Presentato in anteprima mondiale al
Festival di Toronto e primo frontrunner per la corsa agli Oscar,
Room di Lenny Abrahamson
racconta la storia di Joy (Brie
Larson), rapita da un maniaco e costretta a vivere in
una sola stanza, quattro pareti e pochissimo arredo, che la giovane
donna condivide con Jack (Jacob
Tremblay), il figlio di cinque anni, avuto proprio in
seguito agli abusi del suo aguzzino.
Il racconto profondamente
drammatico di Abrahamson ci accompagna nella vita solitaria,
essenziale, ma non per questo grigia di una donna che cerca di fare
di tutto per dare serenità e salute al figlio. Un bambino che
rappresenta tutto il suo mondo e a cui si aggrappa per trovare un
senso alle estenuanti giornata di prigionia. La svolta a metà della
storia segna non solo un cambiamento di tono e di prospettiva, ma
anche una rivoluzione degli orizzonti della storia che, per la
maggior parte, è raccontata attraverso gli occhi svegli e attenti
di Jack, un’anima curiosa e acuta attraverso cui scorgiamo il
turbamento e la difficoltà di una donna traumatizzata per la vita,
a cui è stato tolto il futuro.
Il film si basa su
Stanza, letto, armadio, specchio, romanzo di Emma
Donoghue, ispirato al caso Fritzl, che a metà degli anni
2000 destò molto scalpore in Austria. In questo caso la prigionia,
che nel libro e nel film dura sette anni, ne durò 24, con
l’aggravante, se così si può dire, della consanguineità tra vittima
(figlia) e carnefice (padre).
Il racconto di Abrahamson rivela
una realtà sconcertante, violenta e depravata per quanto
tratteggiata con tatto e con pochissimi momenti di violenza
mostrata. Quello che invece si sente prepotentemente nel film è la
tensione degli snodi narrativi fondamentali che, accompagnati da
una grande intensità delle interpretazioni, costituiscono i picchi
emotivi del film, regalando un ritmo ben scandito a tutta la
storia.
Room
commuove e spaventa, mette alla prova l’essere umano di fronte alla
banalità del male e alla malvagità dell’uomo, ma regala anche una
prospettiva interessante e vitale su quello che lo spirito di
sopravvivenza, la voglia di vivere, di combattere e, di nuovo, la
curiosità dello stare al mondo sono in grado di ottenere anche
nelle situazioni più buie.
Brutti sporchi e cattivi nell’Era
del cinecomic supereroistico. Potrebbe essere riassunto così, con
il giusto grado di approssimazione, Lo chiamavano Jeeg
Robot, film di Gabriele Mainetti con
uno stropicciato Claudio Santamaria nei panni di un eroe
riluttante.
Enzo è un ladruncolo qualunque, un
disgraziato che vive di film porno e yogurt, chiuso in quattro mura
a Tor Bella Monaca, nella periferia romana, insieme alla sua
disperata solitudine. Un giorno, mentre cerca di sfuggire
all’arresto per il furto di un orologio, Enzo cade nel Tevere, dove
viene esposto ad agenti chimici, buttati da chissà chi sul letto
del fiume. Qualcosa di straordinario lo investe, qualcosa che lui
stesso fatica a capire come e che gli cambierà completamente
la vita e la prospettiva.
Gabriele
Mainetti, alla sua opera prima dopo essersi messo alla
prova con il cortometraggio, confeziona un film che, rimanendo
perfettamente fedele alla realtà in cui è immerso, si affaccia al
cinema internazionale con straordinaria efficacia, senza perdere
mai di vista la sua vera identità. Senza paura di essere smentiti o
di esagerare in alcun modo, La chiamavano Jeeg
Robot è una delle migliori storie di supereroi
raccontate sul grande schermo degli ultimi anni. La genesi, la
presa di coscienza, il sorgere di una nemesi, la perdita, la
sofferenza e infine l’accettazione del proprio scopo nel mondo sono
calati nella sporcizia e nella povertà di una periferia senza
speranza, conferendo un’aura sofferta ma anche buffa allo splendido
protagonista, Claudio Santamaria, che affronta in
maniera straordinariamente umana una trasformazione sovrumana. Pur
arenandosi nella parte centrale perdendo il ritmo narrativo in
favore dell’indagine sui personaggi, il film di Mainetti si fregia
di un’ottima regia e di grandi interpreti, protagonisti e
comprimari, raccontando una storia a metà tra realtà e fantasia,
senza cedere alla spettacolarizzazione a cui siamo ormai assuefatti
e concentrandosi sui caratteri e sulle emozioni.
I riferimenti cinematografici
illustri sono innumerevoli, dalle inquadrature mutuate da
Il Cavaliere Oscuro, alla colonna sonora
che ricorda in maniera molto precisa quella de L’uomo
d’Acciaio, fino al villain splendidamente folle di
Luca Marinelli, che, truccato in maniera
eccessiva, sfigurato e pazzo, sembra una crasi all’amatriciana (nel
senso migliore del termine) dei Joker di Jack
Nicholson e Heath Ledger.
La forza del film però risiede nel
fare propri tutti questi riferimenti, palesandoli con onestà e
cucendoli addosso a un tessuto narrativo italiano nell’anima e
universale nel linguaggio.
La redazione di
Cinefilos.it ha provato oggi la
360 Experience, la divertente iniziativa proposta da
Mazda, sponsor ufficiale della Festa del Cinema di
Roma 2015. La nostra direttrice Chiara Guida,
insieme alle giornaliste #CinefilosTeam Serena Concato,
Ludovica Ottaviani e Dalila Orefice ha provato questa
interessante iniziativa che ogni cinefilos dovrebbe riconoscere.
Infatti, l’istallazione riproduce il noto effetto Bullet Time
sviluppato nel film culto The Matrix gustatevi il video:
Nella seconda giornata della Festa
del Cinema di Roma sono arrivati per presentare la serie tv
Fauda, il regista Assaf
Bernstein, la produttrice Liat Benasuly e
gli attori Lior Raz e Laetitia
Eido.
Fauda, dall’arabo
“Caos”, racconta da entrambi i punti di vista il conflitto tra
Israele e Palestina ed è reduce di un’enorme successo in patria, in
particolare per la qualità di non offendere nessuno. “Il nostro
intento era proprio quello di abbracciare tutto il mondo
medio-orientale” conferma il regista Bernstein.
“Ero nelle forze speciali quando
ero giovane e avevo da tempo questo sogno di rappresentare sia la
situazione israeliana che palestinese e raccontare il prezzo che ne
pagavano le famiglie” racconta Lior Raz, che
oltre ad essere protagonista è anche creatore di Fauda, “E’ un
soggetto di cui discuto da più di 20 anni e non pensavo proprio
avrebbe avuto questo successo. Questa serie mi ha proprio cambiato
la vita: ero già un attore ma non così famoso. La gente ci
riconosce per strada, ci abbraccia e notiamo l’impatto che ha avuto
sulle persone. Guardando Fauda le persone possono decidere da che
parte stare e ad esempio ricevo mail da tutto il mondo in cui mi
dicono che ora, conoscendo tutta la storia e le motivazioni,
provano compassione per l’altra fazione.”
Il soggetto alla base di Fauda è
attualissimo in un momento storico come questo che il mondo
arabo-israeliano sta vivendo e la produttrice Benasuly racconta,
“Abbiamo girato la serie l’anno scorso durante la guerra ed è
stato parecchio difficile.Magari c’erano dei bombardamenti e ci
dovevamo nascondere tutti nei rifugi. Molti attori poi erano
spaventati di partecipare ad un progetto del genere perchè non
volevano essere identificati come collaboratori del Governo
Israeliano. Altri invece hanno avuto coraggio e volevano fortemente
far parte di Fauda.”
