Mentre è alle prese con Alex Cross,
che potrebbe segnare l’avvio di una nuova serie di film d’azione,
Rob Cohen potrebbe essere coinvolto anche in altre due ‘saghe’ di
successo, quelle di Fast and Furious e di xXx, entrambe peraltro
con protagonista Vin Diesel. Cohen ha recentemente affermato che
sarebbe entusiasta di mettere le nuovamente le mani su Fast and
Furious, che considera una sua creatura, pur criticando il lavoro
fatto coi sequel, con l’unico scopo di fare soldi: il regista ha
affermato che è un miracolo se la serie non sia ancora stata
affossata. Per quanto riguarda l’eventuale terzo capitolo di xXx,
invece, tutto tace, anche a causa dello scarso interesse di Vim
Diesel, che, attualmente impegnato proprio su Fast and Furious,
sembrerebbe piuttosto interessato a riprendere il personaggio di
Riddick. Nel frattempo, Cohen va avanti sulla sua strada: dopo Alex
Cross sarà la volta di un film ambietato durate la guerra di Corea
che spera di girare nel 2013.
Patricia Clarkson e Zachary Booth
sono le più recenti ‘new entries’ in Last Weekend, commedia nera
firmata da Tom Dolby e Tom Williams, che per entrambi segnerà il
debutto alla regia. Il resto del cast include Joseph Cross, Devon
Gray, Jayma Mays, Chris Mulkey, Alexia Rasmussen, Rutina Wesley. Il
film seguirà il fine settimana di una coppia e dei suoi figli che
ospiteranno un gruppo di amici nella loro casa sul Lago Tahoe; da
qui prenderà il via una serie di eventi che finiranno per
sconvolgere la breve vacanza, attentamente pianificata dalla
padrona di casa.
La casa in cui sarà ambientata la
vicenda è la stessa che nel 1951 venne utilizzata per le riprese di
A Place In The Sun (Un posto al sole), con Elizabeth Taylor.
Patricia Clarkson è recentemente apparsa in Friends with Benfit con
Justin Timberlake e Mila Kunis, oltre che nella sitcom della NBC
Parks and Recreation e sarà prossimamente in The East di Zal
Batmanglij a fianco di Alexander Sarsgard, Ellen Page, Brit
Marling and Julia Ormond.
Le tecnologie digitali
oggi stanno influenzando tutti gli aspetti della produzione, a
comicinare dal modo con cui i team creativi sono in grado di
comunicare finendo alle produzioni virtuale
Trainspotting è il
film culto di Danny Boyle del 1996 con
protagonisti nel cast Ewan McGregor, Ewen Bremner,
Jonny Lee Miller, Kevin McKidd, Susan Vidler
Anno: 1996
Regia: Danny
Boyle
Cast: Ewan
McGregor, Ewen Bremner, Jonny Lee Miller, Kevin McKidd, Susan
Vidler
Trama di Trainspotting
Edinburgo, cinque amici Mark
Renton, Sick Boy, Spud, Tommy e Francis vivono di espedienti,
ognuno con i propri eccessi: i primi tre sono tossicodipendenti;
Tommy è un palestrato salutista fissato per la cura del corpo e non
vuole saperne di droghe, così come Francis, un violento ladro
abituale.
Analisi del film
Trainspotting
Trainspotting è un film del 1996 diretto da
Danny Boyle, tratto dall’opera omonima di Irvine
Welsh del 1993. Un lungometraggio diventato un cult degli anni ’90,
molto amato dai giovani dell’epoca. Il film affronta in modo ora
drammatico, ora ironico, ora grottesco, il dramma della dipendenza
dall’eroina, in una Scozia degradata e socialmente disagiata. La
pellicola riesce in modo perfetto a descrivere il rapporto dei
giovani con la droga; cosa li avvicina ad essa, cosa può farli
allontanare, cosa li fa ritornare nel tunnel. Solo la morte di un
innocente li fa ragionare e provare a vivere diversamente.
Scene forti si alternano a sequenze
drammatiche; il risultato finale è un film che fa riflettere, ma
non bacchetta, né mitizza l’eroina. E’ proprio il caso di dirlo:
una giusta dose. Più che i giovani o l’eroina, ad essere criticata
è la società, che a partire dagli anni ’90 è diventata sempre più
smarrita, svuotata di ideali e punti di riferimento. Nel libro a
cui si ispira invece, c’è una maggiore crudezza; come ad esempio
accadde per Christiane F. – Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino
(1981), snellito nella trasposizione cinematografica ma rimasto
immutato quanto a durezza delle immagini.
Trainspotting, il film culto degli
anni 90′
Tra le sequenze più suggestive di
Trainspotting certamente va annoverata quella in
cui Mark, preso da crisi di astinenza, vede la piccola Dawn, morta
tragicamente, camminare sul soffitto e poi girare la testa al
contrario verso di lui. Una scena ripresa più volte in modo
ironico, come vedremo, specie nei cartoon.
La scena più divertente è invece
quella in cui le feci di Mark, racchiuse in un lenzuolo, finiscono
sui genitori della fidanzata.
Per il regista inglese
Danny Boyle si tratta del secondo film e in fondo
anche il più noto, nonostante ne abbia girati successivamente altri
dieci. Quanto al cast, nei ruoli principali troviamo Ewan McGregor – Mark Renton, Ewen
Bremner – Spud, Jonny Lee Miller – Sick
Boy, Kevin McKidd – Tommy, Susan
Vidler – Allison.
Particolarmente
apprezzata è anche la colonna sonora
di Trainspotting, racchiusa in 2 volumi,
quest’ultimo di difficile reperimento. In esso si trovano anche le
canzoni che il regista avrebbe voluto inserire nel film o che
comunque, per usare parole sue, “hanno ispirato il film”. In
particolare il regista si duole di non aver inserito questi due
brani: The Passenger di Iggy Pop
e Atmosphere dei Joy Division, la
band da cui, dopo la morte del loro leader Ian Curtis, sono nati i
New Order.
Trainspotting è
stato più volte oggetto di citazioni o riferimenti. In una scena
del film Dobermann, del 1997, compare proprio la locandina di
Trainspotting. Nel 3º episodio della quindicesima
stagione de I Simpson Bart
e Lisa hanno un’overdose di “zucchero”, e vedono Maggie camminare
sul soffitto e girare la testa, proprio come la neonata Dawn. Lo
stesso succede nel 5º episodio della seconda stagione de I
Griffin, alla fine della puntata Stewie è nel suo lettino
in preda a crisi d’astinenza, e vede se stesso gattonare sul
soffitto e girare la testa. Nel 2009 il rapper italiano
Fabri Fibra si è ispirato alle scene finali di
Trainspotting per girare il videoclip della
canzone Incomprensioni. Nella serie TV Chuck, il 2º episodio della
prima stagione inizia con la stessa scena di corsa e la stessa
canzone di Trainspotting.
Infine, una curiosità. Nonostante
il film sia ambientato ufficialmente a Edimburgo, quasi tutte le
scene sono state girate a Glasgow; tranne la scena di apertura,
girata proprio a Edimburgo, e quella finale, girata a Londra.
Più volte succede che l’approccio
filosofico all’esistenza quotidiana ci riveli l’arbitrarietà dei
pregiudizi mentali, tramite cui crediamo di vivere autenticamente.
