Si alza la febbre dei Twilighters e anche la promozione di Breaking Dawn comincia a scaldarsi. Nuove foto e nuovi spot tv sono ora infatti disponibili
I Beatles in un film!
Penelope Cruz sul set con Castellitto
Sergio Castellitto sta girando a Roma Venuto al Mondo, e come per Non ti muovere, vedrà al suo fianco la bravissima Penelope Cruz
I tre moschettieri 3D: recensione del film
Ne I tre moschettieri nella Francia di Luigi XIII regna incontrastato il Cardinale Richelieu, i moschettieri sono poco più che avventori da taverna dalla ‘spada facile’ e il re, efebico modaiolo, è poco molto simile ad una imitazione di se stesso. I puristi di Dumas hanno storto il naso alle prime immagini del film, per non parlare delle accuse di vilipendio al grande classico subito dopo l’uscita del film, ma tutto ciò che di assurdo si poteva immaginare non è nulla di fronte alla realtà del film. Anderson tira su un giocattolo infernale, logisticamente assurdo e paradossalmente divertentissimo che porterà al cinema moltissime persone.
I tre moschettieri 3D, il film
Ai valorosi moschettieri (Matthew MacFadyen, Ray Stevenson e Luke Evans) è riservata una rappresentazione abbastanza convenzionale, così come al Cardinale (Christoph Waltz) e al perfido Rochefort, i personaggi che invece hanno subito un lavoro di ‘innovazione’ sono senza dubbio il Duca di Buckingham, notoriamente raffinato e innamorato della regina, e qui doppiogiochista e viscido (la peggiore interpretazione di Orlando Bloom), e ovviamente la bellissima Milady de Winter (Milla Jovovich), che conserva il suo classico fascino romanzesco, ma che aggiunge un po’ di gadget e qualche acrobazia ai veleni e agli stiletti nascosti sotto gli abiti. Il volto del giovane D’Artagnan è quello di Logan Lerman, già Pearcy Jackson, che per sfrontatezza rappresenta un ottimo protagonista, a parte il fatto che è troppo carino per essere un Guascone vero!
I tre moschettieri si snoda tra gag divertenti, comportamenti irriverenti e parentesi davvero assurde, su tutte la scena dei galeoni volanti, degni del più sfrenato fan di Pirati dei Caraibi, e una sceneggiatura altalenante, che accosta momenti di imbarazzo a sequenze efficaci e divertenti. Tutto il racconto ricalca a grandi linee il racconto originale, prendendosi licenze e munendo quasi tutti i personaggi di una caratteristica originale, come il fashion – victimism del re, o la passione di Milady per gli uomini di potere e le armi di ogni genere. Quello che però davvero convince del film è la regia, Paul Anderson, con l’aiuto di un buon 3D, ci conduce con grande energia nel mondo dei moschettieri, svelandone punti di vista e angolazioni mai viste prima.
Con una solida prospettiva riesce a seguire ogni scambio di spada o fioretto con ordine, non tralasciando mai la componente comica e la caratteristica sbruffoneria che contraddistingue i personaggi tanto amati di Dumas. Una colonna sonora che ricorda molto altre famose tracce sentite più o meno di recente al cinema (quella di Sherlock Holmes su tutte) da il giusto ritmo all’azione.
HBO rinnova Boardwalk Empire per una terza stagione
Tris d’assi sul set di Expendables 2
La foto è di quelle storiche, il film in questione è uno di quelli che già dall’elenco del cast promette di essere divertentissimo. Si parla di Expendables 2
Sherlock Holmes: gioco di ombre, ecco due nuovi character poster
In attesa di vederlo tra pochi mesi al cinema, il nuovo film di Guy Ritchie basato sul personaggio nato dalla penna di Arthur Conan Doyle, comincia la sua fase di promozione.
Una Separazione – recensione
Nader e sua moglie
Simin hanno ottenuto il permesso di espatrio per loro e la loro
figlia undicenne ma Nader non vuole partire. L’uomo sente il dovere
di rimanere accanto a suo padre, nonostante la sua malattia,
l’Alzheimer, gli impedisca di riconoscerlo. La moglie allora decide
di andare via di casa, tornando dai genitori e Nader è costretto ad
assumere una donna per badare al padre. La donna, che è incinta,
lavora all’insaputa del marito. Un giorno litiga con Nader, perchè
si è assentata dal lavoro senza permesso lasciando l’anziano legato
al letto. A seguito di una discussione la donna cade dalle scale e
perde il bambino.
