Sappiamo ormai che Mark
Hamill, Carrie Fischer e Harrison Ford
potrebbero tornare ad interpretare i loro storici ruoli in
Star
Wars Episodio VII.
500 giorni insieme: recensione del film di Marc Webb
500 giorni insieme è un film del 2009 diretto da Marc Webb e con protagonisti nel cast Joseph Gordon-Levitt (Tom), Zooey Deschanel (Sole), Geoffrey Arend (McKenzie) e Matthew Gray Gubler (Paul).
500 giorni insieme, la trama: Los Angeles. Tom è un giovane architetto che, messi da parte i sogni di gloria, lavora in una piccola società che produce bigliettini di auguri. Un giorno in ufficio arriva Sole, nuova assistente del capo. Bella, spensierata, un po’ sfuggente: per Tom è amore a prima vista. Il giovane architetto riesce a toccare i tasti giusti, e i due cominciano a stare insieme. Una relazione che nasce e si sviluppa, tra luci ed ombre, nell’arco di 500 giorni. Sarà lieto fine?
Analisi: 500 giorni insieme, lungometraggio d’esordio di Marc Webb, veterano dei videoclip musicali, ci racconta con originalità e garbo una bella storia di quasi amore (scritta da Scott Neustadter e Michael H. Weber). La vicenda di Tom e Sole viene percorsa con un’esposizione non cronologica dei fatti; il racconto balza spesso e volentieri avanti e indietro lungo la linea temporale (i 500 giorni del titolo), fornendo sempre pronte indicazioni – un magico numerino che inaugura ogni saliscendi – allo spettatore, altrimenti condannato a perdere la bussola. Una scelta interessante, vivace, capace di suggerire orizzonti piacevolmente ingannevoli nel grande gioco del racconto.
500 giorni insieme
Bello il personaggio femminile, così concentrato a non darsi del tutto all’amore e a Tom. A concedere il corpo, il tempo e i sorrisi, ma non l’anima, né quella complicità essenziale per invecchiare insieme. E Sole è così non per scelte razionali: non è una donna “moderna” gelosa della sua indipendenza. Al contrario, è terribilmente inafferrabile, anche quando giace con Tom, apparentemente sua. Ricorda un po’ l’indimenticabile Catherine di Jules e Jim, e tiene lo spettatore (maschile, soprattutto) incollato allo schermo, pronto a divedere con Tom un po’ di nottatacce e brutti pensieri.
Simpatica ed efficace la scelta
dell’IKEA come termometro amoroso della coppia: Tom e Sole vengono
mostrati nel noto santuario svedese sia ai lieti albori della loro
relazione, sia in un momento di stanchezza sentimentale. Nel primo
caso saltano spensierati tra cucine e salotti, immaginando il
futuro; nel secondo sono divisi, da un canyon di noia e timore.
Difficile non avere avuto dimestichezza (se non per esperienza
personale, almeno per buono spirito osservativo) con situazioni del
genere.
Infine, una nota di merito, tutta per Marc Webb . Il regista evita infatti il ricorso massiccio ai lineamenti del video musicale, suo territorio di provenienza, aggirando quindi la tentazione di sottolineare la propria origine artistica; al contrario, dosa il suo bagaglio con gusto e accortezza, e lo fa esplodere per dipingere di gioia coreografica l’animo dell’innamorato Tom che ha appena conquistato Sole o, ancora, se ne avvale per raccontare una festa a casa di Sole dividendo lo schermo in due: una metà dedicata a quanto “realmente” accaduto, l’altra a come Tom avrebbe desiderato andassero le cose.
Bel film, 500 giorni insieme, ma non per tutti: chi ha qualche grana sentimentale in corso potrebbe uscirne fortemente provato. Per gli altri, sarà un piacere guardare e farsi coinvolgere.
Via Col Vento: recensione film di Victor Fleming
Via Col Vento è un film del 1939 diretto dal grande Victor Fleming che vede protagonisti Vivien Leigh, Clark Gable, Olivia de Havilland, Leslie Howard, Hattie McDaniel.
La trama del film Via col vento
Sud degli Stati Uniti alla vigilia dello scoppio della Guerra di Secessione. Due ricche e felici famiglie della Georgia: gli O’Hara e i Wilkes. La figlia maggiore degli O’Hara ama Ashley Wilkes, che però vuole sposare Melania Hamilton. Durante il ricevimento per l’annuncio delle nozze, nella tenuta dei Wilkes, Rossella parla con Ashley e gli dichiara il suo amore, ma questi non intende cambiare idea sul suo matrimonio.
Intanto si prepara la guerra, in cui si fronteggeranno due opposte visioni: i nordisti, che vogliono un’America industriale libera dalla schiavitù, e i sudisti, come le due famiglie protagoniste, che sulla schiavitù basano la loro fortuna, facendo coltivare proprio agli schiavi neri i loro campi di cotone. Ashley sposa Melania e Rossella per ripicca accetta di sposare il fratello di lei Carlo. Entrambi gli uomini partono per la guerra, mentre un altro personaggio conosciuto da Rossella a casa dei Wilkes accumula fortune durante il conflitto: lo scaltro Rhett Butler.
Durante la guerra Carlo muore e Rossella, rimasta vedova, raggiunge Melania e la zia ad Atlanta. Melania aspetta un bambino da Ashley e partorisce proprio quando la guerra volge a sfavore dei sudisti e i nordisti assediano la città. Appena dopo il parto, perciò, le due donne, con l’aiuto di Rhett Butler, fuggono da Atlanta per tornare nella tenuta degli O’Hara, Tara. Rhett, prima di lasciarle e arruolarsi, dichiara il suo amore a Rossella, la quale però lo respinge, perché ama ancora Ashley. A Tara, tutto è cambiato: la famiglia di Rossella distrutta, la miseria, la terra incolta. Solo la schiava governante Mamy accoglie la padrona come un tempo. Rossella si fa coraggio e prendere le redini della proprietà, che con duro lavoro e fatica, assieme alle sorelle, riesce a rimettere in piedi, ma senza i fasti di un tempo.
A guerra finita, Ashley torna e resta a Tara con moglie e figlio, collaborando alla gestione della tenuta. Bisognosa di denaro per pagare le nuove tasse, Rossella non trova di meglio che “rubare” il fidanzato alla sorella Susele e sposarlo non solo per i soldi, ma anche per convincerlo ad aprire una segheria, che poi gestirà lei stessa e che farà la sua fortuna. La donna infatti è ossessionata dal desiderio di ricchezza e non si fa scrupolo di fare affari anche coi nordisti. Alla morte del secondo marito, Rossella si ritrova sola e accetta così finalmente la proposta di matrimonio di Rhett. I due hanno una figlia, Diletta. Ma Rossella non sembra essere una buona madre, inoltre Rhett, il cui amore è sincero, si accorge che lei non ha ancora dimenticato Ashley ed è sempre più infastidito dalla volubilità della donna. Quando Diletta muore in un incidente, i rapporti tra i due s’incrinano definitivamente. Solo dopo la morte di Melania, quando Ashley ammette di aver sempre amato solo sua moglie, Rossella si accorge di aver inseguito un’illusione e scopre che il suo unico sentimento reale è quello nei confronti di Rhett. Nonostante lui l’abbia lasciata, lei non si perde d’animo e si ripromette di tornare a casa, a Tara, e di riconquistarlo.