“Il successo di Fauda sta nel
fatto che non è uscito come un prodotto o strumento politico.
Raccontiamo storie, diamo un volto ai terroristi, dei sentimenti e
motivazioni, delle famiglie.” continua il regista sull’impatto
della serie, “Ad esempio la serie è principalmente in arabo e
per gli Israeliani è una lingua normalmente usata per la satira.
Noi invece l’abbiamo usata per il drama e ora molta gente la sta
studiando.”
“Più di una persona mi ha detto
‘Voglio impare la lingua dei nostri vicini’ dopo aver visto la
serie. All’improvviso gli altri sono diventati ‘i vicini’, quindi
persone non così lontane, da poter conoscere…e io questo lo vedo
come un grande cambiamento, una grande apertura di mentalià”
aggiunge Laetita Eido, attrice di origini franco-libanesi e anche
il suo caso mostra cambiamento, non essendo permesso ai Libanesi di
entrare ad Israele.
Lior Raz conclude
raccontando come si è sentito nell’essere sia attore che creatore
della serie, “E’ stato molto difficile perchè è stato come un
persorso di guarigione. Ho sofferto di Stress Post Traumatico
quindi la prima volta che iniziai a raccontare quello che mi era
successo è stato aprecchio difficile e molte cose nemmeno le
ricordavo. Tantissime cose le ho iniziate a ricordare vent’anni
dopo. Il processo di scrittura è stato un po’ traumatico: ad
esempio dopo aver visto la storyline della ragazza e
dell’espolosione della seconda puntata mi sono ricordato di una
ragazza che avevo conosciuto a quei tempi e ammetto di aver pianto
come non avevo fatto da tempo in età adulta.”
Anticipazioni sulla seconda
stagione? “Stiamo prendendo spunto dai titoli dei giornali.
Parleremo ovviamente dell’ISIS ma anche di tante questioni di cui
non se ne parla abbastanza.”
Gabriele Mainetti
spiazza tutti e porta alla Festa di Roma, nella Selezione
Ufficiale, un film che rappresenta una felicissima eccezione nel
panorama cinematografico italiano.
Lo chiamavano Jeeg
Robot è una composizione di riferimenti culturali
misti a suggestioni e a un fortissimo senso d’appartenenza alla
città, Roma, che si trasformano in mitologia supereroistica e danno
vita a un’aesperienza cinematografica intensa, divertente e
emozionante.
“Dovevamo raccontare i personaggi nei loro
ambienti – esordisce il giovane regista in merito alla
scenografia minuziosamente caratteristica del film – quindi
abbiamo pensato di costruire intorno a loro un ambiente che potesse
descriverli. Così la casa Enzo è sporca, trascurata, perché a lui
non interessa minimamente quello che gli sta intorno, mentre quella
di Alessia è piena di colori, perché lei è come un
arcobaleno”.
A chi gli
chiede il segreto della libertà creativa che ha avuto realizzando
il film, Mainetti risponde che “il segreto è produrselo
da soli”. “Ho avuto molta libertà da Rai cinema ma il lavoro di
raccolta di fondi è stato lunghissimo, per circa tre anni ho
lavorato in veste di produttore per raccogliere il necessario. Non
avevamo nemmeno un distributore ma siamo stati guidati
dall’incoscienza”.
Luca Marinelli, tra gli interpreti
di Non essere Cattivo di Claudio
Caligari e qui splendido e folle villain ha raccontato
così il suo personaggio: “Lo zingaro è un personaggio a cui
vuoi bene, ti appassioni a lui perché è scritto benissimo, mi sono
divertito da morire a leggerlo. Nasconde una grande fragilità e ti
fa capire che non è cattivo per caso, ma perché gli è capitato
qualcosa di brutto che lo ha ferito”.
L’eroe buono, anche se all’inizio
riluttante, è interpretato da Claudio Santamaria:
“Ho sempre amato i supereroi… Se avessi io dei superpoteri entrerei
in Parlamento e poi, quello che succede succede. Da piccolo amavo
molto Spider-man, è il primo supereroe che mi è piaciuto, perché è
un ragazzino normale che viene morso e si trasforma. Invece
Superman non mi piace troppo. Può fare tutto, è come un Dio ma non
fa nulla per salvare il mondo. Credo che la volontà di guardare ai
supereroi sia perché l’umanità cerca qualcuno che la salvi, una
divinità. E Dio è un po’ un supereroe, perché ha poteri
infiniti”.
Reduce dal Grande Fratello,
esordisce nel film anche Ilenia Pastorelli, nella
colorita e fragile figura di Alessia, la donna che “vede il
buono in Enzo e lo aiuta a tirarlo fuori”, come lei stessa ha
avuto modo di raccontare.
Ma il più grande valore di Lo
chiamavano Jeeg Robot è che nonostante sia pieno di riferimenti e
citazioni a una cultura cinematografica estera, riesce a mantenere
grande fede a quella che è un’immagine del cinema bello che si fa
in casa nostra, una fedeltà e un’identità conquistata, secondo il
regista, “seguendo i personaggi e le loro azioni. Gli attori ti fanno entrare in empatia con loro e
concentrandosi sulle loro vicende il risultato è quello. Potevamo
scegliere tante strade ma abbiamo deciso di guardare solo ai
personaggi”.
Daje ragà, positivi. Che se no poi
se parliamo solo male di questo Festival di Roma Festa.
Eccheccazzo!. Dicevo, se ne parliamo sempre male poi pare che siamo
lamentosi e ci si straniscono i Mesti lavoratori che ci invidiano
perché noi sfiliamo nel glam e loro no (ma intanto oggi è sabato e
stanno a cazzeggià. E noi a lavorà. Ogni medaglia ha il suo
rovescio). Il film che ha aperto la mia mattinata è Lo
chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti. Ora, un
film dove Claudio Santamaria si trasforma in un
super-eroe, sulla carta, è una cazzata col botto, e dunque ci
facevo davvero affidamento per impostarci un post perculante.
“Capirai – mi dicevo – oggi è facile. Ho svoltato la giornata”.
E invece è il film di
super-eroi più bello che si sia visto negli ultimi cinque anni. Sì,
dai, avete letto bene. Intendo compresi i vari vendicatori della
domenica e ritorni dei Cavalieri Oscuri, che ai Cavalieri Oscuri, è
risaputo, non bisogna cacaje er cazzo, ma pure loro un po’ se le
cercano. Intenso, raffinato, ironico senza essere ridanciano,
drammatico e pieno di parabole profonde sul rapporto tra potere e
responsabilità. Santamaria è un criminale da strapazzo acquisisce
la superforza bevendo l’acqua del Tevere – se vi pare una stronzata
è solo perché non abitate a Roma, tranquilli – e si innamora della
figlia ritardata (ma bona) di un suo compare (morto ammazzato nel
primo quarto d’ora. Non è spoiler, ce l’ha scritto in testa, che fa
na brutta fine). Lo so, sembra tutto una perculata, ma stavolta
sono serio. Il film funziona alla grande. Il villain è Luca
Marinelli, attore in grande crescita (era in Non
Essere Cattivo di Caligari, ma si vede che il cattivo invece
gli riesce benissimo) che già rompe potenzialmente il culo
a Jared Leto come interpretazione alternativa del
Joker, o quanto meno lo batte sul tempo. E Mainetti i fumetti li
conosce benissimo, dato che gli mette in bocca battute analoghe
(“Chi è?”. “Sono Jo”. “Jo chi?”. “Jo-ker!”) ma adeguatamente
romanizzate e sintetizzate (“Chi è?”. “Stocazzo”.
