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The world makes zombies: il Made in Italy al lavoro!

The world makes zombies: il Made in Italy al lavoro!

Oggi vi segnaliamo un’interessantissima iniziativa sul tema degli Zombie, che comprende la messa in onda di tredici post. Gli artefici del progetto sono un gruppo di autorevoli professionisti nel campo del make-up e di Special Effect made in Italy (il Leonardo Cruciano Workshop) e della produzione (la Interzone Visions), oltre a Revok film e Onda Videoproduzioni. Di seguito un approfondimento sull’iniziativa.

Il progetto “The world makes zombies” è una liberissima sperimentazione sul tema “zombie” nata dalla voglia comune nostra e dei nostri partners di unire capacità, possibilità e mansioni, in indipendenza e libertà per ottenere qualcosa di nuovo e visivamente stimolante.

Dato il momento difficile che chi come noi si occupa di Cinema, come di pubblicità, sta vivendo, a causa della crisi economica che blocca la creatività al suo nascere, ci è sembrato naturale accostarci a una riflessione con una valenza se vogliamo sociale più complessa. Abbiamo quindi pensato a un accostamento fra un “Mondo di zombies” e una campagna di “spot” pubblicitari, senza un cliente e no-sense… almeno apparentemente. Il concetto che “il mondo crei zombies” è chiaro, ma il fatto che che la frase negli spot avrà un seguito. Inoltre, il nostro cammino verso la spontanea creazione di una sorta di circuito di produzioni ed entità professionali di alta qualità, ancora disponibili a mettersi in gioco su progetti indipendenti ma visivamente importanti, ha dato vita a un vero e proprio laboratorio di sperimentazione: dallo special make-up alle nuove forme di comunicazione visiva, in continua crescita e con la perenne voglia di mettersi in gioco.

L’idea è nata in seno al Leonardo Cruciano Workshop, che si è occupato dell’ideazione dei concept e di tutta la parte relativa allo special make-up. Una crew di truccatori, scenotecnici, props maker, costumisti si è occupato della costruzione, zombi dopo zombie, del mondo dei vari video. Ad occuparsi della parte produttiva e realizzativa in senso stretto, tre case di produzione: la Interzone Visions (www.interzonevisions.com), la Revok – Film & Media Production (http://www.revokfilm.com) e la Onda Videoproduzioni (www.ondavideoproduzioni.com), responsabili della parte relativa ad attrezzatura, produzione, shooting, post-produzione. Inoltre, abbiamo avuto l’appoggio indispensabile di professionisti con cui collaboriamo e che possiamo vantarci di avere come partner professionali e amici: da Bruno Albi Marini per i Vfx, a Briseide Siciliano per la consulenza scenografica, all’ Officina – Studi e servizi per il cinema (www.officinema.com) per le location, ai make-up artists Jeff Goodwin e Stefano Fava, che non solo hanno prestato il loro volto per due spot, ma che con il loro Cinema Makeup Academy project (http://cinemamakeupacademy.wordpress.com/) hanno partecipato alla creazione di alcuni trucchi.

Per quanto concerne tutto l’aspetto visivo, non possiamo non ammettere di aver pensato tanto al mondo di Romero… Ma, precursori a parte, abbiamo cercato di essere il più possibile “personali”. La cifra stilistica usata nei concept del trucco è stata quella del realismo che può sembrare una parola strana da usare in riferimento a una figura di fantasia come quella dello zombie, ma che in realtà si riferisce al nostro tentativo di avvicinarci per esempio a riferimenti patologici, anatomici, scientifici… Tutto per evitare l’effetto “mascherone” tipico dell’iconografia classica dei film di zombie.

Per le “storie” invece abbiamo deciso che su tutto doveva vincere sempre e comunque l’ironia: la figura dello zombie si presta perfettamente a giochi, metafore e ambivalenze… Non abbiamo cercato la gag a tutti i costi (comunque difficile per un formato così breve e immediato come quello usato per i nostri video) ma abbiamo lasciato che la “naturale” goffaggine dello zombie portasse avanti il nostro ironico punto di vista sul mondo… Quello dei morti viventi è da sempre un “tormentone” molto variegato e divertente, che con tutti suoi significati più metaforici e con le buone potenzialità che può offrire anche a basso costo, ritorna quasi ciclicamente nei momenti di crisi…

Potrete seguire WMZ sulle nostre piattaforme virtuali: il blog www.worldmakeszombies.wordpress.com, che sarà il contenitore di tutto ciò che concerne il progetto, la pagina Facebook (https://www.facebook.com/pages/WMZ-World-Makes-Zombies/218795181522901), quella su Vimeo (http://vimeo.com/user9286540) e presto il canale YouTube. Siamo partiti il 17 novembre con la pubblicazione di un’ anteprima di due minuti e mezzo del backstage. Come annunciato, dal 22 novembre sarà online la versione estesa del dietro le quinte e poi, dal 27 novembre, pubblicheremo, uno al giorno per 13 giorni, i video realizzati.

Ecco il Backstage del progetto, in attesa di vedere i tredici spot prodotti:

Backstage 4′ from WMZ world makes zombies on Vimeo.

Christian Bale parla del Cavaliere Oscuro il ritorno!

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Arrivano le primissime dichiarazioni di Christian Bale su The Dark Knight rises. L’attore ha parlato dello sviluppo del suo personaggio, Bruce Wayne, nell’ultimo episodio della trilogia diretta da Christopher Nolan.

Anthony Hopkins e Judi Dench in Scarpe Italiane di Kenneth Branagh!

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Anthony Hopkins e Judi Dench saranno i protagonisti di un film di Kenneth Branagh, adattamento del romanzo Scarpe italiane, dell’autore svedese Henning Mankell, edito in Italia da Marsilio. Il libro racconta la storia di un chirurgo che, in seguito a un grave errore, si è autoesiliato su un’isola circondata dai ghiacci. Ogni mattina scava un buco nel ghiaccio per immergersi e ricordare a se stesso che è vivo. Una visita inaspettata lo constringerà a uscire dal suo isolamento. Il libro è stato adattato per il grande schermo da Richard Cottan.

Vi ricordiamo che Branagh prima di lavorare a questa pellicola dovrà dovrà dirigere l’altro adattamento The Guernsey Literary and Potato Peel Pie Society e The Boys in the Boat.

Fonte:comingsoon.it

Amber Heard in Motor City!

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Al cast dell’action thriller Motor City si è aggiunta Amber Heard. L’attrice, fra nuovi volti in ascesa è apparsa di recente al fianco di Johnny Depp in The Rum Diary e in Drive Angry con Nicolas Cage.

Twixt di Francis Ford Coppola chiuderà il Torino Film Festival!

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Twixt di Francis Ford Coppola chiuderà il Torino Film Festival!

Mancano pochi giorni all’inizio del Festival di Torino, che a sorpresa annuncia un nuovo titolo: evento di chiusura, la serata del 3 dicembre, assieme alla proiezione del già annunciato Albert Nobbs, ci sarà l’anteprima internazionale di Twixt, il nuovo film di Francis Ford Coppola, interpretato da Val Kilmer, Bruce Dern e Elle Fanning.

Highlander – L’ultimo immortale con Christopher Lambert

Highlander – L’ultimo immortale con Christopher Lambert

Highlander – L’ultimo immortale è il film cult del 1986 diretto da Russel Mulcahy e con protagonisti Christopher Lambert, Sean Connery, Clacy Brown e Roxanne Hart.

  • Anno:1986
  • Regia: Russel Mulcahy
  • Cast: Christopher Lambert, Sean Connery, Clacy Brown, Roxanne Hart

New York, Stati Uniti, verso la fine del XX secolo. Mentre le tribune del Madison Square Garden sono al solito gremite di pubblico urlante ed eccitato, nei garage dell’edificio due uomini misteriosi si sfidano a duello…a colpi di spada. Quando uno di essi ha la meglio, conclude la tenzone con la decapitazione del rivale; a questo punto una strana energia si concentra nel corpo dell’uomo che rimane sfinito. Sentendo arrivare le sirene della polizia, il misterioso spadaccino nasconde la sua arma tra le auto parcheggiate e fugge perdendosi fra le tenebre della notte. La spada sarà ritrovata dall’agente Csi Brenda Wyatt (Roxanne Hart) che da quel momento si metterà sulle tracce del presunto assassino.