Con una straordinaria semplicità Asghar Farhadi conferma le sue doti di narratore dopo About Elly, e con Una separazione descrive con discrezione e ritmo lento e cadenzato l’introdursi della confusione nelle vite più normali. La differenza di classe, la fede cieca nella religione, la convinzione dei legami e allo stesso tempo dei limiti che un posto ci impone, costriuscono un quadro perfetto, bilanciato da una macchina discreta ma investigativa e da un dialogo serrato, soprattutto nella seconda parte, che coinvolge lo spettatore tenendolo ancorato alla narrazione.
Il film, vincitore dell’Orso d’Oro a Berlino e dell’Orso d’Argento per la migliroe performance maschile e femminile, mostra con didascalica semplicità ma con estrema franchezza la differenza sociale, la percezione del mondo attraverso la fede e l’impossibilità completa di un occhio occidentale di comprendere le dinamiche intime che muovono i personaggi verso una direzione piuttosto che un’altra.
Un finale che sembra quas disturbare lo spettatore irrompe proprio quandoquest’ultimo avrebbe voluto sapere di più, capire come sarebbe finita e saziare quella fame che Farhadi con tanta sapienza è riuscito a stimolare.
Cowboys & Aliens: recensione del film
Cowboys & Aliens è il film di genere azione, fantascienza, western del 2011, diretto da Jon Favreau, con Daniel Craig e Olivia Wilde.
Nel film uno straniero senza passato si imbatte nella remota città di Absolution, nel bel mezzo del deserto. Unico accenno alla sua storia è una misteriosa sorta di manetta intorno a un polso. L’uomo scopre in fretta che la gente di Absolution non è propensa a dare il benvenuto agli stranieri e che nessuno fa una mossa per le strade della città, a meno che l’ordine non arrivi da parte del colonnello Dolarhyde. La città vive sotto il suo pugno di ferro, nella paura. Ma Absolution sta per sperimentare un terrore ben peggiore quando viene attaccata dai predoni del cielo.
Cowboys & Aliens è senza dubbio uno dei titoli più attesi di questa prima parte di stagione cinematografica, fatto dovuto anche alla complicatissima vicenda produttiva. Non a casa il film vede coinvolti ben due major oltre alla DreamWords di Steven Spielberg, la Immagine di Ron Haward e Brian Grazer. Finalmente il film fra pochi giorni riempirà gli schermi dei cinema italiani, e tutto sommato riesce ad acciuffare un’ampia sufficienza.
Cowboys & Aliens, il film
La pellicola diretta da Jon Favreau, uno che certo non splende in ambito registico, si affida con intelligenza ad una narrazione che riprende molti degli stilemi classici di un certo cinema western d’altri tempi, che risultano essere sempre efficaci e interessanti. Non a caso i momenti migliori del film sono le dinamiche
legate al puro western dove c’è un Daniel Graig, con sguardo di ghiaccio, che è alle prese con i suoi problemi legati ad un passato che non ricorda. Mentre i momenti meno interessanti sono proprio quelli legati al tema degli alieni. Il motivo è abbastanza semplice, in questo caso nè gli effetti nè gli exstraterrestri riescono a suscitare interesse come al contrario fanno i personaggi a cavallo.
Forse anche la poca originalità del testo ha imposto un po’ di limiti al film. Il tutto è imballato in una sceneggiatura funzionale che regge abbastanza ma non riesce nel miracolo. Al contrario invece, il cast è il lato più interessante con caratteristi come Sam Rockwell, Clancy Brown, Keith Carradine, Paul Dano, impreziosito dalla presenza di un veterano come Harrison Ford, e un’attrice sempre più in ascesa, Olivia Wilde.
Cowboys & Aliens pur essendo una pellicola ben confezionata presenta diversi limiti, su tutti la regia di Favreau, incapace di dare un vero ritmo incalzante al film, che resta di certo sotto le aspettative.
Javier Bardem due volte cattivo
Javier Bardem sarà ufficialmente il
cattivo del prossimo film di James
Bond. Lo stesso attore ha dichiarato: “Sono molto felice. I
miei genitori mi portavano a vedere i film di 007 e li ho visti
tutti
Michael Fassbender torna a lavorare con McQueen
Steve Carell e Jim Carrey diventano maghi
Avatar 2: parla James Cameron!
