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Race for Glory: Audi vs. Lancia, trailer del film con Riccardo Scamarcio

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Lionsgate ha pubblicato il primo trailer ufficiale di Race for Glory: Audi vs Lancia, che presenta in anteprima il film in uscita basato sulla rivalità tra i due iconici marchi automobilistici.

Race for Glory: Audi vs Lancia racconta la storia della faida tra Audi e Lancia durante il Campionato del mondo di rally del 1983. Il film è diretto da Stefano Mordini e vede protagonisti Riccardo Scamarcio, Volker Bruch e Daniel Brühl, e si basa su una sceneggiatura scritta da Filippo Bologna, Stefano Mordini e Riccardo Scamarcio.

https://youtu.be/Anh9PRtW5uI

Vivi l’avvincente storia degli sfavoriti dei Campionati del mondo di rally del 1983, ispirata a eventi realmente accaduti“, si legge nella sinossi ufficiale del film. “Questo commovente dramma sportivo ti mette al posto di guida per un viaggio emozionante.”

Race for Glory: Audi vs Lancia sarà presentato in anteprima in sale selezionate negli USA, on demand e digitale il 5 gennaio 2024.

Race for Glory: Audi vs. Lancia, recensione del film con Riccardo Scamarcio

Nelle gare automobilistiche, quando si perde è sempre contro qualcun altro. Nel rally, invece, quando si perde lo si fa contro il tempo e dunque contro sé stessi. È questa la spiegazione che il Cesare Fiorio interpretato da Riccardo Scamarcio dà in Race for Glory: Audi vs. Lancia, quando gli chiedono di spiegare quale sia la posta in gioco e cosa distingue questo sport da altri apparentemente simili. Nonostante il sottotitolo rimandi alla celebre rivalità tra la Audi e la Lancia che ha avuto il suo culmine nel 1983, il film diretto da Stefano Mordini (Pericle il nero, La scuola cattolica) ha dunque come principale antagonista il tempo, contro cui Fiorio è chiamato a combattere su più fronti.

Mordini, lo sceneggiatore Filippo Bologna (Perfetti sconosciuti) e lo stesso Riccardo Scamarcio (anche produttore del film) rielaborano dunque la vicenda di Fiorio e di quell’agguerrita stagione del campionato da questo preciso punto di vista: quella sfida contro il tempo che ha costretto a fare di necessità virtù, circondandosi di persone la cui unica paura è quella di perdere e attraverso la quale si è ribadita quell’arte di arrangiarsi e quella caparbietà tutta italiana che tante volte si è manifestata con successo nel corso della storia. Race for Glory: Audi vs. Lancia è dunque prima di tutto una storia di uomini disposti a tutto pur di raggiungere un sogno, anche sacrificare la propria vita.

Race for Glory Daniel Brühl Riccardo Scamarcio
Daniel Brühl e Riccardo Scamarcio in una scena di Race for Glory: Audi vs. Lancia. Photo Credit: Matteo Leonetti

La trama di Race for Glory: Audi vs. Lancia

Il racconto si svolge nel 1983, l’anno in cui per il rally si fece la storia, in cui lo sfavorito team Lancia, guidato dal carismatico Cesare Fiorio (Riccardo Scamarcio), affronta il potente team Audi, guidato dal formidabile Roland Gumpert (Daniel Brühl), in una delle più grandi rivalità della storia dello sport. Con cuore, passione e capacità da fuoriclasse, Fiorio riesce a mettere insieme una squadra insolita, convincendo anche il campione Walter Röhrl (Volker Bruch) a guidare per la Lancia. Utilizzando tutti i trucchi a sua disposizione e piegando le regole, Fiorio si addentra in territori pericolosi, dentro e fuori la pista, per una vittoria che sembra però essere impossibile.

L’astuzia di Cesare Fiorio

Chi conosce la storia della Lancia e di Cesare Fiorio saprà che ci sono stati numerosi momenti importanti che potevano essere raccontati sul grande schermo, ma ad aver portato a prediligere quello proposto con Race for Glory: Audi vs. Lancia è il fatto che il 1983 segnò un anno di svolta, che portò Fiorio e la Lancia dall’essere degli outsider all’essere dei vincenti. Una dinamica simile a quella raccontata in Le Mans ’66 – La grande sfida (titolo originale: Ford vs. Ferrari), il film con Matt Damon e Christian Bale incentrato sulla volontà della Ford di sconfiggere la Ferrari per riguadagnare prestigio. Anche in questo caso, la sfida che si svolge sulla pista è in realtà solo l’ultimo di una serie di conflitti che si giocano ben prima della gara.

Nel film Fiorio deve infatti cercare di far combaciare le proprie ambizioni con le disponibilità tecniche ed economiche di cui dispone e alla luce delle quali darà prova di grande astuzia. Episodi come lo spostamento da un parcheggio all’altro delle Lancia o della rimozione del ghiaccio dalle strade con relativo spargimento di sale sono solo due brillanti esempi di questa sua dote. Race for Glory: Audi vs. Lancia celebra dunque Fiorio prensentandocelo come un personaggio capace di adattarsi e trovare sempre un percorso alternativo per giungere a quella vittoria tanto ardentemente desiderata. Così facendo, si ha a che fare con un protagonista carismatico e accattivante, che si segue con interesse.

Race For Glory Katie Clarkson-Hill Riccardo Scamarcio
Katie Clarkson-Hill e Riccardo Scamarcio in una scena di Race for Glory: Audi vs. Lancia. Photo Credit: Matteo Leonetti

Race for Glory: Audi vs. Lancia e il suo approccio al mondo del rally

Nel raccontare lo svolgersi del campionato e degli stratagemmi messi in atto da Fiorio non mancano certo alcuni dettagli stonati, come la superflua presenza della giornalista che dialoga con Fiorio, utile principalmente a far emergere una serie di aspetti del protagonista che potevano in realtà essere benissimo raccontati in altro modo. O ancora la presenza di alcuni dialoghi un po’ artificiosi. Elementi che dunque spezzano in parte l’attenzione o il ritmo, senza però che questo infici significativamente nella riuscita complessiva del film. Race for Glory: Audi vs. Lancia è infatti capace di riguadagnare posizioni grazie ad un approccio che mira a restituire il rapporto tra le auto da rally con l’ambiente e con il pubblico.

Mordini sceglie infatti di bandire una certa pulizia formale per prediligere invece lo sporco, il sudore, la fatica, la polvere che si solleva in aria allo sfrecciare delle auto. Un montaggio serrato che alterna totali della corsa a dettagli degli occhi degli autisti restituisce infine quel senso di prossimità necessario a sviluppare un certo coinvolgimento. A fare il resto ci pensano gli attori, Riccardo Scamarcio in primis, che si pone con generosità nei panni di Fiorio esaltandone tutte le qualità umane. Ma sono – come si diceva in apertura – le dinamiche oltre le gare automobilistiche su cui si concentra il film a renderlo interessante, specialmente per chi è un appassionato di questi sport, dove l’adrenalina diventa un vero e proprio antidoto alla morte.

Race for Glory: Audi vs. Lancia, la storia vera dietro il film con Riccardo Scamarcio

Dal 14 marzo è al cinema il film Race for Glory: Audi vs. Lancia (qui la recensione), diretto da Stefano Mordini (Pericle il nero, La scuola cattolica) e da lui sceneggiato insieme a Filippo Bologna (Perfetti sconosciuti) e Riccardo Scamarcio, anche produttore del film. In questa pellicola si racconta l’edizione 1983 del Campionato del mondo di rally, dove il team manager della Lancia Cesare Fiorio portò la casa automobilistica ad ottenere un’importantissima vittoria. Come riportato anche nel film, però, la vicenda narrata è liberamente ispirata a quella storia vera, a cui si apportano alcune modifiche. Di seguito, invece, scopriamo come si è svolto quel campionato approfondendo dunque la vera storia dietro Race for Glory: Audi vs. Lancia.

La trama e il cast del film

Nel Campionato del mondo di rally del 1983, la Lancia e il suo team manager, Cesare Fiorio, rischiano una sconfitta certa contro il formidabile rivale Roland Gumpert e il suo team Audi, tecnologicamente superiore e composto da figure come il campione finlandese, Hannu Mikkola. Ma con cuore, passione e capacità da fuoriclasse, Fiorio riesce a mettere insieme una squadra insolita, convincendo anche il campione Walter Röhrl a guidare per la Lancia. Utilizzando tutti i trucchi a sua disposizione e piegando le regole, Fiorio si addentra in territori pericolosi, dentro e fuori la pista, per una vittoria che sembra essere impossibile.

Ad interpretare Cesare Fiorio nel film vi è l’attore Riccardo Scamarcio, anche sceneggiatore e produttore di Race for Glory: Audi vs. Lancia. Nel ruolo di Roland Gumpert vi è invece Daniel Brühl, noto per aver interpretato Niki Lauda in Rush. Volker Bruch interpreta invece il pilota della Lancia Walter Röhrl, mentre Gianmaria Martini interpreta il pilota dell’Audi Hannu Mikkola. Sono poi presenti nel film l’attrice Katie Clarkson-Hill nel ruolo di Jane McCoy, del team Lancia, e Esther Garrel in quello della pilota Audi Michèle Mouton. Giorgio Montanini è il meccanico della Lancia Ennio, mentre Haley Bennett interpreta la giornalista che intervista Fiorio.

Race for Glory Riccardo Scamarcio
Riccardo Scamarcio in una scena di Race for Glory. Photo credit: Margherita Mirabella

La storia vera dietro Race for Glory: Audi vs. Lancia

Il Campionato del mondo rally del 1983 è passato alla storia per una sfida epocale: quella di Audi contro Lancia. Trazione integrale contro posteriore, quattro ruote motrici contro due, tecnologia all’avanguardia contro tradizione meccanica. Una data in particolare segna un prima e un dopo nel mondo del rally: il 7 ottobree 1983, giorno in cui la Lancia vince, con due gare di anticipo, il suo quinto mondiale costruttori nella tappa di Sanremo. L’auto protagonista di questa impresa sportiva è la 037, presentata nel 1982 in occasione della 59esima edizione del Salone delle automobile di Torino e oggi riconosciuta come una delle vetture che hanno segnato un’epoca indelebile.

Già dalla stagione del 1981 Audi sfruttava la trazione integrale. Quella a quattro ruote motrici era sicuramente un’auto più pesante, ma con un forte vantaggio di trazione su tratti scivolosi come neve, ghiaccio e terra, di cui il mondiale rally è ricco. Per il Campionato del 1982 il team manager Cesare Fiorio cerca però di contrastare tale gap tecnico, in quanto – come si racconta in Race for Glory: Audi vs. Lancia – la Lancia non disponeva ancora di questa tecnologia. Nel Campionato di quell’anno, la squadra della Lancia si compone di Walther Röhrl, oggi venerato come uno dei più grandi piloti di rally di tutti i tempi, Markku Alén, Attilio Bettega e Miki Biasion.

L’Audi, dal suo canto, si presenta come campione del mondo costruttori in carica, con una squadra perfettamente callaudata e tre piloti velocissimi: Hannu Mikkola, Michèle Mouton e Stig Blomqvist. La prima tappa è quella di Montecarlo, dove è entra subito in gioco l’inventiva di Fiorio. In un’alternanza di fondi innevati, ghiacciati e asciutti, montare pneumatici adeguati può fare la differenza. Consapevole di non poter competere nei tratti con meno aderenza, Fiorio sfrutta una lacuna del regolamento, ordinando il cambio gomme al variare delle condizioni di fondo, proprio come mostrato in Race for Glory: Audi vs. Lancia. In questo modo le 037 riescono a domicare sull’asciutto ed essere ugualmente competitive su neve e ghiaccio.

Race For Glory Katie Clarkson-Hill Riccardo Scamarcio
Katie Clarkson-Hill e Riccardo Scamarcio in una scena di Race for Glory: Audi vs. Lancia. Photo Credit: Matteo Leonetti

Una mossa che determina un’incredibile doppietta da parte di Röhrl e Alén. Fiorio, lavorando di strategia, decide di non presentarsi alla seconda tappa in Svezia, dove le Lancia sarebbe state certamente svantaggiate. In Portogallo, però, la sfida ricomincia ma in questo caso a trionfare sono i tedeschi dell’Audi per via di alcuni problemi tecnici sofferti dal team Lancia. Al Safari Rally, la Lancia racimola poi solo qualche punto ma è in Corsica che vengono ottenuti i maggiori risultati, con tutte le prime quattro posizioni conquistate dalla Lancia, mentre le Audi non riescono a classificarsi a causa di problemi tecnici e incidenti.

Si passa poi in Grecia, dove sia la Mouton che Mikkola sono costretti al ritiro per via di problemi al motore. Anche in questo caso, dunque, la Lancia conquista le prime posizioni, replicando poi nella tappa successiva in Nuova Zelanda. Vengono così messe a segno tre importanti vittorie di fila, ottenute su terreni apparentemente sfavorevoli alla 037 e la sua trazione posteriore. Il team Audi, tuttavia, riesce a rifarsi in Argenina, occupando l’intero podio, e in Finlandia – dove Röhrl decide di non andare – aggiudicandosi le prime due posizioni. In quest’ultima gara la 037 arriva terza.