Quest’uomo dall’identità misteriosa è Russel Edwin Nash (Cristopher Lambert), un affascinante quanto tenebroso antiquario che nasconde un lungo ed oscuro passato. Per la precisione un passato lungo quattro secoli essendo egli nato nelle Highlands scozzesi intorno al 1518 quando era meglio conosciuto come Connor MacLeod. MacLeod/Nash è un immortale, un uomo appartenente ad un ristretto gruppo di eletti che non possono morire se non per mano di uno di essi e non prima di essere decapitati. Dopo quattrocento anni una strana forza oscura richiama tutti gli immortali, sopravvissuti a secoli di duelli, all’adunanza finale che decreterà l’unico destinato a vivere e sopraffare tutti gli altri. L’adunanza è prevista proprio a New York e Nash non può sottrarsi al suo destino. Ne rimarrà soltanto uno.

Highlander – L’ultimo immortale

Highlander - L'ultimo immortaleHighlander – L’ultimo immortale è un film del 1986 diretto da Russel Mulcahy e scritto a sei mani da Gregory Widen, Peter Bellwood e Larry Ferguson. Questo film ha rappresentato indubbiamente un cult per gli anni ’80 offrendo al pubblico una serie di peculiarità che hanno immediatamente catturato l’attenzione ed il gradimento degli spettatori. Da una sceneggiatura intrigante e romanzesca, ad un cast di primissimo livello, sino ad arrivare a effetti speciali che oggi possono apparire modesti se non pretestuosi ma per il tempo non comuni; e per finire una delle colonne sonore più indovinate di sempre.

Come detto il cast ha avuto un ruolo fondamentale per il successo del film: Cristopher Lambert, come confermerà la sua carriera successiva, non è certamente un attore di prim’ordine ma arriva a questo film nel momento giusto e con le caratteristiche adatte al personaggio. Il suo volto inespressivo e vagamente cupo è congeniale alla parte, Lambert appare perfetto nei panni del misterioso antiquario dal passato oscuro.

Ma sono altri due i personaggi rimasti scolpiti nell’immaginario collettivo: Ramirez interpretato da uno splendido Sean Connery e il Kurgan magistralmente impersonato dal bravissimo Clancy Brown.

Connery inizierà con questo film il primo di tre successi strepitosi in cui interpreterà tre dei suoi personaggi più indovinati e che apriranno la seconda e forse più appagante e riconosciuta parte della sua carriera artistica. Infatti Il nome della rosa di J.J.Annoud, in cui interpreta straordinariamente il domenicano Guglielmo da Baskerville è dello stesso anno di Highlander,  mentre “Gli Intoccabili” di Coppola, in cui veste i panni del sergente Malone, è girato solo due anni dopo.

Oltre al cast, di Highlander – L’ultimo immortale rimane scolpita nella memoria l’indimenticabile colonna sonora firmata dai Queen, gruppo rock che proprio in quell’anno suggellava la sua straordinaria popolarità con lo storico concerto di Wembley.

Sette pezzi incredibili come Kind of magic, Princes of Universe, Hammer to fall e soprattutto la canzone che Freddie Mercury scrisse appositamente per il film e che più si identifica con esso: Who wants to live forever.

Highlander - L'ultimo immortale

Il binomio film-Queen è apparso da subito come indissolubile e considerato il successo ed il seguito che la band inglese aveva in quel preciso momento possiamo tranquillamente affermare che proprio la popolarità dei Queen sia stata un traino determinante per il film stesso. A conferma di quanto la produzione volesse rimarcare questo legame ricordiamo il video-clip di Princes of Universe in cui Lambert duella armato di spada con lo stesso Freddie Mercury armato a sua volta con l’asta del microfono.

Highlander – L’ultimo immortale di Russel Mulcahy è avvincente e sorretto da una sceneggiatura complessa ma ben costruita, effetti speciali virtuosi e ambiziosi per il tempo, un cast indovinato e come detto una mitica colonna sonora. Ma allora perché oggi, dopo 25 anni, questo film non è ricordato da tutti come un cult o meglio come un film degno di considerazione? Molti ne sottolineano difetti e limiti legati ad attori poco apprezzati e capaci (Lambert appunto) oppure ad artifici tecnici pretestuosi e ridicoli. A rovinare la reputazione del film è in realtà qualcos’altro, un male ed una debolezza dell’industria cinematografica che negli ultimi anni sta prendendo sempre più piede: l’inflazionamento incontrollato.

Cinque anni dopo Highlander – L’ultimo immortale viene girato, sempre ad opera di Russell Mulcahy, Highlander II e solo tre anni dopo il terzo drammatico capitolo diretto da A. Morahan.

Ma il processo irrefrenabile che porta ad inflazionare e quindi svalutare l’immagine dell’Highlander e del suo personaggio è solo all’inizio. Seguiranno infatti serie televisive, sequel e prequel oltre ad un ultimo tragico lungometraggio girato nel 2000 da D. Aarniokosky, Highlander. Endgame. Anche in quest’ultimo e pessimo prodotto cinematografico troviamo l’interpretazione di Lambert oltre che di Adrian Paul nei panni di Duncan MacLeod, il personaggio protagonista della serie tv. Questo eccessivo sfruttamento del proprio personaggio ne ha indubbiamente indebolito lo spessore e la credibilità, un errore che Lambert ha pagato a caro prezzo sulla sua pelle e sulla sua successiva carriera.

Il primo e apprezzabilissimo film di Highlander – L’ultimo immortale è di fatto rimasto vittima del suo stesso enorme successo che ha generato una pletora di scadenti imitazioni, surrogati e improbabili sequel. Abusare del successo ottenuto dal film e sfruttarne sino a distruggerla l’immagine, è un errore, per non dire orrore, che in questi ultimi anni si ripete ormai costantemente e scientificamente per ogni pellicola di successo.

Purtroppo lo scempio per quanto riguarda Highlander non sembra aver ancora fine; infatti dopo dieci anni i produttori di Hollywwod tornano alla carica e promettono un nuovo quanto improbabile capitolo della saga: un reboot previsto per il 2012 e con un cast ancora da scoprire. I diritti sono di proprietà della Summer Entertainment che dopo aver pensato al regista di Fast and Furious Justin Lin, ha dovuto virare su Juan Carlos Fresnadillo.

Ma le tragiche notizie non finiscono qui perché sembra ormai certo che la sceneggiatura sia stata affidata a Melissa Rosenberg già autrice della Twilight saga. Cosa possiamo dire? Il primo e martoriato film della serie Highlander si incentrava sulla mitica frase: “…ne rimarrà soltanto uno!”…noi dopo 25 anni ci chiediamo perché i produttori non abbiamo seguito questo saggio consiglio.

Io speriamo che me la cavo: recensione del film di Lina Wertmuller

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Io speriamo che me la cavo è il film del 1992 di Lina Wertmuller con Paolo Villaggio, Isa Danieli, Sergio Solli, Adriano Pantaleo e Ciro Esposito.

Io speriamo che me la cavo – trama: Per un errore del computer del Ministero della Pubblica Istruzione, il maestro Marco Tullio Sperelli (Paolo Villaggio), viene mandato invece cha a Corsano in Liguria, a Corzano, un paesino in provincia di Napoli. Si trova subito in una condizione piuttosto tragica: la classe assegnatagli sarebbe costituita da una ventina di bambini, ma lui al suo arrivo ne trova solo tre. Deve andare a cercare il quarto a casa, mentre gli altri li trova per le strade della città, tra storie di povertà e di microcriminalità.

Il maestro ha notevoli problemi ad adattarsi alla vita tipica del sobborgo meridionale. Ad esempio, la preside è la moglie di un politico e non fa nulla nel suo istituto; il bidello è il vero capo della scuola e vende agli alunni gesso e carta igienica intascando grosse somme; il sindaco favorisce il lavoro minorile clandestino; i bambini sono totalmente ignoranti e lasciati a se stessi. Dopo un primo naturale astio tra il maestro e i suoi alunni-scugnizzi, le cose tra loro cominciano a funzionare.

Io speriamo che me la cavo (1992) è ispirato a un libro omonimo pubblicato due anni prima, che riporta sessanta temi di bambini di una scuola elementare della città di Arzano, in provincia di Napoli, raccolti dal maestro Marcello D’Orta nella forma di una raccolta di temi. Temi che raccontano con innocenza, umorismo, dialettismi (e infiniti errori grammaticali, appositamente non corretti) storie di vita quotidiana di bambini che vedono in prima persona fenomeni come la camorra, il contrabbando, la prostituzione, tutte situazione che dovrebbero essere tenute lontane dagli occhi dei ragazzini.