Via col vento, il film dei record
Via col vento è senza dubbio il
film dei record: è una delle più grandi produzioni della
sua epoca, ad opera di David O. Selznick – che
volle portare sullo schermo il romanzo omonimo di Margaret
Mitchell – nonché il film che ha incassato di più in
assoluto (è stato scalzato dalla vetta solo nel 2010 da Avatar)
e la prima pellicola che spopolò in tutto il mondo.
Da record anche la durata di Via col vento: quasi quattro ore. O. Selznick chiamò a dirigerlo Victor Fleming, ma alla regia lavorarono anche George Cukor e Sam Wood. Il cast vanta una star come Clark Gable tra i protagonisti e Vivien Leigh, già attrice di teatro, che proprio con la sua complessa e intensa interpretazione di Rossella vinse il suo primo Oscar e raggiunse la fama internazionale. A renderlo di indubbio fascino sono poi i temi: da un lato la storia coinvolgente dell’eroina romantica, coraggiosa, bella e capricciosa che è Rossella.
Una ragazza e una donna che vive del suo amore ideale per un uomo, ma che al tempo stesso non si tira indietro di fronte alle difficoltà concrete della vita, che affronta con coraggio la guerra, la fatica, il duro lavoro, che con la sua indipendenza e spregiudicatezza, inusuali per l’epoca, dirige proficuamente un’azienda. Un’eroina anche cinica, egoista e ipocrita, che paga alla fine questa sua indole con la solitudine e l’abbandono. Personaggio sfaccettato di non facile catalogazione, cui Vivien Leigh sa dare corpo in maniera egregia, come farà spesso nella sua carriera trovandosi alle prese con ruoli complessi. Senza dimenticare, poi, il grande affresco storico creato dal regista e fortemente voluto dal produttore, il cui intento era quello di non relegare quest’elemento a mero sfondo.
E dunque l’America lacerata dalla guerra di secessione, un paese ridotto alla fame e a un cumulo di macerie da una guerra civile. A questo proposito, è vero che Via col vento evoca spesso nostalgicamente il vecchio sud prebellico (e dunque anche schiavista) e i suoi valori, primo tra tutti il forte legame con la propria terra, più volte ribadito. Tuttavia, per contro assistiamo all’emergere sulla scena proprio degli schiavi che cessano di essere tali, e assumono un ruolo tutt’altro che secondario nella narrazione. Emblematico in proposito il personaggio di Mamy, che ha le fattezze, la vitalità e l’efficacia di Hattie McDaniel e che è stata tra i premiati con l’Oscar per la sua interpretazione.
Altro punto di forza di Via col vento è poi il bilanciamento tra le componenti: quella sentimentale e melodrammatica è certamente assai rilevante – legata al tema dell’amore, della guerra e delle sue conseguenze – ma accanto ad essa troviamo quella realistica e pragmatica e anche quella ironica e sarcastica, affidata principalmente alle pungenti battute di Rhett (Clark Gable), che svelano l’ipocrisia di Rossella, e guardano con disincanto al mondo. Tra queste, l’ultima da lui pronunciata è celeberrima: quel “Francamente, me ne infischio.” con cui lascia, forse per sempre, una Rossella disperata. Ma come suo costume, la protagonista non si perde d’animo, ribadendo la perseveranza e l’incrollabile determinazione che l’hanno sempre contraddistinta nell’altrettanto celeberrimo: “E troverò un modo per riconquistarlo. Dopotutto, domani è un altro giorno!”.
La pellicola resta perciò una delle più famose di tutti i tempi, nonché delle più premiate. Ha infatti al suo attivo ben nove statuette, tra cui: miglior film, regia, attrice protagonista Vivien Leigh, attrice non protagonista appunto la McDaniel, sceneggiatura, montaggio. In Italia, Via col vento arrivò solo nel 1948.
Mea maxima culpa: recensione del film il silenzio nella casa di Dio
Mea maxima culpa: il silenzio nella casa di Dio è un film-documentario diretto dal regista americano Alex Gibney (premio Oscar nel 2007 con il suo Taxi to the dark side ) che uscirà nelle sale cinematografiche italiane il prossimo 20 marzo.
In Mea maxima culpa tutto ha inizio quando quattro ex allievi della St, John’s for the Deaf di Milwakee (un istituto cattolico per bambini sordo-muti) decidono di unire le loro forze e le loro terribili testimonianze per denunciare il direttore dell’istituto, padre Lawrence Murphy, che per anni aveva abusato impunemente di loro. Inizia una lunga battaglia legale che dovrà scontrarsi con la tenace opposizione delle istituzioni, sia civili che religiose. Partendo da questa terribile vicenda si dipana una documentatissima e fedelissima cronostoria dei casi più celebri di pedofilia che hanno coinvolto la Chiesa di Roma negli ultimi trent’anni. I silenzi, le omissioni, gli insabbiamenti che hanno coinvolto le gerarchie più alte del Vaticano; crimini mai puniti, una giustizia mai arrivata ma che oggi le centinaia di vittime, non solo americane, reclamano senza più vergognarsi.
Mea maxima culpa, il film
Mea maxima culpa è un film sconvolgente e incredibile, per la sua spietata e dettagliatissima ricostruzione storica, per la ricchezza impressionante di materiale archivistico e documentaristico edito ed inedito, per la forza emotiva e l’intensità drammatica delle testimonianze dirette. Un lavoro enorme svolto con solerzia e precisione che dipinge un quadro agghiacciante sul come le istituzioni vaticane abbiano taciuto e non agito di fronte alle centinaia di accuse susseguitesi nel tempo nei confronti di sacerdoti pedofili.
Inchieste e indagini che nel tempo hanno appurato come le più alte cariche del Vaticano siano perfettamente al corrente di ogni singolo caso, a partire da quel padre Murphy, al centro della prima parte del film, che pur ritenuto colpevole di oltre duecento casi di violenza ha potuto continuare ad “officiare” per oltre venti anni dopo le prime accuse.
Una spietata requisitoria che non risparmia nessuno a partire dagli ultimi due pontefici: papa Giovanni Paolo II, amico affezionatissimo di quel Marcial Maciel Degolado cui si appureranno innumerevoli e terrificanti reati, sino a papa Benedetto XVI che, sedendo a capo della Congregazione per la dottrina cattolica per oltre venticinque anni, ha studiato caso per caso ogni singola denuncia di ogni singolo prete finito sotto accusa.
Ed è proprio la figura dell’allora cardinale Joseph Ratzinger che suscita le più interessanti oltre che inquietanti riflessioni; grazie a varie testimonianze possiamo trarre un ritratto controverso quanto esemplificativo sia del cardinale che della Chiesa stessa. Ratzinger da uomo di teologia, da fine pensatore oltre che da uomo di fede, dimostrò più volte il desiderio di voler fare qualcosa di concreto in favore delle vittime, di voler agire in modo drastico per estirpare questa piaga, ma alla fine è anch’egli rimasto vittima di un millenario impianto inossidabile basato su leggi assurde, inattaccabili ed unicamente finalizzate alla difesa e alla sopravvivenza della Chiesa stessa.