Intervistato da Vulture, James Cameron ha rivelato dettagli sul improbabile ritorno di Sigourney Weaver nel secondo capitolo, confermando le dichiarazioni di qualche tempo fa dell’attrice che annunciava il suo ritorno, nonostante tutto nei due prossimi sequel.
Ecco le dichiarazioni di Cameron riprese e tradotte da Badtaste: Avete mai sentito parlare della narrazione non lineare? Un mucchio di cose sono successe su quel pianeta prima che lei vi arrivasse, lo stesso dicasi per il periodo che precede l’arrivo di Jake. E’ stata lì per quindici anni prima di lui. Non so, ma eviterei di giungere a conclusioni affrettate. E ho già parlato fin troppo di Avatar 2 e Avatar 3 qua e là, solo che la gente mette insieme questi pezzi e crede di conoscere l’intera storia.
[…] Ok, mettiamola così. Quando si parla di una serie fantascientifica, di un franchise fantascientifico, non si è mai veramente morti, a meno che il proprio DNA non venga sterminato dall’Universo. E a quel punto c’è sempre il viaggio nel tempo! Un fatto inequivocabile si deduce dalle sue dichiarazioni: Grace Augustine tornerà su Pandora…
The Avengers trailer!
E’ stato diffuso il trailer di The Avengers, pubblicato su Apple.com, è uno dei titoli più attesi che vede riuniti tutti i supereroi mostrati nei precedenti film dei Marvel Studios: Iron Man, Hulk, Thor, Captain America, Vedova Nera e Occhio di Falco, introdotto per la prima volta in un cammeo in Thor.
Insieme a loro Nick Fury, che li guiderà nella lotta contro il nemico. Il film uscirà il 25 aprile 2012 in Italia. Nel cast Robert Downey Jr., Scarlett Johansson, Samuel L. Jackson, Chris Evans, Chris Hemsworth, Clark Gregg e Mark Ruffalo.
Michael Fassbender: nuova star tra Europa e America
Michael Fassbender – In una manciata di anni è arrivato al successo, questo giovane irlandese di origine tedesca. È infatti reduce dall’aver conquistato a Venezia 2011 la Coppa Volpi come Miglior Attore per il ruolo di Brandon nel secondo lungometraggio di Steve McQueen, Shame – ma era presente al Lido anche con l’ultima fatica di David Cronenberg A dangerous method – mentre solo quattro anni fa era alle sue prime prove sul grande schermo, diretto da Françoise Ozon in Angel – La vita, il romanzo. Ha accettato incarichi i più diversi, facendo molta televisione nei primi anni 2000, prima dell’approdo al cinema. Qui, ha preso parte a piccoli film, progetti indipendenti, ma appena si è presentata l’occasione non si è fatto scappare l’opportunità del “salto” oltreoceano. Ora infatti, la sua carriera si divide tra Europa e Stati Uniti e lui continua a non sbagliare un colpo.
Michael Fassbender nasce ad Heidelberg il 2 aprile del 1977, da padre tedesco e madre nord irlandese (discendente del leader indipendentista irlandese Michael Collins). Nel ’79 tutta la famiglia si trasferisce in Irlanda, a Killarney, dove i suoi aprono il ristorante West End House, con il padre Josef come chef. Michael riceve un’educazione cattolica, mentre la sua formazione da attore avviene al Drama Centre di Londra.
I suoi primi lavori (2001-2006) sono televisivi: telefilm e fiction. Ma lavora anche per il canale radio della BBC irlandese, interpretando Jonathan Harker in una versione a puntate di Dracula. Nel 2006 ha occasione di vestire I panni del suo antenato Michael Collins in Allegiance, uno spettacolo teatrale incentrato sul’incontro tra Collins e Churchill, per la regia di Mary Kenny. Sempre in teatro, lavora a un progetto che rivela la sua ammirazione per Quentin Tarantino, dal quale poi sarà diretto. Infatti, produce – con la sua Peanut Productions – dirige e interpreta la versione teatrale de Le iene. Nel 2007, come detto, lavora per il cinema in una pellicola europea: Angel – La vita, il romanzo, in cui il regista francese François Ozon traspone il romanzo di Elizabeth Taylor sulla vicenda umana e artistica della giovane scrittrice britannica del primo Novecento, Angel Deverell. Ozon affida a Michael Fassbender il ruolo del pittore Esmé, innamorato della Deverell/Romola Garai. Nel cast anche Sam Neill e Charlotte Rempling. Il film è presentato al Festival di Berlino. Ma Michael Fassbender partecipa anche alla sua prima produzione americana: 300 di Zack Snyder, che racconta dell’eroica resistenza degli Spartani alle Termopili, capitanati da Leonida/Gerard Butler, contro l’esercito persiano enormemente più numeroso. Michael Fassbender è Stelios. Per lui è senz’altro un buon trampolino di lancio verso futuri successi made in USA.