Questo libro, anomalo nel suo genere, ha venduto più di un milione di copie diventando un bestseller. Il titolo del libro, e del film, è dato dalla frase con cui un alunno, il più scalmanato di tutti, conclude il tema sulla sua storia evangelica preferita, ossia l’Apocalisse, ribattezzata in quel caso “la fine del mondo”.

Di film sui pregi e i difetti di Napoli ne sono stati girati tanti, specie negli anni ’80, grazie alla splendida messa in scena di personaggi come Massimo Troisi e Luciano De Crescenzo. Questi lavori hanno raffigurato una Napoli dalle tante contraddizioni e difficoltà, ma anche creativa, orgogliosa e ingenua, e anche Io speriamo che me la cavo rientra in questo filone.

Io speriamo che me la cavo  rispecchia in pieno lo stile di Lina Wertmüller, apprezzatissima regista fattasi conoscere grazie ai numerosi film grotteschi degli anni ’70 aventi come attore-protagonista Giancarlo Giannini. Senza dubbio questo lungometraggio estremizza e calca la mano sui problemi di Napoli, portandoli più che al grottesco, alla loro drammatizzazione. Ciò su cui punta la Wertmüller è soprattutto l’ironia, la capacità di sdrammatizzare che caratterizza il popolo napoletano.

Io speriamo che me la cavo

Ad addolcire un’amarissima pillola ci pensano i piccoli protagonisti, gli alunni disastrati del maestro Sperelli. In fondo vittime di un sistema che gli nega quei diritti di cui dovrebbero beneficiare in modo innato.

Tra quei piccoli scugnizzi, così graziosi quanto compassionevoli, spiccano: Vincenzino, interpretato da Adriano Pantaleo, il famoso Spillo della serie Amico Mio, Raffaele, interpretato da Ciro Esposito (altro attore che ha proseguito la carriera con la fiction televisiva), il più turbolento della, piccole bambine ormai già cresciute, come Rosinella e Tommasina, interpretate rispettivamente da Maria Esposito e Carmela Pecoraro, Salvatore, che non sa il suo cognome, interpretato da Salvatore Terracciano. Intorno a loro ruotano altri personaggi che incarnano ottimamente varie sfumature partenopee: la Preside lassiva, interpretata dalla magistrale Isa Danieli; il Custode accattone interpretato da Gigio Morra; il cartonaio, genitore di uno degli alunni, interpretato dal caratterista Sergio Solli.

E poi c’è lui, Paolo Villaggio, il maestro Marco Tullio Sperelli. L’attore genovese, dopo un ventennio passato a interpretare soprattutto il buffo Ragionier Ugo Fantozzi, viene restituito ad un ruolo molto più vicino alle proprie caratteristiche naturali. Villaggio interpreta bene il ruolo dello spaesato maestro del Nord “calato dall’alto” in una realtà così distante dalla propria. Toccante, infine, il finale, nel quale si contrappone la lettera del più discolo di tutti, Raffaele, con le note della famosa canzone What a wonderful world, cantata dall’inconfondibile Louis Armstrong.

Real Steel – Intervista a hugh jackman e Evangeline Lilly!

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Real Steel – Intervista a hugh jackman e Evangeline Lilly!

In questa Featurette di Real Steel, il cast ed il regista ci parlano delle tecnologie utilizzate per realizzare i movimenti dei Robot. Hugh Jackman è Charlie Kenton, un ex pugile diventato promoter di poco conto, che una volta sognava di combattere per il titolo e che ha visto il suo sogno infrangersi quando i ring sono stati presi d’assalto da enormi robot che combattono al posto degli umani. Charlie guadagna quello che può costruendo robot fatti di materiali di scarto.

Quando Max, il figlio che non vedeva da tempo, viene affidato a lui, i due uniscono le forze e iniziano a lavorare insieme. Una notte, Max trova Atom, un robot abbandonato in un deposito, e insieme queste tre anime perse troveranno il modo per unire le loro forze e diventare una squadra. Scaltri, testardi e con animo da veri campioni, questi tre perdenti combatteranno alla loro maniera nella più famosa arena del WRB dove, contro ogni pronostico, avranno la loro ultima possibilità di riscatto.


Real Steel, al cinema dal 25 Novembre 2011

Hook – Capitan Uncino: recensione del film

Hook – Capitan Uncino: recensione del film

Hook – Capitan Uncino è un film del 1991 diretto dal grande Steven Spielberg e con protagonisti un cast d’eccezione composto da Robin Williams, Dustin Hoffman, Maggie Smith, Julia Roberts.

La trama di Hook – Capitan Uncino

Hook - Capitan UncinoPeter Bunning (Robin Williams) è un avvocato, non ha tempo per giocare con i suoi bimbi, soffre di vertigini ed è un noioso, affaccendato, grasso, floscio adulto. Impossibile scorgere, sotto gli occhiali e la cravatta, l’eterno bambino sempre pronto a dar filo da torcere ai pirati. Sono passati dieci anni dall’ultima volta  che ha visto Nonna Wendy (Maggie Smith): la dolce ragazzina che aveva fatto da madre ai bimbi sperduti è diventata ormai un’anziana signora, che ha dedicato l’esistenza ai suoi orfani, perché potessero avere una famiglia.

La recensione di Hook – Capitan Uncino

Ma se Peter è tornato non è certo per ricordare i bei tempi passati, perché quelli davvero non li ricorda più… i suoi ricordi vanno dai 12 anni in su, quella dell’Isola che non c’è è solo una fiaba per ragazzini, è tutta fantasia. Giacomo Uncino però non dimentica i conti in sospeso, perché la vendetta è un piatto che va servito freddo, così rapisce i figli di Peter, assicurandosi il suo biglietto di andata all’Isola che non c’è. Ma il Peter che vi fa ritorno è solo un avvocato con scarpe firmate che proteggono i piedi saldamente fissati a terra.

Uncino è terribilmente deluso, voleva la sua guerra e il suo degno avversario, ma è tutto perduto… sta per uccidere senza pietà e senza neanche molto entusiasmo i figli di Peter quando Campanellino, la fatina amica d’infanzia di Peter riesce a strappargli un accordo: tre giorni per rimettere in sesto il Pan e poi la resa dei conti.

Hook - Capitan UncinoNon è casuale la scelta del nome del cattivo come titolo del film: è lui a dare impulso alla vicenda, ad ispirare e creare i presupposti per la storia… dopotutto non tutti i mali vengono per nuocere! Ed estremamente curioso è il fatto che sia stato proprio un bambino, precisamente il figlio dello sceneggiatore, James V. Hart, a suggerire la trama del film, facendo notare che Uncino non era stato realmente inghiottito dal coccodrillo, ma era riuscito a fuggire e, come ogni cattivo che si rispetti, non si era arreso. Il film, c

Concepito come un musical ma trasformato in corso d’opera in un film di fiction regala una delle migliori colonne sonore dell’accoppiata Spielberg/Williams, in cui il grandissimo John ha dato il meglio di sè con una soundtrack che ancora oggi viene usata come gigle o sfondo per eventi, pubblicità e trasmissioni.

Hook – Capitan Uncino – Un film senza tempo in tutti i sensi, perché è il tempo stesso il colosso contro cui combatte. È Uncino il personaggio che, più di tutti, ne è terrorizzato. In Hook – Capitan Uncino la fobia di Uncino per gli orologi, o meglio, per il ticchettio che segna lo scorrere inesorabile del tempo, provoca stati di puro terrore nel pirata, che lo associa al coccodrillo che gli aveva preso la mano ed inghiottito un orologio.

Hook – Capitan Uncino

Ma in questo film, più che mai, il cattivo fa anche un po’ tenerezza. Nel finale, disarmato e spogliato della parrucca ci appare per quello che è: un vecchio solo, circondato da uomini rozzi per i quali non vale neanche la pena essere un uomo migliore; un uomo che, in mancanza d’altro, si è perso nel fasullo culto di se stesso, nella sua nave-reggia.

E Peter ha paura del tempo? Lui sembra aver dimenticato la nozione e l’importanza del tempo, dato che spreca il suo al telefono, perennemente teso nello sforzo di concludere “l’affare più importante della sua vita”, perdendosi gli anni d’oro, sempre troppo fuggenti, dei suoi bambini. È paradossale, ma è sull’Isola che non c’è che Peter ritrova il suo tempo: il tempo di giocare, esultare, ma soprattutto di volare.

