Sarà il regista Alfonso
Cuarón (Y tu mamá también, I figli degli uomini,
Gravity) a presiedere la Giuria internazionale del Concorso
della 72esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica
di Venezia (2 – 12 settembre 2015), che assegnerà il Leone
d’oro per il miglior film e gli altri premi ufficiali.
La decisione è stata presa dal Cda
della Biennale di Venezia presieduto da Paolo Baratta, su proposta
del Direttore della Mostra Alberto Barbera.
Vincitore di due Oscar – per la
miglior regia e il miglior montaggio di Gravity, film
d’apertura della Mostra di Venezia 2013 che ha ottenuto in tutto 7
Oscar – Alfonso Cuarón ha avuto altre quattro nomination agli
Academy Awards®, sempre per film presentati in prima mondiale a
Venezia: Y tu mamá también (2001, miglior sceneggiatura),
I figli degli uomini (2006, miglior sceneggiatura e
miglior montaggio), Gravity (2013, miglior film).
Il legame di Cuarón con la
Mostrarisale dunque al 2001, quando Y tu mamá también
vinse l’Osella per la miglior sceneggiatura (di Carlos e Alfonso
Cuarón) e il Premio Marcello Mastroianni (Gael García Bernal e
Diego Luna). Direttore della Mostra era Alberto Barbera. Nel 2006,
I figli degli uomini vinse l’Osella per la migliore fotografia,
premiando Emmanuel Lubezki, direttore della fotografia anche di
Gravity.
Il settimo Mouse
d’Oro – il premio dei siti di cinema – assegnato alla
Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia va a
Rabin, the Last Day di Amos Gitai, votato
il miglior film del Concorso dai collaboratori dei siti di cinema
che compongono la giuria, mentre il Mouse
d’Argento al miglior film fuori della competizione va a
Spotlight di Tom McCarthy.
La lucida, coraggiosa e potente
ricostruzione filmica messa in scena da Amos Gitai ha da subito
colpito i giurati, rapiti anche dalla sapiente classicità di un
altro film coraggioso come quello di Tom McCarthy.
Un’ambientazione cara ai giurati,
spesso luogo di accese chiacchierate al termine delle proiezioni
della Mostra, che permetterà di mantenere un’atmosfera informale e
conviviale. Interverranno i vincitori e Sara Sagrati, ideatrice e
curatrice del premio, che consegnerà il tradizionale Mouse Pad
commemorativo.
Nato nel 2009 su idea di Hideout.it,
il Mouse d’Oro è cresciuto nel corso degli anni,
arrivando a coinvolgere una giuria sempre più numerosa e variegata
per un totale di 83 siti italiani di cinema e oltre 100
giurati.
Il premio, nato per dare visibilità
ai siti di cinema, è diventato un vero e proprio circuito di
webzine, redazioni e blog che si occupano di informazione, critica,
passione e servizi cinematografici. Un insieme di punti di vista e
voci differenti, che attraverso il Mouse d’Oro
“mediano” le loro preferenze, identificando film capaci di mettere
d’accordo le diverse anime di un luogo vasto e variegato come il
web. Un vero e proprio termometro che misura i gusti e le
preferenze del pubblico interessato al cinema.
I giurati singoli esprimono un voto
numerico da 1 a 10 per tutti i film presenti al Festival. La
classifica viene stilata calcolando la media per sito di
appartenenza che va quindi a formare il voto definitivo.
L’elenco delle webzine aderenti è
nella pagina successiva, mentre l’albo d’oro delle precedenti
edizioni è consultabile online nel sito www.mousedoro.it.
Durante gli ultimi vent’anni la
Turchia è profondamente cambiata, accelerando un corso di
rinnovamento che in superficie si deve al suo primo ministro
(prima, per ben undici anni) e presidente (poi, dal 2014)
Recep Tayyip Erdoğan. Un uomo tutto d’un pezzo,
capace di compiere vere e proprie imprese sul piano economico e di
far entrare la sua nazione nell’Europa “che conta”. Dietro la
facciata patinata esistono però tanti, tantissimi problemi, così
come numerosi segreti e scandali; una libertà di stampa
costantemente minacciata, screzi con Siria e Kurdistan, un sistema
capillare di spie che genera guerre di quartiere anche violente.
Emin Alper, classe 1974 al suo secondo
lungometraggio, prova a raccontare quella Turchia nascosta senza
mai fare un minimo accenno al suo leader, alla politica,
rifugiandosi in un paesino di provincia con le case che cadono a
pezzi e le strade di terra e fango.
Nella mente di Kadir,
il protagonista di Abluka (Follia), non
c’è infatti spazio per l’attualità, ha un compito ben preciso da
portare a termine: fare la spia in incognito, in cambio della
libertà condizionale e un’uscita anticipata di prigione. Un’offerta
impossibile da rifiutare, accade così che, mentre recupera
materiali di cassonetto in cassonetto come farebbe un’ape con il
polline di fiore in fiore, riesce a raccogliere informazioni sulla
gente della baraccopoli sino a diventare paranoico persino sul
fratello Ahmet. Anche Ahmet è uno strumento del governo, incaricato
però di eliminare i cani randagi a colpi di fucile, metafora
esplicita e funzionale che paragona gli animali senza padrone agli
oppositori politici del partito reggente. Quella che sembra una
storia lineare, neppure troppo accattivante, è in realtà una guerra
tra poveri feroce, un labirinto fatto di bombardamenti, di ronde di
polizia, di tradimenti, di violenza, in un non-luogo
terrificante in cui ombre nette e riflettori accecanti la fanno da
padrona.
Forte di un montaggio all’apparenza
senza regole, eppure profondamente studiato,
Abluka inghiotte lo spettatore in una
spirale di pazzia visiva e concettuale dalla quale è difficile
uscire, scappare; si rimane incastrati nella mente dei personaggi,
si diventa a nostra volta paranoici, incapaci di distinguere il
reale dall’irreale. Bisogna escludere soltanto la sequenza finale,
disarmante, ossessiva, durante la quale il vero riemerge dagli
inferi, sbattendoci contro un muro di mattoni messo su alla buona.
A rafforzare un’opera già di per se qualitativamente altissima, la
fotografia di Adam Jandrup, che spinge sui contrasti e riesce a
mettere il freddo nelle ossa e i brividi lungo la schiena. Le fughe
notturne sotto il suono delle bombe, con le camionette della
polizia che vi braccano, non le dimenticherete facilmente.