Spesso, i grandi artisti vogliono indirizzare lo spettatore verso
una consapevolezza così impegnativa. Se consideriamo, ad esempio,
il film di Stanley Kubrick, 2001:
Odissea nello spazio, si giustificherà che l’intero
montaggio delle scene sia volto a suscitare la nostra
interrogazione sopra tutto ciò che appare ovvio. A testimoniarlo
concorrono soprattutto le situazioni limite, quelle per cui noi
restiamo vittime di qualche evento, angoscioso o doloroso.
Pure il fenomeno artistico può
diventare un utile viatico verso la migliore e più esaustiva
conoscenza di sé. Nel film 2001: Odissea nello
spazio, ogni desiderio umano d’apprendere la Verità
si concentrerà simbolicamente nella figura del misterioso
monolite. Esso all’inizio è contemplato dalla scimmia, e
successivamente dagli astronauti. Il monolite sembra un
oggetto assolutamente estetico, in quanto ci chiederebbe di
stravolgere i vincoli con le categorie del nostro vissuto, date dai
pregiudizi quotidiani. Questi saranno finalmente ripensati, di
fronte alla meraviglia dell’inesprimibile. Ci abbandoniamo allo
stupore dell’ignoto, il quale si pone, tramite l’opera d’arte, come
simbolo d’una dimensione divina, sempre più pura. Se ammettiamo
questo, dobbiamo anche concludere che l’uomo, finché sarà vivente e
quindi caduco, difficilmente raggiungerà una sapienza perfetta del
Mistero che lo circonda. Naturalmente, il fenomeno artistico si
percepirà allo stesso modo. Un lettore che razionalmente
pretendesse di violare tale condizione, si troverebbe a dover
comunque dire qualcosa, ma, nello stesso tempo, le sue risposte
resterebbero ancora riduttive, e magari facilmente opinabili.
In fondo, nel film di
Kubrick il monolite uccide tutti coloro che tentano di
svelarne i segreti. Giustamente, potremmo interpretare quegli
assalti come azioni babeliche. Il filosofo tedesco Martin
Heidegger intravide nel fenomeno estetico l’abilità da parte della
Dimensione Assoluta di celarsi e insieme svelarsi nella sapienza
completa del Mistero. Kubrick trasportò la medesima dialettica in
campo cinematografico. Una vera e propria odissea della conoscenza
attende l’astronauta che s’appresti a ricercare la Verità. Una tesi
che rientrerebbe nella filosofia di Platone. Lui ci ricorda che nel
fenomeno artistico l’ideale astratto della sapienza è trasmissibile
solo attraverso la materia, lavorata dal pittore o dallo scultore.
Quest’ultima, però, già riduceva le speranze che il contemplatore
colga il suo significato più autentico, ben al di là del mero
prodotto fabbricato. Infatti, la materia veniva riconosciuta in
quanto tale attraverso lo sguardo di chi volesse studiarne
l’artisticità. Ma, facendo questo, il lettore/contemplatore avrebbe
forzatamente applicato i propri pregiudizi intellettuali di
riferimento.
In 2001: Odissea nello
spazio, la scimmia che impara ad usare gli arnesi per vivere,
sfrutta un processo conoscitivo del tutto intuitivo ed ipotetico.
Essa si aiuta con la contemplazione del raggio solare, che emerge
dietro al monolite, perciò a causa del Divino. Nel
contempo, però, lì la scimmia non deduce in via perfetta alcuna
sapienza. Qui torna la dialettica propugnata da Heidegger, dentro
il vero fenomeno estetico. Comunemente, si obietta che la cultura
contemporanea curi poco l’espressione artistica, preferendo che si
sviluppino abilissime maestranze nel campo della tecnologia. Si
crede poi che il linguaggio estetico, libero dalle convenzioni
arbitrarie (per cui abbastanza metaforico da rivelare l’Assoluto),
abbia ormai ceduto il passo a quello standardizzato o banale, della
multimedialità. Heidegger temeva questo, benché gli antichi greci
non opponessero nettamente la tecnica all’artisticità. In effetti,
loro riconoscevano che qualunque fenomeno estetico fosse pur sempre
costruito, dunque materiale, distanziandosi immediatamente dal
divino. Faremmo meglio a rivalutare il prodotto tecnico, come un
ulteriore viatico per raggiungere la Verità.
Il misterioso monolite
scoperto dagli astronauti sulla nuova luna è perfettamente
geometrico. Quello ci sembrerebbe proprio un prodotto
standardizzato. In primo luogo, poi, il monolite possederà
una chiara materialità. Tuttavia, questa risulta piuttosto
particolare, perché eterea e capace di dare le allucinazioni a chi
voglia conoscerla, come gli astronauti. E’ anche così che uno di
loro, Bowman, compirà il suo reale cammino d’introspezione
autocritica. Qualcosa che a buon diritto percepiremo con più
motivazioni etiche. A fondamento del monolite, non può
esistere la mera materialità geometrizzante del prodotto (come
nella serialità industriale). Il film di Kubrick ci insegna
l’infinitezza del nostro cammino conoscitivo, verso la Sapienza
Assoluta. Esso necessariamente diventerà sempre più pratico, lungi
dal mero intellettualismo.
Il film si conclude con
l’immagine molto vissuta delle tre età, che si succedono
l’una sull’altra. L’adulto (l’astronauta Bowman) che ha potuto
entrare nelle quattro pareti del monolite divino
diventa nello stesso tempo bambino e vecchio.
L’intellettualismo della contemplazione si risolve nel punto
massimo della pratica vitale (se questa riguarda l’intera
esistenza, dalla nascita alla morte). L’impulso etico delle persone
si libera forse più dall’anima che dalla mente razionale, spesso
astratta. Un’idea che noi troveremmo all’inizio del film, quando la
scimmia scopre il sapere molto pragmatico dell’arnese. Quella
procede da una serie di pensieri ipotetici. Spesso, il cuore sa
porsi in maniera autocritica molto prima della ragione. Nel film
2001: Odissea nello spazio, il celebre computer Hal 9000
acquista svariate capacità emotive, senza che i suoi programmatori
le avessero previste. Lui saprà ridiscutere ogni pregiudizio
personale. E’ il momento in cui la razionalità programmatica,
all’origine stoltamente sopravvalutata come infallibile, sceglie di
vivere secondo una sua morale (sfortunatamente per gli astronauti,
contro di loro).
Hal 9000 subisce la disconnessione
da parte del solo astronauta sopravvissuto ai suoi inspiegabili
omicidi. La memoria informatica si vede configurata tramite una
fila di sottili barre rosse. Forse per Kubrick il monolite
è una fessura perché il suo assalitore deve letteralmente
ritagliarsi uno spazio visivo. Ciò varrebbe sotto le coperture del
mondo solo materiale.
Nel 1964, il regista Michelangelo
Antonioni gira il suo nono lungometraggio, dal titolo
Il deserto rosso. Ci ricordiamo la
storia, incentrata sul personaggio di Giuliana. Moglie del
dirigente industriale Ugo, il quale pare incapace di capirla, lei,
complice un incedente d’auto, comincia a vivere una fase
depressiva, che neppure l’amicizia (prima) ed il tradimento (dopo)
con l’Ing. Corrado salveranno dal suo acuirsi.
