È stato presentato oggi alla Casa del
Cinema di Villa Borghese Il Futuro, l’ultima opera di
Alicia Scherson. Ad accompagnare la regista e sceneggiatrice
cilena ci sono i produttori Mario Mazzarotto, Bruno
Bettati, Emanuele Nespeca e gli attori Nicolas
Vaporidis, Luigi Ciardo e Alessandro Giallocosta.
Grandi assenti sono la protagonista Manuela Martelli e
l’attore olandese Rutger Hauer.
Alla regista. Immagino che anche
lei come l’autore del libro, da cui è tratto il film, abbia visto
Roma con occhi curiosi, affascinati. Come ha vissuto l’idea di fare
un film tratto da un romanzo di uno straniero che arriva a
Roma?
AS. Io non
conoscevo Roma prima di girare il film. Per me era un posto quasi
immaginario, molto legato al cinema. Fellini, Pasolini,
Antonioni. Per me Roma era una Roma cinematografica.
All’inizio avevo pensato di girare il film in Cile o in Messico,
poi ho deciso con il produttore di non cambiare il luogo in cui si
svolgeva la storia e abbiamo cercato un produttore italiano. Quando
sono venuta per la prima volta qui, avevo il romanzo tutto
sottolineato con i posti che Bolaño citava. Il mio legame con Roma
dipendeva dal romanzo, dal cinema, perché non ero mai stata qui
come turista, ancora non conosco i luoghi turistici. Abbiamo
cominciato a vedere i pochi posti che l’autore racconta
specificatamente, ne abbiamo presi alcuni e altri li abbiamo scelti
perché erano più affini all’atmosfera del romanzo. Nel libro si
legge di una Roma più centrale, noi ci siamo spostati verso la
periferia, vicino Cinecittà. Abbiamo cominciato a costruire la Roma
particolare di questa storia, la Roma di Bolaño, degli orfani, una
Roma molto contemporanea con un’atmosfera densa.
A Vaporidis. Visto che è anche
produttore associato, volevo sapere come è nato il suo
coinvolgimento nel progetto.
NV. Il
coinvolgimento nasce in modo classico. Mi è stato proposto di
partecipare, ho fatto un paio di provini con Alicia e ci siamo
trovati. Ho letto la storia e ho scoperto Bolaño. Attraverso questo
film ho imparato a conoscere la sua grandezza, la sua complessità,
il suo modo di scrivere, di raccontare le cose. Avendo la
possibilità, poi, di partecipare a un progetto internazionale come
questo, con Rutger, con Alicia, con tre produzioni, ho cercato di
metterci quello potevo, di partecipare in maniera più consistente.
Da qui nasce il mio ruolo di produttore associato in un progetto in
cui ho creduto fin da subito e che a oggi ha regalato a me, a tutti
noi, tante soddisfazioni. Essere stato per la prima volta in
concorso al Sundance e in altri festival internazionali; aver
ricevuto ottime recensioni su importanti magazine di cinema come
Variety, Hollywood Report; aver girato ed avuto la possibilità di
essere in sala a New York, in Cile, in Giappone e in Europa mi
inorgoglisce come italiano, in primis, e poi come attore. Sono
contento. Finalmente siamo arrivati in Italia. Il film è molto
italiano e molto cileno, è internazionale. Sul set noi parlavamo
quattro lingue. Alicia parlava spagnolo, noi parlavamo italiano, la
troupe tedesca parlava in tedesco e poi tutti si parlavano in
inglese.
Al produttore Mazzarotto. Com’è
nata l’idea di film?
MM. La proposta mi
è stata fatta dal produttore cileno Bruno Battiati. Facciamo parte
di un gruppo di produttori europei e ci ritroviamo occasionalmente
per delle riunioni di produzione. In uno di questi incontri, a
Praga, Bruno mi ha parlato di questo progetto, dicendomi che aveva
acquisito i diritti di questo romanzo con Alicia e volevano provare
a farlo in Italia. Dopo aver sentito che Alicia pensava di girarlo
in altri Paesi, io ho letto il romanzo e ho detto che andava
assolutamente fatto in Italia, che dovevamo provarci insieme. Da
questo primo incontro è nata l’idea di fare il film in
co-produzione e questo film è il primo frutto di una co-produzione
tra Italia e Cile. Si è aggiunta poi la Pandora, una casa di
produzione tedesca. Successivamente, ognuno di noi ha cercato di
raccogliere le risorse interne di ciascun Paese per poter
realizzare il film. Il budget è di circa 2 mln di euro e questo
processo, dal primo incontro al primo ciak, è durato circa un anno
e mezzo.