Tra i cameo Gwyneth Paltrow nel ruolo della giovane Wendy e un’irriconoscibile Glenn Close nei panni di un pirata ai servizi di Uncino.

Candidato a diverse categorie ai Premi Oscar del 1992, pur avendo riscosso critiche poco lusinghiere, Hook – Capitan Uncino è un film di culto, uno di quelli per cui non si è mai troppo grandi, valido sostituto di qualunque elisir di giovinezza.

Bisogna guardarlo per non invecchiare mai e per sentirsi addosso “l’odore di chi ha cavalcato sulle ali del vento, di cento estati da favola a dormire sugli alberi, delle avventure con indiani e pirati“, quando “il mondo era nostro, potevamo fare tutto o niente, ma ogni cosa era importante perché eravamo noi a farla“.

Halloween – La notte delle streghe di John Carpenter

Halloween – La notte delle streghe di John Carpenter

Halloween – La notte delle streghe è il film cult del 1978 diretto da John Carpenter e con protagonisti Jamie Lee Curtis, Donald Pleasence, Nancy Kyes, Will Sandin, Tony Moran.

La trama di Halloween – La notte delle streghe

Michael Myers: un nome, una leggenda. Tutti conoscono – o almeno dovrebbero – la storia del bambino di sei anni che, in assenza dei genitori, uccise a coltellate la sorella adolescente. Lui, Michael, in cura per anni dal Dottor Loomis, senza mai proferire parola, non veniva considerato un essere umano, ma un bambino svuotato di coscienza e sentimenti, prima; un uomo (immortale) dal volto bianco e gli occhi neri del diavolo, poi. John Carpenter, nel lontano 1978, creò un personaggio forte, ambiguo, pericoloso, verso cui gli spettatori provavano paura e ammirazione, turbamento ed eccitazione, allontanamento ed immedesimazione.

Il punto chiave di Halloween – La notte delle streghe, infatti, è proprio quest’ambivalenza di fondo che porta il pubblico, indipendentemente dal suo consenso, ad identificarsi con il Mostro. È tutto palese già dalla scena iniziale in cui la musica inquietante (composta dallo stesso Carpenter) e la filastrocca infantile preparano lo spettatore a confrontarsi con una situazione tormentata, guidandolo, suo malgrado, ad osservare (e vivere) la scena con gli occhi del protagonista. Michael e lo spettatore, allora, afferrano un affilato coltello da cucina, indossano una maschera da clown e commettono il primo omicidio. Per la prima volta nella storia del cinema, un regista ha coraggiosamente deciso di far assumere alla storia il punto di vista del villain – con cui, solitamente, nessuno vuole avere niente a che fare.

Halloween – La notte delle streghe film trailer

Halloween – La notte delle streghe di John Carpenter

Dopo il delitto, passano 15 anni e Michael, ormai divenuto un uomo, attende pazientemente la notte di Halloween per fuggire dalla prigione e tornare ad  Haddonfield, nell’Illinois. Si sa, Halloween è la notte delle streghe, e allora, invece di bruciare la fattucchiera (come vorrebbe la tradizione), Carpenter la difende, la alleva, e poi la lascia libera di esprimere tutto l’odio che ha dentro. Inspiegabilmente capace di guidare, il criminale torna nella sua città natale e, tramutatosi in qualcosa di più di un semplice uomo, divenendo l’ombra della strega che tutti temono, dà vita ad una spirale di sangue senza precedenti. Con il volto sempre coperto da una maschera (tranne che per pochi fotogrammi), Michael riesce ad uccidere tutti i personaggi ad eccezione di Laurie (l’allora esordiente Jamie Lee Curtis) che, consapevolmente, si prepara ad una lunga lotta contro il Mostro.

John Carpenter non è uno sprovveduto: conosce bene i trucchi del mestiere e sa come giocarsi le sue carte al momento giusto. Obbligando lo spettatore ad identificarsi sempre con Michael (tramite soggettive o semi soggettive), a vivere come un outsider, a sentirsi braccato come un animale, il pubblico, volente o nolente, finisce per fare il tifo per lui. Anche provando pena per Laurie e i suoi amici, gli spettatori, infatti, sperano sadicamente che Michael metta a segno i suoi colpi, persino quando, infantilmente, si nasconde sotto un lenzuolo. Halloween, insomma, è una pellicola eccellentemente costruita per spaventare lo spettatore e, nel contempo, fargli provare il brivido, per una volta, di prendere le difese del cattivo, consapevole che, alla fine della pellicola, si ritroverà al sicuro, seduto sulla propria poltrona di casa. Almeno, fino alla prossima notte di Halloween….

La Mosca: recensione del fim di David Cronenberg

La Mosca: recensione del fim di David Cronenberg

La Mosca è il film cult del 1986 di David Croneneberg con protagonisti nel cast Jeff Goldblum e Geena Davis.

Nel 1986 David Cronenberg realizza un remake di un classico del genere horror contaminato da venature fantascientifiche, L’esperimento del dottor K portato al cinema da K.Neumann nel 1958 e interpretato magistralmente da un inquietante Vincent Price.

La pellicola girata nel XX secolo si intitola La mosca e ricalca in parte la trama dell’originale: un brillante genetista di fama mondiale, Seth Brundle (interpretato da un titanico Jeff Goldblum) costruisce una macchina per il teletrasporto in grado di cambiare per sempre la percezione che gli esseri umani hanno delle coordinate spazio-temporali; ma il rivoluzionario marchingegno infernale mostra qualche “piccolo” difetto nel teletrasporto degli esseri viventi.

Dopo un primo, eclatante, successo (su un povero babbuino!)  la sicurezza di Seth cresce, ma in maniera inversamente proporzionale rispetto alla storia con la giornalista Veronica (Geena Davis), della quale è geloso. Ubriaco e fuori di sé, tenta di teletrasportarsi da lei introducendosi nella cabina, ma con lui si introduce nell’abitacolo anche una mosca. Pian piano Seth scopre di essere diventato più forte, resistente e disgustoso: comincia a decomporsi, perde intere parti del corpo e frammenti di pelle, si deforma, in definitiva comincia a trasformarsi in qualcosa di… “altro”, in una mosca.

La mosca mostra tutto il gusto gore cronenberghiano per gli eccessi che indugiano nelle deformazioni fisiche e psichiche, collocando di diritto l’opera nel filone del body horror, uno dei tanti sottogeneri dell’horror-splatter che vede un’attenzione perversa proprio per le deformità fisiche del corpo umano, seguendo con occhio clinico le sue metamorfosi, i suoi cambiamenti, i suoi smembramenti. Spesso questo genere si accompagna a un gusto grottesco e iperrealista condito però da una discreta dose di sottile e caustica ironia provocatoriamente disgustosa, erede del tocco di quei registi, si veda Sam Raimi, che ne hanno fatto una loro cifra stilistica.

La Mosca, oltre ad essere un delirante e disgustoso viaggio attraverso il crollo e la radicale trasformazione psico-fisica di un uomo, può inoltre essere letto come una riflessione su alcuni punti fondamentali che rientrano nel dibattito sulla bioetica e le nuove scienze: i limiti della tecnologia e le sue conseguenze (il teletrasporto e il suo tragico epilogo); la volontà umana di migliorare a tutti i costi le proprie condizioni fisiche (l’iniziale stupore di Seth di fronte alle nuove capacità fisiche acquisite); le polemiche riguardo all’aborto, temi che forse David Cronenberg non si è mai minimamente sognato di toccare ma che risaltano, insistentemente, agli occhi dello spettatore più attento che legge nella semplice parabola macabra dell’uomo-mosca una metafora dei nostri tempi asettici, dominati da scienza e tecnologia.

La trasformazione del protagonista, poi, sembra evocare a tratti quello stesso orrore “quotidiano” de La metamorfosi kafkiana. Se nel racconto del celebre scrittore ceco lo scarafaggio indicava la mediocrità, forse nella pellicola di David Cronenberg la mosca in cui si trasforma Brundle può essere emblema di un male antico, radicato e irrazionale. Non a caso, nella Bibbia e nei Vangeli il principe dei demoni è chiamato proprio Beelzebub (o Belzebù), che vuol dire “Signore/Dio delle mosche”.

La mosca oscilla tra un gusto gore unito a un’estetica che rimanda ai film di fantascienza stile Alien, dove tutto però è avvolto da un’atmosfera di sottile e perversa inquietudine uscita direttamente da uno dei migliori incubi kafkiani.

