laetita Eido, attrice di origini franco-libanesi e anche
il suo caso mostra cambiamento, non essendo permesso ai Libanesi di
entrare ad Israele.
Lior Raz conclude
raccontando come si è sentito nell’essere sia attore che creatore
della serie, “E’ stato molto difficile perchè è stato come un
persorso di guarigione. Ho sofferto di Stress Post Traumatico
quindi la prima volta che iniziai a raccontare quello che mi era
successo è stato aprecchio difficile e molte cose nemmeno le
ricordavo. Tantissime cose le ho iniziate a ricordare vent’anni
dopo. Il processo di scrittura è stato un po’ traumatico: ad
esempio dopo aver visto la storyline della ragazza e
dell’espolosione della seconda puntata mi sono ricordato di una
ragazza che avevo conosciuto a quei tempi e ammetto di aver pianto
come non avevo fatto da tempo in età adulta.”
Anticipazioni sulla seconda
stagione? “Stiamo prendendo spunto dai titoli dei giornali.
Parleremo ovviamente dell’ISIS ma anche di tante questioni di cui
non se ne parla abbastanza.”
Gabriele Mainetti
spiazza tutti e porta alla Festa di Roma, nella Selezione
Ufficiale, un film che rappresenta una felicissima eccezione nel
panorama cinematografico italiano.
Lo chiamavano Jeeg
Robot è una composizione di riferimenti culturali
misti a suggestioni e a un fortissimo senso d’appartenenza alla
città, Roma, che si trasformano in mitologia supereroistica e danno
vita a un’aesperienza cinematografica intensa, divertente e
emozionante.
“Dovevamo raccontare i personaggi nei loro
ambienti – esordisce il giovane regista in merito alla
scenografia minuziosamente caratteristica del film – quindi
abbiamo pensato di costruire intorno a loro un ambiente che potesse
descriverli. Così la casa Enzo è sporca, trascurata, perché a lui
non interessa minimamente quello che gli sta intorno, mentre quella
di Alessia è piena di colori, perché lei è come un
arcobaleno”.
A chi gli
chiede il segreto della libertà creativa che ha avuto realizzando
il film, Mainetti risponde che “il segreto è produrselo
da soli”. “Ho avuto molta libertà da Rai cinema ma il lavoro di
raccolta di fondi è stato lunghissimo, per circa tre anni ho
lavorato in veste di produttore per raccogliere il necessario. Non
avevamo nemmeno un distributore ma siamo stati guidati
dall’incoscienza”.
Luca Marinelli, tra gli interpreti
di Non essere Cattivo di Claudio
Caligari e qui splendido e folle villain ha raccontato
così il suo personaggio: “Lo zingaro è un personaggio a cui
vuoi bene, ti appassioni a lui perché è scritto benissimo, mi sono
divertito da morire a leggerlo. Nasconde una grande fragilità e ti
fa capire che non è cattivo per caso, ma perché gli è capitato
qualcosa di brutto che lo ha ferito”.
L’eroe buono, anche se all’inizio
riluttante, è interpretato da Claudio Santamaria:
“Ho sempre amato i supereroi… Se avessi io dei superpoteri entrerei
in Parlamento e poi, quello che succede succede. Da piccolo amavo
molto Spider-man, è il primo supereroe che mi è piaciuto, perché è
un ragazzino normale che viene morso e si trasforma. Invece
Superman non mi piace troppo. Può fare tutto, è come un Dio ma non
fa nulla per salvare il mondo. Credo che la volontà di guardare ai
supereroi sia perché l’umanità cerca qualcuno che la salvi, una
divinità. E Dio è un po’ un supereroe, perché ha poteri
infiniti”.
Reduce dal Grande Fratello,
esordisce nel film anche Ilenia Pastorelli, nella
colorita e fragile figura di Alessia, la donna che “vede il
buono in Enzo e lo aiuta a tirarlo fuori”, come lei stessa ha
avuto modo di raccontare.