Il film s’intitola
Il
deserto rosso, con due sole parole. Un
sostantivo, che rinvia alla fredda o meglio scheletrica
architettura del Polo petrolchimico a Ravenna, e poi un aggettivo,
che rinvia all’unica tonalità (presente dappertutto: negli abiti,
nelle pareti, nelle condutture, nei parapetti ecc…) almeno
teoricamente in grado di rivitalizzare lo spleen esistenzialistico
dei personaggi. Antonioni ama le carrellate che portano la macchina
da presa a risalire, o di contro a ridiscendere, i vari edifici. Il
film Il deserto rossoinizia
mostrandoci il fumo industriale, da una coppia di soffioni.
Contraddicendone la risalita, tramite il vento, la macchina da
presa si sposta in discesa, inquadrando gli operai, i quali
dovrebbero andare a lavoro (siccome in quelle ore la Cgil
ha indetto uno sciopero). E’ la prima testimonianza estetica
dell’incomunicabilità visiva, la quale supporterà i dialoghi mai
conclusi fra i vari personaggi, in tutto il film.
La metafora del fumo industriale è
interessante: nel film i personaggi dialogano in maniera
confusionaria; il fumo degli scarichi industriali risale in aria
formando delle volute, molto lente e pesanti da percepire; i
dialoghi dei personaggi hanno spesso un’ambizione intellettuale,
alla fine, però, ne escono solo dei giri di parole. Gli esempi sono
numerosi, anche il personaggio in apparenza più stabile
(assumendosi le responsabilità che gli competano, quantomeno in
ambito lavorativo), ovvero l’Ing. Corrado, giunge a dire: “Io
nasco a Trieste, ma la mia famiglia s’è trasferita a Bologna; da
solo ho vissuto prima a Milano, poi a Bologna, mentre adesso non
saprei dove andare”. La protagonista Giuliana (con la grande
recitazione di Monica Vitti, musa di Antonioni sia dentro sia fuori
il set, per dieci anni) pensa nella confusione di se stessa in
specie quando racconta i propri sogni. Abbiamo l’impressione che
lei non concluda un vero discorso perché si sente letteralmente in
un altro mondo.
Ricordiamo una scena in cui la
protagonista ha la testa quasi nascosta, dentro la tappezzeria del
divano: di nuovo, è la metafora del fumo industriale che,
pericolosamente, non risale per disperdersi in aria, ma rimane a
contorcersi, nel piano orizzontale del vissuto materiale. La regia
poi rinforza la nostra comprensione inconcludente di Giuliana, con
la sinestesia. La sirena di una nave mercantile va virtualmente a
perforare la testa della donna, impedendole persino di vivere. Le
onde sonore sostituiscono il fumo industriale. L’intero film è
montato per inquadrature i cui elementi tagliano continuamente se
stessi. Nella scena iniziale, ad esempio, gli operai passano da
destra a sinistra (in orizzontale), mentre Giuliana ed il figlio
Valerio s’avvicinano a noi, dalla profondità (dunque in verticale).
L’incomunicabilità visiva del film presuppone che i loro incroci
saranno solo fittizi. Il gruppo degli operai non si fermerà innanzi
a Giuliana e Valerio, o viceversa e le persone rinunceranno al
contatto reale (conoscendosi).
Più in generale, è caratteristico
che Antonioni in molti film inquadri i protagonisti a sfuggire gli
uni sugli altri. Giuliana pronuncia la sua frase sconclusionata, e
quando l’Ing. Corrado le si avvicina, lei ha già camminato oltre.
Soprattutto, nel film Deserto rosso, l’incomunicabilità
dello sfuggire ci pare insistita, per la complicità
dell’architettura industriale. Le tubature inevitabilmente seguono
un percorso a zig-zag, nel contrasto fra le pareti ed i
piani. Qualcosa di simile accade nel continuo stop and go di
Giuliana, che si riverserà sull’Ing. Corrado. Antonioni insiste
molto a mostrare che le persone si appoggiano alle pareti,
inquadrandole in diagonale, perché quelle potrebbero cadere da un
momento all’altro. Quando Giuliana ha un momento d’intimità, sia
col marito sia con l’Ing. Corrado, innanzi ai loro corpi può
comparire il più freddo e striminzito parapetto del letto. Torna la
metafora estetica del taglio, per avvertirci che la passione della
protagonista è solo momentanea.
Per il filosofo Sartre, se qualcuno
immagina, accade che la sua coscienza diventi essenzialmente
libera. Così l’io soggettivo si renderebbe del tutto autonomo,
rispetto all’alterità. Invece, se la coscienza stesse a percepire,
le mancherebbe la sua libertà. Un’opera d’arte si pone in via
certamente materiale, così, noi ci aspetteremmo che essa vada
unicamente percepita. Invero, l’arte per Sartre sarà fruita con la
sola facoltà dell’immaginazione. Sappiamo che lui segue un
indirizzo filosofico di tipo essenzialmente esistenzialistico. Ciò
significa che tutta la realtà si fa come tale solo in quanto essa
appare nella coscienza d’un certo (singolo) uomo. L’io soggettivo
che definisce una qualunque persona va costituendo ogni ente del
mondo. La realtà si fa come tale perché un certo individuo ne ha la
sua coscienza.
Questa conclusione definisce il
tema filosofico della cosiddetta intenzionalità, che ciascuna mente
umana porta sempre con sé. Sartre spiega che noi abbiamo
inevitabilmente coscienza di qualcosa. Ciò vale sia per gli enti di
tipo astratto, sia per quelli più semplicemente materiali. La
necessità che noi ammettiamo il medium del di spiega il classico
tema fenomenologico dell’intenzionalità. Però, nell’opera
d’arte resta accettato che nessuno ha coscienza di quella in via
solo percettiva. Un fenomeno estetico ha pure una dimensione
concretamente materiale. Questa va intrinsecamente a richiamare un
atto intenzionale, il quale risulta di stampo sempre
immaginario.
Nel film
Il
deserto rosso, sarebbe facile limitarsi a
percepire il suono della nave mercantile. Durante la scampagnata
dei dirigenti industriali, nella casetta del pescatore, solo
Giuliana ha voglia d’immaginarlo, in maniera creativa. La sirena
della nave letteralmente si trasferisce dentro la testa della
donna. Giuliana è quasi un’esistenzialista, se in lei la realtà
circostante deriva dall’apparenza della sua immaginazione. Nel
contempo, la regia insiste a visualizzare il posizionamento della
scenografia, più che i singoli oggetti. L’Ing. Corrado cerca
d’avvicinarsi a Giuliana, ma lei ha già camminato oltre. Così, noi
vediamo solo il posizionamento del primo sulla seconda. Le tubature
industriali si percepiscono per i loro incroci spezzati (a
zig-zag). Di nuovo, conta il loro posizionarsi. E’ il problema
dell’intenzionalità, se parliamo di filosofia. La scelta
fotografica di colorare alcuni elementi col rosso spinge
l’osservatore ad isolarli, nel loro ipotetico calore.
Presumibilmente, quelli avrebbero dovuto simboleggiare la rinascita
(la rivitalizzazione) dal grigio mondo industriale. In realtà, i
personaggi del film alla fine continueranno ad evitarsi. Giuliana
non rinasce nemmeno sognando la sabbia rosa dell’isola Budelli, a
La Maddalena.
