L’accoppiata vincente che diede
vita a Seven, tra il regista David Fincher e lo sceneggiatore Kevin
Walker potrebbe riformarsi in occasione del nuovo adattamento
cinematografico del capolavoro di Giulio Verne. Del progetto si
parla da tempo, ma i passi in avanti non sono stati molti: diversi
sono stati gli scrittori presi in esame, ma Fincher non sembra
essere stato convinto fino in fondo di nessuna delle possibilità
valutate: per questo, si sarebbe pensato a Walker (che negli ultimi
anni ha sceneggiato, tra gli altri Sleepy Hollow e The Wolfman),
riformando il team che fu alle spalle del capolavoro con Pitt e
Freeman: certo c’è da domandarsi come si troveranno i due a
cooperare sulle avventure del Capitano Nemo & Co. a bordo del
Nautilus, così lontane dal precedente thriller.
A produrre il film sarà la Disney,
cui peraltro si deve il precedente adattamento del libro, negli
anni ’50. Gli appassionati di Giulio Verne potrebbero però
dover pazientare: diversi sono infatti i progetti attualmente al
vaglio di Fincher, fresco reduce dalla lavorazione di The Girl With
The Dragon Tattoo, adattamento di Uomini che odiano le donne, primo
capitolo della ‘Millennium Trilogy’ di Stieg Larsson.
Vessato da critiche e osannato nei festival
di tutto il mondo, con tanto di Coppa Volpi al protagonista Michael
Fassbender, Shame è un film che fa senz’altro parlare di sè.
Real Steel, il
nuovo film prodotto
dalla DreamWorks
Pictures, racconta la storia di un ex pugile, Charlie
Kenton, (interpretato da un prorompente Hugh Jackman), che ha visto e subìto la
trasformazione della boxe, costretta a piegarsi di fronte alle
nuove esigenze del pubblico: violenza indiscriminata e
spettacolarizzazione.
La trama di Real Steel
In Real Steel Siamo nel 2020, un
futuro non troppo lontano, dove i robot, comandati attraverso
speciali telecomandi high-tech e pannelli di controllo, salgono sul
ring con un solo scopo: distruggere per non essere distrutti.
Girovagando in cerca di grana facile, Charlie si immerge nel
circuito degli incontri clandestini, allenando i suoi robot
malandati senza passione, alla fine dei conti è proprio per colpa
loro che la boxe ha perso la sua poesia ed eleganza, e Charlie il
suo lavoro. Ma non tutti i mali vengono per nuocere. Sarà proprio
grazie ad un robot molto speciale, Atom, che Charlie riuscirà a
riscattare un’assenza durata undici anni, riconquistando l’affetto
del figlio Max, (Dakota Goyo) e la fiducia della
compagna Bailey, (Evangeline
Lilly), uscendo vincitore dalla sfida col destino.
Basato sul racconto Steel
del leggendario maestro di fantascienza Richard Matheson,
il nuovo e spettacolare film Real Steel diretto
dal regista Shown Levy è la storia di tre
personaggi, un uomo, un bambino ed un robot, che ritrovando se
stessi grazie al perseguimento di una passione, la boxe, arrivano a
combattere nella Lega ufficiale, la WRB, (World Robot Boxing
League), eludendo le meccaniche schiaccianti dello
show-business.
Con Real Steel
siamo di fronte ad un film di grande impatto, molto sentito
sia dal regista che dagli attori stessi, che non si limita al solo
gioco degli effetti speciali, ma ricerca l’aspetto più “umano”
della voglia di mettersi in gioco e ricominciare da capo. “Shown ha
creato una realtà. Questo è forse il suo film più realistico, con
cui si è completamente reinventato come filmmaker” dichiara il
produttore esecutivo Steven Spielberg, ed è infatti lo stesso
Shown, grande ammiratore della boxe e regista creativo, ad
avvalersi di professionisti come Sugar Ray Leonard, per realizzare
dei combattimenti avvincenti, dove le coreografie sempre diverse
dei robot non hanno nulla da invidiare ai match combattuti da umani
in carne e ossa.