Ma il più grande valore di Lo
chiamavano Jeeg Robot è che nonostante sia pieno di riferimenti e
citazioni a una cultura cinematografica estera, riesce a mantenere
grande fede a quella che è un’immagine del cinema bello che si fa
in casa nostra, una fedeltà e un’identità conquistata, secondo il
regista, “seguendo i personaggi e le loro azioni. Gli attori ti fanno entrare in empatia con loro e
concentrandosi sulle loro vicende il risultato è quello. Potevamo
scegliere tante strade ma abbiamo deciso di guardare solo ai
personaggi”.
Daje ragà, positivi. Che se no poi
se parliamo solo male di questo Festival di Roma Festa.
Eccheccazzo!. Dicevo, se ne parliamo sempre male poi pare che siamo
lamentosi e ci si straniscono i Mesti lavoratori che ci invidiano
perché noi sfiliamo nel glam e loro no (ma intanto oggi è sabato e
stanno a cazzeggià. E noi a lavorà. Ogni medaglia ha il suo
rovescio). Il film che ha aperto la mia mattinata è Lo
chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti. Ora, un
film dove Claudio Santamaria si trasforma in un
super-eroe, sulla carta, è una cazzata col botto, e dunque ci
facevo davvero affidamento per impostarci un post perculante.
“Capirai – mi dicevo – oggi è facile. Ho svoltato la giornata”.
E invece è il film di
super-eroi più bello che si sia visto negli ultimi cinque anni. Sì,
dai, avete letto bene. Intendo compresi i vari vendicatori della
domenica e ritorni dei Cavalieri Oscuri, che ai Cavalieri Oscuri, è
risaputo, non bisogna cacaje er cazzo, ma pure loro un po’ se le
cercano. Intenso, raffinato, ironico senza essere ridanciano,
drammatico e pieno di parabole profonde sul rapporto tra potere e
responsabilità. Santamaria è un criminale da strapazzo acquisisce
la superforza bevendo l’acqua del Tevere – se vi pare una stronzata
è solo perché non abitate a Roma, tranquilli – e si innamora della
figlia ritardata (ma bona) di un suo compare (morto ammazzato nel
primo quarto d’ora. Non è spoiler, ce l’ha scritto in testa, che fa
na brutta fine). Lo so, sembra tutto una perculata, ma stavolta
sono serio. Il film funziona alla grande. Il villain è Luca
Marinelli, attore in grande crescita (era in Non
Essere Cattivo di Caligari, ma si vede che il cattivo invece
gli riesce benissimo) che già rompe potenzialmente il culo
a Jared Leto come interpretazione alternativa del
Joker, o quanto meno lo batte sul tempo. E Mainetti i fumetti li
conosce benissimo, dato che gli mette in bocca battute analoghe
(“Chi è?”. “Sono Jo”. “Jo chi?”. “Jo-ker!”) ma adeguatamente
romanizzate e sintetizzate (“Chi è?”. “Stocazzo”.
Un grande classico). Tutto questo non fa che confermare il vecchio
adagio secondo il quale i migliori film tratti dai fumetti sono
quelli tratti da fumetti che non esistono.
Andatelo a vedere e già che passate
di lì tirate du spicci a Christopher Nolan. E
quindi oggi, non so se s’è capito, me pija parecchio bene. Sarà che
c’è un bel sole e oggi ripresento il mio libro in pompa magna
(quello serio, che si chiama ‘Antropocinema’ e
trovate in tutte le librerie, ma soprattutto online su www.golemlibri.it) in pompa magna
allo Spazio della Roma Lazio Film Commission fronte Auditorium in
Viale De Coubertin alle 17,15 con gente fighissima come il
fumettista Sergio Badino e la saggista
Chiara Nucera, non vorrei ce fosse la sòla
(termine romano per ‘fregatura’. Scusate se abbondo di
trasteverismi, ma del resto il contesto è questo) ma mi pare
proprio una bella giornata.
Sì, ho fatto pubblicità al mio
evento, al mio libro, e ho scritto “Pompa Magna”
per attirare più gente, dato che il sesso e il cibo sono sempre dei
viatici efficaci. Oltre che, naturalmente, per usare il latino, che
qui in Capitale se sei colto devi ancora parlare così. Potete
venire anche a insultarmi per quello che ho appena detto di
Christopher Nolan, basta che ce state e portate gente. Tanto io
bevo l’acqua del Tevere e poi vi rompo il culo. Passo la palla a Vì
e vado a farmi bello. Ho contattato Gesù Cristo apposta.