Un grande classico). Tutto questo non fa che confermare il vecchio
adagio secondo il quale i migliori film tratti dai fumetti sono
quelli tratti da fumetti che non esistono.
Andatelo a vedere e già che passate
di lì tirate du spicci a Christopher Nolan. E
quindi oggi, non so se s’è capito, me pija parecchio bene. Sarà che
c’è un bel sole e oggi ripresento il mio libro in pompa magna
(quello serio, che si chiama ‘Antropocinema’ e
trovate in tutte le librerie, ma soprattutto online su www.golemlibri.it) in pompa magna
allo Spazio della Roma Lazio Film Commission fronte Auditorium in
Viale De Coubertin alle 17,15 con gente fighissima come il
fumettista Sergio Badino e la saggista
Chiara Nucera, non vorrei ce fosse la sòla
(termine romano per ‘fregatura’. Scusate se abbondo di
trasteverismi, ma del resto il contesto è questo) ma mi pare
proprio una bella giornata.
Sì, ho fatto pubblicità al mio
evento, al mio libro, e ho scritto “Pompa Magna”
per attirare più gente, dato che il sesso e il cibo sono sempre dei
viatici efficaci. Oltre che, naturalmente, per usare il latino, che
qui in Capitale se sei colto devi ancora parlare così. Potete
venire anche a insultarmi per quello che ho appena detto di
Christopher Nolan, basta che ce state e portate gente. Tanto io
bevo l’acqua del Tevere e poi vi rompo il culo. Passo la palla a Vì
e vado a farmi bello. Ho contattato Gesù Cristo apposta.
(Ang)
Ma uffa ma che se fa così? Ma pure
io avevo voglia di scrivere cose cattivissime e ciniche, invece sto
fes…ehm… sta festa del cinema ti fotte quando meno te lo
aspetti.
Io oggi sono andata a vedere
Room (vi piace questa prassi che io e Ang
ci dividiamo le anteprima stampa per parlarvi di tutti i film in
programma? Bene, non abituatevi che è assolutamente un caso), di
Lenny Abrahamson, e non piangevo così da quando
Brenda e Dylan si lasciano in Beverly Hills 90210.
Il film, presentato a Toronto,
racconta la storia di una ragazzina sequestrata da un maniaco e
costretta a vivere rinchiusa in una stanza bloccata ermeticamente
per anni, durante i quali mette al mondo un bambino. Che dire, il
film è una roba meravigliosa e ho poca voglia di cazzeggiare.
Tant’è che è appena arrivata Marilena Vinci e
abbiamo istituito la giornata della presa a male, perché a quanto
pare anche S for Stanley fa lo stesso
effetto. E insomma, volevate colpire duro eh organizzatori? Puntate
sull’effetto gattino bagnato, ammettetelo, è una cospirazione per
indurci a essere clementi. Ma almeno scrivetelo sul programma:
“Desolati, ce provamo da 10 edizioni a fa una kermesse discreta ma
ce vié sempre ‘na merda. La eco che rimbomba per i corridoi di
quest’anno è tesa a dimostrare che siamo, obiettivamente, delle
pippe. St’anno ce stamo a imparà, quindi dovemo usà qualche
colpetto basso, perdonateci. E perdonate anche tutto il resto: se
famo inizià i film con la puntualità di Paris Hilton, se non ve
regaliamo niente, se in generale non ce sta ‘na mazza e abbiamo
dovuto chiamare Jude Law che tanto stava qua a
magnà trapizzini co’ Sorrentino. D’altronde, è vero che l’abbiamo
chiamata Festa ma se volevamo fa sul serio mica ve facevamo pagà
l’accredito, e su non ci prendete sul serio sempre”.
Bene, novità ancora poche: ieri red
carpet smortarello, tant’è che abbiamo iniziato a fa selfie cretini
per movimentare la serata e una per dirvi ha chiesto ad Ang un
autografo, altri a un certo punto hanno iniziato a pensare fossimo
attori di qualche film cazzone diretto da Frank
Matano e ha iniziato a scattarci delle foto. Ah ancora non
è regista?
Dateglie tempo, è n’attimo.
Vari hashtag della
serata: da #selfieconlacarducci a
#tuseivalentinapettinato?, roba che ce accompagna
in tutti i Festival che io ancora non mi spiego perché non siano
diventati trend topic. Come dite? I Festival ce li filiamo solo
noi? Ha più follower il contadino cerca moglie?
Ah, po’ esse.
Bene. Chiudo col ricordarvi
l’appuntamento di oggi per la presentazione dei libri di Andrea e
Chiara, forza venite tutti, diventiamo una grande famiglia, così
continuo ad alzare il ‘rating celeb’ con le nuove amicizie Facebook
che fioccano sotto i festival (misurato con l’apposito strumento
che è ‘il Carducciometro’*).
A dopo cari. Vado ad affondare la
mia tristezza in una fetta di finta Sacher.
*il ‘Carducciometro è uno strumento
scoperto da Ang per misurare la glamitudine di una persona, basato
sulla correlazione tra le amicizie della Carducci e quelle
condivise con una persona. Se accresci il numero di richieste di
amicizie sharate con lei, si alza il rating glam.
Intelligenza, ironia, talento,
impegno e serietà: questi sono solo alcuni degli aggettivi che
descrivono al meglio la splendida coppia costituita da Joel
Coen (la “metà” più seria della talentuosa coppia di
fratelli del Minnesota) e Frances McDormand,
l’attrice premio Oscar per la sua interpretazione in
Fargo (1996) film a “gestione familiare”
che ha ricevuto ben sette premi Oscar (miglior attrice
protagonista, miglior attore non protagonista, miglior
sceneggiatura originale, miglior film, miglior regia, miglior
fotografia e miglior montaggio) consacrando definitivamente il
prezioso genio immaginifico dei due autori. Coen e la
McDormand, oltre a condividere il set dal 1984, sempre dallo stesso
anno condividono anche la vita fuori di esso: sposati e con un
figlio di ventuno anni- Pedro- vivono il rapporto tra arte e vita
con assoluta naturalezza e profondo rispetto: e proprio di questo
hanno parlato, oggi pomeriggio, in Sala Petrassi durante un
incontro moderato dal direttore artistico della decima edizione
della Festa del Cinema di Roma, Antonio Monda. Per
ripercorrere la carriera di entrambi, Monda ha scelto una soluzione
particolare: una sorta di cronistoria, prendendo spunto da sei clip
estratte da altrettanti film girati insieme, oltre a due clip
scelte dai coniugi stessi.
La prima domanda che viene rivolta
loro riguarda una piccola curiosità, legata a quando si sono
conosciuti; a rispondere per primo è Joel, che racconta il loro
primo incontro a New York City durante il provino per trovare
l’attrice co- protagonista nel loro primo film, Blood
Simple (1984). L’attrice Holly
Hunter, loro prima scelta, era impegnata a Broadway per
una pièce, così suggerì ai due fratelli di provinare la sua
coinquilina e amica Frances, che interviene subito riprendendo il
filo del discorso e ricordando del suo primo arrivo nella sala
conferenze dove si svolgevano i provini. Lei, con una formazione
teatrale e un master in Belle Arti, sapeva molto poco della
macchina del cinema, e non aveva mai recitato prima di quel momento
davanti alla macchina da presa: appena incontrò i due fratelli, si
unì a loro per fumare una sigaretta. Dopo quella chiacchierata
decisero di rivederla alle due del pomeriggio, ma lei era impegnata
a vedere in tv una soap opera con il suo fidanzato dell’epoca
(aneddoto che la donna racconta non senza un certo gusto!). Il suo
rifiuto e la sua onestà, uniti alla lealtà nel voler tornare
assolutamente alle quattro, colpì nel segno l’interesse dei due
fratelli. Ma soprattutto di Joel. Da quel set, amore e lavoro si
sono mescolati insieme.