L’impegno del regista di lavorare
in completa sinergia con gli attori e i tecnici è rintracciabile
nell’assoluta morbidezza e spontaneità dell’azione dove
l’happy ending, tanto atteso e forse un po’ scontato, è il
risultato di una catarsi che lascia allo spettatore un’energia
positiva, non troppo edulcorata ma carica di buoni sentimenti, che
ben si mescolano con le immagini iperboliche di un film dal sapore
“retrò-futuristico”.
Scarlett
Johansson sta cercando di passare dietro la macchina da presa e
si prepara al suo debutto alla regia portando sul grande schermo un
romanzo di Thruman Capote: Summer Crossing.
I Marvel Studios hanno ufficializzato un nuovo
banner per The Avengers, che come al solito mostra l’intero cast di
spuer eroi in assetto da combattimento.
The Whistleblower è tratto da una
storia vera e narra le vicissitudini di una poliziotta del Nebraska
(Rachel Weisz) che entra a far parte dei corpi di pace delle
Nazioni Unite nella Bosnia del dopo guerra civile, e che si trova a
portare alla luce uno scandalo di tratta delle bianche che anche
l’ONU cerca di far passare sotto silenzio.
Un po’ come quando si parla di
morte e visioni e non si riesce a non pensare al Sesto
senso. 1921 – il mistero di
Rookford richiama per certi versi un po’ tutti questi
film che hanno segnato profondamente il sottogenere
ghost-story. Quando si affronta una storia di
fantasmi, che si svolge interamente in una spettrale villa di
campagna in mezzo ad uno sterminato giardino, è inevitabile non
pensare a pellicole come The Others o al più
recente The Orphanage.
Ambientato nell’Inghilterra del
1921, alla fine della Prima Guerra Mondiale, 1921 – il
mistero di Rookford racconta la storia di Florence,
una donna estremamente razionale e molto scettica che viene
chiamata in una scuola di campagna per investigare su un
inspiegabile crimine. Un ragazzo è morto e alcune foto successive
del cadavere rivelano sullo sfondo una misteriosa figura sfocata.
Tanti ragazzi parlano di presunte apparizioni di un fantasma nella
scuola. Florence quando crede di aver confutato la teoria del
fantasma, si imbatte in una creatura soprannaturale che abbatte
tutte le sue credenze razionali.
1921 – il
mistero di Rookford: recensione del film
Pur rimanendo un gradino sotto
all’ultimo The Orphanage, e nonostante l’abusato tema che
tratta, il film opera prima nel cinema di Nick
Purphy riesce nell’intento di raccontare una storia a
tratti originale senza per questo rinunciare a richiami formali e
contenutistici ad altre opere del genere. Questo avviene grazie
anche a una sceneggiatura non impeccabile per intreccio ma
interessante per i particolari e per gli espedienti con i quali
racconta gli avvenimenti. Se poi aggiungiamo a ciò la bravura del
cast femminile del film, è facile giudicarlo positivamente. Su
tutti spicca la bravissima Rebecca Hall, che ancora una volta conferma di
possedere un talento sobrio, capace di regalarci un personaggio che
si muove in una cornice colma di sofferenza con straordinaria
eleganza.
La sua interpretazione possiede
quella sottigliezza e quella profondità che rendono del tutto
credibili le cose soprannaturali con le quali viene in contatto. Al
suo fianco Imelda Staunton, un nome noto ai fan di
Harry Potter, che con il suo viso spigoloso
impreziosisce il cast. A chiudere il quadro, c’è la poetica
partitura di Daniel Pemberton che riesce a donare
al film un tocco di profondità in più, l’uso del violino infatti fa
eco alla sofferenza dei personaggi che si muovono in un’ambiente,
la casa, che nell’horror ha un ruolo privilegiato di luogo del
perturbante (valga per tutti gli Invasati di Robert Wise).