Figuriamoci il popolo turco, che almeno ora ha una voce.
La Lucky Red di
Andrea Occhipinti porterà nelle sale italiane, il
26 novembre, l’ultimo film di Luca GuadagninoA BIGGER SPLASH, in gara per il Leone
d’oro alla 72° Mostra del Cinema di Venezia.
Prodotto da Studiocanal,
Frenesy Film e in associazione con Cota Film, A BIGGER
SPLASH ha come interpreti uno straordinario cast internazionale
composto da Tilda Swinton, Ralph Fiennes, Dakota Johnson e
Matthias Schoenaerts.
La leggenda del rock Marianne Lane
(Tilda Swinton) è in vacanza sull’isola vulcanica di Pantelleria
con il compagno Paul (Matthias Schoenaerts) quando arriva
inaspettatamente a interrompere la loro vacanza Harry (Ralph
Fiennes), produttore discografico iconoclasta nonché suo ex,
insieme alla figlia Penelope (Dakota Johnson), provocando
un’esplosione di nostalgia delirante dalla quale sarà impossibile
mettersi al riparo.
Fra risate, desiderio e rock’ n’ roll, A Bigger Splash è un
ritratto sensuale che deflagra in violenza sotto il sole del
Mediterraneo
Poche cose sanno essere
imprevedibili come la vita. Basta un infinitesimo di secondo, un
attimo, per ritrovarsi a fare i conti con qualcosa di
inaspettato; per fronteggiare un incidente, la morte stessa, oppure
la salvezza. Nonostante la poca originalità del tema, il maestro
Jerzy Skolimowski (regista de La
ragazza del bagno pubblico,
Moonlighting e persino attore fugace in
The Avengers di
Joss Whedon) gioca con le vite delle persone,
formiche intente a muoversi velocemente in città folte come
formicai. Assistiamo così su schermo a undici minuti casuali di
altrettante storie, un lasso di tempo relativamente breve ma che
riesce a dilatarsi e a contenere diversi punti nodali.
I destini di un marito
geloso che perde la testa, di un’attrice sexy che l’ha sposato, di
un viscido regista di Hollywood (Richard Dormer, ovvero Beric
Dondarrion di Game of Thrones), un corriere della droga piuttosto
strambo, una giovane donna con il suo cane, un venditore di hot dog
in libertà vigilata, uno studente in missione chissà per quale
società segreta, un lavavetri d’alta quota, un disegnatore, una
squadra di paramedici e un gruppo di suore affamate si incontrano
in un finale rallentato, spettacolare e ricco di tensione. Tensione
che accompagna lo spettatore in modo costante durante tutta la
proiezione, grazie a una colonna sonora da thriller puro e a una
regia che trasforma ogni scena in un salto nel vuoto. Esaurito il
tema dell’imprevedibilità dell’esistenza, che ridimensiona l’uomo a
un dead pixel qualsiasi su un schermo
funzionante, 11 Minutes fa però
molta fatica a decollare, a coinvolgere il pubblico su piani
differenti dal puro intrattenimento.
Peccano di genuinità anche le idee
alla base del montaggio alternato, che mescola pochi secondi di
ogni vita, dei fatidici undici minuti, come si fa con le carte di
un mazzo; un meccanismo affatto innovativo, che si può ammirare –
in forma più elementare, certo – persino ne I
Simpson, episodio Trilogia di una Giornata nella
stagione 12. Nell’episodio viene mostrata la medesima giornata dal
punto di vista di Bart, di Homer e di Lisa. Tornando al film, non è
neppure chiaro se il numero undici sia simbolico o meno: i
grattacieli presenti, gli aerei, la stanza d’albergo 1111, fanno
implicitamente pensare alle Torri Gemelle e all’11 settembre, ma
troviamo improbabile una connessione diretta. La sola natura che
resta esplicita, davanti agli occhi di tutti, è tecnica, infatti
senza alcun dubbio si può parlare di un prodotto realizzato
splendidamente, con un’ottima fotografia e un alto senso del
divertimento. L’autore polacco si diverte, e si vede, e tenta
di divertire, guardare il tutto con piglio troppo critico e
aspettative di spessore può solo rovinare l’esperienza, se non
distruggerla.
Ieri è stato anche il giorno di
Equals e di Kristen
Stewart al Lido. Sul red carpet di Venezia 72 la giovane
attrice ha sfilato in compagnia di Nicholas Hoult,
sua co-star e volto noto al grande pubblico.
La 72ª edizione della Mostra
internazionale d’arte cinematografica avrà luogo a Venezia dal 2 al
12 settembre 2015, anche quest’anno sarà diretta da Alberto Barbera
e organizzata dalla Biennale presieduta da Paolo Baratta.
La madrina della rassegna sarà
l’attrice italiana Elisa Sednaoui. L’elenco dei film in programma
alla 72ª Mostra è stato annunciato nel corso della conferenza
stampa di presentazione che si è tenuta il 29 luglio 2015 a Roma.
Il film di apertura del festival sarà Everest, del regista Baltasar
Kormákur.
La giuria sarà presieduta dal
regista messicano Alfonso Cuarón.
NB Tutte le foto dei primi tre
giorni di Festival sono state scattate dalla fotografa di
Cinefilos.it Aurora Leone.
Si è tenuta ieri l’attesa cerimonia
d’apertura di Venezia 72, settantaduesima
Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia e oltre alla
giuria a sfilare sul cast c’è stato il cast internazionale del film
d’apertura Everest e molti altri volti
noti del panorama italiano. Ecco tutte le foto:
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(Foto di Aurora Leone)
La 72ª edizione della Mostra
internazionale d’arte cinematografica avrà luogo a Venezia dal 2 al
12 settembre 2015, anche quest’anno sarà diretta da Alberto Barbera
e organizzata dalla Biennale presieduta da Paolo Baratta.
La madrina della rassegna sarà
l’attrice italiana Elisa Sednaoui. L’elenco dei film in programma
alla 72ª Mostra è stato annunciato nel corso della conferenza
stampa di presentazione che si è tenuta il 29 luglio 2015 a Roma.
Il film di apertura del festival sarà Everest, del regista Baltasar
Kormákur.