(Ang)
Ma uffa ma che se fa così? Ma pure
io avevo voglia di scrivere cose cattivissime e ciniche, invece sto
fes…ehm… sta festa del cinema ti fotte quando meno te lo
aspetti.
Io oggi sono andata a vedere
Room (vi piace questa prassi che io e Ang
ci dividiamo le anteprima stampa per parlarvi di tutti i film in
programma? Bene, non abituatevi che è assolutamente un caso), di
Lenny Abrahamson, e non piangevo così da quando
Brenda e Dylan si lasciano in Beverly Hills 90210.
Il film, presentato a Toronto,
racconta la storia di una ragazzina sequestrata da un maniaco e
costretta a vivere rinchiusa in una stanza bloccata ermeticamente
per anni, durante i quali mette al mondo un bambino. Che dire, il
film è una roba meravigliosa e ho poca voglia di cazzeggiare.
Tant’è che è appena arrivata Marilena Vinci e
abbiamo istituito la giornata della presa a male, perché a quanto
pare anche S for Stanley fa lo stesso
effetto. E insomma, volevate colpire duro eh organizzatori? Puntate
sull’effetto gattino bagnato, ammettetelo, è una cospirazione per
indurci a essere clementi. Ma almeno scrivetelo sul programma:
“Desolati, ce provamo da 10 edizioni a fa una kermesse discreta ma
ce vié sempre ‘na merda. La eco che rimbomba per i corridoi di
quest’anno è tesa a dimostrare che siamo, obiettivamente, delle
pippe. St’anno ce stamo a imparà, quindi dovemo usà qualche
colpetto basso, perdonateci. E perdonate anche tutto il resto: se
famo inizià i film con la puntualità di Paris Hilton, se non ve
regaliamo niente, se in generale non ce sta ‘na mazza e abbiamo
dovuto chiamare Jude Law che tanto stava qua a
magnà trapizzini co’ Sorrentino. D’altronde, è vero che l’abbiamo
chiamata Festa ma se volevamo fa sul serio mica ve facevamo pagà
l’accredito, e su non ci prendete sul serio sempre”.
Bene, novità ancora poche: ieri red
carpet smortarello, tant’è che abbiamo iniziato a fa selfie cretini
per movimentare la serata e una per dirvi ha chiesto ad Ang un
autografo, altri a un certo punto hanno iniziato a pensare fossimo
attori di qualche film cazzone diretto da Frank
Matano e ha iniziato a scattarci delle foto. Ah ancora non
è regista?
Dateglie tempo, è n’attimo.
Vari hashtag della
serata: da #selfieconlacarducci a
#tuseivalentinapettinato?, roba che ce accompagna
in tutti i Festival che io ancora non mi spiego perché non siano
diventati trend topic. Come dite? I Festival ce li filiamo solo
noi? Ha più follower il contadino cerca moglie?
Ah, po’ esse.
Bene. Chiudo col ricordarvi
l’appuntamento di oggi per la presentazione dei libri di Andrea e
Chiara, forza venite tutti, diventiamo una grande famiglia, così
continuo ad alzare il ‘rating celeb’ con le nuove amicizie Facebook
che fioccano sotto i festival (misurato con l’apposito strumento
che è ‘il Carducciometro’*).
A dopo cari. Vado ad affondare la
mia tristezza in una fetta di finta Sacher.
*il ‘Carducciometro è uno strumento
scoperto da Ang per misurare la glamitudine di una persona, basato
sulla correlazione tra le amicizie della Carducci e quelle
condivise con una persona. Se accresci il numero di richieste di
amicizie sharate con lei, si alza il rating glam.