Alla gara a Sanremo, la sfida è al suo culmine. In questo luogo iconico dell’automobilismo alla Lancia basta un buon podio per vincere il Campionato costruttori. Per l’intero circuito il testa a testa tra Lancia e Audi è dunque serrato, ma verso la fine le 037 recuperano e portano a segno – come mostrato in Race for Glory: Audi vs. Lancia – un successo straordinario: ben quattro Lancia arrivano nelle prime cinque posizioni, con Alén, Röhrl e Bettega che occupano tutto il podio. Con questo risultato, la Lancia conquista matematicamente il titolo costruttori, con ben due gare di anticipo ed entrando ufficialmente nella leggenda.

Dopo le ultime tappe in Costa d’avorio e Gran Bretagna, l’Audi si aggiudica però il Campionato piloti. La Lancia 037 è inoltre ricordata come l’ultima vettura da rally a trazione posteriore a vincere un Campionato del mondo. Per quanto riguarda Fiorio, che in carriera ha vinto ben 10 titoli mondiali costruttori (sette con Lancia e tre con Fiata), dal 1989 al 1991 ricopre il ruolo di direttore sportivo della Ferrari in Formula 1, passando poi per alcune stagioni alla Ligier, alla Forti e alla Minardi. Dopo il ritiro collabora come opinionista per la F1 con la Rai e con TELE+, ma si dedica anche alla gestione di una masseria a Ceglie Messapica in Puglia.

Race for Glory – Audi vs Lancia: intervista a Riccardo Scamarcio, Stefano Mordini e Volker Bruch

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Ecco la nostra intervista ai protagonisti di Race for Glory: Audi vs Lancia, il regista Stefano Mordini, il protagonista e produttore Riccardo Scamarcio, l’interprete Volker Bruch. Il film arriva in sala il 14 marzo distribuito da Medusa.

Race for Glory: Audi vs Lancia racconta la storia della faida tra Audi e Lancia durante il Campionato del mondo di rally del 1983. Il film è diretto da Stefano Mordini e vede protagonisti Riccardo Scamarcio, Volker Bruch e Daniel Brühl, e si basa su una sceneggiatura scritta da Filippo Bologna, Stefano Mordini e Riccardo Scamarcio.

Race – il colore della vittoria: recensione del film

Race – il colore della vittoria: recensione del film

Prima di loro, Jesse Owens scrisse una storia ancora più importante, in un tempo dove la dignità dell’uomo non era una valore celebrato, neanche sul campo neutro e solitamente rispettoso di una gara olimpica, simbolo di unione, rigore e celebrazione. La sua incredibile impresa viene oggi raccontata da Race – il colore della vittoria:, il film di Stephen Hopkins che vede protagonisti Stephan James, Jason Sudekis e Jeremy Irons: nel 1936 James Cleveland Owens conquista ben quattro medaglie d’oro alle Olimpiadi di Berlino, sullo sfondo di una guerra pronta ad invadere le strade d’Europa e a viaggiare oltre i confini della Germania nazista di Hitler. Grazie al sostegno del suo allenatore Larry Snyder, Owens si unirà alla squadra di atletica nonostante il comitato olimpico sportivo americano volesse boicottare l’evento.

La storia dello sport mondiale annovera alcuni avvenimenti fondamentali per la costruzione dell’identità nazionale e soprattutto, della consapevolezza sociale, etica e politica. Sul ring, Muhammad Ali espresse il suo rifiuto di combattere in Vietnam (celebre lo sfogo ai microfoni dell’epoca “Ali, sai dov’è il Vietnam?” “Si, in tv”), e per questo gli fu negata la licenza sportiva; nel 1968, durante le Olimpiadi di Città del Messico, gli atleti Tommie Smith e John Carlos salirono sul podio dei 200m chinando il capo durante l’inno americano e alzando in aria il pugno chiuso con un guanto nero, come gesto di solidarietà alla popolazione nera vittima di ingiustizie. I due furono successivamente sospesi, espulsi e minacciati di morte.

Per struttura e intenzioni, in Race – il colore della vittoria ci troviamo davanti un esempio di melodramma che attinge qua e là dal genere sportivo più classico: da una parte le ambientazioni e il tono epico di ogni impresa ricordano in maniera piuttosto ovvia Unbroken, il film di Angelina Jolie uscito lo scorso anno sulla vera storia di Louie Zamperini, dall’altra manca totalmente il fascino nel rapporto educativo allenatore-allievo spesso violento, qui risolto attraverso tanti stereotipi e fin troppo buonismo. Se poi ripensiamo alle meravigliose riprese di Roger Deakins in Unbroken, qui si assiste ad un insieme posticcio di scenografie in CGI, fotografia piattissima e una regia estremamente dimessa.

Quando poi il melò si intreccia alle ragioni storiche, Race – il colore della vittoria perde ritmo trasformandosi nel più mediocre dei racconti, e il percorso di Jesse Owens, un eroe la cui impresa ha scritto pagine memorabili e di per sé perfettamente sceneggiate, traduce per il grande schermo l’ennesima patetica storia d’amore e riscatto. Corrono in soccorso della caduta libera le parentesi con Jeremy Irons nel ruolo di un diplomatico, che in fin dei conti sono le parti più interessanti messe in scena. Lo scontro tra gli Stati Uniti finto-progressisti e la Germania nazista ha la forza di un fiammifero destinato a spegnersi in fretta sotto le note ingombranti e insistenti di un dramma come tanti altri, già visto e sentito, di cui non sentivamo bisogno ma che di certo farà conoscere allo spettatore la storia di un grande personaggio della storia contemporanea.

Race - il colore della vittoria

Race – Il colore della vittoria: la vera storia dietro il film

Race – Il colore della vittoria: la vera storia dietro il film

Ci sono eventi della storia che sembrano nati per essere raccontati al cinema. Uno di questi è certamente quello riguardante il velocista Jesse Owens e la sua grande vittoria alle Olimpiadi di Berlino del 1936, in pieno regime nazista. Il film Race – Il colore della vittoria (qui la recensione), diretto da Stephen Hopkins, porta sul grande schermo proprio questo epico racconto, ricordando una volta di più il valore delle azioni di Owens e il loro grande significato in quel preciso contesto storico. Per riuscire in ciò, si avvale di un cast di noti attori, i quali vanno a ricoprire quelli che sono i ruoli principali del film.

Arrivato in sala nel 2016, il film era in sviluppo già dal 2014. Questo si sarebbe basato sulla vita dell’atleta fino alla sua storica vittoria ai giochi olimpici. Per poter garantire la maggior fedeltà possibile alla reale vicenda, la produzione si affidò al supporto della famiglia Owens, attraverso la Jesse Owens Foundation. Non mancarono però anche alcune modifiche a quanto avvenuto, con il fine di far acquisire una struttura più cinematografica al racconto. Race – Il colore della vittoria venne poi apprezzato dalla critica, che esaltò il racconto e le interpretazioni dei protagonisti.

Arrivato in sala, il film si rivelò un buon successo di pubblico. A fronte di un budget di soli 5 milioni di dollari, questo arrivò infatti ad incassarne ben 25 a livello globale. Di produzione canadese, il titolo venne infine nominato a ben otto Canadian Screen Awards, prestigioso premio locale. Qui vinse in quattro categorie, tra cui quella per il Miglior attore. In questo articolo, approfondiamo però non solo i dettagli relativi alla trama e al cast di attori, ma anche alla storia vera. Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme streaming contenenti il film nel proprio catalogo.

Jason Sudeikis, Eli Goree e Stephan James in Race - Il colore della vittoria
Jason Sudeikis, Eli Goree e Stephan James in Race – Il colore della vittoria. Foto di Thibault Grabherr – © 2014 Focus Features, LLC.

La trama di Race – Il colore della vittoria

Il film si apre sulla giovinezza di Jesse Owens, che negli anni Trenta si divide unicamente tra la famiglia e la sua passione per lo sport. La sua tranquilla quotidianità viene ad essere stravolta nel momento in cui sostiene un colloquio con l’allenatore Larry Snyder. Intuendo le potenzialità del ragazzo, questi si offre di allenarlo come velocista. Per Owens ha così inizio un duro periodo di allenamenti, che gli permetteranno di ottenere grande notorietà e di essere inviato come rappresentante degli Stati Uniti alle Olimpiadi di Berlino del 1936. Per lui ha inizio un’avventura che lo porterà nel cuore del regime nazista, dove dovrà dimostrare di non essere secondo a nessuno, affermando il proprio valore proprio sotto lo sguardo severo di Adolf Hitler.

 

Il cast di attori

Come sempre, molto del successo di un film è racchiuso nel suo cast di attori. Per assicurarsi di trovare i giusti interpreti per ogni ruoli, i produttori svolsero lunghi casting. Il ruolo di Jesse Owens venne inizialmente affidato all’attore John Boyega, il quale decise però di abbandonare il progetto dopo aver ottenuto il ruolo di Finn in Star Wars: Il risveglio della Forza. Al suo posto venne allora scelto il poco noto Stephen James. Per prepararsi al ruolo, James si sottopose ad un lungo allenamento fisico, con il quale poté ottenere la fisicità richiesta come anche la capacità di poter eseguire alcune delle sequenze di corsa previste.

Jason Sudeikis, noto per i suoi ruoli comici, si cimenta qui con un’interpretazione drammatica dando volto all’allenatore Larry Snyder. Date le scarse informazioni disponibili su Snyder, egli decise di costruire la personalità di questo traendo ispirazione dai personaggi ricoperti da Kevin Costner in Bull Durham – Un gioco a tre mani, e da Gene Hackman in Colpo vincente. Il premio Oscar Jeremy Irons è invece presente nei panni di Avery Brundage, presidente dei giochi olimpici. Carice van Houten, nota per la serie Il Trono di Spade, interpreta la regista tedesca Leni Riefenstahl, mentre William Hurt è Jeremiah Mahoney, presidente della Amateur Athletic Union, il quale cercò di boicottare le Olimpiadi.

Stephan James in Race - Il colore della vittoria
Stephan James è Jesse Owens in Race – Il colore della vittoria. Foto di Thibault Grabherr – © 2014 Focus Features, LLC.

La vera storia dietro al film

Quella di Owens è una storia che ha inizio nei campi di cotone dell’Alabama, dove la sua famiglia lavorava. Dopo essersi trasferiti a Cleveland, in Ohio, il giovane inizio a sviluppare un grande passione per la corsa durante gli anni del liceo. Dopo una serie di gloriose vittorie, egli ottiene di poter entrare a far parte della Ohio State University, dove conosce l’allenatore Larry Snyder. Grazie agli insegnamenti di questo, Owens ha modo di sviluppare il suo talento, fino ad entrare a far parte nella squadra olimpionica degli Stati Uniti. La sua partecipazione alle Olimpiadi di Berlino del 1936 non venne accolta particolare favore.

Owens ricevette infatti molte pressioni per non gareggiare, ma egli decise di non curarsi di queste e partire ugualmente alla volta della Germania. Qui si dimostrò da subito un campione. Egli si trovò a stabilire un record senza precedenti vincendo ben 4 medaglie d’oro. La prima arrivò nella corsa dei 100 metri il 3 agosto, seguita da quella nel salto in lungo del 5 agosto e dalla corsa dei 200 metri il 6 agosto. Il 9 agosto egli ottiene l’ultima grande vittoria arrivando primo nella staffetta 4×100. Particolarmente celebre rimane però la gara del salto in lungo.

Qui in seguito alla sua vittoria, Owens viene raggiunto dall’atleta tedesco Luz Long, il quale si complimenta con lui dimenticando le teorie sulla razza all’epoca tanto diffuse. Durante quella stessa giornata, la vittoria di Owens viene salutata dallo stesso Adolf Hitler. A lungo è stata riportata la leggenda secondo cui il Fürher avrebbe lasciato lo stadio inorridito da tale risultato. Con il tempo è invece stato dimostrato come tale versione sia falsa, e che anzi vi è stato anche un vero e proprio incontro privato tra il tedesco e lo sportivo di colore.

Il trailer del film e dove vederlo in streaming e in TV

È possibile fruire di Race – Il colore della vittoria grazie alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete. Questo è infatti disponibile nei cataloghi di Apple iTunes, Tim Vision e Prime Video. Per vederlo, una volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità video. Il film verrà inoltre trasmesso in televisione sabato 19 ottobre alle ore 21:10 sul canale TwentySeven.

Fonte: IMDb, HistoryvsHollywood

Racconto di due stagioni: il trailer italiano del film di Nuri Bilge Ceylan

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Ecco il trailer in italiano di Racconto di due stagioni, il nuovo film diretto da Nuri Bilge Ceylan, che uscirà nelle sale italiane il 20 giugno 2024.

Il film è stato candidato alla Palma d’Oro al 76me Festival de Cannes, ed è valso il premio a miglior interpretazione femminile alla protagonista Merve Dizdar.

Il film sarà distribuito in Italia da Movies Inspired.

Raccontami di un giorno perfetto: trailer del film originale Netflix

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Netflix ha diffuso il trailer ufficiale di Raccontami di un giorno perfetto, il film originale Netflix con protagonisti Elle Fanning e Justice Smith.