Uscite di mercoledì 23 e venerdì 25 novembre 2011

Uscite di mercoledì 23 e venerdì 25 novembre 2011

Uscita mercoledì 23 – Anche se è amore non si vede: Salvo e Valentino (Ficarra & Picone) sono due amici che hanno una piccola società di servizi per il turismo. Il loro mezzo, un restaurato e coloratissimo autobus inglese di qualche anno fa, trasporta i turisti tra i monumenti di Torino, una delle più belle città italiane. Salvo e Valentino sono due personaggi totalmente diversi. Valentino è abbastanza timido e riservato, mentre Salvo è parecchio intraprendente e sfacciato. Alle loro dipendenze c’è Natascha (Sascha Zacharias) una giovane e bella guida turistica, che non conosce però nessuna lingua straniera.

Uscite venerdì 25 novembre – Real Steel: Un grintoso film d’azione ambientato in un futuro non molto lontano, dove lo sport del pugilato è diventato hi-tech. In Real Steel, Hugh Jackman interpreta Charlie Kenton, un combattente fallito che ha perso la sua chance per il titolo quando dei robot di ferro da 900 chili, alti 2,4 metri hanno preso possesso del ring. Ora non è altro che un piccolo promotore.

Happy Feet 2 in 3D: I Pinguini Imperatori sono tornati, pronti a vivere un’altra avventura ballerina in Antartide! Il buffo Mambo ha ormai conquistato la sua Gloria. Dal loro amore è nato un figlio, Erik, che vuole assolutamente scoprire quale sia il suo talento ed affermarsi nel mondo dei pinguini. Ma nuovi pericoli minacciano la terra dei ghiacci. È necessaria un’unione di forze per raggiungere la salvezza e la felicità. Nel nuovo capitolo di Happy Feet il cast vocale originale si arricchisce con le voci di Brad Pitt e Matt Damon, ancora insieme dopo la saga di Ocean’s eleven. La pellicola animata, prodotta da Animal Logic, Kennedy Miller Productions e Villane Roadshow Pictures, è diretta e sceneggiata ancora una volta da George Miller.

Miracolo a Le Havre: Marcel Marx, un lustrascarpe, vive un’esistenza modesta ma tranquilla accanto alla moglie. La donna è affetta da una grave malattia, da lungo tempo tiene nascosta la cosa al marito, ma ora non può più mentirgli. Affranto da questo scherzo del destino, Marcel si reca nel porto di Le Havre. Lì incontra un bambino africano, clandestino, minacciato di deportazione in ogni momento. Marcel prende in simpatia il ragazzo e decide di proteggerlo.

Tower Heist – Colpo ad alto livello: Josh Kovacs è il direttore del personale del Tower, un lussuoso grattacielo residenziale di New York di proprietà del magnate Arthur Shaw. Josh ha una forte ammirazione verso il capo, per il quale gestisce con rigore e professionalità tutti gli impegni, oltre a uno stuolo di dipendenti e di clienti. Finché un giorno, l’FBI irrompe e Josh scopre incredulo che l’amato capo è accusato di bancarotta fraudolenta e che ha truffato, tra gli altri, anche tutti i suoi dipendenti, investendo i loro fondi pensione e lasciandoli senza un soldo. La sua furiosa reazione costa il licenziamento a lui e al cognato in procinto di diventare padre, ma anche l’idea di lanciarsi in una folle impresa volta a espropriare i beni illegalmente accumulati dal magnate.

Inti-illimani – Dove cantano le nuvole: Storia, emozioni e impegno politico degli Inti-Illimani, gruppo musicale di punta della Nueva Canción Chilena. Attraverso le testimonianze dei vari componenti ne conosciamo le origini, l’esilio italiano (dal 1973 al 1988) conseguente al golpe di Augusto Pinochet, il glorioso ritorno in Patria, i dissidi interni e l’avvio di due diverse e parallele formazioni, sempre nel nome di un’identità che riesce ad attraversare i cuori di più generazioni con messaggi di speranza e solidarietà civile.

L’uomo di neve per Scorsese

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Martin Scorsese dirigerà l’adattamento de L’uomo di neve, best seller del norvegese Jo Nesbo, settimo della

La Cosa da un altro mondo, il film cult del 1951

La Cosa da un altro mondo, il film cult del 1951

La Cosa da un altro mondo è il film cult del 1951 di Christian Nyby e Howard Hawks (non accreditato) con protagonisti Robert Cornthwaite e Jamess Arness.

La Cosa da un altro mondo, la trama: Da una delle basi scientifiche, stabilite da studiosi americani nella regione del polo Nord, perviene una chiamata urgente al capitano Pat Hendry ed al giornalista Ned Scott. Guidati da uno scienziato, il prof. Carrington, i due raggiungono la banchisa polare, nella quale s’è incastrato un gigantesco ordigno, forse un disco volante. Nei tentativi intrapresi per liberare l’ordigno, questo va distrutto: si recupera soltanto un corpo mostruoso, imprigionato in un blocco di ghiaccio.

Trasportato alla base della spedizione, il blocco ghiacciato, per un fatale errore, si liquefa: riottenuta la libertà il misterioso individuo, proveniente forse da Marte, sparge intorno il terrore e la morte. Si tratta, a quanto la scienza ha potuto accertare, d’un organismo appartenente al mondo vegetale e dedito all’emofagia. Solo dopo varie dolorose perdite, il capitano Hendry e i suoi riescono a sopraffare il mostro. Durante la drammatica lotta, Hendry riesce anche a conquistare il cuore d’una giovane e graziosa segretaria.

La Cosa da un altro mondo, l’analisi

Nel 1951 esce negli Stati Uniti d’America il film La Cosa da un altro mondo, prodotto dalla RKO Pictures e basato sul racconto Who goes there? di John W. Campbell, sconvolgendo gli spettatori immersi nel clima “glaciale” della guerra fredda. Considerato da Stephen King come uno dei cento film realizzati tra il 1950 e 1980 che hanno dato “un peculiare contributo al genere horror”, La Cosa da un altro mondo rappresenta un vero cult per gli appassionati del science-fiction.

La Cosa da un altro mondo, pellicola in bianco e nero, conserva degli straordinari fotogrammi che raccontano la storia di un equipe scientifica chiamata in Alaska per indagare sulla misteriosa comparsa di un veicolo non identificato, congelato tra i ghiacci, al cui interno risiede un gigantesco mostro alieno apparentemente morto. Dopo aver perso in un increscioso incidente il disco volante, i coraggiosi uomini trasportano alla base scientifica il cadavere ibernato, per sottoporlo all’analisi dello stravagante Dottor Carrington (Robert Cornthwaite). Nella notte, a causa della manovra distratta di un soldato di guardia, la “Cosa” (Jamess Arness) si risveglia grazie al torpore di una coperta termica, e decisamente affamato, uccide qualsiasi essere vivente incontri, cibandosi del suo sangue.  Lasciando lo spettatore in trepidante attesa, il film procede seguendo una sottile linea di suspence, alimentata dalle tracce violente lasciate dal mostro sanguinario.

Scelto nel 2001 per essere preservato nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti, La Cosa da un altro mondo  nato dalla collaborazione dei registi Christian Nyby,  (famoso per le serie televisive di Lessie e Perry Mason), e il pluripremiato Howard Hawks,  stupisce per la sua originalità senza tempo. Gli effetti speciali, se pur artigianali, sono curati nei minimi dettagli e i dialoghi fittissimi, che hanno fatto penare non poco il doppiaggio italiano, si allontano dalla formalità  altisonante tipica del vocabolario filmico anni ’50, rimanendo sospesi in un’atmosfera di familiarità quotidiana che coinvolge lo spettatore fino alla fine.

Girato nel Montana, La Cosa da un altro mondo fu ritoccato più volte dai registi, e la produzione stessa fu costretta a ridurre il numero di inquadrature e di scene che avevano per soggetto la Cosa. L’esigenza fondamentale era quella di evitare un film eccessivamente prolisso, data la iniziale durata di tre ore, e realizzare un film più fruibile dal grande pubblico. Il risultato finale è comunque impeccabile. L’enorme successo del lungometraggio si protrae nel tempo, e non a caso il regista John Carpenter nel 1982 regala agli spettatori una nuova versione del film, La Cosa, aprendo la famosa Trilogia dell’Apocalisse, composta da Il Signore del Male, (1987), e Il Seme della Follia, (1995). Nonostante il film sia stato dichiaratamente tratto dal racconto Who goes there? di John W. Campbell, è innegabile per gli appassionati di letteratura sci-fi e horror vedere dietro la storia l’incredibile penna e la straordinaria immaginazione di H. P. Lovecraft.