Intelligenza, ironia, talento,
impegno e serietà: questi sono solo alcuni degli aggettivi che
descrivono al meglio la splendida coppia costituita da Joel
Coen (la “metà” più seria della talentuosa coppia di
fratelli del Minnesota) e Frances McDormand,
l’attrice premio Oscar per la sua interpretazione in
Fargo (1996) film a “gestione familiare”
che ha ricevuto ben sette premi Oscar (miglior attrice
protagonista, miglior attore non protagonista, miglior
sceneggiatura originale, miglior film, miglior regia, miglior
fotografia e miglior montaggio) consacrando definitivamente il
prezioso genio immaginifico dei due autori. Coen e la
McDormand, oltre a condividere il set dal 1984, sempre dallo stesso
anno condividono anche la vita fuori di esso: sposati e con un
figlio di ventuno anni- Pedro- vivono il rapporto tra arte e vita
con assoluta naturalezza e profondo rispetto: e proprio di questo
hanno parlato, oggi pomeriggio, in Sala Petrassi durante un
incontro moderato dal direttore artistico della decima edizione
della Festa del Cinema di Roma, Antonio Monda. Per
ripercorrere la carriera di entrambi, Monda ha scelto una soluzione
particolare: una sorta di cronistoria, prendendo spunto da sei clip
estratte da altrettanti film girati insieme, oltre a due clip
scelte dai coniugi stessi.
La prima domanda che viene rivolta
loro riguarda una piccola curiosità, legata a quando si sono
conosciuti; a rispondere per primo è Joel, che racconta il loro
primo incontro a New York City durante il provino per trovare
l’attrice co- protagonista nel loro primo film, Blood
Simple (1984). L’attrice Holly
Hunter, loro prima scelta, era impegnata a Broadway per
una pièce, così suggerì ai due fratelli di provinare la sua
coinquilina e amica Frances, che interviene subito riprendendo il
filo del discorso e ricordando del suo primo arrivo nella sala
conferenze dove si svolgevano i provini. Lei, con una formazione
teatrale e un master in Belle Arti, sapeva molto poco della
macchina del cinema, e non aveva mai recitato prima di quel momento
davanti alla macchina da presa: appena incontrò i due fratelli, si
unì a loro per fumare una sigaretta. Dopo quella chiacchierata
decisero di rivederla alle due del pomeriggio, ma lei era impegnata
a vedere in tv una soap opera con il suo fidanzato dell’epoca
(aneddoto che la donna racconta non senza un certo gusto!). Il suo
rifiuto e la sua onestà, uniti alla lealtà nel voler tornare
assolutamente alle quattro, colpì nel segno l’interesse dei due
fratelli. Ma soprattutto di Joel. Da quel set, amore e lavoro si
sono mescolati insieme.
Entrambi i coniugi raccontano i loro ricordi e le loro
riflessioni in merito al film: Joel ricorda di quando, rivedendolo
in occasione di un premio destinato a Frances insieme a suo
fratello Ethan, si sono entrambi resi conto che c’erano dei
passaggi sbagliati a livello di montaggio, e che avrebbero potuto
apportare delle modifiche: è così che nasce l’idea per la
Director’s Cut del film, più breve di cinque minuti. Frances, al
contrario, ricorda il suo primo approccio con la sceneggiatura: le
difficoltà, legate ad un codice linguistico che non conosceva e che
non riusciva a decifrare, e la sua incapacità di sentirsi a proprio
agio in un ruolo cinematografico che la spinse ad essere sospesa
tra un’interpretazione controllata- con tanto di espressione
fissa!- e invece un coinvolgimento emotiva altissima, che spesso
veniva esclusa da Joel ed Ethan dall’inquadratura, prediligendo
invece i dettagli. Imbarazzata, Frances ricorda anche la sua prima
reazione quando realizzò che doveva realizzare una scena di nudo:
la risposta rassicurante di Joel fu “puntiamo alla violenza, non
preoccuparti… nessuno noterà il tuo nudo”.
La seconda e la terza clip mostrano
invece delle scene tratte dai film Arizona Junior
(1987) e Crocevia della Morte (1990) dove la
McDormand interpreta sempre due piccoli ruoli: i due fratelli hanno
mai scritto dei personaggi pensando, nello specifico, proprio a
lei?
Assolutamente sì – replica
prontamente Joel – aggiungendo che ogni personaggio affidato a lei
è stato plasmato ispirandosi alla sua personalità e alle sue
abilità, modellandolo sulle sue capacità.
La parola passa a Frances, che
spiega come sia cambiato il marito nella veste di regista, a
partire dal suo esordio nel 1984: quello fu un set speciale, perché
erano tutti giovani o comunque alle prime esperienze autonome su un
set, c’era un’ebbrezza diversa che li spingeva a muoversi e a
sperimentare. Joel si è evoluto, cambiando il suo rapporto in
quanto regista con gli attori e le attrici con cui collabora,
vedendoli parte di un tessuto drammaturgico più alto.