Mea maxima culpa è un film forte, spietato e sconvolgente che mai come in questi giorni assume un’importanza particolare; oggi sul soglio di Pietro siede un nuovo pontefice, Francesco, che ha preso il posto di un vecchio e stanco ex cardinale tedesco che forse non ha più retto il peso dei misteri, dei segreti e delle colpe che era chiamato a difendere. Oggi sul soglio pontificio siede un papa che ha subito conquistato tutti per semplicità e umiltà dando la speranza di poter e voler aprire una breccia tra le secolari chiusure e contraddizioni di una Chiesa da riformare.
Foto Gallery: G.I. Joe – La Vendetta – Premiere Londra
Guarda le foto della Premiere a Londra del film G.I. Joe – La Vendetta con Dwayne Johnson, Channing-tatum e Adrianne Palicki:
Ecco tutte le foto:
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Tom Hiddleston stanco di Loki? …assolutamente no!
Nonostante lo rivedremo nuovamente in Thor: il mondo delle tenebre, l’attore Tom Hiddleston non si è proprio stancato di interpretare Loki, almeno è quello che ha manifestato in una recente intervista:
“Io andrò avanti fino a che il pubblico non varrà farmi smettere o fino a quando la Marvel mi dirà di smettere. ‘E’ raro essere collegati ad un personaggio che la gente adora. E’ un personaggio che in qualche modo accende l’immaginazione del pubblico, ed è emozionante quando lo fai. E’ un divertimento. “
“Il divertimento nell’interpretare Loki è che porta lo spettatore ad interrogarsi su di lui. Ed egli provoca questo sentimento contrastante nelle persone che presumibilmente incontra. Ma, è stato poi gettato fuori come la pecora nera della famiglia reale, se può essere riaccolto in quella famiglia è una domanda che rimane senza risposta. Spero che il film potrà dare risposta in merito al suo lato oscuro e demoniaco. “
Per le new sul film vi segnaliamo il nostro speciale: Thor 2 Mentre per tutte le info sul film nella nostra Scheda Film: Thor: The Dark World. Vi ricordiamo che nel cast del film vi sono anche: Anthony Hopkins, Chris Hemsworth, Christopher Eccleston, Idris Elba, Jaimie Alexander, Josh Dallas, Natalie Portman, Ray Stevenson, Stellan Skarsgård, Tadanobu Asano, Tom Hiddleston.
Fonte: CBM
Tutte le foto dal set del film:
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Jean Claude Van Damme si propone per The Avengers 2
Bisogna aspettare il 2015 per vedere nei cinema il
seguito di The Avengers. La pellicola diretta da
un poliedrico Joss Whedon, forte dei sui 1.5
miliardi di dollari incassati in tutto il mondo, fa crescere di
giorno in giorno l’attesa per il secondo capitolo. Lo stesso
regista durante un’intervista, racconta che oltre a confermare
tutti gli attori del precedente lungometraggio, ha lasciato la
porta aperta per permettere a chi vuole di prendere parte a questa
strabiliante catena di montaggio. Un improbabile attore si propone
per prendere parte al secondo capitolo del cinecomics più atteso. Il duro dei duri
Jean-Claude Van Damme, tramite il suo profilo
Facebook, si candida spontaneamente per avere un ruolo nel film di
Whedon. Avrà forse sentito il profumo di soldi e fama, ma per un
attore del suo calibro, un piccolo ruolo in The
Avengers potrebbe essere l’ideale. E voi cosa ne
pensate?
Vi ricordiamo che è in programma già il sequel del film di successo del 2012
James Cameron su Peter Jackson: “Il suo era un lavoro facile”
Tom Cruise in uno spy-drama di Guy Ritchie
Romics 2013 – edizione primavera: prime anticipazioni!
Joel Silver pensa ad un Reboot di 1997: Fuga da New York
Hansel & Gretel: Cacciatori di streghe, in arrivo un sequel?
Nonostante negli Usa il film con Jeremy Renner e Gemma Arterton ha incassato appena 55 milioni di dollari, Hansel & Gretel – Cacciatori di streghe avrà un sequel. I rumor vengono confermati dall’autorevole Deadline e spiega il perché le case di produzioni, la Paramout Picture e la MGM, stanno arrivando a questa decisione. Per ora non è stato ancora siglato nessun accordo definitivo, però visto che Hansel & Gretel nel mondo ha incassato ben 205 milioni di dollari, l’idea non è da scartare. Il secondo capitolo a quanto pare, verrà distribuito solo per il mercato Home Video. Se il progetto si concretizzerà, non ci sarà lo sceneggiatore Tommy Wirkola, ma resteranno invece alla produzione Will Ferrell, Adam McKay e Kevin Messick della Gary Sanchez Productions. Intanto qui in Italia i cacciatori di streghe sono attesi per il prossimo primo Maggio.
Hansel & Gretel – Cacciatori di streghe è diretto da Tommy Wirkola e il cast include Jeremy Renner, Gemma Arterton, Famke Janssen, Derek Mears e Peter Stormare. È la storia di Hansel e Gretel, cacciatori di taglie, che hanno dedicato la loro vita a sterminare le streghe, ed è un adattamento della favola. Il film uscirà nelle sale USA l’11 Gennaio 2013. Tutte le altre info nella nostra Scheda Film: Hansel & Gretel – Cacciatori di streghe
Tre nuove foto di Wolverine: l’immortale!
Guarda tre nuove foto del film The Wolverine: l’immortale, il film distribuito dalla 20th Century Fox, che vede il ritorno di Hugh Jackman nei panni del più famoso mutante della Marvel.
Basato sul celebre arco narrativo a fumetti, in Wolverine: L’immortale troviamo Logan, il guerriero eterno, in Giappone. Lì, l’acciaio dei samurai si scontrerà con gli artigli d’adamantino, mentre Logan affronterà una misteriosa figura dal suo passato, in un’epica battaglia che lo cambierà per sempre. Il film uscirà in Italia il 25 luglio 2013. Tutte le news sul film nel nostro speciale: Wolverine. Tutte le info invece del film nella nostra scheda: Wolverine: L’immortale.
Iniziate in Canada le riprese di Godzilla di Gareth Edwards!
Canada.com ha rivelato che la produzione per il remake di Godzilla ha trovato una casa, nella città di Nanaimo in British Columbia. Inoltre, arriva proprio oggi l’annuncio da parte della Warner Bros ha ufficialmente iniziato le riprese. Ecco il comunicato del sito del Canada
Godzilla, il film
Vi ricordiamo che Godzilla, diretto da Gareth Edwards, comprende nel cast attori del calibro di Aaron Taylor-Johnson, Bryan Cranston, Elizabeth Olsen David Strathairn, Juliette Binoche e la new entry Ken Watanabe. La pellicola arriverà in Italia il 15 Maggio 2014. Akira Takarada, protagonista della pellicola originale, dovrebbe, inoltre, avere anche una piccola parte in questa rivisitazione, tornando sul set di Godzilla a sessanta anni di distanza dalla sua interpretazione.
Scritto da Max Borenstein, che ha rielaborato uno script di David S. Goyer e David Callaham, Godzilla sarà il film di punta della Warner Bros dell’anno 2014, visto che la data di uscita preventivata è stata infatti individuata nel 16 maggio 2014. Un film da cui la produzione si aspetta molto che, però, dovrà scontrarsi al botteghino con altre pellicole in uscita nello stesso periodo, quali The Amazing Spiderman 2, il reboot delle tartarughe ninja e il sequel dell’Alba del pianeta delle scimmie.
