Boots Riley, dopo
il debutto dietro la macchina da presa per il film
Sorry to Bother you, torna con una serie che segue la
stessa onda del suo esordio in regia: Sono
Vergine. Lo show, che arricchisce il catalogo di
Amazon Prime
Video, si impregna di quel surrealismo tipico della
prima commedia nera di Riley, ma questa volta ad essere
protagonista è un gigante, il tenero e innocente Cootie,
interpretato da Jharrel Jerome.
Le figure mitologiche e
folcloristiche dei giganti, seppur affascinanti, hanno purtroppo
sempre trovato poco spazio all’interno del filone cinematografico
di ogni genere, ecco perché la scelta del regista di incentrare la
sua storia dai connotati satirici proprio su uno di loro, rende il
prodotto molto più attraente. Suscitando la curiosità del pubblico,
spinto a chiedersi quale racconto Cootie abbia in serbo per
lui.
Sono Vergine, la trama
Oakland, California. Cootie
(Jharrel Jerome) è un giovane ragazzo nato con una
specialità: è un gigante. Per tutta la vita, però, è stato tenuto
prigionerio nella sua stessa casa dai genitori adottivi, i quali
hanno sempre temuto per la sua incolumità, vivendo con il terrore
che il mondo esterno avrebbe potuto fargli del male qualora lo
avessero scoperto. Gli amici di Cootie sono i ragazzi che vede in
televisione, inoltre lui non ha fatto nessuna esperienza, né a
livello di amizia né tantomeno amoroso, e ne soffre.
Fino a quando, un giorno, non inizia
a parlare con tre ragazzi, Felix (Brett Gray),
Scat (Allius Barnes) e Jones (Kara
Young), i quali gli fanno scoprire cosa si cela aldilà
delle mura del suo appartamento nascosto. Una volta a contatto con
la società, Scootie si renderà conto di come siano davvero gli
esseri umani, e di quanto il sistema sociale e politico non sia
clemente e buono come lui immaginava. Nel frattempo, affronterà
anche un bellissimo viaggio nelle esperienze della vita.

Tra il surreale e il politico
Sono
Vergine è spennellato di una surrealtà molto comica,
grottesca e satirica, che ben si palesa dalla prima inquadratura
quando vediamo un bambino appena nato di grosse dimensioni in
braccio alla madre adottiva perplessa. L’intenzione del regista, lo
si capisce subito, è di non allontanarsi mai da questo tono
da commedia surreale, pur essendo la serie molto
ibrida, nella quale convergono molti tagli narrativi
differenti. Fra questi troviamo il fantasy, componente molto forte,
una sfumatura del thriller, del mystery, e negli ultimi episodi una
propensione all’action, che rendono lo show un
caleidoscopio di generi.
Inglobando narrazioni diverse fra
loro, pur mantenendo una base comedy, Sono Vergine cerca di
affrontare tematiche attuali molto importanti, riferendosi in
primis alla sfera politica americana, nella quale però sono
contenuti temi universali. È chiaro infatti il desiderio di Riley,
come aveva fatto in Sorry to Bother you, di
criticare il capitalismo e la sua crisi, a causa
della quale negli Stati Uniti la popolazione vede aumentarsi le
tasse e abbassarsi gli stipendi. Creando agitazione, sofferenza
economica e proteste. Anche il tessuto sociale è preso di mira, si
pone la lente d’ingrandimento sul razzismo e la disuguaglianza fra
classi sociali, là dove la povertà ti condanna alla morte, come
dimostra l’epilogo infelice di Scat, uno degli amici di Cootie,
deceduto per non essere stato soccorso in ospedale a causa
dell’assicurazione sanitaria.
L’inclinatura verso quest’atmosfera
più cupa e realistica è però sempre alternata, per non dire
surclassata, dal lato ironico e supereroistico della serie, la
quale si occupa principalmente di far conoscere allo spettatore il
viaggio esistenziale del protagonista e le sue gag quando è alle
prese con il mondo reale (la scena di sesso è fra quelle più
divertenti e interessanti). Spezzandone però di continuo il tono
che, seppur non generi confusione, infastidisce a tratti per la
ritmicità troppo compassata.
La forza è negli affetti
Sono
Vergine, nel suo marasma di eventi, ha la capacità di
rimanere comunque solido su quello di cui vuole davvero parlare: il
processo di crescita e l’accettazione della diversità. Il cominc of
age di Cootie, il gigante impacciato che deve fare i conti con la
vita al di fuori del nido di casa, sembra più una metafora che un
effettiva storia. Ci fa rendere conto di quanto sia difficile
astenersi dal giudicare, etichettare o accogliere chi non ci
somiglia, e quanto siamo tutti inclini al pregiudizio nonostante
chi abbiamo davanti non lo conosciamo affatto. Il nostro
protagonista, sia perché nero, sia perché fuori dal comune, viene o
sfruttato – monetizzando il suo corpo – oppure screditato e
aggredito dai media, che lo condannano subito come mostro seppur
non abbia commesso crimini.
Lo show però non si limita solo a
condannare o muovere una critica sociale, ma si impegna anche ad
elevare, nel suo realismo magico, le nostre relazioni,
ponendo l’accento sull’amore e l’amicizia, che
rappresentano l’altra faccia della medaglia, quella non intaccata
dal “lato oscuro”. Nonostante non sia ben visto dalla comunità,
Cootie è amato dai suoi amici e da Flora, un’altra diversa come
lui, ed è apprezzato per quello che è, senza essere manipolato o
denigrato. Sono Vergine si impianta
perciò sulle riflessioni di Riley, le segue e le approfondisce,
scavando nelle radici della società e della politica, per
smascherarne tutte le contraddizioni.
Dall’altra parte, però, cerca anche
di mostrare che qualcosa di buono c’è, e lo si può trovare in quel
tessuto umano fatto di principi, valori e lotte. Che, seppur minore
rispetto al circondario, è un gioiello da tenerse stretto e dal
quale attingere per fortificarsi. Lo show, nella sua traccia
surreale, ci dimostra quindi sia in quanto male e corruzione
navighiamo quotidianamente, sia quanta meraviglia si nasconde
nell’altro che, seppur restii poiché diverso, può farci scoprire
scorci di mondo – attraverso il suo sguardo – incantevoli.