La giuria sarà presieduta dal
regista messicano Alfonso Cuarón.
E’ oggi il gran giorno del Premio
Oscar Eddie Redmayne a Venezia
72, l’attore insieme a Amber Heard e Tom
Hopper ha presentato il suo ultimo
film The Danish Girl, in concorso
alla settantaduesima Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia. Ecco
tutte le foto:
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(Foto di Aurora
Leone)
La 72ª edizione della Mostra
internazionale d’arte cinematografica avrà luogo a Venezia dal 2 al
12 settembre 2015, anche quest’anno sarà diretta da Alberto Barbera
e organizzata dalla Biennale presieduta da Paolo Baratta.
La madrina della rassegna sarà
l’attrice italiana Elisa Sednaoui. L’elenco dei film in programma
alla 72ª Mostra è stato annunciato nel corso della conferenza
stampa di presentazione che si è tenuta il 29 luglio 2015 a Roma.
Il film di apertura del festival sarà Everest, del regista Baltasar
Kormákur.
La giuria sarà presieduta dal
regista messicano Alfonso Cuarón.
Eddie Redmayne, con
tutto il cast di The Danish Girl, ha
fatto la sua comparsa, come al solito timida e modesta, sul red
carpet del Lido. Con lui, presente anche la moglie con le magifiche
compagne di set, Amber Heard (con tanto di
marito Johnny Depp a seguito) e Alicia
Vikander (purtroppo senza il suo attuale compagno,
Michael Fassbender), il regista Tom
Hooper e Matthias Schoenaerts.
La 72ª edizione della Mostra
internazionale d’arte cinematografica avrà luogo a Venezia dal 2 al
12 settembre 2015, anche quest’anno sarà diretta da Alberto Barbera
e organizzata dalla Biennale presieduta da Paolo Baratta.
La madrina della rassegna sarà
l’attrice italiana Elisa Sednaoui. L’elenco dei film in programma
alla 72ª Mostra è stato annunciato nel corso della conferenza
stampa di presentazione che si è tenuta il 29 luglio 2015 a Roma.
Il film di apertura del festival sarà Everest, del regista Baltasar
Kormákur.
La giuria sarà presieduta dal
regista messicano Alfonso Cuarón.
NB Tutte le foto dei primi tre
giorni di Festival sono state scattate dalla fotografa di
Cinefilos.it Aurora Leone.
Si inizia nel segno delle donne
Venezia 72, il Festival di
Venezia 2015 arrivato alla sua settantaduesima
edizione. Infatti la mattinata ha visto protagonista le giurate che
rispondono al nome di Diane Kruger, Elizabeth Banks,
Paz Vega. Ma ovviamente non solo. Tutte le foto:
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(Foto di Aurora Leone)
La 72ª edizione della Mostra
internazionale d’arte cinematografica avrà luogo a Venezia dal 2 al
12 settembre 2015, anche quest’anno sarà diretta da Alberto Barbera
e organizzata dalla Biennale presieduta da Paolo Baratta.
La madrina della rassegna sarà
l’attrice italiana Elisa Sednaoui. L’elenco dei film in programma
alla 72ª Mostra è stato annunciato nel corso della conferenza
stampa di presentazione che si è tenuta il 29 luglio 2015 a Roma.
Il film di apertura del festival sarà Everest, del regista Baltasar
Kormákur.
La giuria sarà presieduta dal
regista messicano Alfonso Cuarón.
Ecco le immagini dal red carpet di
Non essere cattivo, di Claudio
Caligari, presentato a Venezia 72 Fuori Concorso da
Valerio Mastandrea e dai protagonisti,
Alessandro Borghi e Luca
Marinelli.
La 72ª edizione della Mostra
internazionale d’arte cinematografica avrà luogo a Venezia dal 2 al
12 settembre 2015, anche quest’anno sarà diretta da Alberto Barbera
e organizzata dalla Biennale presieduta da Paolo Baratta.
La madrina della rassegna sarà
l’attrice italiana Elisa Sednaoui. L’elenco dei film in programma
alla 72ª Mostra è stato annunciato nel corso della conferenza
stampa di presentazione che si è tenuta il 29 luglio 2015 a Roma.
Il film di apertura del festival sarà Everest, del regista Baltasar
Kormákur.
La giuria sarà presieduta dal
regista messicano Alfonso Cuarón.
NB Tutte le foto dei primi tre
giorni di Festival sono state scattate dalla fotografa di
Cinefilos.it Aurora Leone.
Di seguito le immagini dal red
carpet di A Bigger Splash (qui la recensione), film in concorso alla
Mostra di Venezia 72, diretto da Luca Guadagnino
con Tilda Swinton, Ralph Fiennes, Dakota
Johnson e Matthias Schoenaerts.
Oltre al film di Guadagnino, anche
alcuni scatti dalla premiere di Man Down,
diretto da Dito Montiel con Shia
LaBeouf.
La 72ª edizione della Mostra
internazionale d’arte cinematografica avrà luogo a Venezia dal 2 al
12 settembre 2015, anche quest’anno sarà diretta da Alberto Barbera
e organizzata dalla Biennale presieduta da Paolo Baratta.
La madrina della rassegna sarà
l’attrice italiana Elisa Sednaoui. L’elenco dei film in programma
alla 72ª Mostra è stato annunciato nel corso della conferenza
stampa di presentazione che si è tenuta il 29 luglio 2015 a Roma.
Il film di apertura del festival sarà Everest, del regista Baltasar
Kormákur.
La giuria sarà presieduta dal
regista messicano Alfonso Cuarón.
NB Tutte le foto dei primi tre
giorni di Festival sono state scattate dalla fotografa di
Cinefilos.it Aurora Leone.
Secondo giorno ieri a Venezia 72, e
sul red carpet il mattatore è stato Mark Ruffalo,
l’attore insieme a Stanley Tucci ha
presentato Spotlight. Ecco tutte le foto del red carpet di
ieri sera:
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(Foto di Aurora Leone)
La 72ª edizione della Mostra
internazionale d’arte cinematografica avrà luogo a Venezia dal 2 al
12 settembre 2015, anche quest’anno sarà diretta da Alberto Barbera
e organizzata dalla Biennale presieduta da Paolo Baratta.