Per Sartre, la coscienza di chi
concettualizza può conoscere (grazie alla sua riflessione
intellettuale) quella che, inizialmente, aveva soltanto percepito
qualcosa. Invece, l’immaginazione si definisce come tale quando una
persona prova a capire unicamente la mera intenzionalità. La
coscienza di chi fantastica si delinea sempre riguardando
l’inevitabilità della mente che si posizioni. Con l’immaginazione,
succede che il fenomeno estetico venga inteso unicamente perché lo
si deve intendere. Tramite l’opera d’arte, la coscienza
contemplativa si riferisce solo al suo inevitabile farsi di se
stessa. Non ci sono altri rimandi.
Con la fantasticheria, la coscienza
si fa del tutto autonoma, attiva e spontanea. Di contro,
percependo, accade che noi restiamo passivamente condizionati dal
mondo in cui ci troviamo, tramite una precisa situazione
esistenziale. Per Sartre, l’immaginazione si darà avendo la
coscienza d’un fenomeno esteriore, che sfugga sia alla sensazione
sia al pensiero. Innanzi all’opera d’arte, l’intenzionalità è
letteralmente di tipo impercettibile. Ma essa non può unicamente
(essenzialmente) riflettere. Ciò avviene dal momento che
l’immaginazione si pone in via sempre esteriore, laddove il
pensiero si trova necessariamente interiorizzato. L’intenzionalità,
di stampo appena impercettibile, per Sartre va a nientificare la
più immediata sensibilità del corpo. Con l’opera d’arte, il
contemplatore sa finalmente che la coscienza è unicamente di se
stessa. Allora immaginare significa intendere con la mente un
oggetto che risulti solo posizionato dall’Io. Qui la coscienza non
si fa più condizionare dal piano della realtà materiale (che invece
va sempre percepita). L’immaginazione diventa per Sartre una vera e
propria forma di negazione universale, ossia tanto del mondo
concreto quanto di ciascuna riflessione intellettuale.
Nel film Deserto rosso, la
protagonista Giuliana all’improvviso chiede all’Ing. Corrado se lui
vota a destra oppure a sinistra. Lui rilancia: quella prima domanda
ne aprirebbe una seconda, anche più importante: “Credi o non credi
in Dio?”. L’Ing. Corrado ritiene che in ogni caso loro siano
innanzi ad “un problema troppo grande da risolvere”. E’ il momento
in cui la riflessione intellettuale si fa inutile, in mezzo ad una
natura (la materia del mondo) che si percepisce come squamosa e
viscida, complici gli scarichi industriali. Nel film Deserto
rosso, la battuta del “Credi o non credi in Dio?” si risolve
forse laicamente nel “Mi pare un problema che noi possiamo solo
porre”. Alla nientificazione degli affetti fra le persone,
s’accompagna la nientificazione dell’ambiente.
La storia di un cittadino
italiano “con il vizio dell’onestà”. Così Elio Germano commenta
L’ultima ruota del carro, il prossimo film di Giovanni Veronesi
Nonostante le critiche
negative che avevano interessato anche la prima parte della saga,
Taken 2 con Liam Neeson, ha incassato
ben 50 milioni di dollari in 72 ore.
Non sarà un Godzilla simile a tutti quelli che siamo stati
abituati a vedere. Parola del regista Gareth Edwards che si
appresta a dirigere le avventure del mostro più spaventoso di tutti
i tempi.
Nell’intervista al Coventry
Telegraph, infatti, Edwards ha parlato del taglio che vorrebbe dare
al film: “Godzilla e le sue avventure hanno attirato la mia
attenzione e la mia curiosità da sempre”, ha detto. “La mia idea
principale sarà appunto immaginare: cosa succederebbe se tutto
questo accadesse davvero? Voglio avere un approccio
molto concreto e realistico nei confronti del film”.
Ma quali saranno gli effetti
speciali, soprattutto per quanto riguarda l’aspetto che avrà il
mostro? “Non ho mai lavorato così duramente, così a lungo” risponde
Edwards, e aggiunge: “Non mi era mai capitato di essere stato
così emotivamente coinvolto in qualcosa che è durato solo pochi
secondi, da quando ho perso la mia verginità! Ma la reazione è
stata incredibile e non vedo l’ora per tutti i fan, di vedere il
nostro prodotto finale”.
Godzilla è stato creato dal
giapponese Tomoyuki Tanaka, ed è il ‘risultato’
dei disastri nucleari. Il primo remake americano su di lui fu
diretto da Roland Emmerich nel 1998.
Godzilla, il film
Vi ricordiamo che Godzilla, diretto
da Gareth
Edwards,comprende nel cast attori
del calibro di
Aaron Taylor-Johnson, Bryan
Cranston, Elizabeth
Olsen David Strathairn, Juliette
Binoche e la new entry Ken
Watanabe. La pellicola arriverà in Italia il 15 Maggio
2014. Akira Takarada, protagonista della pellicola
originale, dovrebbe, inoltre, avere anche una piccola parte in
questa rivisitazione, tornando sul set
di Godzillaa
sessanta anni di distanza dalla sua interpretazione.
Scritto da Max
Borenstein, che ha rielaborato uno script
di David S. Goyer e David
Callaham, Godzillasarà
il film di punta della Warner Bros dell’anno 2014, visto
che la data di uscita preventivata è stata infatti individuata nel
16 maggio 2014. Un film da cui la produzione si aspetta
molto che, però, dovrà scontrarsi al botteghino con altre pellicole
in uscita nello stesso periodo, quali The Amazing
Spiderman 2, il reboot delle tartarughe ninja e il
sequel dell’Alba del pianeta delle scimmie.
Il primo a dichiararlo è stato
il Daily Mail. Pare proprio che Ms Marvel sarà nel sequel di The
Avengers e che ad essere in lizza per interpretarla siano Emily
Blunt e Ruth Wilson.
Tutti ne parlano e non stanno più
nella pelle. Sarà perché ha compiuto 50 anni o forse solo perché è
un mito intramontabile, ma in questi giorni le notizie sul nuovo
James
BondSkyfall
non sono affatto mancate. Dopo quella che riguarda la
partecipazione di Adele nella colonna sonora, adesso sul
sito Film Music Reporter, potete
controllare tutta la lista delle canzoni che saranno presenti nel
film.
In SkyfallDaniel Craig veste di nuovo i panni dell’agente
che in questo 23ma avventura si troverà a dover dimostrare la sua
lealtà ad M (interpretata da Judi Dench) nonostante il suo passato
continui a perseguitarla. Intanto l’M6 è sotto attacco e Bond dovrà
fare di tutto per distruggere la minaccia e il prezzo da pagare
coinvolgerà anche la sua vita personale… Il film uscirà in Gran
Bretagna il 26 ottobre e in Italia il 31.
Intanto, eccovi la lista delle
canzoni che accompagneranno le avventure dell’agente meno segreto
del mondo.
