Difficile da capire la natura
dell’opera che Laurent Bouzereau ha presentato quest’anno al
65° festival
di Cannes, Roman Polanski: A Film
Memoir. Solitamente opere simili, con una tale portata
reverenziale e commemorativa, giungono o per ricordare una persona
scomparsa o per risollevare le sorti di un personaggio imbruttito
dalle critiche taglienti dell’opinione pubblica. È evidente la
sponda su cui si colloca questo documentario, ma è anche innegabile
la perfezione e il gusto con cui tale opera è stata portata a
termine. Mettendo da parte la funzione sociale sottesa, non si può
trascurare la perfezione del film e del modo in cui i contenuti
sono stati analizzati.
Girato nel 2009, durante gli
arresti domiciliari di Roman Polanski, in
Roman Polanski: A Film Memoir il regista si trova
seduto attorno a un tavolo con un suo caro e vecchio amico,
Andrew Baunsberg, ripercorrendo quei momenti che
lo hanno reso il personaggio controverso e insondabile che appare
davanti ai nostri occhi. Nel suo chalet di legno a Gstaad, i due
cari amici, si chiudono nella residenza del regista lasciando fuori
la realtà circostante, e dunque i motivi che relegano Polanski a
tale prigionia, per perdersi in un discorso intenso, minuzioso e
suggestivo.
Roman Polanski: A Film Memoir, il film
Con un fare genuino e intimo di chi
si conosce da una vita, Polanski snocciola con eleganza e
nonchalance i momenti salienti della sua esistenza. La carrellata
cronologica comincia con i ricordi d’infanzia. Le sue parole,
intervallate da foto di famiglia, descrivono una realtà che
sembrerebbe troppo lontana per lo stesso regista, eppure narrano la
sua esistenza, la sua giovinezza. I colori sbiaditi di foto in
bianco e nero tradiscono la perfezione e concretezza con cui il
regista narra i fatti, ripercorrendoli e analizzandoli come se si
trattasse, al contrario, di un momento recente. Nonostante una
famiglia bella e affiatata, Polanski vive il dramma della
separazione all’età infantile. Le circostanze storiche, la sua
origine ebraica e la sua collocazione geografica lo rendono
testimone della seconda guerra mondiale, e più nello specifico
della discriminazione razziale dell’epoca.
La gioia con cui il suo sguardo
racconta l’amore di un padre orgoglioso e premuroso, la dedizione
di una madre attenta e sempre presente è tradita dal dolore della
scomparsa e del distacco forzato. Nel suo racconto le sensazioni,
il dolore, alcuni fotogrammi di vita quotidiana acquistano toni
così indelebili da dover essere espressi, ricreati e ripercorsi
assieme. La sua infanzia sarà il serbatoio da cui il regista tirerà
fuori le idee geniali che gli sono valse riconoscimenti, premi e
acclamazioni internazionali.
Il suo racconto, seppur drammatico,
acquista accenti ironici e divertenti che regalano alla storia un
sapore più accattivante e degno di ascolto. Sono gli anni della sua
formazione, quelli trascorsi a Cracovia, studiando teatro e
tentando la fortuna, la quale, seppur incostante, gli è stata
vicina. Le poche parole del suo caro amico Andrew, scelte con
accuratezza e sagacia, aiutano il regista ad articolare la sua vita
piena di soddisfazioni ma anche di un dolore incontenibile. Acuto e
vivo il sentimento di strazio che Polanski comunica quando narra
della scomparsa della madre, della sua speranza ininterrotta di
poter riabbracciare il padre e della breve ma corposa storia
d’amore con Sharon Tate.
La sua vita pare confermi il
proverbio in cui la pioggia non tocca mai il terreno asciutto, e
dopo la tragicità di un’infanzia spezzata e difficile, la sua
redenzione sarebbe potuta avvenire solo con l’amore. Il suo sguardo
comunica la bellezza di un ricordo che ormai non si può più
rincorrere, quello del suo amore per Sharon Tate e della sua
ambizione di costruire una famiglia che potesse cancellare i
residui osceni di una guerra che aveva persino inficiato valori
come quello di dare vita a dei figli.
La bellezza di una donna e di un
sentimento puro, anche qui, sono stracciati via da un gesto tragico
e drammatico. La sua carriera cinematografica cavalca il successo
ma la sua vita privata, quasi in maniera inversamente
proporzionale, si infossa in un’impasse che ancora lascia i suoi
segni. Ma tutto il lato oscuro ritrova la magia e il sapore intenso
grazie a Emmanuelle Seigner, sua donna, sua compagna, madre dei
suoi figli ma anche artefice dei suoi sogni.