Nota dolente è la prima parte del
film, che a stento riesce a trovare i giusti tempi di suspense.
Fortunatamente la svolta arriva ben presto riuscendo a dare
quell’azione che serve per percorrere il binario del terrore. I più
avvezzi al genere riusciranno a godere di un discreto thriller con
sprazzi di orrore.
In Miracolo a Le
Havre Marcel Marx un tempo era uno scrittore, ma ha
abbandonato da anni la vita artistica per dedicarsi a una più
modesta attività, quella di lustrascarpe nella città portuale di Le
Havre; Idrissa è un giovanissimo ragazzino africano, sbarcato per
caso in Normandia dentro un container diretto a Londra, dove vive
sua mamma. L’incontro fortuito tra questi due sradicati e l’aiuto
spontaneo che Marcel offre a Idrissa è solo la prima scintilla che
spinge tutta la comunità a darsi da fare per mostrare un po’ di
solidarietà, mentre le autorità lo cercano come fosse un soggetto
pericoloso.
È di pochi saper trattare temi alti
con sincerità e al tempo stesso leggerezza, e in questo sta la
grandezza di Kaurismaki: nel riflettere sull’Europa senza frontiere
e sull’immigrazione clandestina, sull’identità e sulla solidarietà
sociale, rinuncia da subito ai toni predicatori e conferisce a
Miracolo a Le Havre la giocosità di un fumetto. A
questo fanno pensare sia il suo stile di regia, fatto di immagini
quasi sempre fisse ma con colori così netti e vividi, sia la
caratterizzazione dei personaggi, sempre fortemente tipizzati: il
lustrascarpe vietnamita, il rocker Little Bob, il vicino spione,
l’esilarante Commissario Monet che mantiene il suo volto
impassibile anche girando per Le Havre con un ananas in mano. Il
regista finlandese è aiutato in questo da un cast straordinario,
con molti habitué dei suoi film, dei quali asseconda minuziosamente
ogni gesto e mimica facciale.
Oltre alla levità di cui si è detto
c’è un messaggio ottimista di fondo che, se ai più cinici può
apparire forzato nella realtà attuale dell’Unione Europea, è in
realtà sintomo di un umanesimo incrollabile: così come Marcel ha
scelto di fare il lustrascarpe per vivere in mezzo alla gente
(seguendo “i precetti del discorso della montagna” secondo le sue
stesse parole), Kaurismaki racconta il quotidiano
in modo essenziale e mai artificioso, ama tutti i suoi personaggi
indistintamente perché vuole mostrarci come i gesti individuali
abbiano un valore assai più incalcolabile della cecità dei sistemi
e delle autorità costituite. Se la polizia di Le Havre non sa far
altro che accogliere a mitra spianati dei poveracci che muoiono di
fame, Marcel è lì a ribadirci che forse la scelta migliore è farlo
con un panino al formaggio.
Lunedì 21 novembre alcune centinaia di
fortunati fan di LIGABUE iscritti al barMario avranno la
possibilità di viaggiare su un unico treno con carrozze riservate,
da Milano a Roma (con fermate intermedie a Bologna e Firenze),
I due registi del documentario
incontrano la stampa dopo la proiezione della loro opera, le
domande che vengono loro fatte sono sul passato e sulla modalità di
realizzazione del filmato.
E’ presente anche il distributore,
che spiega come è avvenuto l’incontro con Pagnoncelli e Cordio.
Kirsten Dunst, premiata come miglior
attrice femminile al Festival
di Cannes 2011 per l’interpretazione di Justine in Melancholia
di Lars von Trier, entra
Michael Kenneth
Williams, l’Omar di The Wire,
attore apprezzato e versatile, era stato inizialmente in lizza per
il ruolo principale di Django
Unchained, il nuovo film di Quentin Tarantino. Per
questioni d’agenda, la parte era andata a Jamie Foxx. In seguito,
era nata l’idea di un ruolo minore in Django per M. K. Williams.