Michael Fassbender: nuova star tra Europa e America
Il 2008 porta all’attore i primi riconoscimenti di peso per un’interpretazione che fa emergere in maniera inequivocabile le sue capacità attoriali, inaugurando una collaborazione assai importante nella sua carriera. Si tratta di Hunger, un film indipendente, con cui esordisce alla regia cinematografica l’artista britannico Steve McQueen. McQueen ci racconta la vicenda di Bobby Sands, membro dell’IRA, morto in carcere dopo un lungo sciopero della fame, nel 1981. Fassbender presta a Sands le sue fattezze tedesco-irlandesi e il suo fisico appositamente emaciato. Non gli è difficile conquistare con la sua interpretazione il British Independent Film Award e la Camera d’Oro a Cannes.
Il 2009 è l’anno dell’incontro con Quentin Tarantino, che lo chiama a far parte del cast della sua acclamata ultima fatica Bastardi senza gloria. “I Bastardi” sono un gruppo di americani-ebrei a caccia di nazisti nella Francia occupata della Seconda Guerra Mondiale. Alla loro testa c’è il tenente Aldo Raine/Brad Pitt. A Michael Fassbender è affidato il ruolo del tenente Archie Hicox. La pellicola fa incetta di riconoscimenti: Nastro d’Argento come Miglior Film extraeuropeo, David di Donatello come Miglior Film Straniero. Senza dimenticare i premi ricevuti da Christoph Waltz, che veste i panni dell’ufficiale delle SS Hans Landa. Tra questi, spicca certamente l’Oscar come Miglior Attore non protagonista. Sembra che Michael Fassbender tornerà a lavorare con Tarantino per il suo prossimo Django Unchained (2013).
Il nostro, però, non si monta la testa e non disdegna pellicole meno blasonate, come l’indipendente Fish Tank (2010) di Andrea Arnold, che affronta il tema del disagio giovanile nella periferia inglese dell’Essex. Il film riceve il BAFTA come miglior pellicola britannica ed è accolto calorosamente a Cannes, che gli riserva il Premio della Giuria. Nello stesso anno, Michael Fassbender torna nell’antichità, dopo 300, ancora a combattere un ostico nemico (in questo caso, i barbari Pitti che lo fanno prigioniero). E’ quanto accade al suo personaggio, il caporale romano Quinto Dias, in Centurion di Neil Marshall. Lavora poi anche con Joel Schumaker, che lo recluta per l’horror Blood Creek.
Il 2011 è per lui un anno pieno di impegni e soddisfazioni. La sua popolarità cresce enormemente quando partecipa al prequel di X Men: X Men – L’inizio. Interpreta qui il ruolo di Magneto, accanto a James McAvoy/Charles Xavier. Il prequel, che si concentra sull’incontro tra i due personaggi e sulla nascita del loro gruppo, si rivela riuscito ed è un successo al botteghino. Grazie all’enorme risonanza della pellicola, Michael Fassbender è definitivamente consacrato nel mondo delle star. E non mancano altri riconoscimenti internazionali. A settembre infatti, Michael Fassbender trionfa a Venezia 2011, aggiudicandosi la Coppa Volpi per la miglior interpretazione con Shame. La pellicola gli dà l’occasione di tornare a lavorare con Steve McQueen che, dopo Hunger, lo vuole anche per il suo secondo lavoro. In questo caso, gli viene affidato il ruolo di Brandon, uomo dilaniato dalla sua ossessione per il sesso. Accanto a lui, la sorella Sissy/Carey Mulligan, anch’ella afflitta da gravi problemi di relazione. Dunque un’altra sfida difficile, un personaggio complesso per l’attore irlandese, che però riesce a renderlo al meglio. Ma questo non è l’unico film con cui Fassbender è presente al Lido di Venezia nel 2011. È infatti anche uno dei tre protagonisti dell’ultima creatura di David Cronenberg A dangerous method, accanto a Viggo Mortensen e Keira Knightley. Il regista è affascinato dalla complessità dei meccanismi che sottendono alle azioni umane e qui indaga i meandri della mente, scegliendo come protagonisti proprio coloro che di essa sono stati i principali indagatori nel ‘900: Sigmund Freud/Mortensen e il suo discepolo Carl Gustave Jung/Fassbender. Ad accomunarli e poi a dividerli, una paziente affetta da isteria: Sabina Spielrein/Knightley – divenuta poi psicologa – con la quale Jung intreccia una relazione, contravvenendo ai codici deontologici della sua professione.