Entrambi i coniugi raccontano i loro ricordi e le loro
riflessioni in merito al film: Joel ricorda di quando, rivedendolo
in occasione di un premio destinato a Frances insieme a suo
fratello Ethan, si sono entrambi resi conto che c’erano dei
passaggi sbagliati a livello di montaggio, e che avrebbero potuto
apportare delle modifiche: è così che nasce l’idea per la
Director’s Cut del film, più breve di cinque minuti. Frances, al
contrario, ricorda il suo primo approccio con la sceneggiatura: le
difficoltà, legate ad un codice linguistico che non conosceva e che
non riusciva a decifrare, e la sua incapacità di sentirsi a proprio
agio in un ruolo cinematografico che la spinse ad essere sospesa
tra un’interpretazione controllata- con tanto di espressione
fissa!- e invece un coinvolgimento emotiva altissima, che spesso
veniva esclusa da Joel ed Ethan dall’inquadratura, prediligendo
invece i dettagli. Imbarazzata, Frances ricorda anche la sua prima
reazione quando realizzò che doveva realizzare una scena di nudo:
la risposta rassicurante di Joel fu “puntiamo alla violenza, non
preoccuparti… nessuno noterà il tuo nudo”.
La seconda e la terza clip mostrano
invece delle scene tratte dai film Arizona Junior
(1987) e Crocevia della Morte (1990) dove la
McDormand interpreta sempre due piccoli ruoli: i due fratelli hanno
mai scritto dei personaggi pensando, nello specifico, proprio a
lei?
Assolutamente sì – replica
prontamente Joel – aggiungendo che ogni personaggio affidato a lei
è stato plasmato ispirandosi alla sua personalità e alle sue
abilità, modellandolo sulle sue capacità.
La parola passa a Frances, che
spiega come sia cambiato il marito nella veste di regista, a
partire dal suo esordio nel 1984: quello fu un set speciale, perché
erano tutti giovani o comunque alle prime esperienze autonome su un
set, c’era un’ebbrezza diversa che li spingeva a muoversi e a
sperimentare. Joel si è evoluto, cambiando il suo rapporto in
quanto regista con gli attori e le attrici con cui collabora,
vedendoli parte di un tessuto drammaturgico più alto.
La quarta clip riguarda
L’Uomo che non c’era (2001), atipico noir
girato in un prezioso bianco e nero che vede La McDormand
protagonista femminile affianco all’attore Billy Bob
Thornton. Monda solleva un dubbio: è mai capito che un
ruolo venisse in mente alla McDormand, o che lei collaborasse con i
due fratelli alla stesura della sceneggiatura?
Assolutamente no – replica Joel con
un ghigno sardonico – le loro storie sono frutto di un geloso
processo creativo tra fratelli, un osmosi di idee e suggestioni che
poi, in alcuni casi, rielaborano fino a diventare delle
sceneggiature. Certo, l’apporto della personalità forte e
determinata di Frances è fondamentale: quando la donna parla dei
suoi miti cinematografici, non può esimersi dal citare Anna
Magnani- conosciuta grazie ad una retrospettiva organizzata da
Monda stesso a New York – che l’ha letteralmente stregata con la
sua intensità, incarnando qualcosa che nessuna attrice americana ha
mai rappresentato. Come la Magnani è sempre stata associata a Roma
e alla romanità, Frances viene spesso associata alla middle e
working class americana, incarnando tutte quelle donne forti e
tenaci che lottano, lavorano e vivono negli USA (come ha ben
rappresentato interpretando Olive Kitteridge).
Insomma, un carattere completamente opposto rispetto a quello di
Linda, la protagonista bionda di Burn After Reading
(2008), penultima clip mostrata, un personaggio che,
senza troppi giri di parole, definiscono entrambi “deficiente” ed
“idiota” come anche gli altri che popolano l’universo strampalato
della pellicola. Sia Frances, che Brad Pitt e George
Clooney erano imbarazzati all’idea di interpretare dei
personaggi così stupidi, ma tutti e tre ben consapevoli che solo un
attore intelligente può fingersi stupido sul grande schermo, non
vale il contrario!
Burn After
Reading fornisce ad Antonio Monda lo spunto per
un’altra domanda interessante che riguarda il ruolo delle commedie,
da sempre snobbate nell’ambito delle kermesse ufficiali e dei
festival più importanti; secondo Joel, le commedie vengono
sottovalutate perché considerate superficiali: il sistema, infatti,
tende a non premiare i lavori che impongono loro di spingersi un
po’ più in là con lo sguardo, ben oltre quell’apparente stato di
superficialità.
L’ultima clip della serie mostra
Fargo, il loro film più intimo e
personale (insieme ad A proposito di Davis e A Serious
Man) dove hanno messo in gioco- in fase di scrittura-
tanti elementi personali delle loro esistenze: Il Minnesota,
l’essere diventati genitori, il matrimonio, e quell’umorismo
caustico che viene bilanciato da picchi inquietanti. Cos’ha
lasciato questo film ad entrambi?
Secondo Joel, l’attenzione che
riceve un film e il ricordo nel girarlo non possono essere
disgiunti tra loro. L’esperienza avuta è condizionata e la sua
percezione viene falsata; sullo stesso punto di vista si trova
anche Frances, che aggiunge di sapere bene che il suo volto sarà
per sempre identificato a quel personaggio, anche se recentemente
ha potuto mettere alla prova sé stessa interpretando il suddetto
ruolo di Olive Kitteridge per la tv, regalando una delle migliori
interpretazioni della sua vita secondo il marito. La McDormand
ricambia il favore dichiarando che, secondo lei, il miglior film
girato dal marito è A Proposito di Davis
(2013), un’altra storia personale che scava nel
profondo delle loro esistenze e mette in scena la storia, dolce
amara, di un perdente dall’enorme talento condannato a subire i
tiri mancini del fato.
Campo
Grande è il film adatto per competere in un festival
medio dalla risonanza internazionale. Anche se non è questo il
contesto- e il senso- della festa del Cinema di Roma, la pellicola
di Sandra Kogut, presentata nella categoria
Alice nella Città, gioca sulla “furbizia dei
sentimenti”, raccontando la storia di due bambini, fratello e
sorella, Ygor e Rayanne, abbandonati dalla madre Ana davanti al
portone di casa della ricca signora Regina, presso la quale
prestava servizio la nonna dei bambini Maria. Da questo episodio
partono le ricerce per trovare la madre scomparsa, in un viaggio
fisico ma soprattutto umano, tra i dedali della “faccia triste” del
Brasile moderno.
La pellicola non aggiunge nulla di
nuovo al classico topos dell’infanzia maltrattata:
scegliere di raccontare una storia di abbandono, degrado, povertà e
desolazione attraverso gli occhi- e i sentimenti- dei piccoli
protagonisti è una scelta che sicuramente ha un passaggio
privilegiato per il cuore degli spettatori, ma allo stesso tempo
non brilla di luce propria ma, anzi, del riflesso sbiadito delle
mille storie perse nella crudele realtà. Una vicenda del genere è
talmente ancorata alla realtà da restare sospesa nel limbo vitreo
tra la vita e il documentario, un non- luogo dove al film non è
permesso di svilupparsi fino in fondo; forse anche per colpa di una
sceneggiatura discontinua appesantita da bruschi “vuoti logici”,
pause nello spazio- tempo narrativo- e brusche cesure visive- che
disorientano lo spettatore abbandonandolo nel caos delle emozioni e
dei drammi dei quattro protagonisti: due fratelli che non hanno
nient’altro al mondo se non loro stessi (anche sul piano
affettivo) e una coppia speculare madre- figlia (Regina e Lila)
alle prese con una prova diffciile che la vita ha posto loro
davanti: un divorzio e un trasloco, il brusco passaggio da una
condizione ad un’altra.