Attualmente è prevista per il due dicembre 2011 l’uscita del prequel La Cosa diretto dal regista semi-esordiente Matthijs van Heijningen, che invita nuovamente tutti i cittadini a scrutare il cielo, attentamente…

Le idi di marzo – Trailer Italiano

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Le idi di marzo – Trailer Italiano

Il film è ambientato nel mondo politico statunitense in un prossimo futuro, durante le primarie in Ohio per la presidenza del Partito Democratico. Racconta la vicenda di un giovane e idealista guru della comunicazione (Ryan Gosling) che lavora per un candidato alla presidenza, il governatore Mike Morris (George Clooney), e che si trova suo malgrado pericolosamente coinvolto negli inganni e nella corruzione che lo circondano.

Accanto a Ryan Gosling e George Clooney, “Le idi di marzo” è interpretato anche da Philip Seymour Hoffman, Paul Giamatti, Marisa Tomei, Jeffrey Wright, Max Minghella ed Evan Rachel Wood. La direzione della fotografia è di Phedon Papamichael, il montaggio di Stephen Mirrione, la scenografia di Sharon Seymour, i costumi di Louise Frogley.

Moon

Moon

Moon è il piccolo gioiello del 2009 diretto da Duncan Jones, scritto da Nathan Parker e con protagonista assoluto Sam Rockwell e la voce di Kevin Spacey.

In Moon Sam Bell (Sam Rockwell) è un astronauta che lavora da quasi tre anni in completa solitudine presso una base lunare gestita da una società energetica: la Lunar. Il suo compito consiste nel monitorare la corretta estrazione di Elio-3, un elemento straordinario grazie al quale le persone sulla Terra possono ormai disporre di tutta l’energia di cui hanno bisogno.

La solitudine di Moon

Il film si apre mostrando la routine quotidiana di Sam a pochi giorni dal suo ritorno a casa: i suoi gesti sempre uguali, le conversazioni vuote con il robot Gerty (in originale voce di Kevin Spacey, il suo unico “compagno”), la sua solitudine e la voglia di riabbracciare la moglie e la figlia. Durante questi ultimi momenti sulla Luna, però, Sam inizia a sentirsi male, ad avere delle allucinazioni e dei fortissimi mal di testa e, un giorno, proprio a causa di un malessere, fa un grave incidente durante un giro di ricognizione e perde conoscenza, restando intrappolato nel veicolo lunare. Al suo risveglio in infermeria Sam non ricorda nulla di ciò che è accaduto, ma si accorge che Gerty, il robot, si rifiuta di farlo uscire dalla base; insospettito, adducendo un pretesto per recarsi all’esterno. Una volta fuori farà una scoperta che lo condizionerà per sempre.

Ambientato in un ipotetico futuro, il primo lungometraggio del regista Duncan Jones -conosciuto anche come Zowie Bowie e figlio del celebre cantante David Bowie – è un piccolo capolavoro di fantascienza che, nonostante omaggi e citi alcuni grandi film del genere (come 2001: Odissea nello Spazio) riesce a ritagliarsi un ampio spazio di autonomia e originalità.

Moon sam rockwellIl film, realizzato con un budget limitato (5 milioni di dollari) e quasi interamente interpretato dallo straordinario Sam Rockwell, mette in scena in modo originale una serie di temi scottanti come la crisi energetica, il rapporto uomo-macchina, l’ingegneria genetica, la clonazione, soffermandosi solo sulla vicenda di un individuo (o, sarebbe meglio dire, su quella di una serie di individui) che comprende fino in fondo la natura fasulla della sua esistenza. Il protagonista, infatti, è il clone di una persona reale e la sua vita è destinata a consumarsi in un eterno presente: senza passato (poiché i suoi ricordi non sono altro che innesti di memoria) e senza futuro (poiché programmato per vivere soltanto tre anni).

Inoltre, in Moon, l’inaspettato faccia a faccia tra cloni mette lo spettatore nella posizione di assistere ad un nuovo concetto di fantascienza; nell’infinità dell’universo, infatti, Sam non trova alieni o esseri paranormali, ma semplicemente un’altra faccia di sé stesso: un altro Sam incatenato come lui in un’esistenza potenzialmente reiterabile all’infinito e chiusa in un non-luogo e in un non-tempo.

Altra particolarità di Moon è la presenza di una macchina, come il famoso Hal 9000, che aiuta e consiglia il protagonista, ma qui, a differenza di tutta la storia fantascientifica precedente è la macchina a rappresentare i buoni sentimenti, la pietà e la compassione che negli uomini che hanno condannato Sam a quel destino di non esistenza sembrano latitare. Un’opera prima Moon che riesce a toccare contemporaneamente le corde della ragione e dell’emozione, senza fare moralismi e senza apparire sterile. Un capolavoro di equilibrio tra storia e stile.

L’altra faccia del diavolo – Trailer italiano

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L’altra faccia del diavolo – Trailer italiano

In Italia una donna viene coinvolta in una serie di esorcismi non autorizzati mentre tenta di scoprire cosa è accaduto alla madre, che involontariamente ha ucciso tre persone nel corso di un suo esorcismo.

The Orphanage: recensione del film di J.A. Bayona

The Orphanage: recensione del film di J.A. Bayona

The Orphanage è il film del 2007 diretto da J.A. Bayona e con protagonisti Belén Rueda (Laura), Fernando Cayo (Carlos), Roger Princep (Simòn), Montserrat Carulla (Benigna), Geraldine Chaplin (Aurora).

 

The Orphanage Trama

Laura e Carlos, moglie e marito poco meno che quarantenni, vanno a vivere in una grande casa, un tempo sede dell’orfanotrofio in cui Laura ha vissuto parte dell’infanzia, con l’intenzione di aprirvi un centro per bambini. Con i due c’è il piccolo Simòn, figlio adottivo e affetto da HIV.

Il bambino comincia ben presto a parlare di giochi con amici immaginari, ma sembra che lo faccia solo per ovviare alla solitudine. Il giorno dell’inaugurazione della struttura, Simòn, dopo aver fatto arrabbiare la madre proprio a causa di Tomas, uno dei suoi amici immaginari, scompare.

Passano dei mesi: le ricerche della polizia sono sterili e Laura crede sempre di più che gli amici immaginari di Simòn c’entrino con la sua scomparsa. Infine, passando per la regressione di una medium Laura scopre la dura verità.

The Orphanage Analisi 

È un film horror, The Orphanage? A suo modo, sì. Il primo lungometraggio di J. A. Bayona segue una certa recente tendenza del genere (si pensi a The Others di Amenabar, non a caso prodotto sempre da Guillermo del Toro) a organizzarsi e svilupparsi sui binari dell’inquietudine, del dubbio, lasciando da parte (del tutto o quasi) truculenze, sbalzi di volume e mannaie. La paura e il mistero in The Orphanage si presentano sotto forma di un passato che ritorna; ritorna perché Laura, personaggio-porta che permette il contatto tra ora ed allora, tornando al vecchio orfanotrofio, ne va a sfiorare e pungolare il sonno leggero.

Il punto di forza del film sta nella sfida che propone allo spettatore: credere ai fantasmi e alla natura soprannaturale dell’enigma del film, o restare incollati alla razionalità, pensando che ogni apparente manifestazione dell’irrazionale, dell’aldilà, per quanto forte, sia solo una suggestione? Ovvero, stare con Laura, madre disperata che sceglie di cedere e credere alle presenze, o con il marito medico Carlos, per il quale la medium è una fattucchiera, le voci intercettate dei bambini fantasma una bieca impostura, e l’unica soluzione – un po’ codarda, testimone forse d’una paura che giocoforza dà credito all’irrazionale – è lasciare la casa e cambiare vita? Non è facile, per chi guarda, decidere da che parte stare, ed è un bene, una strategia efficace, che rende spesso ambiguo lo statuto di ciò che viene mostrato: relazione oggettiva della horror-cinepresa o esplorazione e proiezione dei pensieri, delle paure e delle suggestioni di Laura?