Da venerdì nelle sale italiane sarà invece Jane Eyre di Cary Fukunaga, con cui Michael Fassbender affronta un capitolo nuovo della sua filmografia: la trasposizione di grandi capolavori della letteratura inglese. E lo fa in grande stile, trovandosi a gestire il ruolo che nel ’95 fu di William Hurt: quello del burbero proprietario di Thornfield Hall, Edward Rochester. L’attore affianca Mia Wasikowska, nel ruolo della protagonista Jane Eyre.
Michael Fassbender sta poi lavorando a numerosi progetti, tra cui la collaborazione con Ridley Scott per Prometheus (2012), che lo vedrà nei panni di un androide, e un film sui vampiri diretto da Jim Jarmush, ancora senza titolo ma che, ha assicurato, si farà. Del cast farà parte anche Mia Wasikowska. Senza contare il ritorno assieme a Tarantino di cui si è detto in precedenza, per Django Unchained (2013).
Sacco e Vanzetti
Sacco e Vanzetti, Anno: 1971 – Regia: Giuliano Montaldo – Cast: Gian Maria Volonté, Riccardo Cucciolla
Boston, 1920. Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti sono due italiani immigrati da oltre un decennio negli Usa, con l’intento, come tanti altri milioni di loro connazionali, di costruirsi una vita dignitosa. Svolgono lavori umili, il primo è un operaio, il secondo un pescivendolo, ma sono anche politicamente impegnati come anarchici e anti-capitalisti.
Durante una retata in una sezione operativa dei lavoratori, i due riescono a scappare ma vengono trovati su un treno e accusati di una rapina ad una banca, con tanto di omicidio, che in realtà non hanno commesso. Il processo nei loro riguardi, più che penale, è un processo politico. Quello della rapina diventa un pretesto, per il sistema americano pseudo-democratico, di sferrare un duro colpo alla classe operaia in fermento.
Le false testimonianze ai loro danni cominciano a mostrare sempre più la propria fragilità e inattendibilità. Ma ormai la giustizia americana aveva già tracciato il loro destino.
La storia di Sacco e Vanzetti scuote e sdegna tutt’oggi. Il modo sommario e pretestuoso con cui furono processati da quel Paese che si professava e si professa (anche con una certa pretesa di superiorità) come il democratico per eccellenza, ha lasciato un segno indelebile per quasi un secolo.
Sovente il Cinema ha cercato di trasporre sul grande schermo pagine della storia così amare, riuscendoci però solo raramente. Lo ha fatto anche Giuliano Montaldo, regista dalla curiosa biografia, provenendo da tutt’altro mestiere, sebbene abbia iniziato a recitare poco più che ventenne. Sacco e Vanzetti del 1971 può essere considerato il suo film più riuscito, anche perché, a parte qualche altra pellicola successiva (da segnalare anche Giordano Bruno, sempre con Gian Maria Volonté, uscito due anni dopo), Montaldo si è dedicato soprattutto a documentari e opere destinate alla Tv.
Sacco e Vanzetti è un autentico documentario, ma sceneggiato. Il modo in cui sono descritti i due sfortunati protagonisti, Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, pone in luce il loro lato umano, i loro ideali, la loro semplicità, e se vogliamo, anche la loro ingenuità, al confronto con un sistema giudiziario complesso e cinico che a loro si presentava come un gigante insormontabile, in questo modo i due personaggi ricevono quella giustizia non ottenuta nell’aula di un tribunale.