Visto che il film è uscito già in
diversi paesi e ha avuto un buon successo di critica, perché
aspettare tutto tempo per farlo uscire in Italia?
Il film ha avuto molte occasioni
internazionali. Abbiamo partecipato al Sundance Film Festival,
subito dopo siamo andati a Rotterdam, dove ha vinto l’equivalente
del premio della critica qui in Italia. Credo, se non sbaglio, che
finora abbia partecipato a circa 25 festival internazionali ed è
sempre stato accolto con molto interesse e molta attenzione.
Abbiamo deciso di farlo uscire ora in Italia perché le condizioni
distributive che aveva trovato la Movimento Film, la casa di
distribuzione del film in Italia, risultavano essere più favorevoli
in questo periodo per un film importante ma indipendente come
questo. Speriamo che susciti interesse nel pubblico e anche nella
critica italiana come in quella estera. L’altro giorno il film è
uscito a New York e abbiamo avuto ottime recensioni dal NY Times e
dal NY Village.
In quante copie esce il
film?
Il film esce in venti copie il
19 settembre, ma contiamo di aumentare la distribuzione se i
risultati saranno buoni come quelli che merita.
Alla regista. Com’è stato il suo
rapporto con il romanzo? Quanto è rimasta fedele nel passaggio tra
la pagina scritta allo schermo?
AS. Io ho letto
quasi tutto Bolaño, ma mai pensando di fare un adattamento. La
trasposizione è molto fedele; tutta la struttura temporale, tutti i
personaggi, tutti i fatti che succedono nel romanzo sono gli stessi
nella sceneggiatura. Questa era una condizione che mi ero imposta.
La sfida più grande era mantenere l’atmosfera, perché Bolaño è uno
scrittore con tantissima atmosfera, ma non utilizza tante parole.
Il regista deve prendere questa sensazione tra le righe e trovare
un’immagine concreta, precisa. Nel cinema è tutto terribilmente
materiale, tutto ha un colore, una luce, una forma concreta e la
sfida era proprio questa.
Com’è nata l’idea di Rutger
Hauer e com’è stato sul set?
AS. Il casting di
questo personaggio era molto difficile. Maciste è un personaggio
che anche fisicamente era complicato trovare. Ha delle
caratteristiche precise: età, corporatura; è vecchio ma ancora
attraente, sexy, con quest’aurea da vecchia star. Allora abbiamo
fatto un casting immaginario, non si poteva fare un casting aperto
con i provini e, tuttavia, non erano in molti gli attori a poter
fare questo ruolo. Poi una mattina il mio produttore cileno
mi chiama e mi dice: ‘Rutger Hauer!’. Siamo andati su Google
per vedere le foto più recenti ed era perfetto. L’abbiamo
rintracciato e Bruno ci ha parlato tramite Skype (Hauer è un
fanatico di Internet). Lui ha letto il romanzo, la sceneggiatura e
ha accettato. Durante le riprese era un attore molto creativo,
forse perché si trattava di un film indipendente e voleva
contribuire. Non è un attore facile, ma molto interessante,
intenso, con un’esperienza incredibile. È puro cinema. È stato
bellissimo lavorare con lui.
A Vaporidis. Cosa l’ha stupita
maggiormente di questa Roma scritta da Bolaño e riscoperta con gli
occhi di Alicia?
NV. Più che la
Roma di Bolaño, che è scritta e non visiva, è quella raccontata da
Alicia che è diversa, che ha un fascino particolare. È emozionante
come lei che non era mai stata a Roma prima, mi abbia fatto
scoprire dei luoghi che non conoscevo o vedere con occhi nuovi,
diversi quelli dietro casa mia davanti ai quali passo tutti i
giorni. Mi ha sorpreso positivamente. Lo stesso vale per la
caratterizzazione dei nostri personaggi. Se io avessi pensato a due
ragazzi romani di periferia, li avrei descritti in modo
completamente diverso da come ha fatto Alicia, ma perché vengo da
Roma e conosco la realtà di Roma. Sono abituato a vederli in un
certo modo, così come sono abituato a vedere Roma in un certo modo.
Lei ha messo la telecamera in luoghi nuovi o in posizioni diverse.
La città che vediamo è una periferia mista al centro di Roma con
parti di Roma antica e questo modo di vederla e di raccontarla è,
secondo me, una novità assoluta rispetto alla cinematografia
italiana. È una Roma unica.”