La storia è costellata di indizi, ora forniti dai fantasmini per dar vita a cacce al tesoro dagli esiti decisivi, ora, più globalmente, dal racconto audiovisivo, per invitare lo spettatore a costruire la propria versione dei fatti, a farsi un’idea circa la fine di Simòn. A volte – non che sia un male – la sceneggiatura sembra desunta da un videogame pieno di indovinelli e prove. Bayona ricorre ad alcuni mezzi, forse con un po’ di pesantezza, per chiarire un intreccio a tratti complicato: le chiarificazioni fornite dai personaggi, in particolare una spiegazione data da Laura nella seconda parte del film circa le intenzioni e la natura delle presenze, e i super 8 di Benigna Escovedo, ex dipendente dell’orfanotrofio e madre dello sfigurato Tomas, morto tragicamente per uno scherzo degli orfanelli ospiti del ricovero.

Da sottolineare un uso sapiente della colonna sonora, in particolare dei rumori, che entrano nel gioco di decifrazione e interpretazione caratterizzante l’intera storia. Ben studiata anche la gestione luministica della messa in scena, che rifugge le banali coppie luce/bene e buio/male, preferendo insinuare il mistero, diffuso e strisciante, sia nel buio, nei diversi bui della grande indomabile dimora, sia nella luce, e in quella quasi abbagliante dei lontani giochi dell’orfanotrofio, e in quella più tenue del giardino in cui si svolge la festicciola in maschera che dovrebbe inaugurare il centro d’assistenza per bambini.

Un ultimo punto: il film è arrivato in Italia con l’ammiccante titolo The Orphanage (L’originale è El Orfanato, cioè L’orfanotrofio), che rinvia a oggetti diversi, del tipo che, legittimamente e serialmente, arrivano in Europa attraversando l’Atlantico. Un rinforzo in questo senso viene da una delle due locandine ufficiali, che presenta Tomas con la sua maschera da coniglio disgraziato, anti-Bianconiglio parente del pupazzo di Issues dei Korn, alla stregua di un novello Chucky pronto a far macelleria.

Con The Orphanage non si salta sulla sedia, né si esita a spegnere l’abatjour per dormire. Ma le emozioni forti, e durature, non mancano, perché l’opera prima di Bayona ci parla, prendendola sul serio, della morte: enorme, casuale, irreparabile.

Le colline hanno gli occhi: il film horror di Wes Craven

Le colline hanno gli occhi: il film horror di Wes Craven

Le Colline Hanno gli Occhi è il film cult di Wes Craven del 1977. Nel 1977 un semi-esordiente regista statunitense di nome Wes Craven firma il suo secondo lungometraggio dopo lo scandaloso L’ultima casa a sinistra del 1972: si tratta del cult Le colline hanno gli occhi (The hills have eyes).

La trama de Le colline hanno gli occhi

La trama del film è sommariamente semplice e lineare, e si colloca nel solco della tradizione horror: una tranquilla famiglia media americana sfacciatamente WASP intraprende un viaggio in camper attraverso il deserto della California per raggiungere la meta delle loro vacanze. Ma bastano un banale guasto al motore e una tappa forzata in mezzo al nulla per scatenare l’inferno e la tragedia: diventano il bersaglio di una famiglia di cannibali geneticamente modificati dagli esperimenti nucleari condotti nella zona dal governo degli Stati Uniti e tenuti segreti per anni. Lo scopo della famiglia è quello di sopravvivere alla brutalità dei loro disgustosi carnefici.

Il film horror di Wes Craven

Le colline hanno gli occhi, nel momento della sua uscita, cavalcò le polemiche che avevano seguito l’opera prima di Craven. Entrambe le pellicole possono essere inserite di diritto in quel sottogenere horror che è considerato lo splatter. Nato nell’ambito dell’exploitation, il gore (o splatter, è indifferente N.d.A.) si afferma soprattutto negli anni ottanta, nonostante la sua nascita possa essere collocata già negli anni sessanta con le opere di G.Romero o Herschell Gordon Lewis (La notte dei morti viventi; Blood Feast); in un’epoca in cui l’importanza per l’aspetto fisico e la bellezza si spingevano fino all’eccesso dell’edonismo, lo splatter rappresenta la debolezza del corpo umano mostrando senza troppe esitazioni o pudori squartamenti, sventramenti e vari ed eventuali spargimenti di sangue.

Oltretutto, Le colline hanno gli occhi rientra a pieno merito nel filone del New Horror, a sua volta sottoinsieme di quel generale movimento di fermento rivoluzionario e creativo noto come New Hollywood che ha portato ad affacciarsi, sulla scena degli anni settanta, registi di culto del calibro di Steven Spielberg, Francis Ford Coppola, Martin Scorsese e tanti altri grandi nomi della cinematografia a stelle e strisce. L’alto tasso di emoglobina presente nel film e i suoi eccessi sanguinolenti e truculenti servono come pretesto per scuotere le coscienze sociali degli americani atrofizzati nel loro perbenismo: ricordiamoci che, negli anni settanta, l’America era ancora coinvolta nel sanguinoso conflitto del Vietnam che ha portato milioni di morti e una generazione completamente spezzata.

Nella pellicola, il nemico è “altro”, fuori da noi: un po’ come accadeva nei B-movies Sci-Fi degli anni ‘50 il nemico veniva direttamente dallo spazio profondo e remoto. Oppure come nei film western, dove il nemico è sempre l’indiano occupante. Nel film di Wes Craven è come se l’anima puramente Wasp dell’America profonda avesse fatto chapeau di fronte a millenni di sopraffazione nei confronti di tutto ciò che era catalogato come “diverso”. Qui gli aguzzini cannibali sono sì mutanti, ma un tempo erano esseri umani: come per il maestro Alfred Hitchcock, l’orrore anche qui è nel quotidiano, viene non dagli spazi intergalattici remoti ma dal sottosuolo dello sperduto deserto californiano.

Nella sua trama lineare, ma intervallata da efficaci colpi di scena che creano tensione nello spettatore, la pellicola segue quasi pedissequamente la trama di una fiaba riletta però con lo sguardo di un survival horror: i personaggi protagonisti, i “buoni”, intraprendono un viaggio durante il quale si trovano costretti ad affrontare pericoli mostruosi e prove terrificanti, incarnati dai “cattivi”, fino al finale con il tanto agognato “lieto fine”; e c’è addirittura una sorta di “aiutante” (il vecchio Fred) che cerca di metterli in guardia sui pericoli che incombono nel deserto. Lo scontro tra razionale e irrazionale si risolve in un confronto all’ultimo sangue, dove la vittoria della famiglia Carter è sancita dal loro uso della violenza contro la violenza sanguinaria e cieca dei loro aguzzini.

Parlando di cannibali non si può non pensare a tutto quel filone del gore italiano che, sempre nei “favolosi” anni settanta, ha regalato al cinema cult underground pellicole come quelle di Mario Bava, Dario Argento, Lucio Fulci, Umberto Lenzi, Joe D’Amato e Ruggero Deodato con il celebre Cannibal Holocaust, film del 1979 che ha influenzato molte generazioni di cinefili indipendenti.

De Le colline hanno gli occhi Wes Craven stesso girò un seguito nel 1985, ribadendo quella sua propensione al tema del doppio: come nel titolo, gli occhi sono due, come i sequel realizzati e come le famiglie protagoniste, quella vittima da una parte e la carnefice dall’altra. Due sono, poi, altri due paia d’occhi: quelli di Pluto (uno dei membri dell’allegra famigliola cannibale) che si sovrappongono ai nostri tramite un’abile inquadratura in soggettiva che fa riflettere sul significato stesso del cinema, identificandoci come voyeur letali e silenziosi. Oltre al sequel, annoveriamo un remake dallo stesso titolo girato nel 2006 e curato, in fase di produzione, dallo stesso Craven ma girato dal francese Alexandre Aja (nuovo re del torture porn) e un trascurabile sequel del remake datato 2007.

Insomma, vedere Le colline hanno gli occhi nella sua prima e inimitabile versione del 1977  crea l’illusione di assistere a un incontro tra le atmosfere “seventies” dell’action, car crash  Duel e le perversioni gore del miglior Mario Bava in stato di grazia.

Box office USA del 21 novembre 2011

Box office USA del 21 novembre 2011

Come era prevedibile, la prima parte dell’episodio finale di Twilight, Breaking dawn, appena uscito anche negli Stati Uniti, è subito balzato in prima posizione del Box office, con un incasso spaventoso di ben 140 milioni di dollari, tutti accumulati in una sola settimana di uscita nelle sale.