1. Grand Bazaar, Istanbul
(05:14)
2. Voluntary Retirement (02:22)
3. New Digs (02:32)
4. Severine (01:18)
5. Brave New World (01:50)
6. Shanghai Drive (01:26)
7. Jellyfish (03:22)
8. Silhouette (00:56)
9. Modigliani (01:04)
10. Day Wasted (01:31)
11. Quartermaster (04:58)
12. Someone Usually Dies (02:29)
13. Komodo Dragon (03:20
14. The Bloody Shot (04:46)
15. Enjoying Death (01:13)
16. The Chimera (01:58)
17. Close Shave (01:32)
18. Health & Safety (01:29)
19. Granborough Road (02:32)
20. Tennyson (02:14)
21. Enquiry (02:49)
22. Breadcrumbs (02:02)
23. Skyfall (02:32)
24. Kill Them First (02:22)
25. Welcome to Scotland (03:21)
26. She’s Mine (03:53)
27. The Moors (02:39)
28. Deep Water (05:11)
29. Mother (01:48)
30. Adrenaline (02:18)
L’avvento di Peter Jackson e
dei suoi film in Nuova Zelanda ha caratterizzato una rivoluzione
per questo Paese, che ai margini della Terra ha sempre avuto
attrattive
Arrivano nuove foto dal set di
RoboCop, il nuovo film di José Padilha. Nelle immagini delle
riprese di Toronto vediamo anche uno dei protagonisti Michael
Keaton che interpreta il CEO della OniCorp, Raymond Sellars.
“La mamma è faticosa.”
Dice perentorio il buttafuori Sergej al suo collega Cianca, che gli
racconta del suo difficile rapporto con la medesima, in una serata
di lavoro come tante, fuori dalla discoteca UFO. I due bizzarri
personaggi sono interpretati rispettivamente da Marco
Giallini e Valerio Mastandrea e danno
vita a una esilarante miniserie comico-demenziale-filosofica in
onda su Rai 3: Buttafuori. È il 2006. Torna in mente ora,
non solo per la sua ingegnosità, ma perché in effetti, stare dietro
alle innumerevoli declinazioni di Valerio
Mastandrea è faticoso: il cinema, il teatro, la
letteratura, l’impegno civile, il pessimismo, l’ottimismo, Roma e
la Roma. Ma lo si fa con piacere, perché si da il caso che sia uno
dei più bravi attori italiani in circolazione.
L’ultimo Festival di Venezia l’ha visto
protagonista della pellicola di Ivano De Matteo
Gli equilibristi, ora nelle sale, in cui veste
egregiamente i panni drammatici, ma anche ironici, dell’impiegato
statale Giulio, in equilibrio precario sull’orlo dell’indigenza. A
Locarno invece, è andato con l’opera seconda di Edoardo Gabriellini
I padroni di casa, in uscita il prossimo 4
ottobre. Mentre, sempre a ottobre, lo vedremo nel nuovo film di
Silvio SoldiniIl comandante e la cicogna.
In circa vent’anni di carriera ha
interpretato giovani in cerca di sé, trentenni in crisi, ladri,
poliziotti, sindacalisti, scrittori, ex mariti ossessivi, ex pugili
depressi, per citarne solo alcuni. I suoi personaggi sono
disillusi, pessimisti, tristi, con un disagio, un malessere
esistenziale più o meno pronunciato, ma sono anche – quasi sempre –
ironici, sarcastici, a volte comici e buffi. Ed è proprio questo
mix a renderli unici. Per interpretarli, ha messo a frutto la sua
indole da romano doc, fatta di disincanto e pungente ironia, ma in
fondo, non priva di un cauto ottimismo. Tuttavia, ha dimostrato
negli anni di saper anche prendere artisticamente le distanze da
quella romanità che incarna così bene, ma che rischiava di
intrappolarlo in un cliché. Così sono nati personaggi come il
protagonista de La prima cosa bella di Virzì, o
quello di Un giorno perfetto di Ozpetek, che ne
hanno rivelato la versatilità.
Oltre a recitare,
produce, dirige – finora solo un cortometraggio e uno spettacolo
teatrale – e scrive, ma sempre mantenendo nell’atteggiamento quel
basso profilo che è dote piuttosto rara nel panorama
cinematografico nostrano. Non è da lui auto incensarsi, anzi,
semmai il contrario. Partecipa e si spende in opere di registi
emergenti. È attore, ma anche cittadino, volto noto che si impegna
in iniziative culturali e sociali: presiede la Scuola Provinciale d’Arte
Cinematografica Gian Maria Volontè, che offre corsi
gratuiti a chi vuole imparate “i mestieri del cinema”; ha
collaborato a un documentario sull’Aquila post terremoto e diretto
il corto Trevirgolaottantasette riguardo le morti
sul lavoro; ha prestato il suo volto per spot pubblicitari a scopo
benefico e di sensibilizzazione (Amref, FAO, test HIV); non teme di
metterci la faccia, quando c’è da schierarsi e manifestare le
proprie idee (a sostegno della legge 194, del Teatro Valle,
del Cinema Palazzo e di altri centri culturali occupati, perché
restino tali e non vengano sottratti alla loro funzione, o contro i
tagli al FUS).
Valerio Mastandrea
nasce a Roma, alla Garbatella, il 14 febbraio del 1972. Frequenta
la scuola fino al diploma, poi due esami all’università e lascia
gli studi per intraprendere il percorso da attore. Esordisce in
teatro nel ’93 e l’anno successivo al cinema, con una commedia di
Piero Natoli, seguita da una piccola parte in Cuore
cattivo di Umberto Marino. Poi è ospite in alcune puntate del
Maurizio Costanzo Show. Ed è il primo incontro con la
notorietà.
Nel ’95 entra a far parte della
scorta che conduce un ragioniere della mafia e sua figlia da
Palermo a Milano per un processo in Palermo – Milano solo
andata di Claudio Fragasso. Interpreta Tarcisio: il più
fragile del gruppo, il più giovane, quello con meno
esperienza, che guadagna e perde di più da quel viaggio. La sua
scena finale è drammaticamente ironica. L’anno successivo, si fa
notare nell’esordio di Fulvio Ottaviano, Cresceranno i carciofi
a Mimongo.
Ma il primo film a vederlo
protagonista indiscusso e a far emergere in maniera inequivocabile
il suo talento è l’intelligente e originale commedia Tutti giù
per terra di Davide Ferrario (1997). Qui, è estremamente
convincente nel dare corpo ai tormenti del giovane Walter, ventenne
degli anni Novanta non molto dissimile da tanti ventenni di oggi,
senza particolari ideali od orizzonti, a disagio in famiglia e
nella società, che mal si adatta al conformismo e vive con
apprensione l’imminente passaggio all’età adulta. L’andatura
dinoccolata, l’espressione sconsolata e rinunciataria
che Valerio Mastandrea dà al personaggio già
dicono tutto, ma a rendere il film divertente e godibilissimo sono
anche una brillante sceneggiatura e una sapiente regia, che
consentono all’attore di dare il meglio di sé in un’interpretazione
senz’altro memorabile. La colonna sonora, affidata ai CSI, non
poteva essere più azzeccata. Così Valerio conquista il pubblico,
specie quello più giovane: impossibile per molti adolescenti
dell’epoca non identificarsi, almeno in parte, col suo personaggio.
Ma convince anche la critica, che gli assegna il Pardo e la Grolla
d’Oro.