Diretto da Brett Haley e scritto da Liz Hannah, il film si basa sull’omonimo romanzo scritto da Jennifer Niven. Echo Lake Entertainment e FilmNation Entertainment hanno prodotto il film, con Fanning, Paula Mazur, Mitchell Kaplan, Doug Mankoff, Andrew Spaulding e Brittany Kahn come produttori, mentre Hannah sarà il produttore esecutivo.

Raccontami di un giorno perfetto: quando esce e dove vederlo in streaming

Raccontami di un giorno perfetto in streaming debutterà solo su Netflix il 28 febbraio.

Raccontami di un giorno perfetto: la trama e il cast

Sconvolta dalla morte della sorella, l’introversa Violet Markey (Elle Fanning) riscopre la gioia di vivere quando incontra l’eccentrico e imprevedibile Theodore Finch (Justice Smith). Tratto dal romanzo bestseller internazionale di Jennifer Niven.

Nel cast anche Alexandra Shipp nel ruolo di Kate, Keegan-Michael Key nel ruolo di Embry, Luke Wilson come James, Kelli O’Hara nel ruolo di Sheryl, Felix Mallard nel ruolo di Roamer, Virginia Gardner nel ruolo di Amanda, Lamar Johnson nel ruolo di Charlie e Sofia Hasmik nel ruolo di Brenda.

Il romanzo

All the Bright Places è un romanzo per adulti scritto da Jennifer Niven ed è stato pubblicato per la prima volta il 6 gennaio 2015 tramite la società di edizioni Knopf Publishing Group ed è il primo lavoro per giovani adulti di Niven. All the Bright Places è scritto in uno stile soggettivo dal punto di vista dei due personaggi principali, Finch e Violet. Il romanzo è composto da brevi sezioni narrate da Finch e Violet, che generalmente si alternano tra i due personaggi. Questo stile di scrittura permette ai lettori di comprendere i cambiamenti in Violet mentre guarisce dalla morte di sua sorella e Finch mentre si ammala progressivamente più mentalmente durante il romanzo.

Rabin, The Last Day: recensione del film di Amos Gitai #Venezia72

In Rabin, The Last Day, dopo un grande comizio politico organizzato nel cuore di Tel Aviv la sera del 4 novembre 1995, il primo ministro Yitzhak Rabin viene raggiunto da tre colpi di pistola e assassinato da un fanatico fondamentalista. Un ebreo osservante di 25 anni, convinto che la politica dell’ex militare israeliano stesse portando solo alla distruzione dello Stato d’Israele. Un prodotto del costante odio sociale di quei tempi, che portava in strada insulti gratuiti e cieca violenza, e che costringeva le alte cariche dello Stato a girare pubblicamente con numerosi membri di scorta. Un paradosso, se si pensa che solo nel 1994, appena un anno prima rispetto all’assassinio, lo stesso Rabin riceveva insieme a Shimon Peres e Yaser Arafat il Premio Nobel per la Pace.

Rabin_the_Last_Day 2L’episodio ha ovviamente cambiato la storia recente mondiale, e Amos Gitai, da cittadino e artista sensibile qual è, non ha dimenticato. Al contrario ha conservato tutto in gola, come un respiro strozzato, sino a girare Rabin, The Last Day. Un lavoro doloroso che mescola elementi documentari ad altri di pura finzione, con il fine di ricreare le atmosfere dell’epoca, di entrare nelle aule di tribunale incaricate di indagare sull’omicidio e le sue cause scatenanti. Il dipinto generale che fuoriesce, desolante, racconta di un mondo oscuro monopolizzato da rabbini estremisti, capaci con le loro maledizioni talmudiche di scatenare isteria collettiva. Isteria che unita alle campagne martellanti dei militanti di destra è riuscita, alla fin della fiera, ad agire per mano di un soggetto fragile, delirante, e raggiungere lo scopo finale dell’eliminazione materiale del ‘traditore’. Uno scopo sognato da tutti quei coloni israeliani militanti che consideravano la pace una pugnalata alle spalle, quell’Accordo di Oslo costato tanta fatica alle maggiori potenze politiche del mondo, Stati Uniti in primis.

La foto che ritrae la stretta di mano fra Rabin e Arafat sotto lo sguardo amichevole di Bill Clinton è del resto già presente in tutti i libri di storia. Nonostante una durata forse eccessiva, che infrange il muro dei 150 minuti, e una parte centrale dispersiva, il tributo a Yitzhak Rabin nel ventesimo anniversario della morte è un prodotto profondamente interessante e tristemente attuale.

L’odio del quale si parla nel film non appartiene solo al passato, diventa così ancor più importante ricordare. Se poi lo si fa con la classe e lo sguardo solenne di Amos Gitai, che ancora una volta non rinuncia ai suoi adorati piano sequenza infiniti e a una narrazione dettagliata, tutto acquista un valore ulteriore, al di là della superficie.

Rabid, l’horror cult di Cronenberg, rifatto dalle gemelle Soska

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Rabid, l’horror cult di Cronenberg, rifatto dalle gemelle Soska

La coppia di gemelle registe Jen e Sylvia Soska dirigerà un remake di Rabid, thriller zombie scritto e diretto da David Cronenberg nel 1977.

Le gemelle Soska hanno diretto American Mary, Dead Hooker in a Trunk e See No Evil 2.

Il film sarà prodotto da John Vidette, proprietario della casa di distribuzione Somerville House, in collaborazione con Paul Lalonde e Michael Walker.

Oltre al remake è in programma anche lo sviluppo di una serie TV originale basata sul film horror.

Rabid è la storia della giovane Rose (interpretata nell’originale da Marilyn Chambers, un’attrice pornografica) che, dopo un incidente stradale, rimane vittima di un chirurgo plastico che ha iniziato a effettuare trapianti cutanei sperimentali tra esseri umani. Dopo l’operazione, Rose sviluppa sotto un’ascella una escrescenza di carne in grado di mordere le persone. Inizia la sua insaziabile sete di sangue che trasforma le sue vittime in zombie rabbiosi, animati dal solo desiderio di mordere qualcun altro a loro volta.

Le gemelle hanno commentato così il loro ingaggio:

“Il lavoro di David Cronenberg è leggendario e Rabid è molto di più di un semplice film horror. Il vero messaggio del suo film è potente, e ancor più cruciale se guardiamo al mondo che ci circonda oggi. E’ un onore essere coinvolti in questa lettera d’amore al suo originale, che gestiamo con lo stesso rispetto per Il bacio della pantera di Paul Schrader, Le Colline hanno gli occhi di Alexandre Aja e La Cosa di John Carpenter“.

Paul Ladonde si è detto entusiasta dell’entrata delle gemelle Soska nel team:

“Quando realizzi un remake di un classico dei film horror come Rabid non puoi scendere a compromessi quando si tratta della scelta del regista. Le Soska sono tra i giovani registi più promettenti del genere horror e non potrei essere più felice per questa nostra scelta”.

Le riprese inizieranno in estate in Canada.

Fonte: Variety

Rabelais/Sade

La distruzione, quindi, come la creazione, è uno dei mandati della natura
(Sade, La filosofia del Boudoir)

Il fatto che esistano dei bisogni sessuali negli esseri umani e negli animali è spiegato in biologia con la assunzione di un «istinto sessuale», per analogia con l’istinto di nutrizione (nel caso della fame). Il linguaggio d’ogni giorno, per quanto concerne i bisogni sessuali, non possiede una parola che corrisponda a «fame», mentre la scienza fa uso, a questo proposito, del termine «libido».
(Freud, Le aberrazioni sessuali)

“La borghesia non può più in alcun modo liberarsi della propria sorte […] e […] qualunque cosa un borghese faccia, sbaglia”
(Pasolini, Teorema)

Escono a distanza di poco tempo, 1974 e  1975, forse i due film in assoluto più estremi che la storia cinematografica del nostro paese abbia mai visto.
Si tratta di La grande abbuffata di Marco Ferreri e Salò o le 120 giornate di Sodoma di Pier Paolo Pasolini.
Molto spesso parte della critica ha accostato questi film per i loro tratti in comune.
Se indubbiamente i due film presentano aspetti simili in certe situazioni rappresentate, nei temi e negli assunti  che li muovono, diverse sono invece sono le premesse ideologiche e  tematiche, nonché gli sviluppi espressivi e le strategie linguistiche messe in atto dai due autori, entrambi passati alla storia come provocatori e fustigatori di costumi.
Vediamo brevemente le trame di entrambi i film.

La grande abbuffata. Quattro uomini -un pilota di linea, un giudice, un produttore televisivo, un ristoratore- si chiudono in una villa nei pressi di Parigi al fine uccidersi mangiando oltremisura. A loro si unirà poi una maestra d’asilo. Uno per volta moriranno tutti, mentre la maestra si rinchiuderà nella villa.

Salò o le 120 giornate di Sodoma. Il film è basato sull’opera del marchese De Sade Le 120 giornate di Sodoma, ma trasposto nella Repubblica Sociale Italiana.
Quattro signori, rappresentanti altrettanti aspetti del potere (Eccellenza, Monsignore, Presidente, Duca) si riuniscono in una villa in compagnia di altrettante meretrici (tre di loro ecciteranno dei signori mediante racconti, mentre la quarta le accompagnerà al pianoforte).I signori rapiscono un gruppo di ragazze e ragazzi tra le brigate partigiane per disporne crudelmente e indiscriminatamente attuando su di essi atroci perversioni, seviziandoli e torturandoli. Il regolamento stilato dai quattro signori proibisce ogni insubordinazione, l’assoluta obbedienza e le pratiche religiose punibili con la morte, nonché i coiti tra individui di sesso diverso. Durante l’orgia finale di sesso e violenza, due giovani collaborazionisti dei signori improvvisano maldestramente qualche passo di valzer.