La madrina della rassegna sarà
l’attrice italiana Elisa Sednaoui. L’elenco dei film in programma
alla 72ª Mostra è stato annunciato nel corso della conferenza
stampa di presentazione che si è tenuta il 29 luglio 2015 a Roma.
Il film di apertura del festival sarà Everest, del regista Baltasar
Kormákur.
La giuria sarà presieduta dal
regista messicano Alfonso Cuarón.
E’ il gran giorno del film
d’apertura del Festival di Venezia 2015,
arrivato alla sua settantaduesima edizione e questa mattina la
stampa ha visto Everest,
l’atteso film che darà il via alla Mostra d’Arte Cinematografica.
Ebbene a quanto pare il film ha ricevuto un’accoglienza piuttosto
tiepida, niente applausi e niente fischi. Dai primi commenti la
pellicola è descritta come un film con un’ottimo inizio action e
una seconda parte survival già vista. Punto di forza invece è la
storia, realmente accaduta. Ora no resta che aspettare il cast del
film per la conferenza stampa.
Ispirato agli incredibili eventi
riguardanti il tentativo di raggiungere la vetta della montagna più
alta al mondo, Everest documenta il formidabile viaggio di due
diverse spedizioni spinte oltre i loro limiti da una delle tempeste
di neve più feroci mai viste dal genere umano.
Con la loro tempra e il proprio
coraggio messi a dura prova dagli elementi più impietosi del
pianeta, gli scalatori dovranno superare ostacoli quasi
invalicabili e la loro eterna ossessione diventerà una lotta
all’ultimo respiro per la sopravvivenza. L’epica avventura vede nel
cast Jason Clarke, Josh Brolin, John Hawkes, Robin Wright , Michael
Kelly, Sam Worthington, Keira Knightley, Emily Watson e Jake
Gyllenhaal.
Everest è diretto da Baltasar
Kormákur (“2 Guns”, “Contraband”) e prodotto da Tim Bevan di
Working Title Films, Eric Fellner, Brian Oliver di Cross Creek
Pictures e Tyler Thompson, insieme a Nicky Kentish Barnes e
Kormákur.
Universal Pictures e Walden Media
presentano Everest, in associazione con Cross Creek Picture,
adattato per lo schermo da William Nicholson (“Il Gladiatore”) e
dal premio Oscar® Simon Beaufoy (“The Millionaire”).
Il film è stato girato in Nepal
nelle colline pedemontane dell’Everest, sulle Alpi italiane e
presso gli Studios di Cinecittà a Roma e i Pinewood Studios nel
Regno Unito.
Universal distribuirà Everest in tutto il mondo.
Ecco gli scatti del red carpet di
questa sera, al Festival di Venezia, durante il quale
Johnny Depp si è regalato ai fan con
grande generosità. Con lui sul tappeto rosso fuori alla Sala Grande
c’erano il regista di Black
Mass (leggi la recensione), Scott
Cooper, Joel Edgerton, Dakota Johnson e
la moglie di Depp, Amber Heard.
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(Foto di Aurora
Leone)
La 72ª edizione della Mostra
internazionale d’arte cinematografica avrà luogo a Venezia dal 2 al
12 settembre 2015, anche quest’anno sarà diretta da Alberto Barbera
e organizzata dalla Biennale presieduta da Paolo Baratta.
La madrina della rassegna sarà
l’attrice italiana Elisa Sednaoui. L’elenco dei film in programma
alla 72ª Mostra è stato annunciato nel corso della conferenza
stampa di presentazione che si è tenuta il 29 luglio 2015 a Roma.
Il film di apertura del festival sarà Everest, del regista Baltasar
Kormákur.
La giuria sarà presieduta dal
regista messicano Alfonso Cuarón.
Serata di grande cinema ieri a
Venezia 72. Il red carpet antistante alla Sala Grande ha visto
sfilare Marco Bellocchio, che presenta
Sangue del mio Sangue, e Charlie
Kaufman, per Anomalisa. Con i
due famosi registi c’erano, rispettivamente, Alba
Rohrwacher, e Lidiya Liberman,
e Jennifer Jason Leigh. Ecco gli scatti:
La 72ª edizione della Mostra
internazionale d’arte cinematografica avrà luogo a Venezia dal 2 al
12 settembre 2015, anche quest’anno sarà diretta da Alberto Barbera
e organizzata dalla Biennale presieduta da Paolo Baratta.
La madrina della rassegna sarà
l’attrice italiana Elisa Sednaoui. L’elenco dei film in programma
alla 72ª Mostra è stato annunciato nel corso della conferenza
stampa di presentazione che si è tenuta il 29 luglio 2015 a Roma.
Il film di apertura del festival sarà Everest, del regista Baltasar
Kormákur.
La giuria sarà presieduta dal
regista messicano Alfonso Cuarón.
NB Tutte le foto dei primi tre
giorni di Festival sono state scattate dalla fotografa di
Cinefilos.it Aurora Leone.
La 72ª edizione della Mostra
internazionale d’arte cinematografica avrà luogo a Venezia dal 2 al
12 settembre 2015, anche quest’anno sarà diretta da Alberto Barbera
e organizzata dalla Biennale presieduta da Paolo Baratta.
La madrina della rassegna sarà
l’attrice italiana Elisa Sednaoui. L’elenco dei film in programma
alla 72ª Mostra è stato annunciato nel corso della conferenza
stampa di presentazione che si è tenuta il 29 luglio 2015 a Roma.
Il film di apertura del festival sarà Everest, del regista Baltasar
Kormákur.
La giuria sarà presieduta dal
regista messicano Alfonso Cuarón.
NB Tutte le foto dei primi tre
giorni di Festival sono state scattate dalla fotografa di
Cinefilos.it Aurora Leone.
Words with
Gods mostra nove potenti storie in cui le credenze
religiose giocano un ruolo centrale nella vita dei protagonisti che
sono accomunatati dall’esperienza di nascita e di morte, di fede
perduta e ritrovata. Le nove diverse culture si incontrano
nell’originalità delle firme dei nove registi internazionali che
attraverso il loro sguardo raccontano: la spiritualità aborigena
(Warwik Thoron), la religione umbanda
(Héctor Bebnco), l’induismo (Mira
Nair), il buddismo (Hideo Nakata),
l’ebraismo (Amos Gitai), il cattolicesimo
(Álex de la Iglesia), il cristianesimo ortodosso
(Emir Kustica), l’islam (Bahman
Gobadhi) e infine l’ateismo (Guillermo
Arriga).
