Sembra proprio che
Robert De Niro non si rassegni al tempo che
passa e, pur di non perdersi la scena, si presta a ruoli che lo
rendono caricatura di se stesso, del grande attore che una volta
fu. Dopo il cameo in
Manuale d’amore 3 (2011) insieme alla Bellucci,
Capodanno a New York (2011), eccolo vestire i panni di
un noto e potente sensitivo del passato, tornato alla ribalta,
Simon Silver, nel thriller/melodramma di Rodrigo
Cortés, Red Lights.
Ora, i lettori staranno pensando
che è lui il protagonista. In realtà no, non lo è. Resta il fatto
che ha un ruolo centrale, pur sempre ingombrante, quando
l’interpretazione _ istrionesca_ fa acqua da tutte le parti,
compromettendo un equilibrio già di per sé labile; e tenuto in
pedi, a fatica, dai due attori principali,
Sigourney Weaver (Margareth Matheson) e
Cillian Murphy (Tom Buckley): tenaci
smascheratori di farse paranormali.
Il loro scetticismo, sino a quel
momento solido e deciso, si ritrova improvvisamente a barcollare,
di fronte al potere di Silver, la cui fonte sembra davvero essere,
solo ed esclusivamente, paranormale. Il finale di Red
Lights è di certo intelligente, ma quando arriva non
sorprende: la tensione e già calata – forse non c’è mai stata- ,
l’interesse anche. E un po’ dispiace, considerata la prova
precedente del regista spagnolo, Buried-Sepolto, in cui nello
spazio ristretto di una bara, Cortés era riuscito a costruire, e a
mantenere, l’apprensione, restituendo, ad ogni fotogramma, la paura
e il senso di claustrofobia.
Niente da fare invece per
Red Lights, in cui, strada facendo, sembra proprio
venir meno la regia; e, uno sguardo acuto e raffinato, cede il
posto a una narrazione dispersiva, senza picchi né crescendo, e che
procede perdendo di vista un obiettivo. Il ritmo è dilatato, le
vite dei personaggi, per quanto vicine, sembrano non incontrarsi
mai davvero ( perfettamente inutile, anche nel suo essere
secondario, il personaggio di Elizabeth Olsen, assistente e amante
di Tom); così come, ridondante è la fase della
sperimentazione su Silver, condotta da un team di scienziati e
ricercatori universitari: un momento potenzialmente topico,
relegato invece all’espediente di registrazioni video, che servono
a poco, o a niente.
Insomma, una prova fallita per
Cortés: non resta che sperare nella successiva.