Sono evidenti i nodi comuni alle due pellicole. Entrambe fanno leva sull’eccesso (e infatti il Monsignore di Salò commenta il crudele regolamento stilato dai quattro signori con la frase “Tutto è buono quando è eccessivo”). La prima pone l’accento sugli eccessi alimentari (ma non manca l’aspetto sessuale, proprio dell’altro film), l’altra sugli eccessi sessuali (ma non manca l’aspetto del cibo, dominante in quella di Ferreri).  C’è forse un dato ulteriore, che accomuna queste due opere, ma tale dato è assunto e sviluppato in maniera differente dai due registi: il loro fondo critico nei confronti di alcuni aspetti caratteristici della società neocapitalistica, quali l’edonismo antiumanitario, assoluto e indiscriminato, e l’altrettanto assoluta opulenza, nonché le perversioni spesso represse.  Benché l’acredine e il piglio provocatorio sia comune a entrambi i film (e pressoché anche all’intero opus dei due autori), scrivevo poco più sopra che diversa è invece la modalità con cui la critica viene messa in atto dai due registi.
La grande abbuffata (di cui Pasolini stesso aveva scritto sulla rivista “Cinema Nuovo” nel numero di settembre-ottobre 1974, elogiandone alcuni aspetti e rimproverando invece l’arbitrarietà e la mancanza di articolazione dei principi metafisici e metaforici che sembrano aleggiare nel film, già colti da Maurizio Grande) si presenta, così come altri film del secondo Ferreri (dopo la fase di “commedie nere” quali La donna scimmia e L’ape regina), quale film “eventico” o fenomenologico, un po’ come il precedente Dillinger è morto (1968) o il successivo L’ultima donna (1978).
Non si può dire che in questi film vi sia una trama, intesa in senso tradizionale, come intreccio dove a un conflitto iniziale debbano seguire azioni che conducano al suo scioglimento, ma piuttosto una serie di eventi, atti (più che azioni drammaticamente dette) interpolati a una situazione di base pressoché priva di intreccio.
Del resto, quello della trama così intesa è un concetto forse più proprio di certa letteratura (il romanzo classico), o al limite di buona parte del teatro (almeno fino a Beckett escluso), mentre non è necessariamente attributo specifico del cinematografo.
Nel caso specifico di questo film, la situazione di base è presto detta e potrebbe essere liquidata in due righe: quattro amici appartenenti alla borghesia medio-alta compiono un quadruplice pantagruelico suicidio. Tutto il resto di ciò che vediamo nel film, dalla passione del pilota Marcello per le macchine d’epoca, alle inclinazioni artistiche del produttore Michel che suona il piano o improvvisa dei passi di danza, ai siparietti del cuoco Ugo che imita il Brando de Il padrino, non è che una serie di eventi accessori a quella situazione di base che segue il suo proprio clinamen del tutto indisturbata e in maniera inarrestabile, come inarrestabile è l’orgia gastronomica dei protagonisti. Tali eventi accessori, del resto, non contraddicono, non ostacolano, ma neppure accelerano l’iter della situazione di base.
D’altro canto Ferreri non ci lascia spiegazioni palesi del perché i suoi quattro protagonisti decidano di darsi ad eccessi alimentari fino a morirne. Probabilmente, non ne abbiamo bisogno. Egli non voleva fornirci che un apologo, privo di scavo psicologico (e del resto i personaggi –sempre che a Ferreri interessi ciò che siamo soliti definire “personaggio”- mantengono i nomi degli attori che li interpretano: Ugo-Tognazzi; Michel-Piccoli; Philippe-Noiret; Marcello-Mastroianni; Andreà-Ferreol), dove i protagonisti sono presentati dapprima come esemplari della borghesia medio-alta, ritratto ognuno nel suo ambiente personale, grigio, vacuo, squallido, ed osservati poi nella villa solo nel loro comportamento (con sguardo eventico, dicevamo), come animali.
Risultano illuminanti a questo proposito le parole del regista: “Nel mio film il mangiare diventa l’ultima speranza e disperazione presente davanti agli uomini. Più che dei significati metaforici particolari ho voluto rappresentare, come davanti allo specchio, dei personaggi della nostra società: sono stanco dei film sui sentimenti ed è per questo che ho voluto fare un opera fisiologica. (…) Ora è tempo di ritornare all’uomo come animale fisiologico. Non al corpo come realtà edonistica, ma come unica, tragica realtà di questa vita”.
Ed ecco, non è che il corpo l’unica tragica realtà di questa vita, allo stesso modo che per gli animali, così per gli uomini: l’assunto materialista di Ferreri è semplicissimo, tale che non necessita di spiegazioni logiche, quasi una tautologia.
Ma cosa accade quando è un borghese -ovvero un appartenente a quella classe che fa dell’autosufficienza, dell’autoconservazione, dell’integrità morale spesso paralizzante, dell’abbondanza i propri modus vivendi- a realizzare questa “tragica realtà” del corpo?
Un borghese non può che accostarsi ad essa in maniera automaticamente perversa, poiché si riappropria del naturale e delle sue uniche tragiche certezze (il corpo e il suo sostentamento) in maniera violenta ed eccessiva: egli è un complice della società dei consumi e della sua cultura (quella delle norme per il giudice interpretato da Noiret, quella dello spettacolo per il produttore Piccoli, quella del benessere alimentare e del successo dei personaggi di Tognazzi e Mastroianni), per cui il ritorno alla natura e all’animalità fisiologica –che è anche, come vedremo successivamente, un regressus ad uterum o ad nihil- non può attuarsi più secondo le norme (borghesi) della autoconservazione, ma attraverso la pulsione di morte in pieno disprezzo verso il proprio essere.
Se i protagonisti ferreriani appaiono in certo qual modo come folli o masochistici latori di un disprezzo antiumanitario,  i quattro signori del film pasoliniano sono inequivocabilmente dei sadici, mossi anch’essi da disprezzo. La differenza più evidente tra i quattro protagonisti ferreriani e i quattro signori del film di Pasolini è che questi ultimi sono uomini di Potere. Ma se Ferreri, per sua stessa affermazione, non ha voluto tanto rappresentare dei significati metaforici (quelli che del resto Pasolini, nel suo articolo su La grande abbuffata, aveva criticato come inerti e arbitrari perché non compiutamente articolati), Pasolini invece si serve almeno di due livelli metaforici.
Il primo è quello del sesso inteso come metafora dei rapporti di potere, come dominio diretto esercitato da alcuni individui sul corpo di altri (simile in questo, a un altro film maledetto, anch’esso, come Salò, uscito postumo: Querelle di Fassbinder).
Un sesso non più vissuto –come accadeva nella Trilogia della vita (Il Decameron, I racconti di Canterbury, Il fiore delle mille e una notte) in maniera totalmente naturale, sempre gioiosa anche nelle sue manifestazioni che la nostra cultura tende a demonizzare (il poeta omosessuale e i tre giovani ne Il fiore delle mille e una notte, ad esempio), ma esclusivamente come borghese possesso, dove gli atti sessuali non hanno mai come fine il piacere che da essi –naturalmente- deriva, ma il piacere che deriva dall’infliggerlo come crudeltà alle loro vittime. Del resto, la sessualità dei quattro signori, appare come perversa perché ancora –Freud alla mano- infantile (anale-escrementizia), o consumata sui corpi morti delle vittime nel finale.
Anche i quattro personaggi del film ferreriano, hanno, a ben vedere, una sessualità ancora infantile: evidente nel giudice Philippe che chiede alla maestra Andreà di sposarlo dopo che questa gli ha praticato un rapporto orale (stesso atto che abbiamo visto compiere precedentemente –ed è significativo- dalla sua balia), o nel fallocentrismo latente di Marcello, o in Ugo, che muore ingurgitando un enorme paté facendosi masturbare da Andreà.
In oltre, benché i personaggi de La grande abbuffata non siano visti secondo un modello tradizionale di scavo psicologico, è pur vero che molti tratti del film sono leggibili secondo certi parametri della letteratura psicoanalitica e antropologica.
In questo senso mi sembrano illuminanti le teorie di Abraham riprese poi da André Green.
Abraham distingue due modalità nella fase orale dello sviluppo della libido: la prima in cui prevale la suzione (del seno materno); la seconda (che corrisponde alla sottrazione del seno materno) in cui prevale il piacere di mordere e lacerare che corrisponde alla fase sadico-orale.
I personaggi ferreriani apparirebbero dunque tutti appartenenti alla seconda fase descritta da Abraham: essi sembrano sfogare il piacere di mordere e lacerare legato alla fase sadico orale connessa alla sottrazione del seno materno. Il giudice Philippe (rimasto sessualmente puer, come notava Pasolini), d’altro canto muore proprio dopo aver ingurgitato un gigantesco budino a forma di seno. Potremmo dire, in termini psiconanalitici, che egli ha realizzato il desiderio di incorporazione del seno materno proprio di quella fase dello sviluppo della libido. La figura materna del film è naturalmente il personaggio della maestra Andreà, che accompagna i quattro nel loro disfacimento, che è dunque anche una sorta di regressus ad uterum, simile (ma più cruento) a quello dei personaggi del successivo Chiedo asilo, che nel finale ritornano alle acque –materne- del mare.
Veniamo ora al secondo livello metaforico del film di Pasolini, che è quello della Storia. Il romanzo di Sade, autore settecentesco, trasposto nella Repubblica Sociale, coi quattro signori che citano a più riprese anche scrittori posteriori al tempo in cui il film è ambientato, non è un gratuito gioco colto d’autore.
Questa operazione può intendersi meglio alla luce dell’Abiura dalla trilogia della vita scritta dal poeta friulano all’indomani dell’uscita del film, protestando contro la falsa tolleranza che aveva scavalcato la lotta per la liberazione sessuale e il proliferare dei film boccacceschi usciti a seguito della sua trilogia.
In essa, Pasolini scrive fra l’altro: “Il crollo del presente implica anche il crollo del passato. La vita è un mucchio di insignificanti e ironiche rovine.”
È l’amara constatazione di un intellettuale che si rende conto che le armi della propria logica, della sua cultura e della sua coscienza storica non sono sufficienti a contrastare l’orrore del suo tempo, poiché il presente mantiene un terrificante rapporto di specularità col passato, e il Potere omologante di oggi, della neocapitalistica società dei consumi, non è diverso da quello fascista, come non è diverso dai crudeli personaggi sadiani: essi hanno come unico fine il dominio pieno e antiumanitario degli esseri umani.
Notava giustamente Moravia a proposito del film che in esso Pasolini si è servito “di Sade come di una pietra da lanciare contro la società italiana, con l’intento provocatorio di farla uscire allo scoperto, fuori dalla sua corruzione e dalla sua contraddittoria condanna dell’omosessualità.”
Lo sguardo di Pasolini è qui, in questo suo ultimo film, amaro più che altrove. La logica stessa, che egli adoperava da intellettuale per fustigare i costumi, non è che un prodotto della società dominante, un ulteriore strumento di tirannia di cui essa si serve per stabilire delle norme, discriminando ciò che è logico e ciò che non lo è. Ecco allora dove risiede la differenza sostanziale che separa il film di Pasolini da quello di Ferreri. Quest’ultimo ha lo sguardo di un entomologo o di un etologo, e come tale non riconosce alcuna logica alla cosiddetta società civile ma neppure –a livello metafisico- alla realtà stessa (ed era Pasolini stesso a notarlo, nell’articolo più volte citato su La grande abbuffata: “una contestazione assoluta, che mette in scacco «globalmente» la logica del reale, non ammettendo la possibilità di alcun genere di logica”): per Ferreri l’uomo non è aristotelicamente animale razionale, e dunque egli non può dare spiegazioni logiche né alla naturalezza del corpo (tanto nella sua creazione che nel suo disfacimento inteso anche come regressus ad uterum), né del quadruplice suicidio pantagruelico da lui messo in scena.
Pasolini ha invece l’amarezza di chi ha creduto fermamente, da intellettuale, che la logica e la ragione potessero essere ristabilite, con passione civile, anche lì dove sembravano “regnare l’arbitrarietà e il mistero”, benché la logica borghese del buon senso comune sia stata da lui criticata in più occasioni (l’episodio del film Le streghe “La terra vista dalla luna”, “Teorema”). Quella di Pasolini è una presa di coscienza da parte di un uomo, come scriveva Moravia “tradito dal suo paese”, per il quale ha lottato con forte passione, suo modo, ma ne è stato come respinto per la sua diversità morale e sessuale. Quella diversità sessuale che la società italiana borghese gli aveva fatto sentire come nemica, in un senso di colpa latente.
Anche il linguaggio è usato nei film in maniera differente: se per i protagonisti di Ferreri il linguaggio è quello della chiacchiera (heideggerianamente, il linguaggio del “si dice”) tipicamente borghese, usato come funzione meramente fatica (e forse in questo legato al puro piacere di dire, e perciò alla fase orale), i signori del film di Pasolini citano a memoria Baudelaire, Nietzsche, Klossowski: sono uomini di potere che hanno fagocitato la cultura dei pensatori “incendiari” di otto e novecento.
La condanna del Salò di Pasolini riguarda dunque in maniera specifica il Potere e la società borghese, quella di Ferreri certi aspetti della cultura borghese, ma il suo film appare distante da possibili visioni in termini politici o di lotta di classe (poiché da entomologo che non crede all’animale razionale, semplicemente, da anarchico disincantato non può credere neppure all’animale politico, ma solo all’animale in quanto tale?) e dunque la sua condanna viene ad assumere tinte metafisiche e kafkiane, come di un’oppressione dalla quale non è dato uscire, ma alla quale ci si può solo arrendere senza troppe rimuginazioni, come fosse “l’unica tragica realtà di questa vita”, la nostra stessa esistenza corporea che conosce la creazione come il disfacimento.

Rabbit Hole: recensione del film con Nicole Kidman

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Rabbit Hole: recensione del film con Nicole Kidman

Arriva al cinema Rabbit Hole il film diretto da John Cameron, è tratto da un’acclamata pièce teatrale del drammaturgo David Lindsay. In Rabbit Hole Becca e Howie Corbett hanno perso il loro unico figlio in un incidente d’auto. All’indomani di questo tragico e scioccante avvenimento troviamo i due coniugi alle prese con un vuoto ed un dolore incolmabile che entrambi affronteranno in maniera diversa per poi trovarsi di nuovo soli, a fare i conti l’uno con l’altra.

Rabbit Hole, diretto da John Cameron, è tratto da un’acclamata pièce teatrale del drammaturgo David Lindsay – Abaire premio Pulitzer e annovera tra i suoi attori vere e proprie stelle di fascino e bravura: dai protagonisti, l’inedita coppia Aaron Eckhart (che ha presentato il film a Roma 2010) e Nicole Kidman, anche in veste di produttrice. Tra gli altri, la sempre brava Dianna West, la Christina di Grey’s Anatomy Sandra Oh e Miles Teller.  Il titolo, che vuol dire ‘tana del coniglio’, fa diretto riferimento alla storia che il ragazzo che ha investiti il figlio dei Corbett  inventa nella sua solitudine adolescenziale.

Rabbit Hole ci conduce nel difficile mondo di una coppia sposata e giovane, che deve metabolizzare un dolore troppo grande da essere spiegato e molto difficile da raccontare. Il regista però riesce a tratteggiare un racconto lineare e pacato, che intreccia le due straordinarie performance degli attori protagonisti con dei toni particolarmente toccanti, pur rimanendo alla giusta distanza dagli sguardi e dalle lacrime. Il dolore qui indagato è rappresentato nella sua inevitabile natura e le scelte umane nell’affrontarlo sono diverse e condivisibili, sono ciò che ogni persona farebbe, senza patinature hollywoodiane né forzature drammatiche. Un buon montaggio ritma la storia che si estende a coinvolgere altre vite: quella del ragazzo che ha causato l’incidente, quella della sorella di Becca che aspetta il suo primo figlio e questo causa non pochi conflitti traumatici in famiglia, quella di un’altra coppia di persone sposate che hanno perso il loro figlio e che affrontano emozioni analoghe a quelle dei nostri protagonisti.

Finalmente si può inneggiare ad una ritrovata Nicole Kidman, che dopo The Hours non aveva ancora offerto ai suoi fan una performance degna della sua fama; con Rabbit Hole ritorna il suo grande talento, il suo indomito spirito australiano e la sua bellezza d’attrice matura, che va al di là di qualche ruga mascherata dal bisturi.