Trailer Italiano di Bullet to the Head con Sylvester Stallone
Guarda il Trailer
Italiano di Jimmy Bobo – Bullet to the
Head di Walter Hill con protagonista
Sylvester Stallone e Jason
Momoa.
Ben Kingsley parla del Mandarino in Iron Man 3
Continuano ad arrivare estratti dal numero di Total Film Magazine, oggi arrivano le parole di Ben Kingsley, che ha parlato del Mandarino in Iron Man 3, il nuovo episodio della saga su Tony Stark:
Ho avuto una visione periferica dell’universo. Kevin Feige è venuto a casa mia nell’Oxfordshire. Dopo Sexy Beast, si era reso conto che potevo essere davvero sgradevole sullo schermo. Ci siamo seduti e abbiamo avuto una simpatica conversazione. il mio giardino avevo un aspetto splendido, credo sia stato d’aiuto. Per il Mandarino non avevo alcun modello da seguire. Non so nulla di fumetti Marvel, il che potrebbe essere una buona csa. E’ come interpretare uno Shakespeare per la prima volta. Vedrete l’incarnazione del male. Il Mandarino ha trasferito presenze demoniache in me… mi ha fatto dare di matto sul seto.
Vi ricordiamo che Iron Man 3 sarà in 2D, 3D e IMAX e uscirà in USA il 3 maggio 2013. Diretto da Shane Black vede protagonisti Robert Downey Jr., Gwyneth Paltrow, Guy Pearce, Don Cheadle, Rebecca Hall, Paul Bettany, Ben Kingsley e Jon Favreau.
Kick Ass 2: una foto e un character poster
L’attesa per Kick-Ass 2 sale vertiginosamente, alimentata anche dalle ultime novità sul film che in questi giorni cominciano a circolare. Oggi vi mostriamo un character poster del film in cui possiamo vedere il protagonista, Aaron Taylor Johnson, che ha ormai abbandonato l’imberbe ingenuità del liceale.
A seguire invece una foto dal set in cui possiamo vedere Christopher Mintz-Plasse, Jim Carrey e Olga Kurkulina che interpretano rispettivamente Mother F****r, l’evoluzione di Red Mist, Mother Russia, sua letale guardia del corpo e Colonnello Stelle e Strisce.
Kick-Ass 2 uscirà nei cinema americani il 23 giugno 2013. Tornano i protagonisti dell’irriverente commedia d’azione sui supereroi del 2010 diventata in breve tempo un cult cinematografico.
In Kick-Ass 2 la ragazza assassina Hit Girl (Chloë Grace Moretz) e il giovane vigilante Kick-Ass (Aaron Taylor-Johnson) stanno entrambi cercando di vivere come due normali teenager con i nomi di Mindy e Dave. Preoccupato del diploma di fine anno e di un futuro alquanto incerto, Dave crea la prima squadra di supereroi “mondiali” insieme a Mindy. Sfortunatamente però la ragazza viene scoperta nei panni di Hit Girl, ed è costretta a ritirarsi, restando sola ad affrontare il terrificante mondo della scuola, popolato da malvagie studentesse. Nel frattempo Red Mist sta creando la propria squadra per far pagare ai suoi acerrimi nemici – Kick-Ass e Hit Girl – per ciò che hanno fatto a suo padre…
Antonio Toscano e i lego-trailer
Ecco due video realizzati in stop motion con le costruzioni lego che ricostruiscono i trailer di L’uomo d’Acciaio e di Star Trek Into Darkness. A realizzarli è stato Antonio Toscano, un filmaker italiano con l’aiuto del fratello.
Eccoli di seguito:
Fonte: Badtaste
Tutte le info utili nella nostra Scheda Film: L’uomo d’Acciaio. Tutte le news nel nostro speciale: Superman: Man of steel. Di seguito la foto gallery completa del film:
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Tutte le news sul film le trovate nel nostro speciale: Star Trek 2.
Tutta la Foto Gallery:
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Greg Kinnear entra nel cast di Anchorman 2
Due new entry nel cast di Anchorman: The Legend Continues: il regista Adam McKay vede aggiungersi alla lista degli interpreti Greg Kinnear e Josh Lawson.
I due attori entrano a far parte del progetto mentre le riprese sono già in corso: nulla è stato rivelato riguardo i loro ruoli. Entrambi possono contare su una consolidata esperienza nel genere della commedia: Kinnear ha partecipato, tra gli altri a Little Miss Sunshine e Mystery Men. Josh Lawson ha affiancato Will Ferrell (protagonista di Anchorman e naturalmente del sequel) nel recente The Candidate. Oltre a Ferrell, Kinnear e Lawson raggiungono sul set Steve Carell, Paul Rudd, David Koechner, Christina Applegate, Harrison Ford, Kristen Wiig, James Marsden, Dylan Baker, Meagan Good e, forse John C Reilly. L’uscita del film è prevista per il prossimo 20 dicembre.
Fonte: Empire
Box Office ITA del 18 marzo 2013
Il
Grande e Potente Oz continua a dominare la
classifica, seguito dal buon debutto di
Buongiorno papà e dall’ottima tenuta
di
Il Lato Positivo. Richard Gere fa
meglio delle altre new entry.
Anche Billy Bob Thornton a fianco di Downey Jr. in The Judge?
Billy Bob Thornton è ufficialmente in trattative per recitare uno dei ruoli – chiave in The Judge, film diretto da David Dobkin, con protagonista Robert Downey Jr.
Nelle ultime settimane le caselle del cast del film sono andate progressivamente riempiendosi: a dare qualche problema è stata soprattutto la ricerca dell’interprete del ruolo del padre del protagonista, per il quale inizialmente si era pensato a Jack Nicholson, ma che poi verrà interpretato da Robert Duvall. In seguito a entrare nel cast è stato Vincent D’Onofrio; ora sarebbe la volta di Thornton, che per inciso con lo stesso Duvall ha recentemente lavorato nel suo Jayne Mansfield’s Car.
Basato su una sceneggiatura originale firmata da Nick Schenk, rivista poi da Bill Dubuque, The Judge racconta la storia di un avvocato rampante che torna nella sua città natale dopo decenni, in occasione del funerale della madre; qui scoprirà che suo padre, col quale da anni ha rotto i rapporti, è sospettato dell’uccisione della donna. Il protagonista dovrà dunque usare le sue capacità per provare l’innocenza del padre, ristabilendo con lui un legame perduto da tempo. Billy Bob Thornton interpreterebbe il procuratore che ha portato l’accusato in tribunale.
L’attore ha recentemente finito di girare due film: Red Machine, incentrato su una lotta senza quartiere contro un orso Grizzly scatenato e Parkland, ambientato sullo sfondo dell’assassinio di John Fitzgerald Kennedy. L’attore dovrebbe inoltre partecipare a Three Nigts, commedia ambientata nel mondo del baseball, ancora in fase di pre-produzione.
Fonte: CinemaBlend
James Cameron: novità sui sequel di Avatar
Atre anni e passa di distanza dall’uscita del primo capitolo, James Cameron continua a confermare l’intenzione di dare vita ad almeno due sequel delle vicende ambientare sul pianeta Pandora.
In una recente intervista il regista ha confermato essere al lavoro sui due film, riportando anche uno scambio di battute avuto recentemente con Peter Jackson: Cameron ha ricordato al regista della trilogia del Signore degli Anelli che lui ha avuto vita facile, avendo già a disposizione i libri su cui basarsi; Cameron si è dovuto invece costruire da solo le proprie storie. Attualmente ne è pienamente coinvolto e, in pratica, vive su Pandora.