Tuttavia, ora pare ormai certo che, a causa degli impegni con la
serie Boardwalk Empire, non vedremo l’attore afroamericano nel
western di Tarantino. Niente paura per i fan dell’Omar Little di
The Wire: nel 2012 sarà ugualmente sui grandi schermi con Snitch di
Ric Roman Waugh.
Hugh Jackman ha
cominciato con Wolverine. Si può
tranquillamente prendere per buona questa affermazione, se
consideriamo che quello del mutante è il suo primo ruolo di una
certa importanza e che gli ha dato anche notorietà. La sua carriera
cinematografica, cominciata con il quasi sconosciuto Paperback Hero
nel 1999, subisce nel 2000 una svolta decisiva con il film di
Bryan Singer, e quest’anno, con un piccolo cameo
inX Men: L’inizio,
ha compiuto il suo undicesimo anno e chiuso una sorta di cerchio
ideale.
Quella col personaggio di
Wolverine è la tipica ‘identificazione’
che rischia di rivelarsi un’arma a doppio taglio: certo
l’interpretazione, riuscitissima, del personaggio ha dato a
Hugh Jackman una popolarità che forse altrimenti
non avrebbe avuto, tuttavia vi è sempre il rischio che certi ruoli
finiscano per ‘imprigionare’ l’attore, impedendogli di mostrare
pienamente le proprie potenzialità.
A guardarli nel loro insieme, nel
corso di questi undici anni abbiamo visto Hugh
Jackman (nato a Sidney nel 1968) impegnato in due filoni
principali: da una parte l’azione, quella certo della trilogia
degli X-Men (meglio forse il primo e il
terzo, più debole il secondo capitolo), ma anche di un film
ambizioso quanto dagli esiti abbastanza scontati come
Codice Swordfish, o il più riuscito
Van Helsing, in cui ha vestito i panni
del cacciatore di vampiri in una rilettura (forse un pò troppo
libera) del personaggio di Bram Stoker.
All’opposto, vi sono i film della categoria ‘commedie romantiche’,
come Qualcuno come te, che lo ha visto recitare a fianco di
Ashley Judd, o Kate & Leopold con Meg
Ryan, in cui il nostro ha interpretato un gentiluomo
ottocentesco catapultato ai giorni nostri.
Ma è nel musical che Hugh
Jackman trova la sua vera vocazione. Nel 2002 canta il
ruolo di Billy Bigelow nell’edizione di Carousel
presentata alla Carnegie Hall mentre nel 2003 debutta a Broadway
come protagonista dell’acclamato spettacolo The Boy
from Oz. La sua interpretazione del musicista Peter
Allen riceve grandi apprezzamenti da parte di pubblico e critica,
ottenendo, nel 2004, il Drama Desk Award e il
Tony Award come miglior interpretazione maschile in un
musical. Per tre stagioni successive (2003, 2004 e 2005) presenta
la cerimonia di premiazione dei Tony Awards (vincendo, nel 2004,
l’Emmy come miglior presentatore). Nel 2003 la sua interpretazione
di Peter Allen nell’ edizione newyorkese di The Boy
from Oz gli vale il Tony Award come miglior
interprete maschile e nell’estate del 2006 riprende il ruolo Peter
Allen nello show Boy From Oz – Arena Spectacular, (un’ edizione
speciale del musical, diretta da Kenny Ortega). Sempre nel
2006 esce una tripletta di lavori che, grazie soprattutto al
livello della regia, hanno senz’altro contribuito alla crescita
professionale dell’attore, che si è dedicato alla recitazione dopo
gli studi di giornalismo: Scoop, secondo
film londinese di Woody Allen, The Fountain (in
italiano: L’albero della vita di Darren Aaronofsky) e soprattutto
The Prestige di Christopher Nolan dove, complice anche il
dividere la scena con Christian Bale,
Jackman ha offerto una delle sue interpretazioni
più convincenti.