Rabbit Hole è un affresco quotidiano di una vita spezzata

Rabbit Hole si presenta come un affresco quotidiano privo di quei toni eroici che al cinema rendono anche l’emozione più naturale un fatto straordinario; proprio in questo va ricercata la sua delicata bellezza, il suo appartenere ad una realtà che si può condividere al di là della proiezione sullo schermo. La storia dei coniugi Corbett appartiene ad ogni persona che ha subito un lutto, l’elaborazione di una tale sofferenza colpisce tutti prima o poi e Cameron riesce a senza fronzoli e con mano attenta a raccontare una storia di ordinario dolore.

R2-D2 si innamora in un corto [video]

R2-D2 si innamora in un corto [video]

Questo è il droide che state cercando! L’amatissimo robottino R2-D2 trova l’amore nel cortometraggio dal titolo Artoo in Love, in cui il droide appartenuto a Anakin Skywalker si innamora di una cassetta delle lettere. Il video è realizzato da Evan Atherton, che si è occupato della regia, in collaborazione con R2 Builders’ Club e Landis Fields della Lucasfilm.

Ecco il risultato:

 

R2-D2 ha una voce nella “nuova versione” di Guerre Stellari

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Che R2-D2 sia sempre stato il droide preferito dei fan di Star Wars (prima dell’avvento del simpatico e rotolante BB-8) non è un segreto. Peccato però che il robot non sia mai stato effettivamente capito da nessuno dei fan, dal momento che l’unico modo che ha sempre avuto per comunicare erano le sequenze di bip emesse dai suoi circuiti.

Grazie al canale Youtube Auralnauts, ora R2-D2 ha una voce.

Il video seguente ci mostra tutte le scene di Guerre Stellari (Star Wars Una Nuova Speranza) in cui compare R2-D2 e al posto dei suoi ormai riconoscibili bip, possiamo sentire la sua voce, battute inventate ma che si adattano alla perfezione ai dialoghi e alle circostanze del primo film della saga.

https://www.youtube.com/watch?v=_0KMUZSVAqw

Dopo la brevissima ma decisiva apparizione in Star Wars il Risveglio della Forza, immaginiamo che R2-D2 tornerà più in forma e chiacchierone che mai in Star Wars Gli Ultimi Jedi.

Star Wars Gli Ultimi Jedi first look: Rey, Finn e Poe – FOTO

CORRELATI:

Il film sarà diretto da Rian Johnson e arriverà al cinema il 15 dicembre 2017. Il film racconterà le vicende immediatamente successive a Il Risveglio della Forza.

In Star Wars Gli Ultimi Jedi torneranno Mark Hamill, Carrie Fisher, Adam Driver, Daisy Ridley, John Boyega, Oscar Isaac, Lupita Nyong’o, Domhnall Gleeson, Anthony Daniels, Gwendoline Christie e Andy Serkis. Gli altimi attori unitisi al cast sono Benicio Del Toro, Laura Dern e Kelly Marie Tran.

R.I.P.D. – Poliziotti dall’aldilà: trama e cast del film con Jeff Bridges

Arrivato nei cinema di tutto il mondo nel 2013, il film R.I.P.D. – Poliziotti dall’aldilà è un action fantasy diretto da Robert Schwentke, poi affermatosi come regista della saga di Divergent. Il titolo in questione è basato sull’omonimo fumetto ideato da Peter M. Lenkov e pubblicato dalla celebre Dark Horse Comics, che vanta nel suo catalogo titoli come Hellboy, The Mask, Sin City e The Umbrella Academy. Al suo interno si possono così ritrovare numerosi riferimenti al fantastico come anche all’orrorifico, il tutto condito anche da un forte umorismo, elemento che caratterizza l’opera.

La storia del film presenta diversi elementi in comune con quella di Man in Black, e consapevoli di ciò i produttori della Universal hanno da subito cercato di far distinguere il nuovo film rispetto alla saga con Will Smith. Per far ciò si è così puntato sul dare maggior risalto agli elementi horror della storia, costruendo un’atmosfera scanzonata ma all’occorrenza anche piuttosto cupa. Per rendere memorabile il titolo, infine, lo studios si è avvalso della partecipazione di alcuni noti interpreti di Hollywood, famosi per il loro carisma e la capacità di adattarsi a ruoli e contesti sempre diversi.

Nonostante tali premesse, il film non riuscì comunque ad affermarsi al box office, con un risultato particolarmente deludente. A fronte di un budget di circa 130 milioni di dollari, R.I.P.D. – Poliziotti dall’aldilà ne guadagnò a livello globale solo 78. Tale insuccesso portò ad annullare i potenziali piani per un sequel, concludendo così per sempre le avventure dei due protagonisti. A distanza di anni, il film ha però ottenuto una propria cerchia di fan, attratti dalla storia raccontata. Prima di dare una seconda possibilità al film, però, è bene conoscere le curiosità ad esso legate. Proseguendo nella lettura, sarà possibile scoprire queste come anche dove poter trovare il film in streaming.

R.I.P.D. – Poliziotti dall’aldilà: la trama del film

La vicenda del film si apre sul tradimento di Bobby Hayes nei confronti del collega poliziotto Nick Walker. Ritrovatosi improvvisamente morto, quest’ultimo si risveglia in un aldilà ben diverso da come lo ricordava. Qui viene reclutato dal R.I.P.D., sigla che indica il Rest In Peace Department. Scopo di questo è proteggere il mondo da tutte quelle creature e anime che si rifiutano di compiere un trapasso pacifico. Nick viene qui affiancato dallo sceriffo Roy Pulsifer, vero e proprio veterano che esercita tale professione ormai da molto tempo. Senza neanche il tempo di ambientarsi alla nuova situazione, il poliziotto appena morto si ritrova a dover investigare con il nuovo collega su un gruppo di criminali che cercano di sfuggire al giudizio eterno nascondendosi sulla terra.

Seguendo tale caso, Nick ha così modo di tornare sul suo pianeta, dove cerca di mettersi in contatto con l’amata moglie rimasta vedova. Capendo che ciò non è possibile, per lui non resta altro da fare che scoprire perché è stato ucciso. Le indagini di Nick e quelle di Roy convergeranno così verso un unico obiettivo: Bobby Hayes. Questi si rivela essere tutt’altro che un semplice umano, e il suo piano è proprio quello di sfuggire alle pene dell’inferno. Per riuscirci avrà però bisogno di dar vita ad un antico rito, che i due poliziotti provenienti dall’aldilà tenteranno tempestivamente di bloccare. Ha così per loro inizio un’avventura che li porterà ai confini tra la vita e la morte, con la responsabilità di dover salvare l’intera umanità.

R.I.P.D. - Poliziotti dall'aldilà cast

R.I.P.D. – Poliziotti dall’aldilà: il cast del film

Per i ruoli dei protagonisti lo studios si è affidato ad attori particolarmente carismatici e popolari, che avessero già avuto esperienze con questo genere di film. È così che Ryan Reynolds ha ottenuto il ruolo di Nick Walker. L’attore, oggi noto per Deadpool, si è preparato a questo sottoponendosi ad un allenamento fisico che gli ha poi permesso di eseguire da sé molte delle spericolate acrobazie previste. Per il ruolo dello sceriffo Roy, invece, era stato inizialmente considerato l’attore Zach Galifianakis. Questi dovette però rinunciare a causa dei suoi impegni in altri film. Al suo posto venne allora scelto il premio Oscar Jeff Bridges, noto per numerosi ruoli tra cui Il grande Lebowsky e il villain del primo Iron Man.

Nel prendere parte alle riprese Bridges ha affermato di essersi particolarmente divertito, e che ha cercato di costruire il carattere del proprio personaggio traendo ispirazione dai più noti sceriffi del cinema western. Nel ruolo del cattivo di turno, Bobby Hayes, vi è invece l’attore Kevin Bacon, recentemente visto anche in Black Mass – L’ultimo gangster e Boston – Caccia all’uomo. Per l’attore non si trattava del primo ruolo da villain, ma ha raccontato di essere rimasto particolarmente entusiasta da come il personaggio è stato raccontato. Accanto a loro vi è poi Mary-Louise Parker, celebre per la serie Angels in America, nel ruolo di Proctor, la donna che supervisiona il R.I.P.D. Infine, l’attrice Stephanie Szostak, vista in Il diavolo veste Prada, compare nei panni di Julia, moglie di Nick.

R.I.P.D. – Poliziotti dall’aldilà: il trailer e dove vedere il film in streaming e in TV

Per gli appassionati del film, o per chi dovesse ancora vederlo, è possibile fruire di R.I.P.D. – Poliziotti dall’aldilà grazie alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete. Questo è infatti disponibile nei cataloghi di Chili Cinema, Google Play, Amazon Prime Video e Now TV. Per vederlo, una volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità video. Il film verrà inoltre trasmesso in televisione martedì 11 gennaio alle ore 21:00 sul canale 20 Mediaset.

Fonte: IMDb

R. Huntington-whiteley in transformers 3

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Rosie Huntington-Whiteley prenderà il posto di Megan Fox in Transformers 3…

Quvenzhané Wallis sarà Annie nel remake del popolare musical?

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Quvenzhane-WallisQuvenzhané Wallis, la più giovane attrice ad essere nominata agli Oscar come attrice protagonista per il suo esordio al cinema in Re della Terra Selvaggia, starebbe

Quvenzhane Wallis sarà Annie

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Sembrano trovare conferma definitiva le indiscrezioni di qualche settimana fa, che vedevano Quvenzhane Wallis (che grazie alla sua interpretazione in Re della Terra Selvaggia è stata la più giovane candidata agli Oscar di tutti i tempi) come possibile protagonista del remake del musical Annie.

Il film, distribuito dalla Sony, sarà diretto da Will Gluck, che parteciperà al progetto anche in vesti di sceneggiatore, riscrivendo la precedente versione realizzata da Will Smith e Jay Z: per il ruolo della protagonista si era parlato tra l’altro delle figlia di Smith, Willow, che però nel frattempo ha già abbondantemente superato l’età richiesta dal ruolo; naturale quindi che di fronte all’improvviso arrivo sugli schermi di Quvenzhane Wallis si sia pensato a lei.

La storia dell’orfana Annie e del suo benefattore Oliver ‘Daddy’ Warbucks prende le mosse da un come componimento poetico, scritto da James Withcomb Riley, nel 1885; nel 1924, Harold Gray la trasforma in una fortunatissima serie di strisce a fumetti, sopravvissuta alla morte dell’autore e durata addirittura fino al 2010; nel 1977 le avventure di Annie vengono portare sui palchi di Broadway, in forma di musical, con un successo di pubblico che gli garantirà repliche durate per sei anni.

Il cinema s’interessa della storia per la prima volta nel 1982, col film drietto da John Houston, protagonista Aileen Quinn a fianco di Albert Finney e Tim Curry; risale invece al 1999 un remake per la televisione, con Alicia Morton, Kathy Bates e Victor Garber.

L’uscita del nuovo adattamento per il grande schermo è prevista per il 2014; prima di allora, rivedremo la giovanissima Wallis nel nuovo film di Steve McQueen, Twelve Years A Slave.

Fonte: Empire

Quod Erat Demonstrandum recensione del film di Andrei Gruzsniczki

Quod Erat Demonstrandum recensione 2Il regista Andrei Gruzsniczki,dopo il suo esordio alla regia Cealalta Irina, premiatissimo nei festival di mezzo mondo, arriva in Concorso al Festival di Roma 2013 con Quod Erat Demonstrandum, una storia che, ambientata negli anni ’80 in Romania, si muove in bilico tra pubblico e privato, tra Grande Storia e intimità domestica, creando un ritratto composito e contraddittori del Regime di quegli anni nell’Est dell’Europa.

Il protagonista, un matematico accademico, decide di pubblicare un articolo su una rivista scientifica statunitense, evento che ovviamente non viene visto di buon occhio dal Partito. Eppure le intenzioni del matematico erano quelle di rimanere fuori dalla vita politica del paese, cercando un lavoro che gli consentisse di approfondire i suoi studi, che lui vive con estrema e coinvolgente passione. Alla sua storia si intreccia quella di Elena, una assistente all’Università in cui insegna Sorin (il matematico), e sua grande amica dai tempi della scuola. La pubblicazione di Sorin scatenerà conseguenze inimmaginabili, cambiando per sempre il destino e le vite dei suoi amici.

Gruzsniczki si addentra in una storia complessa che ci mette davanti i dilemmi fondativi della società umana, a partire dalla convivenza sociale dell’animale uomo, fino all’amore e ai legami di amicizia che legano questa società e la tengono insieme.

Il film, caratterizzato da una regia molto classica ed elegante e da una fotografia in bianco e nero con morbidi grigi e poche ombre, è quindi un viaggio all’interno della società che viveva sotto il comunismo e che cercava di farsi andar bene lo stato delle cose, ma allo stesso tempo è un film che racconta la vita di un uomo controcorrente, che si trova a fare i conti con scelte individuali importanti e con il tradimento di ideali ai quali deve aderire ma che non sente suoi.

L’ambientazione sovietica del film sembra essere però quasi un pretesto, in quanto sembra che l’intenzione non sia quella critica, ma quella di mettere in determinate condizioni di difficoltà e urgenza i personaggi, che di conseguenza agiscono costretti dalle situazioni.