Cameron ha rivelato che il lavoro sta proseguendo spedito, quasi scrivendosi da solo. Il regista sta attualmente lavorando ai film nella sua residenza in Nuova Zelanda, uno scenario che ricorda molto da vicino quello del pianeta Pandora.
Il primo Avatar è stato il più grande successo commerciale della storia del cinema, ma Cameron afferma che questo non gli crea molta pressione; certo i sequel comportano sempre qualche problema, perché bisogna sorprendere lo spettatore, ma anche soddisfarne le attese, oltre a continuare a offrirgli tutto ciò che hanno conosciuto e amato del primo film.
Al momento il regista non ha ancora offerto una data di uscita per il primo sequel, sebbene inizialmente i due film fossero stati programmati rispettivamente per il dicembre 2014 e lo stesso mese del 2015.
Fonte: ComingSoon.Net
David Goyer parla di Man of Steel
A intrigare i fan dell’Uomo d’Acciaio è lo sceneggiatore David Goyer, che riferendosi ai teaser e ai trailer recentemente lanciati per annunciare il film, ha dichiarato che costituiscono solo la punta dell’iceberg e che c’è tantissimo che il pubblico ancora non sa.
Goyer ha sottolineato in proposito che si è voluto seguire l’esempio di Nolan e dei suoi film dedicati a Batman, sul quale fino all’ultimo il regista ha voluto mantenere più segreti possibile.
Riguardo la supposta oscurità del film, Goyer ha affermato che realistico non vuol dire per forza ‘dark’, spiegando che affrontare il personaggio come se fosse stato il Cavaliere Oscuro sarebbe stato un errore: i film di Batman sono molto più nichilisti; quella di Superman è invece sempre stata una storia all’insegna della speranza.
Superman uscirà il prossimo 14 giugno in 3D, 2D e Imax; del cast fanno parte Henry Cavill, Amy Adams, Michael Shannon, Kevin Costner, Diane Lane, Laurence Fishburne, Antje Traue, Ayelet Zurer, Christopher Meloni, Russell Crowe, Michael Kelly, Harry Lennix e Richard Schiff.
Tutte le info utili nella nostra Scheda Film: L’uomo d’Acciaio. Tutte le news nel nostro speciale: Superman: Man of steel. Di seguito la foto gallery completa del film:
Tom Hooper dirigerà il biopic dedicato a Freddie Mercury?
Di un film dedicato alla vita di Freddie Mercury si parla ormai da un paio di anni: nel corso del tempo sono arrivate notizie frammentarie e abbastanza isolate a riguardo, senza che il progetto sia al momento effettivamente decollato.
Mentre sembra confermato che il ruolo del cantante dei Queen sarà interpretato da Sacha Baron Cohen, arrivano oggi novità riguardo la regia: ad essere accostato al progetto è ora Tom Hooper, reduce dal successo de I Miserabili, nel cui cast peraltro era presente anche lo stesso Cohen. La notizia al momento non ha però trovato alcuna conferma ufficiale.
Il film seguirà le vicende di Mercury e dei suoi compagni di strada dalla formazione del gruppo fino alla partecipazione al Live Aid nel 1985 che sancì il culmine della loro carriera. Il progetto ha ottenuto l’appoggio degli altri componenti del gruppo, che potrebbero anche esserne trai produttori; la sceneggiatura è stata scritta da Peter Morgan (The Queen, Frost / Nixon).
Fonte: First Showing.Net
Amadeus: recensione del film di Miloš Forman
Amadeus è un film del 1984 diretto da Miloš Forman con protagonista F. Murray Abraham, Tom Hulce, Elizabeth Berridge, Simon Callow, Jeffrey Jones, Roy Dotrice, Christine Ebersole, Richard Frank, Cynthia Nixon, Charles Kay, Vincent Schiavelli, Patrick Hines.
Trama: Vienna, 1823.
Durante la sua permanenza in manicomio, il compositore Antonio
Salieri narra la funesta ammirazione provata nel corso della sua
vita per Wolfgang Amadeus Mozart.
Consapevole della propria mediocrità, Salieri ripercorre l’invidia suscitata dal genio dell’esuberante rivale, mutata poi in tragica ossessione. Tra follia, adorazione e intimi dissensi inestinguibili, l’ostilità di Salieri nei confronti di Mozart alimenta la più ampia conflittualità fra Salieri e Dio.
Analisi:
“Tramite quel piccolo uomo, Dio riusciva a far giungere a tutti la propria voce, irrefrenabilmente, rendendo più amara la mia sconfitta ad ogni nota”
Amadeus è uno dei capolavori intramontabili della storia del cinema. La pellicola diretta da Miloš Forman non è un vero e proprio biopic, ma una rappresentazione senza tempo di un grande dilemma che tormenta l’essere umano: l’eterno conflitto interiore.
Amadeus è una strepitosa messa in scena della presunta rivalità tra il geniale Wolfgang Amadeus Mozart e il compositore di corte Antonio Salieri, considerato il migliore autore musicale a Vienna sino all’arrivo del talentuoso enfant prodige salisburghese. Amadeus è tratto dall’opera teatrale di successo di Peter Shaffer, rappresentata negli anni settanta e ispirata a un dramma scritto da Aleksandr Sergeevič Puškin in cui si narra la (mai realmente documentata) opposizione tra Salieri e Mozart, ipotizzando l’avvelenamento di quest’ultimo a opera del compositore italiano.
Come mostrato superbamente nel film, Salieri è infatti invidioso del talento prodigioso di Mozart, un “vanaglorioso, libidinoso, sconcio, infantile ragazzo”. A dispetto dell’astio del tormentato compositore di corte, la musica di Mozart costituisce l’incarnazione di Dio in tutta la sua sublime essenza. Questo il dramma per Antonio Salieri: consapevole della propria mediocrità – malgrado il sincero desiderio di onorare Dio con la sua musica – Salieri è impotente di fronte alla grandiosità e all’armonia dell’arte di Mozart.
Tra implacabile ammirazione e fatale invidia, l’uomo si ribella all’ingiustizia di Dio, che ha scelto un “fanciullo osceno” come proprio strumento, e si impegna a ostacolare la creatura terrena per trionfare sull’irrisione divina, emblematicamente riconosciuta nella squillante risata di Mozart.
Del resto
Amadeus (Theophilus) significa proprio
“amato da Dio”, mentre Salieri è costretto non solo a misurarsi con
quel schiacciante senso di mediocrità che chiunque coltivi un
talento riconosce nel proprio essere, ma deve anche fronteggiare un
Dio che, ai suoi occhi, si beffa di lui.
F. Murray Abraham dà vita al tormento, alla follia e allo straziante rigore di Salieri nella sua triplice lotta con se stesso, Dio e Mozart. L’attore si mimetizza perfettamente nella maschera dell’anziano Salieri dalla potente espressività, così come nei tratti del compositore che convive con il crescente strazio suscitato dal talento e dall’esuberanza di Mozart. Quest’ultimo è interpretato da uno straordinario Tom Hulce, che anima il film con la sua baldanza e spavalderia, restituendoci l’immagine di una rock star ante litteram, terreno nella sua sregolata condotta, fanciullesco, sfrontato e sicuro di sé, ma divino nell’armonia imperturbabile della sua musica. L’attore suona davvero ogni singola nota al piano, persino nell’iconica scena in cui suona disteso all’indietro.