Hugh Jackman: a Broadway con gli
artigli di Wolverine
Poi è il turno di una
scelta sbagliata: nel 2008 Baz Luhrmann mette
insieme un cast di australiani per portare al cinema una grande
epopea su quella terra, in stile Via Col Vento. Purtroppo però il film
è un vero fiasco e Hugh si ritrova con la collega Nicole Kidman a dare volta al più brutto film
di Luhrmann.
Non appare casuale, quindi, che il
nostro sia spesso tornato ‘sul luogo del delitto’, interpretando a
più riprese Wolverine, fino al film omonimo
dedicato alle origini del personaggio, forse per restare ‘fedele’
(o cementare la fedeltà) del suo pubblico.
Nel corso di questi undici anni
Hugh Jackman si è tolto qualche soddisfazione
‘importante’, come la conduzione della cerimonia degli Oscar nel 2009, qualche altra più
‘frivola’, come l’elezione a uomo più sexy del mondo da parte di
“People” nel 2008, e ha forse visto svanire ‘l’occasione della
vita’, essendo stato per qualche tempo trai ‘papabili’ per il ruolo
di nuovo ‘007’, assegnato a Daniel Craig.
Più recenti sono i
ruoli ne Il ventaglio segreto e in
Real steel, variazione futuristica sul rapporto
‘padre – figlio’ che vedremo e breve sugli schermi italiani.
Per Hugh Jackman
sembra che non sia ancora arrivata la grande occasione al cinema,
uno di quei ruoli che consacrano un attore, e quindi per ora si
impegna affinchè arrivi al cinema ancora una volta il suo
personaggio feticcio, quel Wolverine che
l’ha reso noto, con una produzione che però fatica a decollare. Per
ovvie ragioni d’età non sappiamo quanto a lungo Hugh potrà ancora
contare sul mutante artigliato, tuttavia speriamo che la sua
vocazione musicale non venga accantonata.
Sharon
Stone interpreterà la madre di Linda Lovelace
(1949-2002) nel film biografico Inferno: a Linda Lovelace Story,
diretto da Matthew Wilder. Il film, che avrà come protagonista la
svedese Malin Akerman (Watchmen), sarà basato sul libro Ordeal: An
Autobiography by Linda Lovelace with Mike McGrady.
La Stone, prima di dedicarsi a
Inferno, prenderà parte a The Mule, un thriller firmato Michael
Radford.
Quentin Tarantino,
nel settembre 2010, ha perso la fedele montatrice di tutti i suoi
film, Sally Menke, scomparsa a soli 56 anni. Ora sembra averne
individuato il successore in Fred Raskin, che con Tarantino ha già
collaborato in qualità di assistente al montaggio nei due Kill
Bill.
Sciolto anche il nodo del direttore
della fotografia: toccherà a Robert Richardson, già agli ordini di
Tarantino nella saga di Bill e in Bastardi senza gloria, nonché
vincitore di due premi Oscar per la miglior fotografia con The
Aviator e JFK.
E’ arrivato online
Scrat’s Continental Crack-Up — Part 2. Il cortometraggio è una
sorta di presentazione del quarto episodio della serie L’Era
Glaciale ed anche il seguito di Scrat’s Continental Crack-Up
Il trailer ufficiale di
“Titanic 3D”, riadattato in 3D da James Cameron, con Leondardo
DiCaprio, Kate Winslet, Gloria Stuart, Billy Zane, Frances Fisher,
Bernard Hill e Bill Paxton.
Dopo il poster ecco il trailer, il Titanic di
James Cameron si prepara a tornare più in forma che mai in un 3D
che, siamo sicuri, sarà spettacolare. Ritroveremo Jack e Rose
“New Years Eve” celebra l’amore, la
speranza, il perdono, le seconde possibilità e le ripartenze, in
storie intrecciate tra impulso e promesse della citta di New York
nella notte più splendente dell’anno.