Il grande pregio di
Campo Grande è sicuramente quello di
mostrare, con un occhio scarno e diretto, senza grandi movimenti di
macchina pronti a camuffare la realtà, uno spaccato profondo di un
paese lacerato dalle sue contraddizioni, sospeso tra un’aggressiva
conquista della modernità e del benessere e una povertà- umana e
fisica- dilaniante, dove il degrado economico e sociale si
accompagna a quello dei sentimenti, travolti da un impotente senso
di disperazione.
Dallo status di “specie fiorente e
popolosa” sul suolo terreste a quello di “specie protteta”, per
arrivare a “specie in via d’estinzione”.
Sion Sono ci porta,
con una certa dose di spietata freddezza, in futuro gelido, né
doloroso, né gioso… semplicemente vuoto. Yoko Suzuki
(Megumi Kagurazaka) è un androide che fa il
correrie tra diversi pianeti, al servizio dei pochi umani rimasti
in vita nella nostra galassia. Le consegne prevedono naturalmente
dei tempi molto lunghi (si parla di molti anni), ma gli umani
rimasti sembrano preferire ancora la vecchia consegna a mano al
teletrasporto, ormai di uso comune nell’epoca in cui si svolge il
film.
Dopo i primi minuti del film, sofferti per la presenza statica di
soli due personaggi, uno di umana forma e un computer, in uno
spazio molto piccolo, le immagini in origine fredde cominciano a
svelare la propria essenza. Calati in una dimensione in cui la
convenzione umana del tempo viene annullata per lasciar posto a
un’eternità e a una natura che è andata avanti senza l’uomo, gli
esseri umani sembrano corpi che camminano. Punito dalla madre
terra, per aver ceduto all’illusione del poter che avrebbe ricavato
dalla tecnologia, e che poi l’ha divorato, si muove in un mondo
privo di colore. Non potendo più fare parte del cerchio della vita
né dell’unvierso ipertecnologico che l’ha fagocitato, ogni uomo
vive su un pianeta, fisico e spirituale, a sé stante. La
convenzione del tempo, unica umana certezza, è sparita e si è fatta
libera interpretazione di ogni essere, materializzata nella
simbologia dietro i costumi dei personaggi. L’identità comunitaria
si è così progressivamente sfaldata, lasciando l’uomo in un
purgatorio eterno in cui nessuna esistenza conta veramente
qualcosa.
Unica scintilla di speranza, sono i pacchi spediti dagli umani
attraverso la galassia, contenenti oggetti di valore materiale
nullo, attraverso i quali sopravvive un barlume di umanità, che
rappresentano per loro stessa esistenza, la fiducia riposta in
un’impronta lasciata ai posteri.
Con la poesia di cui è capace,
Sion Sono, riesce a mettere in scena un film che
fa della chiarezza la sua missione: con disarmante semplicità il
regista riflette sull’importanza di una vita vissuta con tutte le
umane difficoltà, che, sebbene evitate, sono le uniche a darle
veramente senso. In The Whispering Star
il silenzio diventa cifra stilistica e fa eco nelle voci dei
personaggi, sussurate, forse perché atrofizzate, come atrofizzata è
la capacità di provare empatia e trasporto verso gli altri corpi
vuoti che si trascinano tra le città morte.
Nell’appartamento/navicella l’androide, che sembra essere
l’evoluzione più logica dell’uomo, porta dentro di sé
un’involuzione animale: tra quattro mura, Yoko Suzuki è sola,
isolata da tutto il resto, eppure mantiene un retaggio umano
nell’ordine rigoroso in cui vive che diviene patologico poiché
privo di qualsiasi senso possibile.
Scortati dal maestoso pastore
maremmano, Belle & Sebastien – l’avventura
contiuna viene presentato nella cornice di
Alice nella Città dal giovanissimo Félix
Bossuet (10 anni), dal regista Christian
Duguay, la new entry del cast, Thierry
Neuvic e Gugliemo Marchetti
(Notorious Pictures).
Il primo film è stato un grande successo. Com’è stato dover
fare i conti con la sensazione di dover quantomeno
eguagliarlo?
Christian Duguay:
Quando c’è una sostituzione importante come quella del regista, in
un film che è arrivato al suo secondo capitolo, credo che sia molto
importante restare fedeli e rispettosi di chi è venuto prima di noi
e sapere bene a chi ci si vuole rivolgere. Certo, è bene sempre
cercare di aggiungere nuovi e più colori alla storia. Nel mio caso
lo scopo era, oltre ad aggiungere spettacolarità alle scene, quello
di dargli uno spessore emotivo. Il risultato mi ha soddisfatto,
sono molto orgoglioso di questo film perché riesce a veicolare
valori universali.
Cosa rende così eterna questa
storia?
CD: Ci sono
naturalmente elementi senza tempo, il rapporto tra il bambino e il
cane, il rapporto di entrambi con la natura. Nel primo queste
componenti erano già venute fuori e, con questo secondo capitolo,
abbiamo cercato di dare grande rilevanza al rapporto con il padre
che è qualcosa con cui tutti noi, figli, dobbiamo fare i conti e ci
tocca quindi da vicino.
Vi aspettavate questo successo
di pubblico?
Guglielmo
Marchetti: No, non eravamo pronti, ma non è un successo
casuale. Acquistiamo la maggior parte dei film su sceneggiatura:
abbiamo visto il promo a Berlino e ce ne siamo innamorati. Ci
abbiamo creduto molto e abbiamo avuto ragione. Per ciò che riguarda
il secondo capitolo, abbiamo deciso di uscire l’8 dicembre, in
clima natalizio, un periodo molto caldo competitivamente nel
panorama italiano. Tuttavia non siamo spaventati, la storia è
straordinaria. Usciremo con 500 copie e con un piano promozionale
prontissimo a partire.
I set con animali e bambini sono
notoriamente i più difficili. Com’è andata sotto questo punto di
vista?
CD: Quando si
lavora con i bambini si deve cercare innanzitutto di ottimizzare
perché, spesso, hanno poco tempo, avendo tante altre cose da fare.
Félix aveva infatti due controfigure, poiché non avevamo molto
margine di rischio. Per quanto riguarda i cani ne avevamo quattro
in totale. Naturalmente ripetere una scena con degli animali è un
problema, anche per la costanza e la continuità richiesta agli
attori.
Thierry Neuvic:
Lavorare con Félix è stato un piacere, tra di noi è subito scattata
la magia. Devo dire che non è stato poi tanto faticoso neanche
dover lavorare con i cani, grazie alla grande bravura e
professionalità degli addestratori.
Belle & Sebastien –
l’avventura contiuna sarà nelle sale italiane a partire
dal prossimo 8 dicembre.
Paramount ha pubblicato online in
trailer finale di Paranormal Activity
5. Il film sarà diretto
da GregoryPlotkin, che debutta
alla regia, mentre lo script sarà curato da Jason
Pagane AndreaDeutschman. Ecco il trailer:
https://www.youtube.com/watch?v=xM1O8jcyRAw
Paranormal Activity
5 dovrebbe debuttare in UK il 21 ottobre,
seguita dal rilascio negli Usa il 23 dello stesso
mese. Ricordiamo che Landon ha scritto gli ultimi
tre episodi della saga e che ha lasciato il franchise
dell’orrore per dirigere la commedia horror della
Paramount, Boy Scouts Vs
Zombies.