Amadeus
Le perfette interpretazioni dei due protagonisti rappresentano una lezione di recitazione e sprigionano un impressionante magnetismo nella parte finale, in cui Mozart detta a Salieri il Confutatis sul letto di morte. Benché si tratti di una licenza che esula dalla storicità, la scena è di una suggestione impressionante non soltanto per la prova da manuale dei due interpreti, ma anche per la carica emblematica della situazione: Salieri non riesce a comprendere la frenetica dettatura di Mozart, al quale ogni complicato passaggio e virtuosismo appare invece chiaro e semplice. L’affaticato tentativo di Salieri di seguire il ritmo del geniale rivale è la sua ultima sconfitta, giacché la celeste armonia di Mozart rischia di essere offuscata dal pietoso intento di assimilare la sua gloria: il prezzo da pagare è il tormento esistenziale.
La sontuosa regia di Miloš Forman dipinge l’opulenza e l’ottusità di una corte sfarzosa che trova difficoltà ad adattarsi alla freschezza e all’originalità delle composizioni di Mozart, la cui immortalità è sancita all’indomani della sua morte.
A metà fra tragedia dell’umano, esaltazione del talento, farsa e spiccata teatralità, Amadeus è una pellicola fatta di contrasti perfettamente orchestrati, di luci e ombre, di gioiosa musicalità (Il Ratto del Serraglio, Le Nozze di Figaro, Il Flauto Magico) alternata a inquietanti rappresentazioni (su tutte, la lugubre sublimità del Don Giovanni, uno dei momenti più alti del film).
Senza contare su una
colonna sonora apposita, Amadeus fa uso strepitoso
delle musiche e delle opere di Mozart sino alla solennità del
Requiem incompiuto, commissionato da un misterioso individuo
dall’angosciante maschera (nel film, si tratta di Salieri) e che
chiude questa ammaliante sinfonia visiva.
La spettacolare pellicola ha conquistato innumerevoli premi, tra cui ben otto Oscar (film, regia, attore protagonista – F. Murray Abraham, sceneggiatura non originale, costumi, scenografia, trucco, sonoro), quattro Golden Globe, quattro Bafta e tre David di Donatello.
Nel 2002 è uscita una versione con venti minuti aggiuntivi. La Director’s Cut è un arricchimento perfetto e appositamente ridoppiato nell’edizione italiana (eccezionale soprattutto il lavoro svolto da Massimiliano Alto che dà voce a Mozart).
Amadeus è un’opera magniloquente e ipnotica, in grado di celebrare al tempo stesso la miseria e la grandezza dell’uomo e la secolare risonanza della sua arte.
Lolita: recensione del film di Stanley Kubrick
Lolita è il film del 1962 di Stanley Kubrick con protagonisti nel cast James Mason (Prof. Humbert), Shelley Winters (Charlotte Haze), Sue Lyon (Lolita) e Peter Sellers (Clare Quilty)
Trama del flm Lolita: Il professore Humbert, cinquantenne divorziato, lascia l’Europa e si trasferisce in America per tenere una serie di conferenze. Va a pensione presso la signora Haze, petulante vedova che presto cerca di sedurlo.
La donna ha una figlia adolescente, Dolores, detta Lolita: Humbert se ne invaghisce morbosamente, e arriva a sposare la vedova per restare in America e non staccarsi dalla ragazza. Dopo pochi mesi di matrimonio, la signora Haze viene investita mortalmente: si realizza così un ferale progetto già accarezzato, e per poco non messo in atto, dal professore, che può dedicarsi al suo malato sogno d’amore e possesso per Lolita. Tra i due nasce una torbida e intermittente liason, su cui gravano i sensi di colpa del protagonista, gli occhi indiscreti della folla e un ambiguo e astuto scrittore, Clare Quilty, ben deciso a far sua Lolita.
Lolita, l’analisi
Lolita, tratto dall’omonimo romanzo di Vladimir Nabokov, è il sesto lungometraggio di Stanley Kubrick, penultimo in bianco e nero. Il cineasta affida a Nabokov la sceneggiatura e sfrutta il romanzo del russo (che gli offre ottime sponde) per raccontare l’asfissiante storia del desiderio del professor Humbert per l’adolescente Lolita. Un pervasivo mix di ironia e di grottesco, fedeli militi kubrickiani, preserva salutarmente il film da baratri melodrammatici.
Il racconto è diviso in due macroblocchi dalla morte della signora Haze; nel primo, si stringe attorno al protagonista Humbert una prigione fatta di convenzioni sociali, avances indesiderate e lotta (persa in partenza) col desiderio; nel secondo, il personaggio di James Mason è attanagliato dal sentimento morboso per Lolita, fino ad esserne logorato. La gabbia è continua, crudele, una persecuzione opprimente: se ne scappa colo con rimedi e gesti estremi.
Lolita, il capolavoro di Stanley Kubricl
Come accade nel romanzo, anche nel film l’erotismo e lo scandalo sono costruiti per sottrazione, dicendo e mostrando poco: la sessualità cade sotto i colpi delle ellissi o si fa parola sussurrata in un a parte a spese dello spettatore; e la sensualità di Lolita è tutta nel di lei piede che ingombra lo schermo mentre scorrono i titoli d’apertura.
Giova all’intero film l’incipit con un fatto di sangue che si verifica alla fine della storia, permettendo allo spettatore di concentrarsi sull’evoluzione del rapporto Humbert-Lolita e sulle viscide scorribande di Clare Quilty, personaggio che con le sue trovate e i suoi travestimenti di dimostra attore (fingendo dentro la finzione) in gamba almeno quanto quel grande Peter Sellers che gli dà vita, e che con il suo estro improvvisato – è cosa nota – ha modellato la scrittura del film.
Sottile l’utilizzo della voce narrante: è Humbert che parla, racconta, con interventi utili all’organizzazione del racconto. Si tratta di una voce di natura misteriosa: a fine film, fatti alla mano, allo spettatore più attento verrà da chiedersi da quale “luogo narrativo” il professore si esprima.
C’è un Kubrick sottile e meno adatto alle t-shirt, tutto da scoprire (senza rinnegare i ragionevoli culti di Arancia Meccanica e simili): Lolita ne è un’assolata e imperdibile creatura.
Shark Tale: recensione del film con la voce di Will Smith
Shark Tale è il film d’animazione del 2004 di Eric Bergeron, Vicky Jenson e Rob Letterman e con le voci di Will Smith, Jack Black, Robert De Niro, Renée Zellweger, Angelina Jolie e Martin Scorsese.
- Anno: 2004
- Regia: Eric Bergeron, Vicky Jenson, Rob Letterman
- Cast: Will Smith, Jack Black, Robert De Niro, Renée Zellweger, Angelina Jolie, Martin Scorsese
Shark
Tale Trama: Oscar (Will Smith) è
un un umile pesciolino che lavora al lavaggio Catacei locale e
cerca di cambiare la sua vita: il caso mette sulla sua strada Lenny
(Jack Black), squalo vegetariano emarginato dalla
famiglia che cerca la comprensione e l’affetto del padre, il
temibile Boss Don Lino (Robert DeNiro): complice
una piccola bugia, i due diventeranno amici e cercheranno insieme
di cambiare il proprio destino e realizzare i loro sogni.