Quod Erat Demonstrandum è un film che ai molti pregi accosta anche un rallentamento del ritmo dovuto alla lunghezza forse eccessiva. Buonissima prova danno gli attori (Ofelia Popii, Sorin Leoveanu, Florin Piersic Jr., Virgil Ogășanu, Tora Vasilescu trai protagonisti) che riescono a farci interessare ad una vicenda con un sapore antico che potrebbe scoraggiare lo spettatore medio.

Quod Erat Demonstrandum recensione

QUO VADO?: su sky Cinema il film di Checco Zalone

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QUO VADO?, il successo cinematografico di Checco Zalone del 2016 arriva in prima tv esclusiva su Sky Cinema: con ben 65,3 milioni di euro, e quasi 10 milioni di biglietti venduti, è riuscito a sfiorare il record di tutti i tempi (quello di Avatar, che nel 2009 ne incassò 65,7 milioni), divenendo di gran lunga il film italiano con l’incasso più alto al botteghino.

L’ultima fatica di Checco Zalone (Luca Medici), QUO VADO?, diretto da Gennaro Nunziante, andrà in onda in prima tv esclusiva, lunedì 21 novembre alle 21.15 su Sky Cinema Uno HD. Il film sarà disponibile anche su Sky Go e Sky On Demand.

Il film racconta la storia di Checco, un ragazzo che ha realizzato tutti i sogni della sua vita. Voleva vivere con i suoi genitori evitando così una costosa indipendenza e c’è riuscito, voleva essere eternamente fidanzato senza mai affrontare le responsabilità di un matrimonio con relativi figli e ce l’ha fatta, ma soprattutto, sognava da sempre un lavoro sicuro ed è riuscito a ottenere il massimo: un posto fisso nell’ufficio provinciale caccia e pesca. Con questa meravigliosa leggerezza Checco affronta una vita che fa invidia a tutti.

QUO VADO?: su sky Cinema il film di Checco Zalone

Un giorno però tutto cambia. Il governo vara la riforma della pubblica amministrazione che decreta il taglio delle province. Convocato al ministero dalla spietata dirigente Sironi (Sonia Bergamasco), Checco è messo di fronte a una scelta difficile: lasciare il posto fisso o essere trasferito lontano da casa.

Per Checco il posto fisso è sacro e pur di mantenerlo accetta il trasferimento. Per metterlo nelle condizioni di dimettersi, la dottoressa Sironi lo fa girovagare in diverse località italiane a ricoprire i ruoli più improbabili e pericolosi ma Checco resiste eroicamente a tutto.

La Sironi esausta rincara la dose e lo trasferisce al Polo Nord, in una base scientifica italiana col compito di difendere i ricercatori dall’attacco degli orsi polari. Proprio quando è sul punto di abbandonare il suo amato posto fisso, Checco conosce Valeria (Eleonora Giovanardi), una ricercatrice che studia gli animali in via d’estinzione e s’innamora perdutamente di lei. Inizia così un’avventura fantastica nella quale Checco scoprirà un nuovo mondo, aprendo la sua piccola esistenza a orizzonti lontanissimi.

La pellicola affronta dunque un tema molto attuale, come la mobilità nel mondo del lavoro, e lo fa attraverso gli occhi del protagonista, che ancora riflette la filosofia di chi insegue il posto fisso, in un’epoca che invece è in bilico tra certezza e incertezza.

Come accaduto con gli altri film di Checco Zalone, anche questo riesce a parlare a tutti, dal pubblico più colto e impegnato a quello più spensierato e che vuole svagarsi, come lui solo sa fare, con una comicità che non necessita di volgarità o estremizzazioni e che lascia addirittura qualcosa su cui riflettere. Dal 2009, anno del debutto sul grande schermo con “Cado dalle nubi”, Luca Medici (vero nome di Checco Zalone) è cresciuto sviluppando la sua comicità, la sua capacità di far ridere e sorridere, anche trattando temi molto delicati come, tra gli altri, omosessualità, terrorismo, crisi, instabilità lavorativa, criminalità organizzata, con una freschezza e un’originalità inconfondibile.

Anche in Quo Vado? quindi spazio alle risate, ma con una certa sensibilità, e per riflettere sui cambiamenti del nostro tempo, con uno stile a tratti graffiante, ma senza pretese educative: «Il nostro film – ha detto lo stesso Zalone – non è un trattato di sociologia del lavoro, diciamo un sacco di… cavolate». 

Oltre alla prima tv di Quo Vado?, su Sky Cinema sarà possibile vedere tutti i quattro film di Checco Zalone: su Sky On Demand, infatti, sono disponibili anche CADO DALLE NUBI, CHE BELLA GIORNATA e SOLE A CATINELLE.

CADO DALLE NUBI 

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Cado dalle nubi è il primo film di Gennaro Nunziante, e interpretato da Checco Zalone. Il film CADO DALLE NUBI ha per protagonista un personaggio omonimo dell’attore che lo interpreta, ma ha comunque carattere autobiografico.

La trama del film – Checco è un cantante pugliese che sogna di entrare nel mondo dello spettacolo, e nel frattempo lavora nei fine settimana in una gelateria e come cantante di piano-bar a Polignano a Mare. È fidanzato con Angela, ma lei, che ha sempre detestato i suoi modi appiccicosi, lo lascia dopo sei anni e sette mesi di fidanzamento perché lo considera un fallito. Disperato ed imbronciato, su consiglio di suo zio lascia il paese natìo e saluta il suo “manager”, Nicholas, un ragazzo nero obeso che in realtà fa il cameriere nel piano-bar, per trasferirsi a Milano con la speranza di entrare nel mondo dello spettacolo. Viene ospitato dal suo cugino omosessuale Alfredo, il quale è fidanzato con Manolo, con cui Checco condivide l’appartamento. I genitori (che abitano a Polignano) non sanno dell’omosessualità del cugino e, ogni volta che vanno a trovarlo, lui trova un escamotage per non far scoprire che è gay, cercando occasionali ragazze da presentare ai genitori come sue fidanzate.

Curiosità: Il film è uscito nelle sale cinematografiche italiane il 27 novembre 2009 ed ha incassato un totale di 14.073.000 €.

CHE BELLA GIORNATA

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CHE BELLA GIORNATA è un film del del 2011 diretto da Gennaro Nunziante, interpretato dal comico Checco Zalone.  secondo film che vede il comico pugliese.

Trama: Checco Zalone è un ragazzo pugliese che si è trasferito da un trentennio al nord Italia coi genitori Anna e Nicola e lavora come buttafuoriprecario in una discoteca del suo paesino della Brianza. Avendo un forte desiderio di lavorare nel campo della sicurezza, Checco sogna di diventare un carabiniere, come suo zio materno Giuseppe Capobianco, ma per una serie di buffe circostanze viene respinto al colloquio di lavoro con il perfido colonnello Gismondo Mazzini per tre volte consecutive. Successivamente, grazie a una raccomandazione del cardinale Rosselli, arcivescovo di Milano, si ritrova a lavorare come addetto alla sicurezza del Duomo di Milano, facendo impressionare e preoccupare Mazzini, che si è reso conto che Checco è decisamente maldestro e inadatto a svolgere un compito del genere.

Curiosità – Il cantautore pugliese Caparezza fa un cameo nel film interpretando se stesso.

Dopo tre settimane di programmazione ha superato la pellicola di Roberto Benigni del 1997 La vita è bella, oltrepassando i 30 milioni di euro d’incasso; a fine corsa la pellicola ha raggiunto i 43.475.840 euro, superando il record d’incassi di Titanic, il cui primato resisteva dal 1997

SOLE A CATINELLE

Sole a Catinelle

Sole a catinelle è un film del 2013 diretto da Gennaro Nunziante e interpretato da Checco Zalone. È il terzo film che ha come protagonista il comico pugliese.

La trama: Checco Zalone, emigrato da un trentennio al nord Italia dal meridione, lavora come cameriere in un hotel di grande lusso sul Canal Grande a Venezia ed ha una passione per l’alta finanza. Vive a Padova, è sposato con l’operaia siciliana, Daniela, ed ha un figlio di 10 anni, Nicolò, ragazzino intelligente e dotato. Nel 2013, proprio nel giorno in cui la moglie perde il lavoro a causa della chiusura della fabbrica e della Grande recessione, Checco si licenzia dal suo impiego perché lo reputa poco stimolante e si mette alla ricerca di un’occupazione più redditizia: alla fine trova impiego come venditore porta a porta presso l’azienda che vende gli aspirapolvere Fata Gaia. All’inizio le cose vanno molto bene, perché Checco vende gli elettrodomestici a tutto il suo enorme parentado di zie e cugine e, con i soldi guadagnati, compra a credito una lunga serie di oggetti molto lussuosi.

SOLE A CATINELLE uscito nel 2013 incassa la cifra record per il Box office italiano di 40 milioni di euro.

Quo Vado?: la main theme del film di Checco Zalone in un video

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Quo Vado?: la main theme del film di Checco Zalone in un video

Checco Zalone sta per tornare al cinema con la sua nuova commedia, Quo Vado, in arrivo il prossimo 1 gennaio. Tramite la sua pagina facebook Zalone ha condiviso il main theme del film, dal titolo “La Prima Repubblica”:

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La prima repubblicacosì me la cantate al cinema…https://itunes.apple.com/it/album/la-prima-repubblica-single/id1069410122

Posted by Checco Zalone on Martedì 22 dicembre 2015

Di seguito la trama del film:

“Quo vado?” racconta la storia di Checco, un ragazzo che ha realizzato tutti i sogni della sua vita. Voleva vivere con i suoi genitori evitando così una costosa indipendenza e c’è riuscito, voleva essere eternamente fidanzato senza mai affrontare le responsabilità di un matrimonio con relativi figli e ce l’ha fatta, ma soprattutto, sognava da sempre un lavoro sicuro ed è riuscito a ottenere il massimo: un posto fisso nell’ufficio provinciale caccia e pesca. Con questa meravigliosa leggerezza Checco affronta una vita che fa invidia a tutti. Un giorno però tutto cambia. Il governo vara la riforma della pubblica amministrazione che decreta il taglio delle province. Convocato al ministero dalla spietata dirigente Sironi, Checco è messo di fronte a una scelta difficile: lasciare il posto fisso o essere trasferito lontano da casa. Per Checco il posto fisso è sacro e pur di mantenerlo accetta il trasferimento. Per metterlo nelle condizioni di dimettersi, la dottoressa Sironi lo fa girovagare in diverse località italiane a ricoprire i ruoli più improbabili e pericolosi, ma Checco resiste eroicamente a tutto. La Sironi esausta rincara la dose e lo trasferisce al Polo Nord, in una base scientifica italiana col compito di difendere i ricercatori dall’attacco degli orsi polari. Proprio quando è sul punto di abbandonare il suo amato posto fisso, Checco conosce Valeria, una ricercatrice che studia gli animali in via d’estinzione e s’innamora perdutamente di lei. Inizia così un’avventura fantastica nella quale Checco scoprirà un nuovo mondo, aprendo la sua piccola esistenza a orizzonti lontanissimi.

Quo vado?, tutto quello che c’è da sapere sul film di Checco Zalone

Campione d’incassi, il film Quo vado?, diretto da Gennaro Nunziante e uscito in sala nel 2016, ha ulteriormente confermato il trend positivo dei film con Luca Medici, in arte Checco Zalone, al cinema. Commedia satirica dove l’attore rilegge l’Italia e gli italiani di oggi, il film ha infatti infranto tutti i precedenti record stabiliti dal comico pugliese, affermandosi come il film italiano più visto di sempre del XXI Secolo.

Con un notevole budget di oltre 10 milioni di euro, il film, uscito al cinema il 1° gennaio, è riuscito ad incassarne 22 soltanto nel primo weekend di programmazione, arrivando poi al termine della sua corsa in sala, durata fino a fine marzo, ad aver raggiunto la cifra record di 65,2 milioni di euro. Ad oggi è al secondo posto dei film che hanno registrato il più grande incasso della storia in Italia, dietro solo al film Avatar di James Cameron.

Il film venne inoltre particolarmente apprezzato anche dalla critica, che riconobbe al di là dell’intento comico di Zalone la volontà di affrontare problematiche attuali del paese, come quella del precariato e del posto fisso. Per questo, Quo vado? venne tenuto in buona considerazione anche per prestigiosi premi come i David di Donatello e i Nastri d’argento. Tale successo ha permesso a Zalone di confermarsi come nuovo astro della commedia a sfondo sociale, portata avanti anche con il suo film successivo: Tolo tolo.

Checco Zalone in Quo vado?
Checco Zalone in Quo vado? Foto cortesia di Medusa Film

La trama di Quo vado?

Protagonista della storia è Checco, il quale apre il film raccontando la propria storia, e cosa lo abbia condotto all’interno di una tribù di indigeni africani. Dalle sue parole si apprende che nella vita Checco ha raggiunto tutti gli obiettivi che si era prefissato, e a quasi 40 anni vive quella che ritiene essere l’esistenza ideale. Si ritrova infatti servito e riverito presso la casa dei genitori, evitando così una costosa indipendenza. È inoltre eternamente fidanzato con una ragazza che, tuttavia, non ha alcuna intenzione di sposare per non incorrere nelle responsabilità del matrimonio. L’obiettivo più grande da lui realizzato è però quello del posto fisso.