Il lungometraggio inizia proprio con il loro arresto su un treno, dove cercavano di scappare dopo alcuni tumulti organizzati dal sindacato dei lavoratori. Poi ripercorre il processo, alternando e confrontando le testimonianze di chi cerca di incastrarli sotto ricatto o dietro laute ricompense, con il reale susseguirsi degli eventi. Ma soprattutto, ricostruisce la biografia di Sacco e Vanzetti, esaltando la dignità e l’orgoglio con cui i due affrontano il processo. Caratteristiche mai perse anche quando sanno che ormai la condanna a morte è inevitabile. Anzi, è proprio in quel momento che le alimentano, affinché il loro martirio dia il coraggio in futuro agli altri lavoratori di combattere, sperare e credere nei e per i propri diritti e i propri ideali.
Ed ecco che questa pellicola riesce laddove gli avvocati di Nicola e Bartolomeo non riuscirono. Cancella tutte le ingiuste accuse a loro rivolte, li ripulisce dal fango gettato su di loro e su tutti gli italiani all’epoca emigrati in America.
Nella riuscita di questa missione così alta ha inciso molto la scelta dei due attori protagonisti: Gian Maria Volonté nel ruolo di Vanzetti (premiato tra l’altro a Cannes) e Riccardo Cucciola, nel ruolo di Sacco. Entrambi riescono a dare il giusto tono ai due protagonisti: estroverso ed esplosivo il primo, introverso e pensieroso il secondo. Due modi diversi di abbracciare la lotta operaia, che, come disse lo stesso Vanzetti, con la loro tragica e ingiusta morte si avvaleva di due simboli capaci di sopravvivere a quelle istituzioni che, annullandone il corpo, non sono riusciti a cancellarne la memoria.
Toccante nel finale è la lettura della lettera che Sacco scrisse al figlio Dante, esortandolo a non essere egoista e a condividere con gli altri le sue gioie, ad essere solidale e sensibile verso il prossimo, non perdendo mai la speranza in un futuro migliore.
A scandire le parole cariche di affetto e commozione di un padre ormai cosciente da tempo che i suoi giorni sono finiti, troviamo The Ballad of Nick & Bart, musica di Ennio Morricone e voce di Joan Baez.
Oltre a questo lungometraggio, varie sono le opere teatrali e musicali dedicate alla loro storia. Tra esse, vale la pena annoverare il dramma in tre atti Sacco e Vanzetti, di Mino Roli e Luciano Vincenzoni, messo in scena nel 1960 dalla compagnia Gli Associati con la regia di Giancarlo Sbragia. In questo caso a Gian Maria Volonté venne affidato il ruolo di Nicola Sacco.
My Week with Marilyn: altre foto
My week with Marilyn uscirà in Italia il prossimo 4 novembre e racconta una particolare settimana della vita della diva
Arrietty – Il mondo segreto sotto il pavimento: recensione
Non pensavo di poter rimanere deluso un giorno da un film dello Studio Ghibli ma il nuovissimo Arrietty – Il mondo segreto sotto il pavimento ha centrato pienamente questo terribile bersaglio. Ero colmo di aspettative dopo Ponyo, storia che mi era piaciuta ma forse troppo indirizzata ad un pubblico infantile per i miei gusti e visto che il trailer di Arrietty – Il mondo segreto sotto il pavimento mi aveva non poco intrigato credevo che la risalita fosse quasi scontata.
Niente di tutto ciò, anzi si tratta di un tonfo quasi inspiegabile e sicuramente del peggior film di sempre dello studio Ghibli. La storia è stata scritta da Hayao Miyazaki prendendo spunto dal racconto “The Borrowers” di Mary Norton e la regia affidata a Hiromasa Yonebayashi, giovane animatore trentenne alla sua prima esperienza da regista. La trama ci racconta le vicende di piccoli omini chiamati Borrowers, in italiano “Rubacchiotti”, esserini in tutto e per tutto uguali agli umani tranne l’altezza visto che stanno tranquillamente in un palmo di mano. Seguiamo quindi le vicende di una famigliola di rubacchiotti che vive nelle fondamenta di una casa di campagna in Giappone formata da una ragazzina quattordicenne chiamata Arrietty ed i suoi due genitori.