Analisi: La rivalità fra la Pixar e la DreamWorks per il controllo dell’animazione è storia antica: è vero che la seconda si è sempre distinta per un taglio decisamente irriverente e per un particolare gusto per la parodia e il citazionismo, ma se oggi la distanza fra le due si va assottigliando sempre di più grazie a un notevole innalzamento della qualità generale ( segnato in particolare dallo splendido Dragon trainer del 2010)in passato la battaglia non è sempre stata combattuta ad armi pari e a colpi di originalità: dopo che la Pixar ci aveva deliziato con l’avventura di un piccolo e coraggioso pesce pagliaccio con alla ricerca di Nemo, la casa rivale ha tentato quindi di cavalcare l’onda dell’appeal del mondo sommerso con Shark Tale, lungometraggio d’animazione in CGI diretto da Eric Bergeron, Vicky Jenson e Rob Letterman.
Shark Tale, il film d’animazione della DreamWorks
Assecondando il marchio di fabbrica tipico della Dreamworks, Shark Tale sceglie di sfruttare le potenzialità offerte dal mare e dai suoi abitanti per costruire un una parallela realtà metropolitana, vera e propria versione subacquea di New York completa di Time Square e cronisti d’assalto della CNN: naturalmente, l’organizzazione criminale abituata a tenere in scacco la società non poteva che essere composta da Squali, che in rispetto alla tradizione del cinema di genere spadroneggiano sul fondale armati di accento siciliano e cattivi propositi.
Ciononostante, a differenza di quanto suggerito
dal titolo, Shark Tale non è alla fine la
storia di uno squalo: il piccolo Lenny, figlio del Boss Don Lino e
rifiutato dagli altri della sua specie perché vegetariano, è senza
dubbio l’erede designato dalla Dreamworks per
prendere il posto di Nemo e della sua pinna atrofica affermando la
propria diversità, ma appare chiaro sin dalle prime scene che il
vero protagonista della storia è il pesciolino Oscar, simpatica
canaglia senza un soldo che cerca di vivere una vita migliore di
quella che il destino ha scelto per lui; questa scelta narrativa,
che predilige un personaggio spigliato a un altro timido e
impacciato, si sposa bene col tono pop del film ma fa perdere del
tutto il fuoco degli eventi, annacquati da una sceneggiatura che
procede a tentoni e senza alcuna trovata interessante fino ad
arrivare a un finale rassicurante come da canone ma non per questo
particolarmente coinvolgente.
Se i colori sgargianti e il character design antropomorfo, modellato ad hoc sul volto degli attori che hanno dato le voci ai protagonisti del film, sono senza dubbio il frutto di un lavoro tecnicamente pregevole e accurato, la freschezza della pellicola finisce soffocata da un doppiaggio nostrano che rinuncia a star del calibro di Will Smith, Jack Black, Robert De Niro, Renee Zellweger e persino Martin Scorsese per lasciar entrare Tiziano Ferro, Luca Laurenti, Luisa Corna e Cristina Parodi.
Non incoraggiato da un plot sostanzioso, il sottile omaggio agli schemi del gangster movie di Shark Tale si avvita su sé stesso e inizia a imbarcare acqua portandosi ad un livello di noia pericolosa, persino per i più piccoli che sono ansiosi di trovare meraviglia e fantasia e non vogliono accontentarsi: vivere in fondo al mar va benissimo, ma con stile.
C’era una volta il western all’italiana: viaggio alla riscoperta di un genere.
C’era una volta il western all’italiana. Siamo ormai nei primi anni sessanta e l’ambientazione, tra polvere e praterie, è già stata ampiamente sfruttata negli Stati Uniti consegnando al mondo una serie di successi cinematografici realizzati, appunto, di là dell’oceano. Tutto era iniziato fin dai primi del ‘900, con The great train robbery, un film muto, uno dei primi lavori ambientati nel selvaggio west. Sono però gli anni ‘30 e ‘40 a veder nascere le migliori espressioni del genere, opere sintetizzabili con la mente registica di John Ford e il volto di John Wayne. Negli anni successivi i western avrebbero perso gradualmente d’interesse fino, appunto, agli inizi degli anni sessanta, quando una svolta a livello di temi e costruzione dei personaggi ridarà nuova linfa a un genere che sembrava ormai destinato al declino. Quello che nessuno degli addetti ai lavori avrebbe mai immaginato, però, è che questa rinascita potesse avvenire in Italia e raggiungere un successo di pubblico tale da accostarsi, e a tratti addirittura sopravanzare, i western classici di stampo statunitense.
Gli “spaghetti” western, così denominati in onore della loro provenienza geografica, nascono tra gli anni ’60 e ’70. Il risultato sarà un netto revisionismo del western inteso in senso classico, attraverso una serie di caratteristiche peculiari che li distaccheranno completamente dai “cugini” americani. In primo luogo niente eroi buoni alla John Wayne, niente epica del west americano, eliminazione totale degli stereotipi principali perpetrati nei western di stampo statunitense, che erano, come logico, una sorta di elogio alla loro storia.
Le pellicole a stelle e strisce ci mostrano personaggi idealizzati, pieni di buone intenzioni e dotati di una morale perfettamente integra, totalmente finalizzata al raggiungimento della giustizia o dell’amore romantico. Nei western all’italiana tutto questo non esiste. Evidente, innanzitutto, l’assenza di veri e propri eroi. I protagonisti, al contrario, sono rappresentati spesso come dei puri antieroi o, ad ogni modo, la distinzione tra buoni e cattivi non è per nulla marcata. Furbi, cinici, spesso sporchi e trasandati, doppiogiochisti e privi di scrupoli, dotati di una particolare, cruda ironia. La totalità dei personaggi introdotti nell’intreccio narrativo è mossa da fini puramente egoistici. Spesso la molla è quella più futile, meno moralmente accettabile, la sete di denaro.
Gli stessi scenari, pur partendo da una comune ambientazione, sono altrettanto crudi. Le verdi praterie vengono abbandonate in favore di paesaggi brulli e polverosi o di piccoli paesi dimenticati da Dio e immersi nel fango. Le location per queste produzioni erano situate in paesi del Mediterraneo, in particolar modo Spagna e Italia, a causa del budget limitato che solitamente avevano a disposizione, almeno prima di raggiungere un discreto successo di pubblico. Saloon, chiese e cimiteri, feroci sparatorie e scene di pura violenza, amputazioni, pestaggi e torture, che avrebbero ispirato, tra gli altri, un regista come Tarantino. Basti pensare a Django di Sergio Corbucci e al taglio dell’orecchio di un sudista da parte degli uomini del generale Hugo, ripreso anni dopo in uno dei passaggi memorabili del film Le Iene.
Nomi
indimenticabili: Django, Sentenza, Sartana, Trinità, interpretati
da una serie di attori di grande livello, la maggior parte divenuta
celebre proprio grazie a queste produzioni. Primo fra tutti
Clint Eastwood, scelto da Sergio Leone per
interpretare il ruolo principale nel film
Per un pugno di dollari quando ormai non lavorava
da ben cinque anni nel cinema e, si dice, si manteneva lavorando
part-time presso una pompa di benzina. Eastwood sarebbe diventato,
negli anni successivi, l’attore simbolo dell’intero genere. Con lui
Franco Nero, Giuliano Gemma, Bud Spencer e Terence Hill,
Volontè, Tomas Milian, Lee Van Cleef, Eli Wallach, per citare
solo i più noti. Più tardi anche attori già affermanti presero
parte ad alcune pellicole, come Charles Bronson e Henry
Fonda, protagonisti di
C’era una volta il west, film del 1968 diretto
dal genio registico di Sergio Leone.
