Dopo il successo dei precedenti
What (2010) e Make Happy (2016),
entrambi disponibili su Netflix, la
sagacia piccante di Bo Burnham approda nuovamente
sulla piattaforma con Inside, lucida e satirica
descrizione della società liquida, decadente e piena di facciate
fasulle in cui viviamo. Interamente ideato e girato durante la
pandemia, nel bel mezzo di una quarantena forzata ma
metaforicamente voluta, autoimposta per poter guardare criticamente
e spietatamente la nostra vita, e forse, unica apparente via di
fuga dal labirinto virtuale in cui siamo costretti.
Bo Burnham: Inside punta dritto al
cuore artificiale di una realtà pandemica già da tempo
Burnham riesce nell’arduo progetto
di consegnarci un prodotto effettivamente originale oggigiorno, che
si pone come nuova frontiera audiovisiva, fruibile in un modo
totalmente inedito: questo speciale non è meramente uno show
comedy, riesce a configurarsi come film per l’organicità e la
chiusura narrativa definita di tutto punto. Quella di Burnham è
un’amara constatazione grottesca e assolutamente priva di censura,
che ci dimostra che non è necessario ricercare basi comiche
altrove: la comicità risiede nella vita di tutti i giorni, teatro
orrorifico in cui gli strumenti di scena sono stati soppiantati da
icone e applicazioni con cui trascorriamo la maggior parte del
nostro tempo; un prolungamento artificiale dei nostri arti
superiori, che diventa unico interlocutore per vicinanza ed
immediatezza.
Burnham sottolinea l’influenza della
pandemia mettendo in evidenza con arguto sarcasmo la ridicolezza
delle maschere che indossiamo tutti i giorni e l’effimera natura
del nostro campo di battaglia attuale: internet. In una dimensione
virtuale in cui si parla tanto e continuamente, pur sapendo molto
poco, in cui l’imperativo categorico consiste nell’omologarsi a
prototipi standardizzati e all’assicurare una facciata di copertina
indiscutibile, Burnham sovverte gli standard dello show comico
usuale, ideando e mettendo a punto da sé una tipologia di show
inedita: in qualità di factotum – l’intero show è girato, scritto,
cantato dal performer- riesce ad offrirci una summa drammatica ma
assolutamente lucida del lascito pandemico, che non ha fatto altro
che potenziare l’isolamento insito alla realtà contemporanea: una
chiusura quasi insormontabile, degenerante e morbosa, che è in
azione da ben prima della quaratena forzata: “è sempre stato
questo il piano per mettere il mondo nelle tue mani“: l’avere
tutto a disposizione in una manciata di secondi non fa altro che
marcare la natura liquida della società in cui viviamo,
deformazione grottesca di un mondo dove tutto è già stato detto, in
cui l’unica possibilità è la citazione non accreditata, la
riproposizione di idee e contenuti che è difficile sentire propri e
che si perdono in un abisso irrefrenabile di parole pronunciate ma
inascoltate.

L’invettiva di Burnahm contro gli
ossimori dell’attualità
“Tu: insaziabile, inarrestabile,
controllabile”: l’ossimorica denuncia di Burnham a tutta la
realtà contemporanea, in cui noi siamo gli spettatori di noi
stessi, tronfi nel nostro sguardo narcisistico nei confronti di ciò
che siamo, adulatori di profili falsi, copertine ingannevoli,
realtà alternative e all’apparenza più allettanti della nostra. Bo
Burnham: Inside ci consegna in modalità audiovisiva un suo
personale diario di quarantena, in cui confluiscono analisi
critiche sul sé, che mettono in luce disagi emotivi personali e
collidono con un’intera generazione allo sbando, che mostra
incessantemente i sintomi di una sindrome da Narciso, perennemente
alla ricerca dell’immagine perfetta con cui presentarsi
virtualmente. Un rifugio che è anche prigione, eppure si configura
come unica, silenziosa, risposta al marasma incontrollato e
incontrollabile di trend, disinformazione, caos digitale deformato
di una realtà auto-condannatasi in cui ogni singola identità si
confonde. Burnham è stanco, desolato nel constatare come le proprie
velleità, creatività e motivazioni vengono meno di fronte a una
realtà che ci chiede continuamente se “può interessarci a tutto
in ogni momento”, circondati da strumenti che “hanno fatto
tutto ciò che erano stati programmati a fare”; le regole del
gioco sono dettate e contemporaneamente annullate da noi stessi,
confinati in uno spazio ridotto, virtuale o fisico che sia.
“Non proprio morto, non proprio
vivo: è simile a uno stato costante di paralisi del sonno”:
l’ironia pungente di Burnham riesce a ritrarre nei brani composti e
cantati da lui stesso la condizione psicofisica dell’essere
contemporaneo, in balia di un contesto sociologico digitalizzato,
di un equilibrio politico ed economico precario e di un terreno in
cui la parola è abusata, parlando continuamente di tutto, sapendone
realmente molto poco. Tramite brani caricaturali e spiritosi,
monologhi rivelatori e operazioni registiche e di montaggio di
tutto punto, Burnham adempie al difficile compito di restituirci
una descrizione espressionista della realtà quotidiana, in cui
l’incontro è necessariamente scontro, ogni essere è intrinsecamente
una facciata e il sovrastarsi è l’unico modo affermare la
propria esistenza.
Un one man show, che del sapore
dello show canonico ha ben poco: senza audience e con un’amarezza
di fondo chiaramente percepibile nell’intero minutaggio, Burnham
mette in luce il labirinto mentale e sociale in cui siamo
costretti, i disagi e l’intrappolamento che ne consegue, cercando
lucidamente di trovare uno proprio posto, di dare una chiave di
riflessione anche allo spettatore: non si tratta di mero escapismo,
ma di piena e lucida presa di coscienza e riappropriazione della
propria individualità tramite l’ingegno, la creatività e
l’autoironia. Siamo oltre a un percorso catartico di redenzione:
l’assoluzione morale non esiste in un mondo in cui le regole del
gioco perdono di ogni valore, per questo Burnham non può offrire
allo spettatore una chiave di uscita univoca: uscire o rimanere
dentro, non è il dove a costituire il problema, quanto il fatto
stesso di dover decidere, prendere in mano le redini della propria
vita, in una perpetua ricerca identitaria, che spaventa
terribilmente in un mondo in cui “l’apatia è una tragedia e la
noia un crimine”.
Powered by 