La quarta clip riguarda
L’Uomo che non c’era (2001), atipico noir
girato in un prezioso bianco e nero che vede La McDormand
protagonista femminile affianco all’attore Billy Bob
Thornton. Monda solleva un dubbio: è mai capito che un
ruolo venisse in mente alla McDormand, o che lei collaborasse con i
due fratelli alla stesura della sceneggiatura?
Assolutamente no – replica Joel con
un ghigno sardonico – le loro storie sono frutto di un geloso
processo creativo tra fratelli, un osmosi di idee e suggestioni che
poi, in alcuni casi, rielaborano fino a diventare delle
sceneggiature. Certo, l’apporto della personalità forte e
determinata di Frances è fondamentale: quando la donna parla dei
suoi miti cinematografici, non può esimersi dal citare Anna
Magnani- conosciuta grazie ad una retrospettiva organizzata da
Monda stesso a New York – che l’ha letteralmente stregata con la
sua intensità, incarnando qualcosa che nessuna attrice americana ha
mai rappresentato. Come la Magnani è sempre stata associata a Roma
e alla romanità, Frances viene spesso associata alla middle e
working class americana, incarnando tutte quelle donne forti e
tenaci che lottano, lavorano e vivono negli USA (come ha ben
rappresentato interpretando Olive Kitteridge).
Insomma, un carattere completamente opposto rispetto a quello di
Linda, la protagonista bionda di Burn After Reading
(2008), penultima clip mostrata, un personaggio che,
senza troppi giri di parole, definiscono entrambi “deficiente” ed
“idiota” come anche gli altri che popolano l’universo strampalato
della pellicola. Sia Frances, che Brad Pitt e George
Clooney erano imbarazzati all’idea di interpretare dei
personaggi così stupidi, ma tutti e tre ben consapevoli che solo un
attore intelligente può fingersi stupido sul grande schermo, non
vale il contrario!
Burn After
Reading fornisce ad Antonio Monda lo spunto per
un’altra domanda interessante che riguarda il ruolo delle commedie,
da sempre snobbate nell’ambito delle kermesse ufficiali e dei
festival più importanti; secondo Joel, le commedie vengono
sottovalutate perché considerate superficiali: il sistema, infatti,
tende a non premiare i lavori che impongono loro di spingersi un
po’ più in là con lo sguardo, ben oltre quell’apparente stato di
superficialità.
L’ultima clip della serie mostra
Fargo, il loro film più intimo e
personale (insieme ad A proposito di Davis e A Serious
Man) dove hanno messo in gioco- in fase di scrittura-
tanti elementi personali delle loro esistenze: Il Minnesota,
l’essere diventati genitori, il matrimonio, e quell’umorismo
caustico che viene bilanciato da picchi inquietanti. Cos’ha
lasciato questo film ad entrambi?
Secondo Joel, l’attenzione che
riceve un film e il ricordo nel girarlo non possono essere
disgiunti tra loro. L’esperienza avuta è condizionata e la sua
percezione viene falsata; sullo stesso punto di vista si trova
anche Frances, che aggiunge di sapere bene che il suo volto sarà
per sempre identificato a quel personaggio, anche se recentemente
ha potuto mettere alla prova sé stessa interpretando il suddetto
ruolo di Olive Kitteridge per la tv, regalando una delle migliori
interpretazioni della sua vita secondo il marito. La McDormand
ricambia il favore dichiarando che, secondo lei, il miglior film
girato dal marito è A Proposito di Davis
(2013), un’altra storia personale che scava nel
profondo delle loro esistenze e mette in scena la storia, dolce
amara, di un perdente dall’enorme talento condannato a subire i
tiri mancini del fato.