Valerio Mastandrea …
filmografia
Conferma le sue doti lo stesso anno
nella commedia-dramma In barca a vela contro mano, di cui
è protagonista nei panni di un giovane laureato in medicina che si
trova ad indagare su presunti traffici tra le corsie di un ospedale
romano. E non sfigura affatto, accanto ad attori del calibro di
Antonio Catania e Maurizio Mattioli. L’atmosfera del nosocomio
romano è resa in modo del tutto realistico grazie alla
perizia nelle caratterizzazioni, mentre la trama oltre che
divertire, avvince e fa riflettere. Il ’98 è un anno di prove dagli
esiti discontinui, ma due sono da segnalare: L’odore della
notte di Claudio Caligari e
Barbara di Angelo Orlando. In
entrambi i film vediamo Valerio Mastandrea
affiancato da Marco Giallini inaugurare un
sodalizio artistico che li vedrà insieme su molti set e regalerà al
pubblico momenti impagabili. La pellicola di Caligari è drammatica
e illustra le gesta di una banda di rapinatori, sulla scorta di
vicende di cronaca di fine anni ’70, primi ’80.
Il capo è il poliziotto Remo Guerra
(Valerio Mastandrea), che lungi dall’essere un
fedele servitore dello Stato, riversa al sua rabbia, la sua
frustrazione, il suo sentimento di rivalsa e una certa presunzione
di superiorità sulle ricche famiglie della “Roma bene”, che deruba
e terrorizza con i suoi compagni di borgata. Per lui quelle
famiglie sono l’emblema del conformismo perbenista e ipocrita al
quale non si vuole arrendere fino in fondo, pur facendone già parte
come poliziotto. Ribellione, dunque, ma non più come fisiologica
fase adolescenziale, bensì come unico orizzonte nel quale sentirsi
vivi. Valerio Mastandrea è perfetto in
questa ulteriore declinazione del disagio esistenzial-sociale con
deriva violenta. E non manca neppure lo spazio per ironia e
sarcasmo.
Di tutt’altro tenore invece, la
commedia dai toni surreali e dagli echi letterari diretta da Angelo
Orlando, che vede il duo Valerio
Mastandrea-Giallini in una prova comica esilarante e
stralunata, basata su una situazione costrittiva (i due sono legati
a un letto) e claustrofobica (lo spazio è quello di una stanza) e
sull’estenuante attesa di un personaggio – la Barbara del titolo. A
completare il tutto, una galleria di personaggi improbabili che
entrano ed escono dalla stanza.
Nel frattempo, l’attore dà prova di
saper incarnare più d’ogni altro della sua generazione la romanità
autentica e verace – sbruffona, irridente, al solito ironica, ma
anche tragicamente dolente – anche in teatro. Ottiene infatti
una vera e propria consacrazione con Rugantino, commedia
musicale di Garinei e Giovannini, ambientata nell’800, che lo vede
protagonista nel ruolo già affidato ai grandi Manfredi e Montesano.
Accanto a lui Sabrina Ferilli, Maurizio Mattioli e Simona Marchini.
Lo spettacolo viene replicato per due anni con grande successo di
pubblico. Atmosfere di una Roma che fu si respirano anche
nell’ultima opera di Luigi Magni, La carbonara,
cui Valerio Mastandrea partecipa unendosi a
un variegato cast.
Il nuovo millennio inaugura anche
un nuovo sodalizio: quello tra l’attore romano e il regista Daniele
Vicari. Infatti, quest’ultimo sceglie proprio Valerio per il suo
esordio nel lungometraggio Velocità massima, e gli affida
il ruolo di Stefano: inaridito e cinico meccanico, con la passione
per la velocità, che modifica macchine nella sua officina assieme
al neoassunto Claudio. I due si danno alle corse clandestine. Non
può mancare una donna da contendersi. Vicari punta il suo obiettivo
sul mondo delle corse, mostrando una capitale per molti inedita e
un’umanità squallida, grigia, greve, che cerca di sentirsi
protagonista almeno sulle quattro ruote. David di Donatello per la
regia. Del cast del film fa parte come attore Ivano De Matteo, che
a sua volta esordirà dietro la macchina da presa con Ultimo
stadio, avvalendosi della collaborazione
di Valerio Mastandrea e lo ritroverà in
seguito in Codice a sbarre (2004) e ne Gli
equilibristi (2012).
Ettore Scola lo vuole
per un affresco di Roma e della sua gente. Partecipa a
Lavorare con lentezza di Guido Chiesa ed è nel
nuovo film di Vicari, L’orizzonte degli
eventi, che però non bissa il successo dell’esordio. Lo
ritroviamo ne Il Caimano di
Moretti. E poi, da amante del pallone (è indefesso
tifoso della Roma) Valerio
Mastandrea non si lascia sfuggire un film a episodi
sul gioco del calcio, opera prima di quattro registi esordienti
(Michele Carrillo, Claudio Cupellini, Francesco Lagi e Roan
Jhonson). Così è nel cast di 4-4-2: il gioco più bello
del mondo, nei panni di un portiere che vende la gara decisiva
dei suoi.
Valerio Mastandrea, il film
Notturno Bus
Nel 2007 lo troviamo in due
riuscite commedie. La prima è Notturno bus (2007),
dove caratterizza al meglio un malinconico e disincantato autista
di bus, Franz, coinvolto in un rutilante vortice di eventi
dall’incontro con la bella ladra Leila/Giovanna Mezzogiorno,
sullo sfondo di una intrigante Roma by night. La coppia
funziona, coadiuvata da ottimi comprimari in un’originale
commistione di generi. L’altra commedia, in cui l’attore dà vita a
uno dei suoi personaggi più riusciti, è la divertente Non
pensarci, di Gianni Zanasi. Il personaggio di Stefano Nardini
sembra cucito addosso a lui (che è anche un appassionato di
musica). Trentaseienne musicista punk frustrato e sfortunato, che
in un momento di crisi esistenziale torna nel natio e operoso nord,
a cercare conforto nella famiglia, salvo scoprire che lì tutti
hanno problemi anche più grossi dei suoi, e che sembrano fare
affidamento proprio su di lui per risolverli. Situazione
paradossale, quindi, una famiglia sconclusionata, stravagante, ma
alla fine unita da un profondo affetto.
Inoltre, un’evoluzione rispetto ai
ruoli precedenti: se infatti finora i personaggi
di Valerio Mastandrea erano stati
contestatari, ribelli, fieri nemici del perbenismo e del
conformismo, chiusi in una loro presunta superiorità, qui il
protagonista – che pure parte da questi presupposti e critica
aspramente la famiglia – vedrà alla prova dei fatti che questa non
è un mondo non così chiuso e lontano da lui, anzi, per certi
aspetti è certo più autentico di quello che ha lasciato a Roma. Si
troverà a dare una mano per risolvere i problemi reali, anziché
limitarsi alle critiche auto compiaciute: un proficuo scambio
d’esperienze che prende il posto della mera contrapposizione. Il
tutto, sorretto non solo dalla sua magistrale interpretazione – per
la quale è candidato al David e al Nastro d’Argento e si aggiudica
il Ciack d’Oro – ma da un’ottima sceneggiatura, che lo rende
protagonista di gag esilaranti e dà il giusto ritmo all’azione, e
da un cast di ottimo livello – basti pensare a Giuseppe Battiston
nel ruolo del fratello maggiore. Il film diventerà poi una serie
televisiva diretta da Lucio Pellegrini e Gianni Zanasi, che lo
vedrà ancora protagonista.