Total Film ha intervistato
il regista e i protagonisti di Crimson
Peak, Guillermo Del
Toro, Tom Hiddleston e Mia
Wasikowska, per scoprire tutti i dettagli più interessanti
del film.
Avvicinandosi halloween, non è
mancata la domanda sui film dell’orrore preferiti. Ecco quali sono
state le risposte dei tre:
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Protagonisti del film diretto da
Guillermo del Toro sono Tom
Hiddleston,Mia Wasikowska,Charlie Hunnam e Jessica
Chastain.
Trama: “Unagiovanedonna(Wasikowska) è conquistata da
unpretendentecarismatico(Hiddleston)che
la porta a vivere con sé nellasua casa di famiglia.Lì
la giovanetrova piùdi quanto si aspettasse, tra
cuiuna sorellagelosa(Chastain)
e più diun paio
discheletrinell’armadio“.
È stato pubblicato online il nuovo
trailer di Kill Your Friends,
commedia nera di Owen Harris tratta
dall’omonimo romanzo del 2008 di John
Nivens. Protagonista del film e del trailer
è Nicholas Hoult.
Trama:
Mentre il ventesimo secolo esala il
suo ultimo respiro con il Britpop al suo zenit, il ventisettenne
talent-scout Steven Stelfox sta forgiando la sua strada attraverso
l’industria musicale londinese. Impegnato in una ricerca globale
della prossima megahit e alimentato da avidità e quantità disumane
di cocaina, Stelfox indulge liberamente in un’orgia infinita di
autogratificazione, ma l’industria sta cambiando velocemente e le
hit si stanno prosciugando e l’unico modo che ha di salvare la sua
carriera è quello di portare l’idea di “ferocia” a nuovi livelli di
follia omicida.
Nel cast ci sono anche Jim
Piddock (che incarna Derek Summers, direttore
dell’etichetta per cui lavora Steven
Stelfox), James Corden e Tom
Riley.
A seguito del promo, Marvel ha anche svelato la
copertina della versione Blu-Ray
di Ant-Man, oltre all’elenco
completo dei bonus.
Ecco la cover del blu-ray:
BONUS:
Making Of An Ant-Sized
Heist: A How-To Guide — impostate l’orologio e fate
il conto alla rovescia verso l’azione, in questo veloce dietro le
quinte di come si realizza un Heist Movie (film di rapina), tra cui
l’esilarante rapina di Scott Lang, il costume di Ant-Man e una
seria di incredibili effetti speciali.
Let’s Go To The Macroverse
— restringiamo le nostre dimensioni in questo sguardo
affascinante al mondo creato dal punto di vista di Ant-Man,
dalla fotografia macro fino a quella subatomica.
Whih Newsfront
– Una serie di contenuti dal forte impatto, tra
cui uno sguardo al futuro di Pym Technologies con Darren Cross,
l’intervista a Christine Everhart dell’ormai prossimo al
rilascio Scott Lang, dopo la famigerata rapina alla VistaCorp,
e altro ancora.
Ancora, scene tagliate e estese, una
serie di gag e il commento audio di Peyton Reed e Paul Rudd.
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Dotato della strabiliante capacità
di rimpicciolirsi e al contempo accrescere la propria forza, il
ladro provetto Scott Lang (Paul Rudd) dovrà
ricorrere alle sue doti eroiche per aiutare il proprio mentore Dr.
Hank Pym (interpretato dal premio Oscar Michael
Douglas) a proteggere il suo spettacolare costume di
Ant-Man da nuove, terribili minacce. Esposti a ostacoli
apparentemente insormontabili, Pym e Lang dovranno pianificare un
colpo che salverà il mondo.
Ogni regista ha i suoi libri
preferiti, storie che sogna di trasportare sullo schermo
cinematografico. Anche Guillermo Del Toro, regista
di Hellboy e di Crimson
Peak, ha svelato quale sarebbe l’adattamento su cui
desidererebbe lavorare.
Del Toro sembra assolutamente
innamorato del romanzo di Stephen King, Pet Sematary,
tanto che su Twitter ha rivelato che ucciderebbe per realizzarlo.
Ecco il tweet:
Book of the Day: PET SEMATARY by Stephen
King. Unrelentingly dark and emotional. Compulsive reading. Would
kill to make it on film.
Pet
Sematary aveva già avuto una sua versione
nel 1989, sotto la direzione di Mary
Lambert, ed un seguito nel 1992. Nel 2013 era stato
annunciato un remke con regista Juan Carlos
Fresnadillo, ma poi non si era saputo più nulla. A
Luglio Jeff Buhler, che si occupava della
sceneggiatura, ha parlato del film, ma ancora oggi non ci sono
notizie certe, sebbene sembra che il film possa entrare in
produzione a fine anno.
Cinefilos.it in collaborazione con Mazda
mette in palio due biglietti per la proiezione
di Room, l’acclamato film vincitore del
Toronto Film Festival e che sarà
proiettato oggi alle 22:30 nella sala Mazda Cinema
Hall. Per vincere il biglietto vi basta contattare la
nostra redazione ([email protected]) e
ritirare il biglietto allo spazio Mazda questa sera prima della
proiezione. Una volta ritirato il biglietto vi potrete recare in
sale e provare la fantastica 360 experience con Mazda prima del
film.
L’applaudito thriller vincitore
della 40esima edizione del Toronto Film Festival: il film racconta
l’amore sconfinato tra una madre e il suo bambino, costretti ad
un’esistenza intrappolata tra le mura di una stanza di dieci metri
quadri.
Domani 18 ottobre il lungometraggio
Il viaggio di Arlo sarà
protagonista della Festa del Cinema di
Roma. Un footage del nuovo film Disney Pixar, diretto
da Peter Sohn (Parzialmente Nuvoloso) e prodotto da Denise
Ream (Cars 2), sarà infatti presentato in anteprima,
eccezionalmente, da Kelsey Mann, Story Supervisor del nuovo
capolavoro nelle sale dal 25 novembre, distribuito da The Walt
Disney Company Italia.
Kelsey Mann, che ha collaborato al
film premio Oscar® Toy Story 3 – La Grande Fuga e diretto
il cortometraggio Party Central, lavora ai Pixar Animation
Studios dal 2009. Nel 2013 è stato story supervisor per il film
Disney•Pixar Monsters University; da sempre appassionato di cinema,
animazione e marionette, Mann ha inaugurato la propria carriera in
un piccolo studio d’animazione per poi trasferirsi nel 2000 a Los
Angeles, dove ha lavorato come animatore, storyboard artist e
regista.
Nel corso di questa nuova edizione,
la Festa del Cinema di Roma celebra inoltre i Pixar Animation
Studios vent’anni dopo l’uscita nelle sale del suo primo
lungometraggio d’animazione con un’ampia retrospettiva che trae
ispirazione dal team creativo guidato da John Lasseter che, da
Toy Story a Inside Out, ha ridefinito i confini
dei film d’animazione, registrando incassi record in tutto il mondo
per tutti gli straordinari film realizzati fino ad oggi.
I quindici magnifici lungometraggi
– Toy Story – Il Mondo dei Giocattoli, A Bug’s Life –
Megaminimondo, Toy Story 2 – Woody e Buzz alla
Riscossa, Monsters & Co., Alla Ricerca di
Nemo, Gli Incredibili – Una “Normale” Famiglia di
Supereroi, Cars – Motori
Ruggenti,Ratatouille, Wall•E, Up,
Toy Story 3 – La Grande Fuga, Cars 2, Ribelle
– The Brave, Monsters University, Inside Out
– e i memorabili corti che hanno accompagnato le uscite combinando
fantasia, passione e accuratezza conquisteranno, ancora una volta,
gli spettatori che sino al 24 settembre riempiranno le sale
dell’Auditorium Parco della Musica.
