Affabile, divertente, dalla voce
gioviale e l’appeal da vero intrattenitore nato: così si
presenta il divo americano Tom Hanks alla stampa e
al pubblico italiano durante il primo dei Close
Encounters dell’undicesima edizione della Festa del Cinema di Roma
2016. Durante il lungo incontro si è ripercorsa la
ricca carriera di Hanks, i suoi ruoli più iconici lanciando uno
sguardo anche sul suo futuro da attore (sul set del film di
Clint Eastwood Sully) e da produttore; tra le
sorprese finali, anche il Premio alla Carriera
consegnato all’attore dalla nostra Claudia
Cardinale, e proprio nella cornice della Festa che celebra
il suo splendido percorso professionale con una retrospettiva –
lunga dieci giorni – a lui dedicata, durante la quale sarà
possibile ammirare nuovamente i film che hanno consegnato il nome
di Hanks alla storia del Cinema.
Per ripercorrere la sua carriera,
Antonio Monda sceglie – consensualmente con
l’attore – di utilizzare frammenti estrapolati dai suoi film: un
percorso che si snoda tra passato, presente e futuro e che parte
dagli anni ’80 per arrivare fino alle collaborazioni più recenti
con Steven Spielberg.
Il primo film dal quale prendere
spunto è Big, che permise a Tom
Hanks e a sua moglie Rita Wilson di
permettersi il viaggio di nozze proprio nella Città Eterna; sorge
spontaneo – osservando la scena seleziona – domandare all’attore se
recitare sia davvero un divertimento o soltanto un lavoro: secondo
Hanks solo la risata ci permette di superare innumerevoli
situazioni, incluse per esempio le difficoltà scolastiche che lui
stesso ha attraversato: solo quando è approdato nella sua High –
School con numerose classi di recitazione, allora ha iniziato ad
avere interesse e a divertirsi.
Da Big a
Sleepless in Seattle (Insonnia d’Amore) a fianco
della “storica partner di celluloide” Meg Ryan: è
curioso pensare che, il finale del film che viene proiettato in
sala, è in verità l’unica scena del film che i due attori hanno
girato insieme! Un ricordo del tutto personale Hanks lo dedica a
Nora Ephron, raffinata autrice e drammaturga che
ha firmato alcune delle rom- com più famose degli anni
’80-’90: Hanks aveva interpretato a teatro una sua pièce,
che riconferma il suo talento e la sua predisposizione innata
soprattutto per il teatro, pur essendo nata – professionalmente –
come giornalista; questo passaggio fondamentale le ha permesso di
rappresentare sempre la verità senza tralasciare i fatti
contingenti che accadono. La scrittura teatrale le si addiceva
perché le permetteva di creare – e comporre – qualcosa destinato a
durare per sempre, qualcosa in grado di cristallizzarsi nello
spazio – tempo e di attraversarlo incolume. Le loro due
collaborazioni insieme sono nate sotto l’egida teatrale, passando
dalla semplice lettura alla registrazione dei momenti degli attori
sulla scena.
Una riflessione speciale – e una
digressione necessaria – riguarda l’ulteriore talento di Mr. Hanks
come regista e produttore: la sua prima regia, Music
Graffiti (seguita da Larry
Crowne), ruota intorno alle (dis)avventure di una
rock band anni ’50; l’attore americano dichiara di essere da sempre
affascinato dal mito delle band composte da “compagni di sbronze”
capaci di intendersi con un solo sguardo; al contrario, la band
protagonista del suo film è una meteora destinata ad essere
dimenticata prima ancora delle fine di un decennio, con un odio
latente che serpeggia tra i suoi membri. Quando si sceglie di
ricoprire il ruolo di regista i di produttore, lo si fa soprattutto
per passione, assumendosi responsabilità d’ogni tipo; tutti –
secondo lui- sia attori che produttori o registi, dovrebbero almeno
una volta scambiarsi i ruoli per poter comprendere meglio il lavoro
dell’alto. Sul set del suo ultimo film,
Sully, ha potuto ammirare Eastwood
all’opera, un vero esempio di questo “metodo”: da attore navigato
qual è, conosce bene quali errori evitare e forse proprio per tale
motivo – ironizza Hanks – ha la tendenza a trattare gli attori come
cavalli (e così ne approfitta per esibirsi in una gustosa
esibizione del notissimo regista).
Un frammento de La Guerra
di Charlie Wilson permette, invece, di cavalcare sempre il
filone “amarcord” ricordando un altro gigante della recitazione
scomparso troppo presto, Philip Seymour Hoffman:
un interprete particolare, sensibile e sofisticato che non si
limitava a seguire un metodo, piuttosto lasciava letteralmente
entrare i personaggi fino al punto di lasciarsi controllare da
loro, diventando qualcun altro.
Una lunga parentesi riguarda la sua
ricca collaborazione con Spielberg, che si è snodata per ben
quattro film (Salvate il Soldato Ryan,
Il Ponte delle Spie,
Prova a Prendermi e The Terminal)
senza segnalare le esperienze televisive con Band of
Brothers e The Pacific: dopo aver
ammirato delle clip tratte da Salvate il Soldato
Ryan e Prova a Prendermi, l’attore
ammette che da Spielberg ha imparato molto, perché si tratta di una
“modalità cinematica” (così lo definisce) e attraverso questo modo
comunica al mondo; il suo personalissimo modo di capire come
narrare visivamente una storia lascia molto poco spazio
all’improvvisazione degli altri; le emozioni incontenibili che
vengono mostrate attraverso scene ed inquadrature si ritrovano,
regolarmente, a valicare quei rigidi confini che trasformano, a
quel punto, ogni prodotto audiovisivo in alto cinema. Oltre a
Spielberg, due registi con i quali collabora abitualmente sono
Ron Howard e Robert Zemeckis: con
quest’ultimo ha realizzato capolavori come Cast
Away e Forrest
Gump (secondo Oscar dopo
Philadelphia): il primo film hanno
impiegato quasi dieci anni per concepirlo, pensarlo, girarlo e
completarlo; con il secondo, invece, si ritrovò davanti una
sceneggiatura di circa 170 pagine fitta di dialoghi e con tanta
“sostanza”. Scelsero, così, di lavorare in questo modo: Zemeckis
raccolse il cast nella Carolina del Sud per leggere ed interpretare
il testo, talmente complesso proprio perché raccontava la Storia
intera di una generazione (la stessa alla quale appartiene Hanks)
letta attraverso gli occhi di Forrest, un uomo apparentemente
lontano dalla società che sopravvive grazie al buon senso, che lo
spinge a fare sempre la cosa giusta.
Un ultimo racconto, prima della
premiazione, è tratto direttamente dal set del film
Philadelphia: il primo film che gli ha
portato un Oscar – diretto da Jonathan Demme –
suscita la curiosità riguardo al metodo applicato dal regista: in
alcune scene cult – come quella che immortala Hanks e
Denzel Washington rapiti da un’aria d’opera
cantata da Maria Callas – fino a che punto c’è l’apporto del
regista e quando inizia, invece, la libera improvvisazione
dell’attore?
Tom Hanks,
sornione, afferma che quella scena non sarebbe mai riuscita senza
l’apporto dei presenti: Washington, Demme, il tecnico del suono
(tutti insieme girarono la scena alle quattro del mattino, in presa
diretta) e l’immortale Maria Callas, che con la
sua voce ha comunicato a tutti i presenti come spesso dal dolore
scaturisca una forma di amore.