Nel 2008 partecipa al
fortunato Tutta la vita davanti di Paolo Virzì, tra le
prime pellicole a prendere di petto il problema della precarietà
tra i giovani, protagonista Isabella Ragonese nei panni di una
giovane laureata che trova lavoro in un call center. Virzì ci fa
entrare in questo mondo spietato, dominato da un’agguerrita
competizione, da ipocrisia e logiche da sfruttamento selvaggio,
dipingendolo nei particolari, con personaggi assai
vividi. Valerio Mastandrea interpreta il
sindacalista che aiuterà la protagonista a denunciare gli abusi
commessi dall’azienda. Ma questo è soprattutto l’anno in cui
l’attore romano affronta un’ardua sfida. Ozpetek gli affida infatti
un personaggio che non ha nulla a che vedere con quelli da lui
interpretati finora: è Antonio, l’ex marito ossessivo e violento di
Un giorno perfetto.
È un percorso complesso negli
abissi della follia umana, anzi, al limite dell’umano, come
l’attore stesso ha affermato: “è un personaggio al limite tra
l’animale-uomo e l’uomo, un personaggio devastante” ma dal
quale, dice, “non mi sono fatto devastare”. Antonio non
accetta la realtà – la separazione da sua moglie Emma/Isabella
Ferrari, la rottura del nucleo familiare che lo allontana anche dai
due figli. La rabbia e il desiderio di possesso e controllo
esploderanno nella maniera più devastante. Pur con qualche
ingenuità e qualche caduta nel melodramma, specie nelle storie che
ruotano attorno alla principale, la vicenda dei due protagonisti
non può che impressionare lo spettatore, con un
inedito Valerio Mastandrea che brilla in
questo ruolo cupissimo, da orco, da incarnazione del male, dando
prova di grande versatilità – è premiato con il Golden Graal come
miglior attore drammatico. Mentre Isabella Ferrari rende
ottimamente lo spaesamento stralunato, lo scollamento da una realtà
che nonostante tutte le prove, non riesce a guardare col necessario
realismo.
Altro ruolo di simile cupezza, e
pari straziante efficacia, dove però la violenza si rivolge più
contro sé stesso che contro altri, è quello dell’ex pugile depresso
di Good morning Aman, esordio del regista Claudio
Noce e primo lungometraggio di cui Valerio
Mastandrea è anche produttore – “ho dato
una mano”, perché “oggi non basta più fare i film solo con
la propria faccia”. È la storia di due vite ai margini – l’ex
pugile Teodoro e il giovane italo-somalo Aman/Said Sabrie – e di
un’inattesa amicizia. Crudo realismo, assenza di retorica, di
pietismo; rabbia esibita o repressa, desolazione sono le chiavi del
film, che nonostante le buone prove, non ha avuto un gran
riscontro.
Il 2010 invece, è
l’anno del grande successo che mette d’accordo pubblico e critica.
Arriva grazie ad una nuova collaborazione con Virzì, nel suo film
forse più personale: La prima cosa bella,
ambientato nella sua città natale, Livorno. Con un ottimo cast,
tutto straordinariamente in parte: oltre a Valerio
Mastandrea, Stefania Sandrelli, Micaela
Ramazzotti, Marco Messeri, Claudia Pandolfi. Tutti assieme
a colorare una commedia che è un affresco della provincia italiana
degli ultimi quarant’anni, che parla di affetti e legami familiari
in modo non banale o stereotipato, ma ironico e disincantato e vede
il figlio Bruno/Valerio Mastandrea, insegnante
quarantenne perennemente a disagio, introverso e con molti
“vuoti” da colmare, fare i conti con la figura dell’ingombrante,
esuberante, affettuosa mamma Anna/Ramazzotti e Sandrelli, da cui si
era allontanato tanti anni prima. Il risultato fa sorridere e
commuove al tempo stesso. Il film fa incetta di David e Nastri:
finalmente il nostro ottiene il David di Donatello, con cui sarà
premiata anche Micaela Ramazzotti. Nastro d’Argento per Ramazzotti
e Sandrelli, ma anche per il miglior film, sceneggiatura e
costumi.
Nel 2011 l’attore romano partecipa
a diversi progetti, spaziando dalla commedia al dramma – da
Nessuno mi può giudicare e Cose
dell’altro mondo a
Ruggine. Ed esordisce anche come scrittore
con lo pseudonimo di Saverio Mastrofranco, firmando assieme a
Francesco Abate il romanzo ispirato dalla vicenda di quest’ultimo,
Chiedo scusa.
Quest’anno, lo abbiamo visto in
quello che definisce “il lavoro più difficile che ho fatto
finora”, ovvero vestire i panni del commissario Luigi
Calabresi nel film di Marco Tullio Giordana
Romanzo di una strage. Nella ricostruzione storica che
Giordana fa della strage di Piazza Fontana, delle indagini e dei
processi che la seguirono, dei personaggi che in tutta questa
complessa e lunga vicenda ebbero un ruolo, il controverso
personaggio del commissario capo della questura milanese esce come
avvolto in una nebbia, resta in gran parte oscuro. La morte di
Pinelli, che vola dalla finestra della questura, proprio quella
dell’ufficio di Calabresi, mentre lui non c’è. La violenta campagna
di stampa e d’opinione contro di lui che ne consegue, infine
l’agguato di cui rimane vittima. Ma dell’uomo Calabresi, di come
viva tutto ciò, sappiamo poco, restiamo distanti, non possiamo
approfondire. Forse un eccessivo pudore del regista, che però
influisce sulla resa del personaggio: freddo, trattenuto.
Con Gli
equilibristi di Ivano De Matteo siamo in
tutt’altro ambiente, epoca e situazione, ma c’è anche tutt’altro
coinvolgimento: pur nella chiave estremamente misurata, fatta di
sguardi più che di parole, mai sopra le righe, qui passa tutta
l’emozione necessaria a farci soffrire con l’impiegato Giulio, che
sbaglia e paga caro, non riuscendo poi a sopportare il peso
economico ed esistenziale di una separazione ai tempi della crisi.
Se all’inizio ridiamo amaramente con lui di una realtà cinica, che
non perdona, poi viviamo la sua vergogna, il senso d’indegnità che
lo portano a chiudersi sempre più in sé. Con lui riflettiamo sul
momento che stiamo vivendo e di cui finalmente negli ultimi tempi
si parla anche al cinema. Anche se, dice Valerio
Mastandrea, “la crisi c’è sempre stata, c’è da
quindici anni. Per questo non condivido chi parla di nuova povertà.
Ciò che colpisce oggi, invece, è la normalità con cui ci si può
sprofondare. Oggi tutto è pronto per tirarti giù. È questa la
novità”. Con questa interpretazione si è guadagnato il Premio
Pasinetti al Festival di Venezia, dove il film, attualmente nelle
sale, è stato accolto con dieci minuti di applausi.
Dal prossimo 4 ottobre lo vedremo
invece ne I padroni di casa di Edoardo
Gabriellini, assieme ad Elio Germano,
mentre dal 18 ottobre sarà nelle sale con l’ultima fatica di Silvio
Soldini Il comandante e la cicogna. Nel cast con
lui, Alba Rohrwacher, Giuseppe Battiston, Claudia Gerini,
Luca Zingaretti.
Chi invece volesse vederlo sul
palcoscenico, dovrà aspettare il prossimo febbraio. Debutterà
infatti il 14 al Teatro Ambra Jovinelli di Roma con uno spettacolo
da lui anche diretto e scritto da Mattia Torre: Qui e ora,
in scena fino al 3 marzo.