Arrietty – Il mondo segreto sotto il pavimento, il film
La loro particolarità è quella di vivere rubacchiando tutto quello che per un umano sarebbe difficile scoprire: una zolletta di zucchero, un biscotto, e così via ma comunque non facendosi mancare elettricità e gas attaccandosi ai cavi della famiglia umana piccoli elettrodomestici e mobili costruiti da loro stessi. La loro paura maggiore è quella di farsi scoprire dagli esseri umani, altrimenti i Rubacchiotti dovrebbe necessariamente cercare un’altra abitazione per paura di essere uccisi.
La loro vita scorre tranquilla tra un furto e un altro quando un giorno nell’abitazione arriva un nuovo essere umano: Sho, un ragazzo dodicenne malato di cuore che presto dovrà operarsi e vuole trascorrere qualche giorno di riposo in campagna prima del difficile evento. Sfortunatamente Arrietty viene vista e nonostante la ritrosia di lei alla fine diventano amici, Sho aiuterà lei e la sua famiglia a scappare da Haru, la cameriera dell’abitazione che cercherà di catturare la famigliola di Rubacchiotti una volta che li scoprirà nascosti sotto la camera del ragazzo. Faccio partire la mia analisi dall’unico punto a favore di Arrietty – Il mondo segreto sotto il pavimento, la musica: la canzone principale interpretata da Cecile Corbel è una splendida ballata folk molto toccante che dona alle scene in cui è presente un certo grado di sentimento; la colonna sonora in generale è ben fatta anche se non spicca come la canzone sopracitata ed è formata da brevi intermezzi sempre di matrice folk ma sempre piacevoli.
Per quanto riguarda ciò che non va inizio dalla storia: mai sceneggiatura così scevra di ritmo si era vista in un’opera dello studio ghibli, la cosa con più brio da vedere sono i Rubacchiotti che interagiscono con oggetti più grandi di loro: biscotti, zollette di zucchero, loro che si lanciano con la fune da comodini, cose così insomma e se per aspettare un po’ di divertimento devo vedere un corvo che si schianta contro una finestra allora la situazione non è delle più rosee. Le somiglianze maggiori sono con Totoro, indubbiamente segue uno sviluppo simile, solo che stavolta la storia la osserviamo attraverso gli occhi dell’essere soprannaturale.
I personaggi sono poco caratterizzati da punto di vista caratteriale, graficamente invece i colori sono bellissimi e vari e gli ambienti curati bene; la migliore è la protagonista Arrietty, si sente sola e vorrebbe conoscere qualche ragazzo della sua specie, per questo sente una certa attrazione e curiosità per l’umano Sho, una volta però che viene a conoscenza di un suo simile della sua età, il selvaggio e taciturno Shiller, quasi automaticamente se ne invaghisce solo perché è della sua stessa specie (anche perché non ha modo di conoscerlo approfonditamente). Questa è una delle lacune che indebolisce la pellicola e la rende sterile e lontanissima dalla profondità di una Principessa Mononoke o La città Incantata. Aldilà della protagonista, gli altri personaggi sono privi di nerbo, il padre di Arrietty ad esempio sembra non provare alcuna emozione, freddissimo anche quando la sua famiglia è in pericolo, ok farlo sembrare un uomo sicuro di sé e forgiato dalle difficoltà del tempo, ma così è esagerato.
Se la storia offre molto poco dal punto di vista drammatico con un finale telefonatissimo, men che meno offre qualche risata ma solo qualche sorriso abbozzato; non c’è nessuna situazione che offra un momento divertente, nei film passati questo tipo di momenti si sprecavano, come non ricordare la scena capolavoro della fermata del bus con Totoro ad esempio? Purtroppo non c’è la magia di Hayao Miyazaki, si sente tantissimo la mancanza della sua regia, allo studio ghibli dovranno lavorare parecchio per trovare un suo erede se vogliono mantenere una certa qualità nelle pellicole future. Mi dispiace richiamare spesso i vecchi lavori, ma visto che lo studio ghibli ci ha messo la faccia in questa nuova pellicola se ne deve prendere anche il peso del confronto col passato.