Presentato Fuori
concorso alla 71° Mostra Internazionale d’Arte
Cinematografica di Venezia e basato su un’idea di
Guillermo Arriaga con la supervisione a cura di
Mario Vargas Llosa, il documentario trascina lo
spettatore in un racconto esistenzialista, che sottolinea la
filosofia predominante di ogni religione in maniera tale da
cogliere l’essenza e di far conoscere quel “diverso” che tanto fa
paura.
Contraddistinto da tratti ironici, allegorici con un accurata e
precisa idea registica, i nove capitoli rendono il documentario
comprensibile a tutti andando a creare un forte legame tra un
episodio e l’altro. I grandi silenzi, le musiche, le domande della
quotidianità rendono la visione un immersione in una conoscenza che
supera la barriera linguistica trovandoci a seguire questi
personaggi che riflettono sui grandi eventi della vita. La macchina
da presa diventa l’occhio, che si esime da ogni concetto che
potrebbe spostare il discorso in questioni socio-politiche e che
preferisce suggestionare con le sue inquadrature. Si attraversano
così i silenziosi e interminabili scenari australiani della cultura
aborigena che si oppongono alla frenesia della parentesi induista,
caricata di ironia e metafore. Mentre dall’altra parte de la
Iglesia predilige il paradosso in chiave tragicomica sul sacramento
cattolico della Confessione che inevitabilmente si
contrasta con il bellissimo piano sequenza con movimento laterale
del Libro di Amos per l’ebraismo. Ma il documentario non
perde di vista il suo scopo universale, ovvero mostrare come la
religione affronta le perdite o i grandi cambiamenti epocali, come
ci mostra Bebnco nella storia del padre che perde il figlio o
vivendo le emozioni di un superstite dello Tsunami del 2011 con
Nakata.
Seppur le storie siano
caratterizzate da un grande dramma narrativo, la maestria di questi
registi sta nel tessere storie di religione e non trattati di
teologia, ideate con un taglio attuale e fresco fatto di esempi a
noi vicini senza ricordare trascorsi storici. Si elimina così tutto
lo sconcerto a cui ci ha abituato il rimpallo mediatico della
cronaca di guerra e presentando una bella fotografia globale sulle
diversità e il significato delle religioni.
La 71. Mostra
Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia diventa ancora una
volta, grazie a Microcinema, occasione di riflessione sul cinema,
con il Convegno “CINEMA. PASSATO, PRESENTE, FUTURO. DI CHE
TEMPO SEI?”, che avrà luogo domenica 31
Agosto 2014 alle ore 10.15 presso lo Spazio Incontri del
Venice Film Market / Industry Office – Hotel Excelsior.
Dal 70mm imponente e
avvolgente di 2001: Odissea nello Spazio al nuovo e
spettacolare IMAX di Transformers 4. La fine di un vero
cinema o il futuro di un nuovo cinema?Questo il tema del
convegno che vuole stimolare una riflessione sui cambiamenti che
hanno caratterizzato il cinema negli ultimi anni e sulla possibile
strada che ci sarà riservata sul grande schermo.
Il convegno a cura di
CesareFragnelli, Direttore di Microcinema
Distribuzione, e moderato da Silvana Molino, Direttore
Generale di Microcinema, sarà aperto dal saluto introduttivo
di Nicola Borrelli, Direttore MiBACT Direzione
Generale per il Cinema e Roberto Bassano, Amministratore
Delegato di Microcinema.
Il focus vedrà ospiti Lionello
Cerri, Presidente ANEC; Francesca Cima, Indigo Film –
Presidente dei Produttori Italiani; Giovanni Dolci,
Vicepresidente IMAX; Luigi Lonigro, Direttore Divisione 01
– Rai Cinema, Vice Presidente Distributori; Andrea
Occhipinti, Presidente Lucky Red – Presidente Coordinatore dei
Distributori Cinematografici Italiani.
Nell’ambito del Convegno sarà
presentato in anteprima il settimo volume della collana “I Quaderni
di Microcinema” MEMORIA E GLORIA e sarà consegnato il Premio
Microcinema alla sala cinematografica che più si è distinta nella
diffusione dell’Opera Lirica in Italia nella stagione
2013-2014.
L’attore
Viggo Mortensen ha presentato il suo ultimo film
in concorso 71esima mostra del cinema, Loin des hommes di David Oelhoffen con Reda Kateb.
“Questo
film non è una ripresa ideologica di quel periodo in Algeria. Il
nostro è uno dei film più sovversivi perché non c’è niente oggi di
più sovversivo dell’amore e della comprensione per gli altri”.
“La cosa più difficile – spiega – è stato cambiare il mio
accento francese. Era più difficile imparare l’arabo da zero“.
Un film che ha impegnato l’attore su più fronti: “Ho imparato
tanto, sull’Algeria e sulla Francia. Ho letto tutto ciò che ha
scritto Albert Camus, ho viaggiato, ho vissuto nei luoghi e
ascoltato la gente. Dovevo sentire cosa sentiva il mio personaggio,
in quei luoghi, e che cosa provava nei confronti della
morte”
1954. Nel cuore di un freddo inverno
scoppia la guerra civile in un remoto villaggio algerino. Due
uomini sono costretti a fuggire sulle creste della catena montuosa
Atlas. Daru, insegnante solitario, scorta Mohamed, un dissidente
accusato di omicidio inseguito dalle autorità. Durante
quest’avventura tra i due si sviluppa un legame molto profondo:
insieme decidono di ribellarsi e combattere per la loro
libertà.
È il giorno di Valeria Bruni Tedeschi alla 29. Settimana
Internazionale della Critica: l’attrice sarà a Venezia domani,
sabato 30 agosto, per presentare TERRE BATTUE, il film d’esordio
del francese Stéphane Demoustier, coprodotto dai fratelli
Dardenne.
Fin dove siamo disposti a spingerci pur di raggiungere i nostri
traguardi? Quali e quante regole siamo pronti a infrangere nella
corsa al successo? I protagonisti del film – Jérôme, manager che ha
appena deciso di lasciare il suo vecchio lavoro e di mettersi in
proprio, e suo figlio Ugo, giovanissima promessa del tennis col
sogno di essere ammesso al centro d’allenamento del Roland Garros –
lo scopriranno sulla propria pelle, incuranti dei dubbi di Laura,
moglie e madre “estranea” ai facili entusiasmi degli uomini di
casa.
