Giurato numero 2: recensione del film di Clint Eastwood

Dal 14 novembre arriva in sala il nuovo lungometraggio del leggendario regista.

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A tre anni di distanza da Cry Macho, Clint Eastwood torna in sala con Giurato numero 2, nuovo lungometraggio del leggendario regista che arriva al cinema il 14 novembre. Il film, che vede come protagonista Nicholas Hoult nei panni di un giurato alle prese con un caso controverso, riunisce un cast che include Toni Collette, Zoey Deutch, Kiefer Sutherland, Chris Messina e J. K. Simmons. Scritto dall’esordiente Jonathan Abrams, Giurato numero 2 è poi musicato da Mark Mancina e distribuito in sala da Warner Bros.

 

La trama di Giurato numero 2

La vita di Justin Kemp (Nicholas Hoult) un giurato in un caso di omicidio, viene sconvolta da una rivelazione scioccante: potrebbe essere stato lui l’autore del crimine. Diviso tra il senso del dovere e la paura del giudizio, l’uomo si trova di fronte a un dilemma morale che metterà alla prova la sua integrità.

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Giurato numero 2: rielaborare gli immaginari

Hollywood conosce da sempre due soli modi di regolare i conti: a suon di pistolettate o all’interno di un’aula di tribunale. Vecchi cowboy e brillanti avvocati sono i due volti, le due più consuete manifestazioni, di una giustizia per lo più polverosa, ma efficace. Anime complementari della medesima astrazione che, forse inevitabilmente, convivono anche in quest’ultima creatura di Clint Eastwood. Segno di un cinema che, vissuto davanti e dietro la macchina da presa, prosegue fin dagli albori a fagocitare e rielaborare immaginari. A incarnare valori e significati alti, puntualmente offerti alla rigorosa rilettura poetica del suo autore. Implacabile, eppure immancabilmente lucida.

In quest’ottica, Giurato numero 2 non fa eccezione. Lo capiamo subito, a partire dalla didascalia – ai limiti della western-punch line – che campeggia appena sotto al titolo: “la giustizia è cieca, la colpa vede tutto”. Lo percepiamo nell’atmosfera da saloon che aleggia sul pub di periferia al centro della vicenda. E ancora nel ripetuto gioco di sguardi con cui i protagonisti sembrano a più riprese duellare nel corso della storia – o nel bicchiere di whisky (?) che, silenzioso, sfida il protagonista in uno dei frangenti di maggior tensione del racconto.

Toni Collette e J. K. Simmons in Giurato numero 2. Foto cortesia di © Warner Brothers

Eppure, Justin Kemp non è certo un georgiano dagli occhi di ghiaccio. Né tantomeno uno straniero senza nome – o un cavaliere solitario. Semmai un uomo dal passato torbido, anche se giovane marito e futuro padre. Tormentato da spettri e demoni interiori che bussano alla sua porta come le maschere della notte di Halloween – che guarda caso cade il primo weekend che contribuisce a ritardare il verdetto della giuria.

Giustizia e verità

Fin da subito, dall’establishing shot tematico sulla dea Themis e i suoi attributi (la bilancia e la benda sugli occhi), Clint Eastwood cede la parola al giurato. E attorno alla sua figura, attorno ai dilemmi, agli squarci etici e morali dello script di Jonathan Abrams, il cineasta edifica una complessa architettura di sguardi che si fa frontiera di riferimenti e suggestioni. A imperversare, prevedibilmente, sono innanzitutto gli spazi e le intuizioni del primo Lumet, che Eastwood si diverte a citare e insieme ad aggiornare secondo le coordinate dell’America di oggi – ragion per cui l’ostinata fermezza di Cedric Yarbrough, erede ideale del vecchio Lee J. Cobb, diviene la pur momentanea cassa di risonanza di un divario socio-economico che il regista non manca di mettere a fuoco.

Ma nel grande affresco eastwoodiano, calibrato al millimetro e al contempo quasi bulimico nelle sue vertigini citazioniste, confluiscono anche le principali istanze di molto del legal-thriller (e legal-drama) che ha costituito l’ossatura del genere fin dalle origini. Opportunamente imbevuto della filosofia del suo autore e di un’ironia che, di recente, abbiamo ritrovato solo nell’ultimo Friedkin – presentato postumo nel 2023 in occasione dell’80esima Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia.

Nicolas Hoult in Giurato numero 2. Foto cortesia di © Warner Brothers

“Io voglio la verità!” gridava del resto un giovane Tom Cruise nell’epilogo di Codice d’onore di Rob Reiner. Eppure, alimentando il parallelismo, il personaggio di Nicholas Hoult sembra piuttosto concretizzare l’”arringa” pronunciata dal colonnello Jessep di Jack Nicholson – lui giurato e insieme colpevole che “non può reggere” una verità che lo dilania. Epicentro non tanto dell’inevitabile e inflazionata dialettica tra verità processuale e verità storica. Quanto di una ricerca della “realtà dei fatti” che, come avveniva già in Richard Jewell, è più che altro frutto di ricostruzioni, narrazioni ad hoc e scampoli di sguardo catturati da uno smartphone – quando l’unico dispositivo in grado di fare ancora la differenza, sembra suggerirci Eastwood, rimane invece il mezzo cinematografico stesso.

Così, sebbene alla sbarra dei testimoni compaiano forse anche il Ridley Scott di The Last Duel e l’ultimo esperimento seriale di Alfonso Cuaròn – delle cui opere Clint Eastwood ripropone l’acuta frammentarietà audio-visiva – l’atteggiamento del regista classe 1930 non si impronta a un aprioristico rifiuto del valore delle immagini, ma piuttosto si colora dell’invito, premuroso, a maneggiarle con cura. Per un’opera dal respiro classico, ma perfettamente inserita nel presente, che muovendosi come di consueto tra dimensione pubblica e privata, crede ancora fermamente nell’impegno sociale – quindi umano – del singolo. Senza il quale l’intero sistema è destinato a collassare.

Spiazzante, vero, spietato. Buono, brutto e cattivo. A 94 anni inoltrati Clint Eastwood non sbaglia un colpo.

Giurato numero 2
4.5

Sommario

A 94 anni Clint Eastwood regala un film di disarmante lucidità. Un legal-thriller (e legal-drama) che fagocita l’immaginario del genere e lo rilegge secondo le principali coordinate del cinema dell’autore. Esaltante.

Dario Boldini
Dario Boldini
Laureato in Lettere Moderne all'Università Statale di Milano, ha collaborato con l'Associazione Culturale Lo Sbuffo a partire dal 2019, scrivendo articoli e approfondimenti sul mondo dello spettacolo. Ha poi frequentato la specializzazione in Critica cinematografica presso la rivista e scuola di cinema di Sentieri Selvaggi di Roma, con la quale collabora dal 2022. Appassionato di cinema e serie tv, collabora con Cinefilos dal 2023. A partire dal 2022 ha partecipato a diversi festival cinematografici su territorio nazionale, tra cui quelli di Venezia, Roma, Torino, Bergamo e Trieste.

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