Quindi cosa resta alla fine all’ignaro spettatore? Una messaggio di rispetto per le specie vicine all’estinzione e un intelligente uso delle risorse che abbiamo a disposizione e poco altro; una storiella poco profonda che sembra essere stata scritta in fretta da Miyazaki forse impegnato anche in qualche altro progetto più ambizioso; in effetti nel 2011 è previsto l’adattamento di Taketori Monogatari, racconto popolare giapponese del decimo secolo che spero tenga fede al nome altisonante dello studio Ghibli, su Arrietty – Il mondo segreto sotto il pavimento è invece il caso di stendere un velo pietoso perché più ne scrivo e più mi intristisco.
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Diego Boneta è Adamo
Mickey Rourke terrorista in Java Heat!
I Want to Be a Soldier: recensione del film di Christian Molina
In I Want to Be a Soldier Alex è un ragazzino con le idee molto chiare. La sua camera e i suoi pensieri sono invasi dal desiderio e dalla convinzione di voler diventare da grande un astronauta, e anche il capitano Harry, suo amico immaginario che di professione fa l’astronauta, lo incoraggia in questa direzione. I genitori di Alex non si curano troppo di lui, impegnati come sono nella gestione della casa e di una gravidanza che sembra metterli in difficoltà. Alex dal canto suo continua a pensare ad Alpha Centauri, e al futuro luminoso che lo attende. L’arrivo a casa dei due gemelli sconvolgerà questo fittizio equilibrio. Il bambino si sentirà messo da parte e il padre, per mitigare il disagio del figlio, gli metterà il camera una tv. Alex, bombardato dalle immagini di violenza e di guerra che inondano qualsiasi canale, metterà da parte il suo sogno e comincerà ad accarezzare l’idea di diventare un soldato. Il suo stesso amico, il capitano Harry, si trasformerà in un caporale che lo istiga alla violenza. I genitori, incapaci di gestire questo cambiamento, asseconderanno il figlio, fino al triste epilogo.
I Want to Be a Soldier è stato presentato lo scorso anno al Festival del Film di Roma, vincendo il premio Marco Aurelio per la categoria Alice nella città, sezione che riserva sempre piacevoli sorprese. I Want to Be a Soldier appare da subito molto complesso, perché affronta diversi argomenti scottanti, su tutti la cattiva influenza che la tv e la violenza che essa trasmette hanno sui più giovani. In secondo piano nel film si parla anche dell’inadeguatezza di alcuni genitori ad affrontare da soli i malesseri dei figli, ma anche del ruolo fondamentale di aiuto che ha la scuola.
Nel caso in questione la scuola è molto più presente della famiglia, a livello di interesse per i bambini, ma come I Want to Be a Soldier stesso spiega, forse con toppa crudeltà, la scuola non basta, e la famiglia deve prendersi le sue responsabilità. Proprio questo aspetto è un po’ passato sotto silenzio da Christian Molina, regista che dimostra un buon talento nel raccontare, ma soprattutto nel creare atmosfere, avvalendosi di una fotografia contrastata e di un ottimo insieme di attori. A partire dal piccolo Fergus Riordan che con efficacia mostra i turbamenti e anche la violenza pura, quella ingenua e senza remore di un bambino, fino ai grandi Danny Glover e Robert Englund, I Want to Be a Soldier, anche se con qualche lacuna, si presenta come un affresco nudo e crudo di uno spaccato di vita, mostrando le estreme conseguenze di scelte e azioni che troppo spesso vengono sottovalutate. In una piccola parte figura anche Valeria Marini, che del film è stata uno dei produttori.
Box Office USA del 10 ottobre 2011
Aaron Eckhart è Frankenstein?
Il cavaliere oscuro il ritorno: spettacolari riprese in notturna in LA!
Snow White: tantissime foto!
Sono state diffuse altre foto ufficiali di Snow White, il film di Biancaneve con Julia Roberts, Lily Collins, Armie Hammers, Nathan lane e Romerd Emmas.
New York Film Festival, fino al 16 ottobre focus sull’industria cinematografica
Un biopic su Steve Jobs?
Sembra che la Sony Pictures stia già valutando la possibilità di portare sul grande schermo la vita e i successi di Steve Jobs. La pellicola dovrebbe basarsi sulla biografia in uscita dal titolo, appunto “Steve Jobs” di Walter Isaacson. Il volume raccoglie oltre quaranta interviste nel corso di due anni. Vi segnaliamo che già un film tv è stato realizzato sul colosso Apple, dal titolo Pirates of Silicon Valley, dove Noah Wyle interpretò Jobs. Non ci resta che attendere ulteriori sviluppi per saperne di più.