«Sono stato ispirato dall’idea del tennis come modello in
miniatura della società in cui viviamo», spiega Demoustier, che
all’ambiente dello sport giovanile aveva già dedicato il
cortometraggio Les petits joueurs, su tre “baby campioni” di
tennis. Ancora una volta, l’agonismo “a fil di rete” diventa
metafora del mondo di oggi e della sua esasperata
competitività.
Coproduttori di Terre Battue sono i fratelli Dardenne (sempre in
prima linea nel raccontare la crisi dei nostri giorni), che
“prestano” al film l’icona del loro cinema, Olivier Gourmet: ma,
accanto a lui e al giovane Charles Mérienne, è la presenza di
Valeria Bruni Tedeschi, nei panni di Laura, a colpire lo spettatore
con il suo sguardo disilluso.
E’ stato assegnato il 2
settembre nella Sala Grande del Lido il Leone d’Oro alla Carriera a
Thelma Schoonmaker, leggendaria montatrice di
Martin Scorsese. La Schoonmaker è stata
premiata per il lavoro di una vita, e non è da escludere che nelle
motivazioni che hanno spinto il Cda della Biennaledi Venezia presieduto da Paolo Baratta, ad assegnarle il premio ci sia
anche il suo straordinario lavoro svolto per The Wolf of Wall Street, ultimo film di
Scorsese in cui Thelma, ancora una volta, conferma la sua mano
esperta e il uso tocco quasi autoriale.
Durante
la cerimonia di premiazione è stato anche trasmesso un video
messaggio di Scorsese stesso.
Thelma Schoonmaker è nata ad
Algeri, in Algeria, dove suo padre lavorava per la Standard Oil
Company. È cresciuta sull’isola di Aruba e dopo essere tornata
negli Stati Uniti ha frequentato la Cornell University, dove ha
studiato scienze politiche e lingua russa per intraprendere la
carriera diplomatica. Mentre faceva ricerche alla Columbia
University, ha risposto a un’offerta di lavoro del New York Times
per un corso da assistente montatore. Il lavoro sul campo ha fatto
nascere in lei il desiderio di conoscere meglio il mondo del
montaggio, dando così l’avvio alla sua carriera. Durante un corso
estivo di sei settimane alla New York University Film School ha
incontrato Martin Scorsese e Michael Wadleigh e dopo pochi anni ha
montato il primo lungometraggio di Scorsese Who’s that
Knocking at My Door (Chi sta bussando alla mia porta?, 1967).
Ha poi montato una serie di film e pubblicità prima di
supervisionare, nel 1971, il montaggio del film di
Wadleigh Woodstock, per il quale ha ricevuto una
nomination agli Oscar. Nel 1981 ha vinto l’Oscar, l’American Cinema
Editors Eddie Award e il BAFTA per il montaggio di Raging
Bull (Toro Scatenato, 1980) di Martin Scorsese. Da allora ha
lavorato a tutti i lungometraggi di Scorsese: The King of
Comedy (Re per una notte, 1982), After Hours (Fuori
orario, 1985), The Color of Money (Il colore dei
soldi, 1986), The Last Temptation of Christ (L’ultima
tentazione di Cristo, 1988), New York
Stories (segmento Life Lessons,
1989),GoodFellas (Quei bravi ragazzi, 1990) per il quale ha
vinto un BAFTA e ricevuto una nomination agli Oscar, Cape
Fear (Cape Fear – Il promontorio della paura,
1991), The Age of Innocence (L’età dell’innocenza,
1993), Casino (1995), Kundun (1997), A
Personal Journey with Martin Scorsese through American
Movies (Un secolo di cinema – Viaggio nel cinema
americano di Martin Scorsese, 1995), Bringing out the
Dead (Al di là della vita, 1999), Il Mio Viaggio in
Italia (2001), Gangs of New York (2002)
per il quale ha ricevuto un’altra nomination agli Oscar e vinto
l’American Cinema Editors Eddie Award per Miglior montaggio di un
film drammatico, The Aviator (2004), per il quale
ha vinto il suo secondo Oscar e un altro American Cinema Editors
Eddie Award per Miglior montaggio di un film
drammatico, The Departed (The Departed – Il bene e il
male, 2006) per il quale vince il suo terzo Oscar e il quarto
American Cinema Editors Eddie Award per Miglior montaggio di un
film drammatico (ex-equo con Babel), Shutter
Island(2010), Hugo (Hugo Cabret, 2011) per il quale
riceve una nomination agli Oscar, una agli American Cinema Editors
Award e una ai BAFTA e il più recente The Wolf of Wall
Street (2013) per il quale ha ricevuto una nomination agli
American Cinema Editors Award e una ai BAFTA.
Oltre al montaggio, Schoonmaker lavora senza sosta
per promuovere i film e gli scritti del marito, il regista Michael
Powell: The Red Shoes (Scarpette rosse,
1948), Black Narcissus (Narciso nero,
1947), The Life and Death of Colonel Blimp (Duello a
Berlino, 1943), I Know where I’m Going (So dove
vado, 1945), A Matter of Life and Death (Scala al
Paradiso, 1946), The Tales of Hoffmann (I racconti di
Hoffmann), Peeping Tom (L’occhio che uccide,
1960).
Il sesto Mouse
d’Oro – il premio dei siti di cinema – assegnato alla
Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia va a
The Look of Silence di Joshua Oppenheimer, votato il miglior film del
Concorso dai collaboratori degli 81 siti di cinema che compongono
la giuria, mentre il Mouse d’Argento al miglior
film fuori della competizione va a Olive
Kitteridge di Lisa Cholodenko.
Per la prima volta il Mouse d’Oro va
a un documentario, se fosse possibile ridurre al termine
documentario il lavoro Joshua Oppenheimer, e il Mouse d’Argento
rompe altri due primati: vince non un film ma una miniserie tv,
ovvero la nuova produzione HBO, e una regista donna.