Il NICE (New Italian Cinema Event)
torna negli Stati Uniti. Il festival, fondato a Firenze nel 1991,
era nato con l’idea di promuovere il nuovo cinema italiano
all’estero, obiettivo che svolge eccellentemente da 21 edizioni.
Inauguratosi all’Anthology Film Archives-Courthouse Theatre a New
York il 10 novembre, si è trasferito a San Francisco al Landmark
Embarcadero Center Cinema, il 13 novembre.
Il primo trailer
ufficiale del film “Young Adult” di Jason Reitman, con Charlize
Theron, Patrick Wilson, J.K. Simmons, Elizabeth Reaser, Patton
Oswalt, Emily Meade, Collette Wolfe e Louisa Krause.
Il buono, il matto, il
cattivo Kim Ji-woon è uno dei registi coreani più
interessanti che ci sono in circolazione, noto per lo stile
adrenalinico e sanguinolento dei suoi notevoli lungometraggi.
Questa volta il talentuoso regista affronta il western alla Sergio
Leone (citato sin dal titolo e ricordato nelle spettacolari
sequenze iniziali della corsa del treno che danno il via alla
storia), regista che rappresenta una inesauribile fonte di
ispirazione per tantissimi maestri del cinema.
Ne esce un bizzarro action movie
ambientato tra le valli desertiche della Manciuria durante gli anni
’30, che ricorda tanto il mitico Far West fasullo (e
spagnolo) degli spaghetti western, popolato di loschi banditi mossi
da avidità e sete di potere. Un bizzarro individuo (il matto del
titolo, ossia la star Kang-Ho Song molto
apprezzata in film come “Thirst”,“The host”, “Secret
sunshine” e “Mr. Vendetta”) ruba ad un ricco
contrabbandiere una famosa mappa che porterebbe al nascondiglio di
un immenso tesoro nascosto nell’antichità.
Quest’ultimo assolda un killer (il
cattivo, Byung.Hun Lee, attore feticcio di Kim Ji-woon che lo ha
diretto sia in “Bittersweet life” che in “I saw the devil”)
per recuperarla, ma sulle tracce di entrambi giunge un famoso e
abilissimo cacciatore di teste (il buono), non del tutto
indifferente all’idea di un bel malloppo di cui impadronirsi che si
andrebbe da aggiungere alla taglia che pende sui due
malviventi.
Lo scontro e la fuga tra i tre
protagonisti sono rocamboleschi e si snoda in un crescendo di
inseguimenti e sparatorie. Si deve ammettere che Ji-woon convince
di più nei magnifici thriller che hanno preceduto questa bizzarra
pellicola ma è importante ricordare che in Corea è conosciuto come
un regista pop, capace di alternare horror e noir girando storie
che viaggiano sempre a grandi velocità, tanto che in estremo
oriente i suoi film sono dei blockbuster annunciati.
Il buono, il matto, il
cattivo è un vero e ossequioso omaggio agli
spaghetti western, in cui la ricerca di personaggi iconici
sono parte di un teatrino variopinto e grottesco, in cui si possono
intravedere le tracce di Sukyiaki Western Django
di Takashi Miike. Mescolando il western e la pura avventura Kim
stupisce soprattutto per le scelte registiche al limite
dell’acrobatico, con piani sequenza ed altri spettacolari movimenti
della macchina da presa che rivelano le grandi abilità tecniche del
regista. Il buono, il matto, il cattivo arriva in
Italia dopo aver incassato nel mondo ben 44 milioni di dollari, e
vederlo in sala (rendendosi sempre conto che Sergio Leone è
tutt’altra cosa) è la classica occasione da non perdere.
La HBO ha lanciato una delle serie di punta
della sua nuova stagione. Si tratta nientemeno che di Luck, la
serie creata da David Milch (NYPD, Deadwood).