Solo due giorni fa vi avevamo dato
la notizia dell’ingresso di Rachel McAdams (True
Detective) nel cast di Doctor
Strange.Ora arrivano ulteriori novità, che
riguardano il ruolo che l’attrice dovrebbe interpretare.
Mentre Benedict
Cumberbatch sarà il protagonista, Doctor Strange, Tilda Swinton
sarà The Ancient One. Chiwetel Ejiofor è
stato invece scelto come Barone Mordo e Mads
Mikkelsen dovrebbe essere Dormammu, malvagio signore della
Dimensione Oscura. Tutto lasciava pensare che Rachel
McAdams potesse interpretare Clea, donna originaria
della Dimensione Oscura, nipote di Dormammu e moglie di Doctor
Strange.
Eppure, secondo nuove
indiscrezioni, non sarà quello di Clea il ruolo assegnato alla
McAdams. L’attrice dovrebbe invece entrare nei panni di Christine
Palmer, che compare in un fumetto Marvel, Night Nurse, nella
quale è un’infermiera chirurgica.
Vi ricordiamo che l’uscita di
Doctor
Strange è prevista per il 4 novembre 2016. Dirige
Scott Derricksonda una sceneggiatura di Jon Aibel e
Glenn Berger, rimaneggiata da Jon Spaihts. Produttore
del film, Kevin Feige, con Louis D’Esposito, Victoria
Alonso, Alan Fine, Stan Lee e Stephen Broussard come
produttori esecutivi.
Un esclusivo Sake Bar nella Mazda
Lounge alla Festa del Cinema di Roma: dove la
tradizione e la passione giapponese per il gusto incontrano la
passione per il cinema.
Mazda, in
collaborazione con Gambero Rosso, rende omaggio ai sapori della
tradizione giapponese alla Festa del Cinema di
Roma grazie all’estro del grande Barman Pino
Mondello.
Il sake (酒, “liquore”), detto anche
“vino di riso”, è una bevanda alcolica tipicamente giapponese
ottenuta dall’unione di alcol etilico con il liquido derivato dalla
fermentazione del riso.
Il Sake ha profondi legami con la
cultura e le tradizioni millenarie del Paese del Sol Levante,
perfino con lo Shinto, la religione animista del Giappone.
Per questo Mazda, che della
tradizione, dei valori, della cultura e del gusto giapponese è
ambasciatrice nel mondo ha previsto, all’interno della cornice
della Festa Internazionale del Cinema di Roma di cui è Official
Sponsor, uno spazio dedicato proprio alle atmosfere e ai sapori
propri del Giappone.
All’interno del Villaggio della
Festa, nella Mazda Lounge lo spazio deputato a ospitare personalità
e attori del mondo del cinema per i loro incontri con la stampa,
accanto alla MX-5 Cinema Hall – una specialissima interpretazione
di una fiammante roadster colore Soul Red trasformata per
l’occasione nell’unica sala cinematografica al mondo riservata
unicamente a due spettatori – verrà allestito un corner dedicato
alla particolare bevanda giapponese.
Curato da Gambero Rosso, questo
speciale Sake Bar – avvalendosi di un Barman d’eccezione come Pino
Mondello – offrirà una degustazione gratuita dell’esotico vino agli
ospiti che affolleranno la Mazda Lounge.
Pino, esattamente come Mazda, si è
distinto per essere uno sperimentatore, divenendo anche per questo
uno dei punti di riferimento della nuova generazione di barmen,
molti dei quali devoti della “Mixology”, ovvero l’arte della
miscelazione, abilità che Mondello applica anche ai suoi
formidabili gelati all’azoto liquido, una tecnica assolutamente
rivoluzionaria che esalta i gusti più raffinati.
Possiamo quindi parlare di affinità
elettive tra la casa automobilistica che per migliorare sempre
sfida le convenzione e l’artista del bancone che ama sperimentare
nella continua ricerca dell’eccellenza nel gusto.
Un cocktail – è proprio il caso di
dire – assolutamente azzeccato di tradizione e innovazione che non
potrà che deliziare gli occhi e i palati più esigenti degli ospiti
della Mazda Lounge in una manifestazione che quest’anno come mai in
precedenza sarà una vera e propria Festa nel senso più pregnante
del termine.
Arriva alla Festa del Cinema
di Roma dopo un passaggio al New York Film
Festival, Junun, documentario del
registra Paul Thomas Anderson.
Il documentario musicale segue il chitarrista e compositore
poli-strumentista dei Radiohead, Jonny
Greenwood nel suo viaggio in India a Febbraio 2015, dove è
stato invitato a collaborare con Shye Ben Tzur,
artista israeliano, nella creazione del suo ultimo album.
Insieme al mega produttore dei Radiohead Nigel
Goodrich e alla band locale di corde e fiati che si fanno
chiamare Rajasthan Express, i musicisti si sono
ritrovati a condividere giornate di lavoro nella creazione
dell’album di Ben Tzur nella splendida cornice di una palazzo del
quindicesimo secolo chiamato Mehrangarh Fort
appartenente al Maharaja, con spettacolare vista sopra a Jodhpur
nel nord-ovest dell’India.
Al centro del documentario c’è
indiscutibilmente la musica, che lascia poco spazio a parole che si
potrebbero contare su una mano: il processo di creazione, di stare
insieme, di collaborazione e i progressi sono ripresi dall’occhio
di Paul Thomas Anderson, che apre con una spettacolare ripresa dal
centro del cerchio creato dai musicisti seduti a terra.
Junun in lingua Hindi significa
“passione” o “mania dell’amore” e rappresenta in
pieno la musica che Ben Tour e Greenwood ci fanno ascoltare: le
melodie iniziano piano, delicatamente e crescono ad un ritmo più
insistente e martellante, accompagnati da cantilene che tanto si
avvicinano a richiami di preghiera. Ben Tzur guida il gruppo,
mentre Greenwood, magrolino e frangia lunga a coprire il viso se ne
sta in disparte ricurvo sulla sua chitarra a creare e
osservare.
Non è la prima collaborazione tra
Anderson e Greenwood, ma normalmente è il secondo che si presta
all’arte del primo. Sin dal 2007 il chitarrista ha creato le
colonne sonore per i film di Anderson, partendo da Il
Petroliere, passando per Norwegian Wood
ed …E ora parliamo di Kevin fino a The
Master e Vizio di Forma. Insomma un
sodalizio che funzione di reciproca collaborazione e forse Junun è
un modo per ripagare Greenwood del lavoro svolto: ma ad essere
sinceri Paul Thomas Anderson non si spreca più di
tanto su questo documentario, che fa pensare che il suo passaggio
ai festival sia più dovuto al richiamo del suo nome che al
contenuto stesso. Certo, con uno sguardo esclusivo ci porta
all’interno di questo processo di creazione, ma il più delle volte
il regista sta lì a divertirsi a fare riprese (sì, spettacolari)
con un drone.
Perché sono lì? Perché Jonny
Greenwood è in India? Perché sta collaborando con Shye Ben Tzur?
Non avremo queste risposte da Junun e questo a mio avviso è una
grande pecca. Ma avremo solo 54 minuti di bella musica, che non è
poco.
Sono iniziate ufficialmente le
riprese di Skull Island, il nuovo
film basato sul personaggio celebre di King Kong e oggi dal set
arrivano le prime foto:
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Kong Skull
Island, che uscirà nel 2017, include nel cast
Tom Hiddleston, Brie
Larson e Samuel L.
Jackson.