Sfortunatamente per lui, il governo si decide ad approvare una riforma che decreta il taglio di diversi dipendenti pubblici. La sua vita subisce a questo punto un drastico cambiamento, assistendo a molti lavoratori come lui venire licenziati con una cospicua buona uscita. Checco però non è intenzionato a rinunciare al suo posto fisso, e pur di mantenerlo accetta di essere trasferito. Desiderosa di ottenere le sue dimissioni, la spietata dottoressa Sironi lo spedisce così in diverse località italiane a ricoprire i ruoli più improbabili e pericolosi. Ma Checco non è intenzionato a cedere, e in nome del sacro posto fisso sarà disposto a tutto.

Il significato del film e del titolo

L’espressione Quo vado?, che dà il titolo al film, è una scelta allo stesso tempo colta e sarcastica, che ben evidenzia la volontà di Zalone di giocare con la lingua e le sue forme, come anche con la natura migrante dell’italiano. “Quo vado?” richiama infatti, con una storpiatura ironica, la celebre locuzione latina “Quo vadis?“, significante “Dove vai?“. Il titolo del film diventa invece una domanda che il protagonista rivolge a sé stesso, sintetizzando così il bisogno del personaggio principale di spostarsi in luoghi lontani e ostili pur di mantenere il proprio posto fisso.

Lino Banfi e Checco Zalone in Quo vado?
Lino Banfi e Checco Zalone in Quo vado? Foto cortesia di Medusa Film

 

Il cast di attori bambini e adulti

Protagonista del film è Luca Medici, che riporta sul grande schermo il personaggio che lo ha reso famoso, ovvero quello di Checco Zalone, già personaggio principale dei precedenti film. Con Quo vado?, inoltre, Checco continua a dimostrare un progressivo mutamento rispetto a quelle che erano le origini del personaggio conosciuto nel corso del programma Zelig. Questi viene infatti a perdere le marcate origini pugliesi, acquisendo un accento e uno stile nettamente più italiano, che permette ad ogni potenziale spettatore di ritrovare una maggiore identificazione nei suoi confronti. Checco, da bambino, è interpretato da Federico Ielapi, qui al suo esordio e visto poi anche in Don Matteo e Pinocchio.

Del film fanno poi parte apprezzati interpreti del cinema italiano come Lino Banfi, il quale ricopre il ruolo del senatore Nicola Binetto, il quale ricorda più volte a Checco della sacralità del posto fisso. Vi è poi l’attrice Sonia Bergamasco nel ruolo della dottoressa Sironi, colei che spedisce il protagonista verso sempre nuove mete. Per la sua interpretazione, l’attrice ha ricevuto importanti riconoscimenti, come la candidatura ai David di Donatello nella categoria alla miglior attrice non protagonista. Infine, Ninni Bruschetta è il ministro Magnu, che sovrintende l’ufficio della Sironi. Eleonora Giovanardi, infine, interpreta Valeria Nobili.

Quo vado?: il trailer e dove vedere il film in streaming

È possibile fruire di Quo vado? grazie alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete. Questo è infatti disponibile nei cataloghi di Apple iTunesTim Vision, Prime Video, Infinity+ e Netflix. Per vederlo, una volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così modo di guardarlo in totale comodità e ad un’ottima qualità video. Il film è inoltre presente nel palinsesto televisivo di mercoledì 6 novembre alle ore 21:20 sul canale Italia 1.

Quo Vado?, incassi: Zalone batte Leonardo DiCaprio

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Quo Vado? conclude l’ennesimo week end in testa a tutti nonostante l’uscita di The Revenant con protagonista Leonardo DiCaprio. Infatti, il film di Checco Zalone incassa altri 2 milioni di euro e altri 283.057 spettatori. Al secondo posto si posiziona invece la new entry The Revenant che incassa 1.5 milioni e 213.189 spettatori.

LEGGI ANCHE: Revenant Redivivo recensione del film con Leonardo DiCaprio

Quo Vado?In terza posizione troviamo Creed con 800 mila euro e 111.713 spettatori. Quarto invece l’Italia con Tornatore e La Corrispondenza che incassa poco più di 450 mila euro e 74.225 spettatori. Quindi invece rimane Il piccolo principe che incassa altri 400 mila euro e altri 65.851 spettatori.

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Il film, diretto da Alejandro Gonzalez Inarritu, vede protagonista Leonardo DiCaprio al fianco di Tom Hardy.

Trama: Nel 1823 il cacciatore di pelli Hugh Glass (Leonardo DiCaprio) si unisce alla Rocky Mountain Fur Co. per avventurarsi in un territorio inesplorato in cerca di nuove pelli. Dopo essere stato aggredito da un grizzly che lo ha quasi ucciso, l’uomo viene preso in custodia da due volontari della compagnia, il rude mercenario John Fitzgerald e il giovane Jim Bridger, futuro “Re degli Uomini delle Montagne”. Quando gli indiani assaltano il loro accampamento, Fitzgerald e Bridger abbandonano Glass al suo destino dopo averlo derubato delle armi e degli oggetti di sua proprietà. Isolato, privo di difese e furioso, Glass giura di sopravvivere per vendicarsi.

Quo Vado?, incassi: secondo giorno da record assoluto per Checco Zalone

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Continua la marcia inarrestabile di Quo Vado?, il nuovo film con protagonista Checco Zalone. Infatti la pellicola distribuita da Medusa dopo l’esordio record di 6.8 milioni di euro ha confermato il successo anche ieri, sabato 2 Gennaio raccogliendo altri 6.8 milioni di euro e altri 940mila spettatori.Quo Vado? al momento ha incassato già 13.9 milioni di euro e al momento è ben al di sopra delle previsioni d’incasso più rosee.

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Di seguito la trama del film: “Quo vado?” racconta la storia di Checco, un ragazzo che ha realizzato tutti i sogni della sua vita. Voleva vivere con i suoi genitori evitando così una costosa indipendenza e c’è riuscito, voleva essere eternamente fidanzato senza mai affrontare le responsabilità di un matrimonio con relativi figli e ce l’ha fatta, ma soprattutto, sognava da sempre un lavoro sicuro ed è riuscito a ottenere il massimo: un posto fisso nell’ufficio provinciale caccia e pesca. Con questa meravigliosa leggerezza Checco affronta una vita che fa invidia a tutti. Un giorno però tutto cambia. Il governo vara la riforma della pubblica amministrazione che decreta il taglio delle province. Convocato al ministero dalla spietata dirigente Sironi, Checco è messo di fronte a una scelta difficile: lasciare il posto fisso o essere trasferito lontano da casa. Per Checco il posto fisso è sacro e pur di mantenerlo accetta il trasferimento. Per metterlo nelle condizioni di dimettersi, la dottoressa Sironi lo fa girovagare in diverse località italiane a ricoprire i ruoli più improbabili e pericolosi, ma Checco resiste eroicamente a tutto. La Sironi esausta rincara la dose e lo trasferisce al Polo Nord, in una base scientifica italiana col compito di difendere i ricercatori dall’attacco degli orsi polari. Proprio quando è sul punto di abbandonare il suo amato posto fisso, Checco conosce Valeria, una ricercatrice che studia gli animali in via d’estinzione e s’innamora perdutamente di lei. Inizia così un’avventura fantastica nella quale Checco scoprirà un nuovo mondo, aprendo la sua piccola esistenza a orizzonti lontanissimi.

Quo Vado?, incassi: continua la marcia milionaria di Checco Zalone

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Continua la marcia inarrestabile di Quo Vado?, il nuovo film con protagonista Checco Zalone che ha frantumato ogni record al box office Italia. Ebbene dopo i 4 milioni di Lunedì, ieri sono arrivati altri 4.3 milioni di euro, arrivando a quasi 30 milioni in 6 giorni, ed oggi, giorno della Befana potrebbe ritornare ad un nuovo incasso stratosferico.

Nel frattempo impazza la polemica su giornali, facebook e programmi televisiva dove da una parte ci sono i detrattori che criticano la qualità del prodotto, dall’altra c’è chi invece ne sottolinea il pregio, di una comicità non solo volgare ma anche dissacrante.

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Di seguito la trama del film: “Quo vado?” racconta la storia di Checco, un ragazzo che ha realizzato tutti i sogni della sua vita. Voleva vivere con i suoi genitori evitando così una costosa indipendenza e c’è riuscito, voleva essere eternamente fidanzato senza mai affrontare le responsabilità di un matrimonio con relativi figli e ce l’ha fatta, ma soprattutto, sognava da sempre un lavoro sicuro ed è riuscito a ottenere il massimo: un posto fisso nell’ufficio provinciale caccia e pesca. Con questa meravigliosa leggerezza Checco affronta una vita che fa invidia a tutti. Un giorno però tutto cambia. Il governo vara la riforma della pubblica amministrazione che decreta il taglio delle province. Convocato al ministero dalla spietata dirigente Sironi, Checco è messo di fronte a una scelta difficile: lasciare il posto fisso o essere trasferito lontano da casa. Per Checco il posto fisso è sacro e pur di mantenerlo accetta il trasferimento. Per metterlo nelle condizioni di dimettersi, la dottoressa Sironi lo fa girovagare in diverse località italiane a ricoprire i ruoli più improbabili e pericolosi, ma Checco resiste eroicamente a tutto. La Sironi esausta rincara la dose e lo trasferisce al Polo Nord, in una base scientifica italiana col compito di difendere i ricercatori dall’attacco degli orsi polari. Proprio quando è sul punto di abbandonare il suo amato posto fisso, Checco conosce Valeria, una ricercatrice che studia gli animali in via d’estinzione e s’innamora perdutamente di lei. Inizia così un’avventura fantastica nella quale Checco scoprirà un nuovo mondo, aprendo la sua piccola esistenza a orizzonti lontanissimi.

Quo Vado?, grande successo anche allo European Film Market

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Quo Vado?, grande successo anche allo European Film Market

Dopo l’incredibile record di pubblico nelle sale italiane, Quo Vado? ottiene un importante riconoscimento anche tra i rappresentanti dell’industria, riunitisi in occasione dello European Film Market del Festival Internazionale del Cinema di Berlino. In Germania il film – già distribuito in Svizzera e venduto in Spagna (A Contracorriente Films), Portogallo (Outsider Films/A Contracorriente Films)  e UK (circuito Vue Cinemas), si è assicurato la possibilità di essere distribuito in molti paesi, tra cui Germania e Austria (Weltkino), Grecia (Spentzos Films), Russia (Cinema Prestige), Australia e Nuova Zelanda (Palace Films) e Medio Oriente (Italia Film International).

Sono in fase di valutazione le numerose offerte arrivate dalla Francia e dall’America Latina. Molti paesi, inoltre, hanno manifestato grande interesse per un remake del film.

Continua così per Taodue un importante processo di internazionalizzazione dell’offerta, che vede affiancare ai grandi successi nazionali progetti con un respiro più ampio. Dopo Chiamatemi Francesco e Quo Vado?, che si stanno rivelando molto attuali anche al di fuori dell’Italia, la società del gruppo Mediaset sta puntando sulla serialità con diversi progetti in fase di sviluppo, pensati appositamente per un pubblico non solo italiano.

Fondamentali, in quest’ottica, anche la presenza della Taodue in occasione di Festival e mercati internazionali, lo sviluppo di progetti in co-produzione con importanti realtà al di fuori dell’Italia e la creazione di un dipartimento interno dedicato esclusivamente alle produzioni e vendite internazionali.

“La nostra società – commenta Pietro Valsecchi – è in grado di sfruttare expertise uniche, che vanno dalla grande qualità creativa dei propri prodotti fino alle capacità e competenze produttive che nel corso degli anni abbiamo dimostrato di saper mettere in campo. Queste sono qualità che all’estero vengono molto apprezzate e in un momento in cui il cinema italiano è sotto i riflettori degli operatori di tutto il mondo – continua l’ad – la Taodue è pronta a rilanciare all’estero le creatività e i talenti del nostro paese.”

Quo Vadis, Aida: recensione del film di Jasmila Žbanić

Quo Vadis, Aida: recensione del film di Jasmila Žbanić

Presentato in concorso a Venezia 77 e candidato all’Oscar al miglior film straniero alla cerimonia di Aprile 2021, Quo Vadis Aida?, della regista bosniaca Jasmila Žbanić, è il primo film a ricostruire la strage di Srebrenica del 1995, genocidio di oltre 8000 musulmani bosniaci, per la maggior parte ragazzi e uomini, durante la guerra in Bosnia ed Erzegovina. La strage fu perpetrata da unità dell’Esercito della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina guidate dal generale Ratko Mladić, con l’appoggio del gruppo paramilitare degli “Scorpioni”. Il film è disponibile nelle sale cinematografiche italiane dal 30 Settembre 2021.