Vedremo come andrà nelle prossime settimane, ma si profila come l’ennesimo blockbuster.

In seconda posizione, con un incasso decisamente inferiore, si posiziona un altro sequel, molto meno cupo delle avventure di vampiri e licantropi, che ha come protagonisti degli animali abituati al freddo polare: Happy feet 2 è in seconda posizione con 22 milioni di dollari di incasso.

Nonostante queste uscite importanti, in terza posizione resiste il film epico-fantastico di Tarsem Singh, Immortals, che aggiunge altri 12 milioni al suo incasso questa settimana, raggiungendo quota 52 milioni.

In quarta posizione scende a piombo il film in cui Adam Sandler ha un doppio ruolo, Jack and Jill, l’attore è anche autore della sceneggiatura, il che rende il film estremamente autoreferenziale. L’incasso totale della pellicola è di 41 milioni di dollari.

A metà classifica, e dopo 4 settimane tra i primi dieci film più visti negli Stati Uniti, Puss in boots arriva alla cifra raggiunta in una settimana da Bella ed Edward, ossia 122 milioni di dollari.

In sesta posizione lo segue Tower Heist, commedia con Eddie Murphy diretta da Brett Ratner, che ha avuto un cedimento negli apprezzamenti probabilmente dopo le uscite poco felici del regista e l’annullamento della presenza del comico nella conduzione degli Oscar, prontamente sostituito dal classico Billy Crystal, veterano della cerimonia. Il film ha incassato 7 milioni di dollari questa settimana, raggiungendo un totale di 53 milioni.

Il nuovo film di Clint Eastwood, J. Edgar, resta nella zona bassa della classifica, in settima posizione, nonostante la presenza di DiCaprio come protagonista il film ha incassato ad oggi un totale di 20 milioni di dollari, in 2 settimane di uscita.

In ottava posizione scende inesorabilmente A very Harold and Kumar 3D Christmas, che ha raggiunto 28 milioni di dollari di incasso, mentre in nona posizione troviamo il thriller futuristico In time, con un incasso ad oggi di 33 milioni di dollari.

Chiude la classifica The descendants, il nuovo film di Alexandre Payne, regista amato dagli intellettuali della costa ovest degli Stati Uniti, nonchè regista di Sideways, con protagonista George Clooney, che esordisce in classifica con un incasso che è meno di un centesimo di quello di Breaking dawn: 1,22 milioni di dollari.

La prossima settimana, a due mesi di distanza dal Festival del cinema di Venezia in cui è stato presentato, esce nella sale statunitensi il film di David Cronenberg A dangerous method, poi, un altro film festivaliero, ma questa volta relativamente al Festival del film di Roma: My week with Marilyn, e un film con i Muppett, intitolato semplicemente The Muppets.

Chi interpreterà Tetsuo?

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Chi interpreterà Tetsuo?

Due dei ruoli principali del film della Warner Bros Akira sono stati assegnati: Garret Hedlund (TRON: Legacy) sarà Kaneda, Kirsten Stewart (Twilight)

Stephen Frears, passaggio in India

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La 20th Century Fox ha acquisito i diritti del documentario indiano The Bengali Detective di Philip Cox per trarne

George Clooney sarà Steve Jobs?

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George Clooney sarà Steve Jobs?

George Clooney è seriamente in lizza per vestire i panni di Steve Jobs nel biopic sulla vita deGuru Apple, recentemente scomparso a soli 56 anni.Tuttavia, per il ruolo Clooney dovrà vedersela con il più giovane Noah Wyle, altro papabile, che ha già interpretato Jobs nel 1999 nel film per la televisione Pirates of Silicon Valley. I due attori hanno lavorato fianco a fianco ai tempi di E.R.: erano il dottor Ross (Clooney) e il dottor Carter (Wyle).

Il biopic, targato Sony – la casa nipponica ha acquisito i diritti cinematografici per la biografia di Jobs scritta da Walter Isaacson- sarà probabilmente scritto da Aaron Sorkin, sceneggiatore del fortunato The Social Network di David Fincher.

Fonte: The Sun

Infortunio sul set per Schwarzy

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Infortunio sul set per Schwarzy

Arnold Schwarzenegger, tornato al cinema dopo l’ampia parentesi politica, si è fatto male

Mosse vincenti – Trailer Italiano

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Mosse vincenti – Trailer Italiano

Mike Flaherty (Paul Giamatti) è uno scalcinato avvocato che trova la sua realizzazione lavorando anche come allenatore della squadra di lotta di un liceo newyorchese. Mike viene nominato tutore legale di un suo anziano cliente, ma quando la nipote di quest’ultimo, fuggita da casa, si rifugia dal nonno, la sua vita e quella dei ragazzi che allena subiranno delle brusche modificazioni.


Al via il MEDFILMfestival

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Al via il MEDFILMfestival

Prende il via, da domani fino a domenica 27 novembre la XVII edizione del MEDFILMfestival, manifestazione storica della Capitale che rinnova l’appuntamento di Roma con i protagonisti del cinema del Mediterraneo.

L’Arte di Vincere – Trailer italiano

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L’Arte di Vincere – Trailer italiano

Assunto come general manager della squadra di baseball degli Oakland’s Athletics, Billy Beane cerca di trovare in un complesso sistema computerizzato d’analisi statistica il modo di trovare i giocatori migliori da mettere sotto contratto e da schierare. Per tornare finalmente a vincere. Scritto da Aaron Sorkin, con Brad Pitt, Jonah Hill, Chris Pratt, Philip Seymour Hoffman e Robin Wright.

Angelina Jolie sarà Gertrude Bell per Ridley Scott?

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Angelina Jolie sarà Gertrude Bell per Ridley Scott?

Angelina Jolie potrebbe tornare a vestire i panni di un’archeologa: stavolta non si tratterebbe però di un’eroina da videogioco come Lara Croft, ma di un personaggio realmente esistito: Gertrude Bell. Il biopic dedicato alla viaggiatrice, scrittrice e archeologa inglese è stato messo in cantiere da Ridley Scott e si trova attualmente nelle primissime fasi di gestazione.

Quella della Bell è stata in effetti una vita ‘da film’: l’archeologa finì infatti anche per lavorare per i servizi segreti britannici nel corso della Prima Guerra Mondiale, ebbe un ruolo fondamentale nei rapporti col Medio Oriente e partecipò attivamente alla creazione di una moderna amministrazione stata in Iraq; successivamente fondò il Museo Archeologico di Baghdad per preservare le testimonianze delle civiltà mesopotamiche (purtroppo molti di quei reperti sono stati persi nel corso della recente guerra in Iraq); la sua morte, nel 1926 apparentemente per suicidio, è in buona parte circondata dal mistero.

Peraltro, come spesso accade nel cinema, improvvisamente si risveglia l’interesse attorno a personaggi prima dimenticate: a una biografia della Bell starebbe infatti lavorando Werner Herzog, protagonista – forse – Naomi Watts. Tornando al film di Scott, della sceneggiatura si sta occupando Jeffery Caine (The Constant Gardner), che la starebbe scrivendo pensando specificamente alla Jolie come interprete.

Fonte: EMPIRE

Rampage: dai computer al grande schermo?

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Rampage: dai computer al grande schermo?

La notizia potrebbe suscitare più di una perplessità, tuttavia la mai sopita passione del cinema per i mostri giganti e il fatto che già in passato i videogiochi in voga negli anni ’80 hanno costituito fonte di ispirazione, dà una maggiore credibilità alla possibilità che Rampage, um classico gioco ‘da bar’ (o per i primi computer) possa sbarcare sul grande schermo: a occuparsene, dovrebbe essere la New Line.

In Rampage, tre esseri umani venivano mutati in altrettanti mostri: lo scimmione George, ovviamente ispirato a King Kong, la Lucertolona Lizzy (dalle chiare ascendenze godzilliane) e Ralph, un lupo mannaro gigante… Il giocatore, nei panni di uno dei mostri, doveva radere al suolo quante più città possibile evitando di essere vittima dei colpi d’artiglieria dei militari.

Ovviamente, si tratta di uno di quei giochi vittima del passare del tempo e del progredire della tecnologia, tuttavia un film dedicato potrebbe solleticare proprio coloro che erano adolescenti negli anni ’80.La produzione del film dovrebbe essere affidata a John Rickard (Final Destination, Horrible Bosses). A questo punto la difficoltà principale sarà quella di dare a tutta la storia una seppur minima parvenza di ‘credibilità’…

Fonte: EMPIRE

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