Campo
Grande è il film adatto per competere in un festival
medio dalla risonanza internazionale. Anche se non è questo il
contesto- e il senso- della festa del Cinema di Roma, la pellicola
di Sandra Kogut, presentata nella categoria
Alice nella Città, gioca sulla “furbizia dei
sentimenti”, raccontando la storia di due bambini, fratello e
sorella, Ygor e Rayanne, abbandonati dalla madre Ana davanti al
portone di casa della ricca signora Regina, presso la quale
prestava servizio la nonna dei bambini Maria. Da questo episodio
partono le ricerce per trovare la madre scomparsa, in un viaggio
fisico ma soprattutto umano, tra i dedali della “faccia triste” del
Brasile moderno.
La pellicola non aggiunge nulla di
nuovo al classico topos dell’infanzia maltrattata:
scegliere di raccontare una storia di abbandono, degrado, povertà e
desolazione attraverso gli occhi- e i sentimenti- dei piccoli
protagonisti è una scelta che sicuramente ha un passaggio
privilegiato per il cuore degli spettatori, ma allo stesso tempo
non brilla di luce propria ma, anzi, del riflesso sbiadito delle
mille storie perse nella crudele realtà. Una vicenda del genere è
talmente ancorata alla realtà da restare sospesa nel limbo vitreo
tra la vita e il documentario, un non- luogo dove al film non è
permesso di svilupparsi fino in fondo; forse anche per colpa di una
sceneggiatura discontinua appesantita da bruschi “vuoti logici”,
pause nello spazio- tempo narrativo- e brusche cesure visive- che
disorientano lo spettatore abbandonandolo nel caos delle emozioni e
dei drammi dei quattro protagonisti: due fratelli che non hanno
nient’altro al mondo se non loro stessi (anche sul piano
affettivo) e una coppia speculare madre- figlia (Regina e Lila)
alle prese con una prova diffciile che la vita ha posto loro
davanti: un divorzio e un trasloco, il brusco passaggio da una
condizione ad un’altra.
Il grande pregio di
Campo Grande è sicuramente quello di
mostrare, con un occhio scarno e diretto, senza grandi movimenti di
macchina pronti a camuffare la realtà, uno spaccato profondo di un
paese lacerato dalle sue contraddizioni, sospeso tra un’aggressiva
conquista della modernità e del benessere e una povertà- umana e
fisica- dilaniante, dove il degrado economico e sociale si
accompagna a quello dei sentimenti, travolti da un impotente senso
di disperazione.
Dallo status di “specie fiorente e
popolosa” sul suolo terreste a quello di “specie protteta”, per
arrivare a “specie in via d’estinzione”.
Sion Sono ci porta,
con una certa dose di spietata freddezza, in futuro gelido, né
doloroso, né gioso… semplicemente vuoto. Yoko Suzuki
(Megumi Kagurazaka) è un androide che fa il
correrie tra diversi pianeti, al servizio dei pochi umani rimasti
in vita nella nostra galassia. Le consegne prevedono naturalmente
dei tempi molto lunghi (si parla di molti anni), ma gli umani
rimasti sembrano preferire ancora la vecchia consegna a mano al
teletrasporto, ormai di uso comune nell’epoca in cui si svolge il
film.
Dopo i primi minuti del film, sofferti per la presenza statica di
soli due personaggi, uno di umana forma e un computer, in uno
spazio molto piccolo, le immagini in origine fredde cominciano a
svelare la propria essenza. Calati in una dimensione in cui la
convenzione umana del tempo viene annullata per lasciar posto a
un’eternità e a una natura che è andata avanti senza l’uomo, gli
esseri umani sembrano corpi che camminano. Punito dalla madre
terra, per aver ceduto all’illusione del poter che avrebbe ricavato
dalla tecnologia, e che poi l’ha divorato, si muove in un mondo
privo di colore. Non potendo più fare parte del cerchio della vita
né dell’unvierso ipertecnologico che l’ha fagocitato, ogni uomo
vive su un pianeta, fisico e spirituale, a sé stante. La
convenzione del tempo, unica umana certezza, è sparita e si è fatta
libera interpretazione di ogni essere, materializzata nella
simbologia dietro i costumi dei personaggi. L’identità comunitaria
si è così progressivamente sfaldata, lasciando l’uomo in un
purgatorio eterno in cui nessuna esistenza conta veramente
qualcosa.
Unica scintilla di speranza, sono i pacchi spediti dagli umani
attraverso la galassia, contenenti oggetti di valore materiale
nullo, attraverso i quali sopravvive un barlume di umanità, che
rappresentano per loro stessa esistenza, la fiducia riposta in
un’impronta lasciata ai posteri.