“Quo vadis, Aida?”: il primo film a raccontare il massacro di Srebrenica

Nel 1995, durante le guerre di dissoluzione della Jugoslavia, l’esercito serbo occupa la città bosniaca di Srebrenica. Aida (Jasna Djuricic), una traduttrice bosniaca, si trova nella base dell’ONU, tutelata da un contingente olandese, mentre migliaia di cittadini d’etnia bosgnacca sono ammassati oltre i cancelli dell’accampamento, cercando un rifugio dall’imminente invasione serba, che si sta avvicinando sempre più al perimetro. La famiglia di Aida è dispersa nel marasma di cittadini e Aida dovrà trovare il modo di salvarli, e salvarsi, dal massacro imminente.

La Corte internazionale di giustizia ha stabilito nel 2007 che il massacro di Srebrenica è identificabile come un vero e proprio genocidio, essendo stato commesso con lo scopo preciso di distruggere il gruppo etnico dei bosgnacchi. La corte penale internazionale dell’Aia ha dichiarato Ratko Mladić e Radovan Karadžić all’ergastolo per i crimini di guerra commessi.

Sono gli occhi di Aida a filtrare il degrado e la miseria di una guerra disumana e incessante: donna, madre premurosa disposta a tutto pur di salvare marito e figli, e traduttrice, figura autorevole nella comunità bosniaca proprio grazie alla sua professione. Aida dimostra la propria umanità e cerca di sancire la propria esistenza tramite i mezzi espressivi che più le sono congeniali: è il lavoro, il precedente incarico come insegnante e la professione attuale di traduttrice, a plasmare il carattere di Aida, esuberante nell’atteggiamento nevrotico di chi cerca di confinare con le proprie mani un orrore collettivo.

Alle vittime del genocidio bosniaco è dedicata l’opera: ”i nostri padri, mariti, fratelli, cugini e vicini” citati dai titoli di coda rivivono negli occhi di Aida, la cui caratterizzazione è plasmata da una finezza di scrittura notevole. Non c’è nulla di sensazionalistico nel racconto della regista, ma solo la forte volontà di calibrare perfettamente tempi narrativi e drammaticità mai spettacolarizzata.

“Quo vadis Aida?”: Aida come interprete di tutti noi

Quo vadis, Aida?”: quesito di partenza della regista, diventa anche la quest narrativa, l’inferenza spettatoriale che si prospetta di fronte alla messa in scena di un massacro collettivo: Aida vaga per la durata dell’intero film, scandendo un ritmo narrativo errante, multiforme e perpetuo. Tragedia individuale e umanitaria vengono a coincidere nel percorso di una donna e madre che si lascia pedinare da una cinepresa invasiva, perché solo tramite la testimonianza, il racconto, l’istinto vitale di Aida e degli innumerevoli bosgnacchi può sopravvivere.

E’ doveroso porre l’accento su come “Quo vadis, Aida?” rappresenti un enorme sforzo produttivo per il cinema bosniaco, solito a produrre mediamente un film all’anno. Si tratta di una produzione imponente, che ha cercato di trattare con veridicità storica la vicenda del massacro, con accuratezza di location e numero di comparse, tra cui figurano uomini e donne che vissero sulla propria pelle gli orrori della guerra jugoslava. Inoltre, attori serbi interpretano nel film personaggi bosniaci, e viceversa, proprio per suggerire un’idea di appartenenza nazionale, culturale e sociale, che la guerra dei balcani oscurò completamente.

Aida è interprete, ma senza interlocutori: il dramma dell’incomunicabilità riecheggia infatti durante il corso dell’intera opera, la cui sceneggiatura verte su incessanti domande destinate a rimanere senza risposta, in un contesto privato di ogni velleità umana. Tutto è nell’impasse, stanziato in una bolla di atarassia impenetrabile, che cozza con l’unicità di obiettivo del personaggio in continuo movimento: Aida.

“Quo vadis, Aida?” è un film di incomunicabilità claustrofobica, di memoria perduta ancora prima che questa diventi fattualità, di estensione spaziale ma sottrazione umanitaria, di un passato che diventa sogno proibito e un presente inafferrabile. Non c’è dialogo o fotogramma che riesca a descrivere in maniera esaustiva il silenzio esistenziale che imperversa nell’hangar-prigione: unica opzione di battaglia è il moto inesauribile di Aida, traghettatrice silenziosamente multilingue, figura cristologica portatrice di un impulso vitale che non si arrende alla dispersione dilagante.

Aida è interprete di tutti noi; è vita incessante, che va oltre la paura dell’altro e di ciò che è diverso, che si struttura in maniera labirintica e consta di una circolarità tutta sua, fatta di attimi nevrotici e ossessivi, che tentano necessariamente di tenere in vita i legami familiari andando perfino contro il corso della Storia. La radicalizzazione privata dell’esperienza di Aida diventa dunque funzionale al consolidamento di una narrazione organica, che vive dell’esperienza privata per ricordarci di come la voce del silenzio gridi ferocemente all’odio, e l’unica soluzione per disossarla sia diventare interpreti di vita per noi e per gli altri.

Quinzaine des Réalisateurs: annunciato il programma presentato a Cannes 76

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Julien Rejl, direttore artistico della Quinzaine des Réalisateurs, ha rivelato la selezione della sua 55a edizione che si svolgerà in concomitanza con Cannes 76, dal 17 al 26 maggio.

“La Quinzaine des Réalisateurs è nata quando una comunità di registi si è riunita con il desiderio di creare uno spazio indipendente che incoraggiasse l’emergere di un cinema libero indipendentemente dalla provenienza geografica o da qualsiasi altro criterio limitante. Al centro della creazione della Quinzaine des Réalisateurs era la qualità singolare di un’opera d’arte e l’impossibilità di incasellarla. Abbiamo scelto di presentarvi 30 film che, attraverso il loro linguaggio unico, incarnano uno spirito di resistenza a ogni forma di ideologia e alle narrazioni dominanti”.

Quinzaine des Réalisateurs: ecco il programma

CORTOMETRAGGI

  • AXXAM YAṚƔA, MAQAṚ ANSAḤMU (The House Is on Fire, Might as Well Get Warm / La maison brûle, autant se réchauffer) di Mouloud Aït Liotna
  • DANS LA TÊTE UN ORAGE (A Storm Inside) di Clément Pérot
  • IL COMPLEANNO DI ENRICO (The Birthday Party / L’Anniversaire d’Enrico) di Francesco Sossai
  • J’AI VU LE VISAGE DU DIABLE (I Saw the Face of the Devil) di Julia Kowalski
  • LEMON TREE di Rachel Walden
  • MARGARETHE 89 di Lucas Malbrun
  • MAST-DEL di Maryam Tafakory
  • OYU di Atsushi Hirai
  • THE RED SEA MAKES ME WANNA CRY di Faris Alrjoob
  • XIA RI FU BEN (Talking to the River) di Yue Pan

FILM

  • VAL ABRAÃO (Val Abraham / Abraham’s Valley) di Manoel de Oliveira – Special screnning
  • LE PROCÈS GOLDMAN (The Goldman Case) di Cédric Kahn – Opening film
  • AGRA di Kanu Behl
  • L’AUTRE LAURENS (The Other Laurens) di Claude Schmitz
  • BÊN TRONG VỎ KÉN VÀNG (Inside the Yellow Cocoon Shell) di Thien An Pham – First feature film
  • BLACKBIRD BLACKBIRD BLACKBERRY (Merle merle mûre) di Elene Naveriani
  • BLAZH (Grace / La Grâce) di Ilya Povolotsky – First feature film
  • CONANN (She Is Conann) di Bertrand Mandico
  • CREATURA di Elena Martín Gimeno
  • DÉSERTS di Faouzi Bensaïdi
  • IN FLAMES di Zarrar Kahn – First feature film
  • LÉGUA di Filipa Reis & João Miller Guerra
  • LE LIVRE DES SOLUTIONS (The Book of Solutions) di Michel Gondry
  • MAMBAR PIERRETTE di Rosine Mbakam
  • RIDDLE OF FIRE (Conte de feu) di Weston Razooli – First feature film
  • THE FEELING THAT THE TIME FOR DOING SOMETHING HAS PASSED di Joanna Arnow – First feature film
  • THE SWEET EAST di Sean Price Williams
  • UN PRINCE (A Prince)di Pierre Creton
  • XIAO BAI CHUAN (A Song Sung Blue) di Zihan Geng – First feature film
  • WOO-RI-UI-HA-RU (In Our Day) di Hong Sang-soo – Closing film

Quinzaine des Réalisateurs 54° edizione, ecco il poster

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Quinzaine des Réalisateurs 54° edizione, ecco il poster

Il poster ufficiale della 54a Quinzaine des Réalisateurs è tratto da “Blue Flight”, performance fotografica dell’artista multidisciplinare Cecilia Paredes. Nata a Lima, Cecilia Paredes vive e lavora tra il Perù e gli Stati Uniti. Il suo lavoro esplora i temi della natura e dell’interazione tra il corpo e il suo ambiente.

Visibile e invisibile, l’artista si fonde con l’immagine che crea, proprio come fanno i registi nei loro film. Dal 18 al 27 maggio 2022 si svolgerà la 54a edizione della Quinzaine des Réalisateurs.

54a Quinzaine des Réalisateurs – il poster

Quinzaine des Réalisateurs

Quinzaine des Réalisateurs 2025: svelato il programma per Cannes 2025

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Dopo il programma della Semaine de la Critique, anche la Quinzaine des Réalisateurs ha annunciato la sua line-up per il prossimo Festival di Cannes 2025. La sezione, lanciata nel 1969 e supervisionata dalla Gilda dei registi francesi, presenterà 21 lungometraggi e 10 cortometraggi. “In un mondo turbolento, assediato su tutti i fronti da atteggiamenti reazionari, dove i valori repubblicani e universalistici sono sotto attacco, il ruolo sovversivo dell’arte è minacciato e le grandi opere vengono cancellate, i cineasti di tutti i continenti si oppongono ferocemente a queste tendenze“, è quanto si legge nel comunicato della presentazione del programma dell’edizione 2025.

La ricchezza e il dinamismo del cinema della giovane generazione sono intatti. I film – alcuni dei quali provengono da Paesi in guerra o da regioni in cui prevalgono oscurantismo e populismo – evitano discorsi altisonanti, preferendo mostrarci un’altra realtà. Come sempre, il cinema è un passo avanti rispetto alla società. Invece di giudicare, complica. Invece di condannare, interroga. Piuttosto che fare affermazioni generali, presta attenzione alle storie su piccola scala, quelle degli individui che vivono gli eventi. Lo fa con rabbia o umorismo, e sempre con una buona dose di poesia”.

La 57a edizione della Quinzaine è pluralista, mista, ricca di scoperte. Celebra una vivacità cinematografica che è inestimabile e più che mai essenziale, anche se registi e produttori hanno sempre più difficoltà a finanziare i loro progetti. È al fianco dei registi di tutto il mondo nella lotta contro l’omogeneizzazione, la mercificazione e quindi la neutralizzazione del cinema. Siamo lieti di condividere con voi un programma che onora l’arte della messa in scena e la volontà e la generosità degli autori“, si afferma infine.

La selezione ufficiale di Quinzaine des Réalisateurs 2025

LUNGOMETRAGGI

ENZO (Film d’apertura)
Un film di Laurent Cantet
diretto da Robin Campillo

AMOUR APOCALYPSE
(Peak Everything)
di Anne Émond
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BRAND NEW LANDSCAPE (opera prima)
(見はらし世代)
di Yuiga Danzuka­
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CLASSE MOYENNE
(Middle Class)
di Anthony Cordier
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DANGEROUS ANIMALS
di Sean Byrne
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LA DANSE DES RENARDS (opera prima)
(The Foxes Round)
di Valéry Carnoy­
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L’ENGLOUTIE (opera prima)
(The Girl in the Snow)
di Louise Hémon­

LES FILLES DÉSIR (opera prima)
(The Girls We Want)
di Prïncia Car­
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GIRL ON EDGE (opera prima)
(Hua yang shao nv sha ren shi jian)
di Jinghao Zhou­
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INDOMPTABLES
di Thomas Ngijol
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KOKUHO
di Lee Sang-il
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LUCKY LU (opera prima)
di Lloyd Lee Choi­
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MILITANTROPOS
di Yelizaveta Smith, Alina Gorlova & Simon Mozgovyi
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MIROIRS No. 3
(Mirrors No.3)
di Christian Petzold
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LA MORT N’EXISTE PAS
(Death Does Not Exist)
di Félix Dufour-Laperrière
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THE PRESIDENT’S CAKE (opera prima)
(Mamlaket al-Qasab)
di Hasan Hadi­

QUE MA VOLONTÉ SOIT FAITE
di Julia Kowalski
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SORRY, BABY (Film di chiusura)
di Eva Victor

CORTOMETRAGGI

+10K
di Gala Hernández López
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BEFORE THE SEA FORGETS
di Ngọc Duy Lê
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THE BODY
di Louris van de Geer
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BREAD WILL WALK
(Le pain se lève)
di Alex Boya
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CŒUR BLEU
(Blue Heart)
di Samuel Suffren
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KARMASH
(کرمش)
di Aleem Bukhari
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LOYNES
di Dorian Jespers
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LA MORT DU POISSON
(Death of the Fish)
di Eva Lusbaronian
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NERVOUS ENERGY
di Eve Liu
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WHEN THE GEESE FLEW
di Arthur Gay
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