Il network americano della The CW
ha diffuso il promo ufficiale di Arrow
4×03, il terzo atteso episodio che si intitolerà
“Restoration” e che andrà in onda prossima settimana.
https://youtu.be/VAj9b190vbw
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Arrow è una serie televisiva
statunitense sviluppata da Greg Berlanti, Marc Guggenheim e Andrew
Kreisberg. È basata sul personaggio di Freccia Verde, supereroe
protagonista di una serie di fumetti pubblicata da DC Comics. Viene
trasmessa dal 10 ottobre 2012 sul canale The CW. In Italia la serie
è stata trasmessa in prima visione su Italia 1 dall’11 marzo al 27
maggio 2013. Dal 10 gennaio va in onda in Italia la seconda
stagione su Italia 1, anche se precedentemente la versione
sottotitolata in italiano della stessa stagione è stata trasmessa
dal 22 ottobre 2013 suPremium Action.
La decima edizione della
Festa del Cinema di Roma ospiterà domani, sabato
17 ottobre alle ore 18 presso la Sala Sinopoli, l’Incontro
Ravvicinato con uno dei più celebri e amati attori del panorama
cinematografico internazionale, Jude Law. Due
volte candidato all’Oscar per le sue interpretazioni ne
Il talento di Mr. Ripley e RitornoaCold Mountain, entrambi di Anthony
Minghella, nel corso della sua folgorante carriera,
Jude Law ha recitato per alcuni fra i più celebri
autori del cinema moderno: da Mike Nichols (Closer) a
Steven Spielberg (A.I. – Intelligenza
artificiale), da Sam Mendes (Era mio padre) a Steven
Soderbergh(Contagion, Effetti collaterali) fino a
Martin Scorsese (The Aviator, Hugo Cabret). Attore
straordinariamente versatile, è il protagonista della prima serie
televisiva firmata dal premio Oscar, Paolo Sorrentino, “The Young
Pope”, co-produzione internazionale targata Sky, HBO e Canal+.
Alle ore 19.30 presso la Sala
Petrassi, secondo Incontro Ravvicinato della giornata, protagonista
Renzo Piano, il padre dell’Auditorium Parco della Musica. Senatore
a vita, personalità di spicco della cultura italiana nel mondo,
Piano racconterà al pubblico come l’immaginario cinematografico
dialoghi con l’architettura e del suo personale rapporto con la
settima arte. “Se non fossi architetto avrei sicuramente fatto
cinema” ha rivelato di recente alla stampa.
Nell’ambito dell’omaggio a
Stanley Kubrick, alle ore 18.30 presso il
MAXXI – Museo nazionale delle arti del XXI secolo, si terrà la
proiezione di S Is For Stanley: il
regista Alex Infascelli porta sul grande schermo la storia di
Emilio D’Alessandro, autista personale del grande cineasta
statunitense. Un’amicizia che ha attraversato trent’anni di vita.
Alle ore 21.30, il MAXXI ospiterà, nella linea di programma Work in
Progress, la proiezione di 2 di noi di Ivan
Cotroneo, regista de La kryptonite nella
borsa, presentato in concorso a Roma nel 2011,
scrittore di successo e sceneggiatore premiato con il Globo d’Oro
per Mine vaganti di Ferzan Özpetek. L’interessante progetto
italiano, in fase di realizzazione, sarà proiettato alla presenza
del cast che incontrerà il pubblico dopo la proiezione.
In occasione dell’omaggio a Sergio Corbucci, la Casa del Cinema
ospiterà alle ore 15.30 la proiezione di Sergio Corbucci – L’uomo
che ride di Gioia Magrini e Roberto Meddi. Attingendo
all’autobiografia inedita, il documentario si avvale di materiali
di repertorio dell’Istituto Luce, di foto, filmati amatoriali
privati e delle testimonianze di amici, collaboratori e, in primis,
della moglie Nori. Ad introdurre la pellicola ci sarà Enrico
Vanzina che parlerà del ruolo di Corbucci all’interno della storia
del cinema italiano.
Alle ore 17.30, sempre alla Casa del Cinema, si terrà una
conversazione con Kim Rossi Stuart in occasione della proiezione di
Anche Libero va bene. Il film d’esordio alla regia dell’attore
romano, selezionato dalla Quinzaine des Réalisateurs del Festival
di Cannes, è valso a Kim Rossi Stuart il David di Donatello
come miglior regista esordiente. La pellicola fa parte della linea
di programma “I film della nostra vita”, la stessa di The Last
Tycoon capolavoro di Elia Kazan che sarà proiettato alle ore
21.
Secondo giorno alla
Festa del Cinema di Roma e alle ore 22
arriva Room di Lenny Abrahamson, l’applaudito
thriller vincitore della 40esima edizione del Toronto Film
Festival: il film racconta l’amore sconfinato tra una
madre e il suo bambino, costretti ad un’esistenza intrappolata tra
le mura di una stanza di dieci metri quadri. Ancora per la
Selezione Ufficiale, alle ore 22.30 in Sala Petrassi, la proiezione
di Hiso Hiso Boshi di Sono Sion: la pellicola è incentrata sulla
figura di Machine ID 722, l’androide che muove i passi in un mondo
la cui popolazione è composta per l’80% da robot. Con il computer
di bordo viaggia da un sistema solare all’altro, consegnando pacchi
agli umani; uno dei suoi viaggi lo porta a “Whispering Star”, la
stella dei sussurri, dove ogni rumore superiore a trenta decibel
può uccidere gli abitanti.
Il network americano della ABC ha
diffuso le foto promozionali di Grey’s Anatomy 12×05, il quinto
episodio che si intitolerà “Guess Who’s Coming to Dinner”:
[nggallery id=2023]
Grey’s Anatomy è una
serie televisiva statunitense trasmessa dal 2005. È un medical drama incentrato sulla vita della
dottoressa Meredith Grey, una tirocinante di chirurgia
nell’immaginario Seattle Grace Hospital di Seattle. Il
titolo di Grey’s Anatomy gioca sull’omofonia fra il cognome
della protagonista, Meredith Grey, e Henry Gray, autore del celebre
manuale medico di anatomia Gray’s Anatomy (Anatomia del
Gray). Seattle Grace (poi Seattle Grace Mercy West e,
ulteriormente, Grey Sloan Memorial Hospital) è invece il nome
dell’ospedale nel quale si svolge la serie. I titoli dei singoli
episodi sono spesso i titoli di una o più canzoni.
Inizialmente partita come una serie
in midseason, Grey’s Anatomy ha ben presto attratto
pubblico, ricevendo anche numerosi premi e riconoscimenti nel corso
degli anni. Insieme a Desperate Housewives e Lost, è
considerata una delle serie TV che hanno riportato al successo
il network televisivo statunitense ABC. Nel 2007 ha generato
uno spin-off, Private Practice, di cui è protagonista Kate
Walsh nel ruolo diAddison Montgomery. Un adattamento della serie in
versione soap opera, intitolato A corazón abierto, è andato
in onda in Colombia dal 26 maggio 2010.
Secondo giorno di Festa
di Roma 2015 per la Selezione Ufficiale alle ore
19.30 la Sala Sinopoli dell’Auditorium Parco della Musica ospiterà
il primo film italiano inserito nella Selezione Ufficiale, Lo
chiamavano Jeeg Robot: il lungometraggio
dell’attore e produttore cinematografico italiano Gabriele Mainetti
racconta la storia di Enzo Ceccotti, interpretato da
Claudio Santamaria (Nastro d’Argento come Miglior
Attore Protagonista per Romanzo Criminale) che, dopo aver scoperto
di possedere poteri sovraumani, affronterà la sua vita da
delinquente con uno spirito tutto nuovo.