Torino. Anche le statue hanno gli
occhi per guardare, come quella di Garibaldi che, dall’alto del suo
piedistallo e dei suoi fasti, osserva le vite dei passanti, la loro
stranezza, il loro fascino, i loro sogni…abitanti di un paese alla
deriva.
Arriva il primo trailer di
Beautiful Creatures – La Sedicesima, la saga che
erediterà con ogni probabilità il vuoto lasciato dalla fine della
Saga di Twilight. Protagonisti del romanzo sono Ethan, un normale
ragazzo che abita in una sonnecchiosa cittadina del Sud Carolina e
Lena Duchannes, la ragazza dei suoi sogni (letteralmente) appena
arrivata in città. Tra i due si instaura subito un legame (sono
connessi tra loro con il Metapensiero e ognuno sente i pensieri
dell’altro), che sfocia in amore. Ben presto Ethan scoprirà che la
famiglia di Lena è tormentata da una terribile maledizione e che
lui è l’unico in grado di proteggerla.
Beautiful Creatures – La Sedicesima è scritto e
diretto da Richard LaGravanese (P.S. I Love You). Nel cast, oltre
ai due protagonisti interpretati da Alden Ehrenreich e Alice
Englert, ci sono anche Viola Davis, Jeremy Irons, Emma Thompson,
Thomas Mann ed Emmy Rossum.
Gael García Bernal (Ernesto “Che”
Guevara per Walter Salles ne I diari della motocicletta)
affiancherà Matthew McConaughey in The Dallas Buyer’s Club di
Jean-Marc Vallée. Ispirato ad una storia vera, il film è incentrato
sul personaggio di Ron Woodroof, interpretato da Matthew
McConaughey. Woodroof, elettricista texano con diagnosi di
AIDS, inizia un traffico di medicine alternative per aiutare se
stesso ed altre persone affette dalla medesima patologia. Le sue
azioni però lo portano presto in rotta di collisione con al Us Food
and Drug Administration, contraria all’uso di farmaci alternativi
sul suolo americano. Gael Garcia Bernal interpreterà uno dei
malati di AIDS riforniti da Woodroof. Le riprese del
film inizieranno il prossimo novembre.
La Summit Entertainment ha diffuso
via web un’altra locandina internazionale di The Twilight Saga:
Breaking Dawn – Parte 2, dopo l’ultima già vista qualche giorno fa.
La parte centrale del posterè più o meno simile alle immagini
promozionali già viste per gli altri film, con i tre protagonisti
Taylor Lautner, Kristen Stewart e Robert Pattinson, mentre la
fascia infariore del poster ritrae i Volturi schierati per la
battaglia finale.
Il film è diretto da Bill Condon e
nel cast comprende anche Jackson Rathbone e Ashley Greene. Uscirà
il 14 novembre 2012 in Italia e il 16 novembre in USA.
Adam Brody, presto
al cinema con Cercasi amore per la fine del mondo, entrerà a far
parte del cast di Baggage Claim, film diretto da David E. Talbert e
tratto dall’ omonimo romanzo dello stesso regista.
Il film, che vedrà anche la
partecipazione di Paula Patton, Derek Luke, Octavia Spencer, Taye
Diggs, Djimon Hounsou, Lauren London e Jill Scott, racconta la
storia di una trentenne che, stufa della sua condizione di single,
decide di intraprendere un viaggio di 30 giorni e 30.000 miglia
attraverso l’America per trovare finalmente l’uomo della sua vita.
Brody interpreterà il ruolo di un assistente di volo che farà
amicizia con la ragazza nel corso del suo viaggio.
Seth Green (Austin
Powers, The Italian Job, Scooby-Doo 2) è stato scelto per il ruolo
del protagonista nella pellicola indipendente diretta da Dustin
Marcellino, The Identical.
Secondo le ultime indiscrezioni,
Tom Hiddleston, noto al grande pubblico per l’interpretazione in
The Avengers, sarebbe stato scritturato per il nuovo film di Joanna
Hogg, terzo della sua carriera. Per quanto non si conoscano ancora
i dettagli di questo nuovo lavoro della Hogg, pare che le riprese
inizieranno molto presto a Londra e che dureranno sei settimane.
Hiddleston e la Hogg hanno già lavorato insieme in passato.
Hiddleston infatti è comparso in Unrelated, film del 2008 della
stessa regista e in Arcipelago, diretto sempre dalla Hogg ed uscito
nelle sale nel 2010.
Emilia Clarke, che
ha conquistato il cuore degli spettatori di Game Of Thrones con il
ruolo di Daenerys Targaryen la madre dei
Draghi, sarà accanto a Jude Law nel film Dom Hemingway , una
commedia noir scritta e diretta da Richard Shepard (Criminal
Minds).
Nel film un ladro, dopo dodici anni
di carcere, ritorna a Londra allo scopo di ritrovare i suoi
complici, sfuggiti alla cattura, per rivendicare la sua parte di
bottino. Con la Clarke e Law, anche Demian Bichir, in questi giorni
sugli schermi con Le Belve di Oliver Stone e che lo scorso anno ha
conquistato la sua prima nomination agli Oscar per la sua
interpretazione in A Better Life.
Katee Sackhoff è entrata a far
parte del cast della versione al femminile de I Mercenari, prodotta
dalla 1984 Private Defense Contractors su una sceneggiatura di
Dutch Southern.
Si tratta del secondo ingresso
ufficiale dopo quello di Gina Carano. La Sackhoff è nota
soprattutto per numerosi ruoli sul piccolo schermo, ma l’anno
prossimo sarà possibile vederla al cinema in Riddick con Vin
Diesel.
Una volta terminate le riprese di
Kick-Ass
2 a Toronto, la Troupe è volata a Londra per
iniziare una nuova sessione di riprese: per l’occasione, il regista
Jeff Wadlow ha diffuso un’importante foto dal set, relativa a una
sparatoria che si svolgerà durante un funerale.
Potete vederla qui sotto:
Kick-Ass
2 uscirà nei cinema americani il 23 giugno
2013. Tornano i protagonisti dell’irriverente commedia d’azione sui
supereroi del 2010 diventata in breve tempo un cult
cinematografico.
In Kick-Ass
2 la ragazza assassina Hit Girl
(Chloë
Grace Moretz) e il giovane vigilante Kick-Ass
(Aaron
Taylor-Johnson) stanno entrambi cercando di vivere
come due normali teenager con i nomi di Mindy e Dave. Preoccupato
del diploma di fine anno e di un futuro alquanto incerto, Dave crea
la prima squadra di supereroi “mondiali” insieme a Mindy.
Sfortunatamente però la ragazza viene scoperta nei panni di Hit
Girl, ed è costretta a ritirarsi, restando sola ad affrontare il
terrificante mondo della scuola, popolato da malvagie studentesse.
Nel frattempo Red Mist sta creando la propria squadra per far
pagare ai suoi acerrimi nemici – Kick-Ass e Hit Girl – per ciò che
hanno fatto a suo padre…
Iniziate le riprese di Malavita, il
nuovo film di Luc Besson, ecco arrivare la prima foto dal set che
vede Robert De Niro dialogare con lo stesso regista.
Il film racconterà la storia della
famiglia Manzonis, trasferitasi in Francia grazie a un programma di
protezione testimoni, che avrà grosse difficoltà a lasciarsi
indietro il proprio passato. Nel cast, anche Michelle Pfeiffer,
Tommy Lee Jones, Paul Borghese e Dianna Agron.