Dopo aver sentito la voce
dei carnefici, ecco le voci, silenziose, dignitose e dimesse, delle
vittime. Joshua Oppenheimer ci riporta in Indonesia per
farci scoprire l’altra faccia del genocidio del 1965. In
The Act of Killing, magistrale racconto
del tragico evento per bocca degli aguzzini, il regista nominato
all’Oscar ci trasporta dall’altra parte e ci racconta le
testimonianze delle vittime di quella tremenda tragedia umana,
passata tristemente sotto silenzio. Il racconto di The
Look of Silence, si trasforma in un viaggio nel cuore
di una famiglia che ha vissuto sulla sua pelle la drammatica
esperienza. Dal punto di vista formale, il lavoro di Oppenheimer,
complementare al documentario precedente, è meno ambizioso ma forse
più denso.
Visivamente il film è fregiato di
una fotografia luminosa e vivace, in contrapposizione con
l’oscurità dell’umanità che viene tratteggiata nelle testimonianze
dei sopravvissuti. I quadri boscosi in cui campeggiano queste
piccole figure nobili e allo stesso tempo rattrappite dal tempo
sembrano veri dipinti in cui l’essere umano soccombe sotto la
florida bellezza di una natura accecante.
Il tono del racconto viene a tratti
alleggerito da inserti di quotidiana familiarità che fanno
sorridere ma testimoniano anche l’estrema delicatezza del regista
stesso ad inserirsi in un discorso in realtà tanto complesso quanto
appare semplice e limpido nei discorsi dei protagonisti.
The Look of
Silence è stato presentato in concorso alla
71esima edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica
di Venezia.
The Lack
rappresenta le quattro variazioni sul tema de la “mancanza”. Un
film interpretando da sei personaggi femminili, immersi in una
natura silenziosa e primitiva, che affrontano il loro viaggio di
conoscenza in una natura sublime e misteriosa ripercorrendo il loro
percorso interiore, cercando di ricomporre i pezzi della loro
esistenza frantumata e di colmarne il vuoto.
Presentato nella sezione
Giornate degli autori alla 71° Mostra
Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia il
film dei Masbedo, composto dal duo di video
artisti Nicolò Massazza e Iacopo
Bedogni. Pone un interessate sguardo interiore sulla
fragilità femminile in uno dei momenti più cruciali dell’essere
umano, l’assenza. Per affrontare una tematica così articolata il
film adotta la classica struttura per capitoli che meglio ci aiuta
nella compressione della visione del tutto unica e originale della
pellicola. Sin dall’incipit del film una tenda da circo, che
sarà luogo di un “tetro spettacolo” di angosce e ansie, vengono
presentate attraverso un “prologo” le sei donne si mostrano con il
loro oggetto-simbolo che incarna il loro stallo emotivo. Le storie
vengono pian piano approfondite attraverso i capitoli, cominciando
con Eve (Lea Mornar) che lascia la stanza per
affrontare il tema dell’abbandono, per poi seguire Xiù (Xin
Wang) e il suo rapporto con il ricordo, Anja
(Giorgia Sinicori) e Nour (Ginevra
Bulgari) che affronteranno da due prospettive opposte il
distacco ed infine Greta (Emanuela Villagrossi) e
Sarah (Cinzia Brugnola) che con l’escamotage della
seduta psichiatrica ricuciono il loro passato spezzato.
La regia studia attentamente, come solo la video arte riesce a
fare, ogni dettaglio, fuoco e movimento di macchina per entrare in
sintonia più con il flusso di coscienza che con un impostazione
dialettale, i film diventa così un caleidoscopio di colori e
immagini suggestive da vari scenari del mondo che cercano di
sposare l’intimo travaglio che queste donne, nel silenzio delle
parole, cercano di vivere ed emergere restituendo anche la forza
con cui il gentil sesso mostra la sua più intima fragilità.
Seppur le interpretazioni delle attrici siano state convincenti è
il lavoro di Benny Atria che completa il film.
Attraverso il suono, caratterizzato da rumori e respiri interrotti
da un emozione crescente, nonché dal montaggio di immagini,
sincopate nelle scene più tormentate e contraddistinto da lunghe
dissolvenze nel raccordo tra un racconto e l’altro, che riescono a
riportare l’esatta unità visiva che rende il film completo.
Ciò in cui pecca la sceneggiatura è la troppa poetica ed ermeticità
con cui viene affrontato il tema. Se le storie riescono a ricreare
l’esatta dimensione sensoriale ed emotiva della mancanza di queste
donne, spesso il “discorso” si perde in un passaggio
autoreferenziale di troppo a discapito del coinvolgimento dello
spettatore, che subisce passivamente la scena più che partecipare
all’enorme potenza visiva del film.
La regista iraniana
Rakhshan Banietemad ci racconta il suo Paese oggi,
attraverso storie, racconti spezzettati e personaggi/persone
all’interno di una società vivace, attiva e brulicante di piccole
racconti che aspettano solo di essere portati alla luce. Lo fa in
Tales (in originale
Ghesseha), presentato in concorso alla
71esima edizione della Mostra Internazionale del Cinema di
Venezia.
Ogni racconto, nel film della
Banietemad, ci conduce in quello successivo, che non ha nessun
legame con il precedente e ci racconta altre difficoltà, altre
sofferenze, altre storie, appunto, immerse però nello stesso
contesto brulicante e vivace. Figura ricorrente del racconto
generale è il reporter, colui che film ogni accadimento e lo rende
in qualche modo immortale, perchè i filmati, verranno comunque
visti da qualcuno che sarà pronto ad accogliere il messaggio
trasmesso, anche se chi li ha realizzati non ci sarà più.
L’intenzione della regista
è quindi metterci, forse, davanti ad una realtà di cui siamo
testimoni ma sulla quale non abbiamo assulutamente controllo, un
flusso continuo di vita che a volte annoia, altre volte coinvolge
ed emoziona, esattamente come la vita di ogni giorno in ogni angolo
del mondo. Certo l’occhio privilegiato, la sensibilità della
regista, va a scovare situazioni che sono rappresentative dell’Iran
di oggi, proponendo dinamiche a volte lontanissime dalla cultura
occidentale, ma che allo stesso tempo ci accomunano ad ogni
personaggio, uomo e donna, che finisce sotto l’occhio della
camera.