Con la poesia di cui è capace,
Sion Sono, riesce a mettere in scena un film che
fa della chiarezza la sua missione: con disarmante semplicità il
regista riflette sull’importanza di una vita vissuta con tutte le
umane difficoltà, che, sebbene evitate, sono le uniche a darle
veramente senso. In The Whispering Star
il silenzio diventa cifra stilistica e fa eco nelle voci dei
personaggi, sussurate, forse perché atrofizzate, come atrofizzata è
la capacità di provare empatia e trasporto verso gli altri corpi
vuoti che si trascinano tra le città morte.
Nell’appartamento/navicella l’androide, che sembra essere
l’evoluzione più logica dell’uomo, porta dentro di sé
un’involuzione animale: tra quattro mura, Yoko Suzuki è sola,
isolata da tutto il resto, eppure mantiene un retaggio umano
nell’ordine rigoroso in cui vive che diviene patologico poiché
privo di qualsiasi senso possibile.
Scortati dal maestoso pastore
maremmano, Belle & Sebastien – l’avventura
contiuna viene presentato nella cornice di
Alice nella Città dal giovanissimo Félix
Bossuet (10 anni), dal regista Christian
Duguay, la new entry del cast, Thierry
Neuvic e Gugliemo Marchetti
(Notorious Pictures).
Il primo film è stato un grande successo. Com’è stato dover
fare i conti con la sensazione di dover quantomeno
eguagliarlo?
Christian Duguay:
Quando c’è una sostituzione importante come quella del regista, in
un film che è arrivato al suo secondo capitolo, credo che sia molto
importante restare fedeli e rispettosi di chi è venuto prima di noi
e sapere bene a chi ci si vuole rivolgere. Certo, è bene sempre
cercare di aggiungere nuovi e più colori alla storia. Nel mio caso
lo scopo era, oltre ad aggiungere spettacolarità alle scene, quello
di dargli uno spessore emotivo. Il risultato mi ha soddisfatto,
sono molto orgoglioso di questo film perché riesce a veicolare
valori universali.
Cosa rende così eterna questa
storia?
CD: Ci sono
naturalmente elementi senza tempo, il rapporto tra il bambino e il
cane, il rapporto di entrambi con la natura. Nel primo queste
componenti erano già venute fuori e, con questo secondo capitolo,
abbiamo cercato di dare grande rilevanza al rapporto con il padre
che è qualcosa con cui tutti noi, figli, dobbiamo fare i conti e ci
tocca quindi da vicino.
Vi aspettavate questo successo
di pubblico?
Guglielmo
Marchetti: No, non eravamo pronti, ma non è un successo
casuale. Acquistiamo la maggior parte dei film su sceneggiatura:
abbiamo visto il promo a Berlino e ce ne siamo innamorati. Ci
abbiamo creduto molto e abbiamo avuto ragione. Per ciò che riguarda
il secondo capitolo, abbiamo deciso di uscire l’8 dicembre, in
clima natalizio, un periodo molto caldo competitivamente nel
panorama italiano. Tuttavia non siamo spaventati, la storia è
straordinaria. Usciremo con 500 copie e con un piano promozionale
prontissimo a partire.
I set con animali e bambini sono
notoriamente i più difficili. Com’è andata sotto questo punto di
vista?
CD: Quando si
lavora con i bambini si deve cercare innanzitutto di ottimizzare
perché, spesso, hanno poco tempo, avendo tante altre cose da fare.
Félix aveva infatti due controfigure, poiché non avevamo molto
margine di rischio. Per quanto riguarda i cani ne avevamo quattro
in totale. Naturalmente ripetere una scena con degli animali è un
problema, anche per la costanza e la continuità richiesta agli
attori.
Thierry Neuvic:
Lavorare con Félix è stato un piacere, tra di noi è subito scattata
la magia. Devo dire che non è stato poi tanto faticoso neanche
dover lavorare con i cani, grazie alla grande bravura e
professionalità degli addestratori.
Belle & Sebastien –
l’avventura contiuna sarà nelle sale italiane a partire
dal prossimo 8 dicembre.