Proprio il regista romano sarà il massimo esponente del genere, unico universalmente riconosciuto fin dagli esordi, ammirato anche dai colleghi americani. Altri produttori e pellicole, al contrario, dovettero aspettare gli anni ‘80 prima di essere rivalutate. La trilogia del dollaro, iniziata da Leone con Per un pugno di dollari e proseguita con Per qualche dollaro in più e Il buono, il brutto, il cattivo, ebbe un grande successo e diede una spinta che rivoluzionò il genere western, portando sugli schermi elementi di crudo realismo, di cui anche le produzioni statunitensi dovettero tenere conto.
Gli spaghetti western non sono, però, solo Sergio Leone. Sono Sergio Corbucci, Duccio Tessari, Sollima, Castellari, Barboni e tanti altri ancora. Registi che, ognuno con il proprio stile, daranno vita a diverse correnti all’interno del genere, riassumibili in tre filoni principali.
Il primo vede come principali autori Leone e Corbucci, ed è caratterizzato dalla presenza di un protagonista solitario, dal passato misterioso, molto abile con la pistola, in cerca di vendetta o denaro. Il Biondo nella trilogia del dollaro, Django nell’omonimo film di Corbucci, sono esempi principe di questo particolare tipo di personaggio. L’uno animato dalla sete di denaro (come lasciano intendere i titoli, Per un pugno di dollari e Per qualche dollaro in più) senza badare troppo ai metodi usati per raggiungerlo, l’altro alla ricerca di vendetta per la morte della moglie, avvenuta mentre si trovava a combattere la guerra civile.
Il secondo filone è
invece di tipo politico, spesso ambientato tra i rivoluzionari
messicani, ispirato a Damiani e Sergio Sollima. Sollima, ad
esempio, inseriva nei suoi film riferimenti politici a Che Guevara
e alle lotte nel Terzo Mondo, al punto che il suo personaggio
Chuchillo, apparso prima in La resa dei conti e poi
Corri uomo corri e interpretato da Tomas Milian,
divenne un simbolo per i giovani di lotta continua.
Un terzo filone, dal taglio più leggero e comico, è invece percorso da Enzo Barboni alias E.B.Clucher, regista di Lo chiamavano Trinità e Continuavano a chiamarlo Trinità, film che ebbero un enorme successo commerciale al punto che il secondo fu addirittura campione di incassi assoluto della stagione 1971/72 e, ancora oggi, detiene il record di spettatori nella storia del cinema italiano. Un filone che prolungò l’epopea degli spaghetti western fino ai primi anni ’80, dopo i quali il genere entrò in una crisi dalla quale non si risolleverà più.
Oggi il western all’italiana è un genere tutto da riscoprire, grazie alle attenzioni degli ultimi anni, con la retrospettiva che l’ha omaggiato alla Mostra del Cinema di Venezia del 2007, e con l’uscita, nel 2012, del film Django Unchained, realizzato da un estimatore come Tarantino e carico di citazioni alle pellicole del periodo.
Come Pietra Paziente: recensione del film con Golshifteh Farahani
In Come Pietra Paziente in un paesino senza nome dell’Afghanistan, una donna (Golshifteh Farahani) veglia il marito (Hamidreza Javdan) in coma. Lui è un eroe di guerra ferito da una pallottola al collo, lei un’invisibile compagna rimasta sola ad accudirlo. Fuori, nelle strade e nelle case, gli scontri e i bombardamenti, i miliziani che uccidono i civili, la mancanza di cibo e di acqua.
Disperata per la sorte che le toccherà se dovesse morire il marito, lei lo accudisce con cura, nella speranza che lui si risvegli. Le sue attenzioni, però, col tempo mutano: potendo parlare con il suo uomo senza ottenere risposte né giudizi, la donna lentamente comincia a svelare al compagno incosciente i suoi pensieri, i suoi sentimenti, le sue paure, i suoi segreti. Un giorno un miliziano (Massi Mrowat) irrompe in casa sua e, scambiandola per una prostituta la costringe a fare sesso, facendola sentire inizialmente in colpa e usata, ma poi, incontro dopo incontro, viva e desiderata, cosciente di sé e del suo corpo. Il marito, chiuso nel suo sonno forzato, resta immobile ad ascoltare, come la Pietra Paziente della leggenda; una pietra a cui si può confidare tutto e che, una volta distrutta, compie la magia di liberare da ogni sofferenza.
Come Pietra Paziente, il film
I personaggi di Come Pietra Paziente non hanno nome, ma solo il loro ruolo: la protagonista è moglie, madre, amante, amata, l’uomo è un marito, un eroe, un guerriero e il giovane che si invaghisce di lei è un ragazzo, un miliziano, una vittima e un innamorato. Così il film diventa una metafora universale e un percorso di liberazione dall’oppressione del silenzio, di tutti i silenzi. Le parole della donna da pudiche diventano sempre più audaci, le rivelazioni meno trattenute e questo monologo che scorre come un flusso quasi fisico da lei al marito ripristina un equilibrio di potere e di importanza in una società, come quella afghana, che fa del disequilibrio di genere e della repressione sessuale il suo tratto dominante.
Tratto dal romanzo Pietra di Pazienza, dello scrittore Atiq Rahimi nel film in veste di regista, Come Pietra Paziente si impone per il suo ritmo discontinuo, le sue inquadrature in lento movimento, i suoi dettagli e per l’effetto provocato dalla commistione della voce della bravissima Golshifteh Farahani e le immagini che scorrono sullo schermo.
L’abuso del parlato e la scelta di rappresentare una sorta di monologo interiore, inizialmente straniante, é decisamente funzionale alla riuscita del film e soprattutto al messaggio che sembra voler veicolare, poiché la protagonista, grazie alle parole e attraverso le parole, smette di essere la serva invisibile del marito e acquista sostanza, diventando un corpo pulsante, una mente riflessiva, una donna, un profeta.
Come Pietra Paziente che mostra come i regimi si possano abbattere dall’interno delle mura di una casa, semplicemente infrangendo il silenzio. In sala dal 28 marzo.
Dopo Veronica Mars il film su Chuck di Zachary Levi?
Il successo della colletta avviata da Kristen Bell e Rob Thomas è ormai diventato un precedente positivo per le trasposizioni possibili di serial tv di successo, ebbene a pochi giorni dalla notizia arriva il twitt si Zachary Levi che è desideroso di riproporre l’esperienza per il suo Chuck.
Ecco i suoi due twitt:
- Prima di tutto congratulazioni a Kristen Bell e Rob Thomas per aver aiutato il mondo dell’intrattenimento a muoversi nella direzione in cui ho sempre sperato sarebbe andato…
Seconda cosa, a tutti i fan di Chuck, sappiate che questa notizia non fa che alimentare la mia fiducia sul fatto che io possa fare qualcosa per portare sul grande schermo un film di Chuck. Abbiate pazienza e rimanete in contatto… #chuckmovie
Quindi, dopo il film su Veronica Mars bisogna aspettarsi quello su Chuck?
Fonte: Twitter