Ambientato in un villaggio
nell’Anatolia, Sivas racconta la storia di un ragazzino di undici anni,
Aslan, e di un cane da combattimento, Sivas, che il bambino cura
dopo che questo è stato ferito in una delle battaglie che ha perso.
Tra loro si sviluppa un legame d’amicizia molto forte.
Parallelamente, Aslan è impegnato a scuola in una rappresentazione
di Biancaneve e i Sette Nani in cui però vorrebbe essere
il principe azzurro per conquistare il cuore di una bambina, Ayse,
che interpreta Biancaneve. Suo rivale in amore è Osman, figlio del
capo del villaggio. Aslan cercherà di sfruttare
Sivas per impressionare la bambina, e
intanto il cane comincerà di nuovo a combattere e a vincere una
duello dopo l’altro.
Il film di Kaan
Müjdeci, presentato in concorso al Festival dei Venezia
edizione 2014, ci racconta una storia di formazione e d’amicizia,
un racconto che potrebbe definirsi il fratello ‘bastardo’ del film
francese Belle e Sebastien, che ha
sbancato i nostri botteghini la scorsa primavera. Fratello
‘bastardo‘ perchè, a differenza dell’altro film,
Sivas è un racconto violento e sporco, in
cui il bambino protagonista combatte anche con una quotidianità non
felicissima e comunque violenta.
Il film fatica a decollare
perdendosi per strada la contestualizzazione scolastica che poteva
essere un’ottima cornice, concentrandosi sull’aspetto dei
combattimenti per cani. Sbilanciando il racconto molto in avanti
nel tempo, Sivas sembra cominciare ad incalzare lo spettatore
troppo tardi, facendo cadere l’attenzione più volte nella parte
iniziale del film e lasciando l’impressione ce si concluda troppo
presto, con qualcosa di ancora non detto.
Co-protagonisti mozzafiato sono i
paesaggi immensi, sconfinati degli altipiani dell’Anatolia,
straordinarie lande che raramente vediamo sul grande schermo e che
conservano anche nel XXI secolo un sapore antico e primordiale,
dove la natura regna ancora sovrana.
Il 02 Settembre è anche il giorno di Shinya
Tsukamoto, che presenta il suo ultimo film
Nobi (Fires on the
Plain) al 71esima edizione del Festival del
Cinema di Venezia.
Siamo al termine della seconda
guerra mondiale. Dopo aver invaso un’isola delle Filippine, i
militari giapponesi devono affrontare la controffensiva della gente
del posto e delle forze alleate. È solo questione di tempo prima
che i pochi sopravvissuti siano annientati. Il soldato Tamura,
malato di tubercolosi, viene abbandonato dal suo plotone e
dall’ospedale da campo. Un gruppo di soldati feriti o malati
irrimediabilmente è fuori dell’ospedale in attesa di morire. Tamura
si unisce a loro, ma durante la notte il fuoco dell’artiglieria
distrugge l’ospedale. Tamura si salva e vaga nella giungla. Si
getta letteralmente nella schiacciante forza della natura certo di
morire. Incapace di proseguire, prepara una granata per uccidersi
quando nota degli yam crescere nella giungla. Ma il problema è che
non si possono mangiare yam senza cucinarli. Tamura va in un
villaggio in cerca di fiammiferi, ma non trova nulla perché gli
abitanti sono fuggiti. Tamura si è appena addormentato in una
chiesa, quando arriva una giovane coppia. La donna grida per la
paura ed egli le spara. È la prima persona che abbia ucciso. Tamura
vaga per la giungla che è diventata un inferno, con corpi ammassati
ovunque. La fatica lo ha svuotato di ogni energia e la fame lo ha
cambiato. Quando comincia a vedere i suoi compagni come cibo, ha
attraversato la soglia di un luogo in cui non ci sono amici, nemici
o dio.
Tutte le foto:[nggallery id=1017]
La 71ª edizione della Mostra
internazionale d’arte cinematografica avrà luogo a Venezia dal 27
agosto al 6 settembre 2014. Anche quest’anno sarà diretta da
Alberto Barbera e organizzata dalla Biennale presieduta da Paolo
Baratta.
La madrina della rassegna sarà
l’attrice italiana Luisa Ranieri. Il film di apertura del festival
sarà Birdman, del regista Alejandro González Iñárritu.
Strane storie si intrecciano. Jason,
un cameramen vuole dirigere un film dell’orrore, ma per convincere
un produttore deve trovare l’urlo più convincente che si sia mai
udito in una sala cinematografica. Un conduttore televisivo vestito
da lurido topo di peluche comincia a grattarsi in diretta, convinto
di essere affetto da una terribile forma di eritema. Una bambina
trova una misteriosa videocassetta nelle interiora di un cinghiale
cacciato dal padre. Cosa lega le stranianti vicissitudini di questi
personaggi?
Quentin Dupieux
costruisce una vicenda surreale, onirica, straniante, che a tratti
ricorda il miglior Lynch, se non fosse per una vena ironica e
grottesca che conferisce al suo stile un tocco personale e
scanzonato. La normalità o meglio la realtà viene dopo poche
sequenze divelta violentemente dall’irruzione del sogno, che strada
facendo degenera nell’incubo e assume anche le sembianze di
allucinazione ad occhi aperti. Tutto si mescola in un viaggio
agghiacciante, che, come una inarrestabile massa di fango, prende
sempre più velocità invischiando tutto quello che incontra sulla
sua strada. Tutto procede inesorabile con una soluzione di
continuità che sorprende e stupisce. Le storie e le vita dei vari
personaggi si intrecciano l’una con l’altra e tutto diviene parte
di un misterioso vortice del destino che non può essere spiegato,
se non grazie alla magia e all’incomprensibilità palese dello
stesso mezzo cinematografico, sicuramente altro protagonista
principale del film.
Gli interpreti Alain Chabat,
Jonathan Lambert, Elodie Bouchez e tutto il resto del cast
appaiono naturali ed estremamente convincenti nel vestire i panni
di personaggi assurdi, alle prese con le proprie ossessioni e con
le rispettive visioni. Su tutti, come un beffardo demiurgo, svetta
il personaggio del regista che rivendica prepotentemente la
politica dell’autore in un film che mescola finzione e verità in un
ambiente lontano anni luce dal cinema libero, quello fatto di idee
ed espressione pura, dove questo non sarebbe, o non è, neanche
minimamente pensabile.