Alla fine l’uomo uccello,
Birdman, ha sconfitto la concorrenza, si
è librato alto sul Dolby Theatre e ha portato a casa i premi più
ambiti, e forse non tutti quelli meritato. Il film diretto,
co-scritto e co-prodotto dal regista messicano Alejandro
González Iñárritu era trai favoriti dall’inizio della
serata, ma avremmo immaginato che potesse portare a casa la
doppietta miglior film/miglior regia, senza fare un’equa divisione
con il suo concorrente diretto, Boyhood.
L’opera titanica e originalissima di Richard
Linklater ha portato a casa soltanto la statuetta alla
migliore attrice non protagonista, Patricia
Arquette, e per quanto la decisione complessiva possa
essere discutibile, si è trattato senza dubbio di una decisione
precisa, una scelta, da parte dell’Academy, di premiare il cinema
che parla di se stesso, che racconta la sua arte, la sua difficoltà
di nascere e crescere in un mondo dove il botteghino detta
legge.
TUTTI I
VINCITORI
Birdman
ha raccontato tutto questo, con una perizia tecnica rara e con un
coinvolgimento artistico che vede nel mancato Oscar a
Michael Keaton in vero scandalo della serata.
Scandalo solo in parte mitigato dal fatto che il giovane vincitore
nella categoria migliore attore protagonista, Eddie
Redmayne, nonostante fosse il favorito da tempi immemori,
è stato così genuinamente sorpreso e commosso che ha intenerito il
cuore di tutti i sostenitori del primo Batman cinematografico. Il
trionfo dei lentigginosi, potremmo chiamarlo, dal momento che
dall’altra parte, Julianne Moore ha finalmente
vinto un premio che, più che per la sua pur splendida performance
in Still Alice, vale a coronare un’intera
carriera fatta di ruolo eccellenti, di emozioni forti, condivise
con il pubblico in una maniera totale e viscerale. Anche lei,
grondante di lacrime e di gioia, ha contribuito a rendere più bella
la notte degli Oscar.
A rompere il ghiaccio però è stato
JK Simmons, che ha portato a casa il primo di tre
meritati Oscar per Whiplash, l’outsider
che ha stregato l’Academy e che si piazza al secondo posto del
podio per il maggior numero di Oscar vinti. Mentre sul terzo
gradino si affollano in tanti, tutti con un solo premio, il primo
posto è occupato dal citato Birdman, che porta a casa la regia, il
film, la fotografia e la sceneggiatura originale, e da
The Grand Budapest Hotel, il gioiellino
multicolore di Wes Anderson, che conquista tutti i
premi per la messa in scena con l’unico tocco italiano di
quest’anno al Dolby (trucco, scenografia e i costumi di
Milena Canonero a quota quattro statuette) più il
riconoscimento alla colonna sonora di Alexandre
Desplat.
FOTO DAL RED
CARPET
C’è stata qualche sorpresa, e senza
dubbio Boyhood e Linklater stesso
potrebbero addirittura considerarsi i defraudati della serata, e
così la pensano moltissimi fan del progetto ultradecennale, ma c’è
stata anche una sorpresa, brutta, per il miglior film d’animazione,
che ha premiato di nuovo mamma Disney, senz ahce ce ne fosse
oggettivamente merito.
Per quanto riguarda invece la
serata e lo spettacolo, Neil Patrick Harris è
apparso estremamente teso, pronto con la battuta ma forse troppo
poco in confidenza con un palco del genere. Il numero di apertura
ha dimostrato non solo le grandi potenzialità dello showman, ma
anche tutta la sua tensione e il nervosismo per una platea così
prestigiosa. I momenti emozionanti non sono mancati, soprattutto
per quello che riguarda il video In Memoriam,
in cui sono apparsi tanti, troppi, volti cari al grande cinema,
compresa la nostra bellissima e immortale Virna
Lisi (anche se non c’era traccia di Francesco
Rosi), ma anche l’esecuzione di Glory, di
Commom e John Legend, e l’intensa
performance di Lady Gaga che, abbandonati per un
attomo costumi e trucchi eccentrici, si concentra per una volta
solo sulla voce e sull’emozione nel suo omaggio canoro a
Tutti insieme appassionatamente,
lasciando di stucco la platea e dando vita ad un incontro di
generazioni insolito e straniante ma particolarmente intenso quando
la leggendaria Julie Andrews ha fatto il suo
ingresso sul palco.
Interessanti, mai come quest’anno,
anche i discorsi di ringraziamento, dalla richiesta sindacale di
Patricia Arquette, all’invito dello sceneggiatore
di The Imitation
Game, Graham Moore, di
“rimanere strani”, fino alla stoccata finale di Iñárritu che ha
ringraziato l’America, “incredibile nazione di immigrati”.
L’87esima edizione degli Oscar si
chiude con qualche emozione di più rispetto a quella dello scorso
anno, filata invece via come da copione, eppure lascia qualche
rammarico per uno show ingessato, che poteva essere condotto con
più decisione, con più scioltezza, ma certo il Dolby Theatre non è
il palco dei Tony su cui lo showman si senta più a suo agio, e
forse Neil Patrick Harris merita una seconda
chance.