Entertainment Weekly ha pubblicato oggi nuove foto e i ritratti dei protagonisti dei Vendicatori. L’attesissimo film che riunisce tutti gli eroi dell’universo Marvel visti fin’ora al cinema.
Il fumetto Area 52 sarà presto un film!
Amici di Letto: recensione del film con Justin Timberlake
Jamie e Dylan sono belli, giovani, in carriera ed entrambi disincantati. L’amore non esiste, e quindi perché non fare sesso e basta senza complicazioni sentimentali? – Le premesse di Amici di Letto (Friends with Benefit) sono praticamente identiche a quelle di Amici, amanti e… visto qualche mese fa. L’unica eccezione sono i protagonisti: da un lato Natalie Portman e Ashton Kutcher bellissimi e tanto romantici, dall’altro Mila Kunis e Justin Timberlake, un vero e proprio concentrato di erotismo, una coppia che fa scintille e ne dice di tutti i colori.
La commedia in questione ha come punti di forza infatti i due protagonisti, perfettamente assortiti, e i dialoghi, sboccati, divertenti e taglienti, tuttavia come ogni commedia che si rispetti il risultato è scontato. Tutti si aspettano esattamente quello che succede e nessuno rimane sorpreso. Non che un film debba per forza sorprendere, può anche felicemente intrattenere, ma un po’ di coraggio ogni tanto andrebbe mostrato, 500 giorni insieme docet. Al timone Will Gluck, lo stesso che ha portato sullo schermo il geniale Easy Girl con Emma Stone (qui in una piccola parte), che qui però pecca di pigrizia e realizza grandi ritratti di New York e di Los Angeles perdendo però il filo del racconto nella seconda parte e allungando troppo. Amici di Letto si fregia però di un grandissimo Woody Harrelson, gay impenitente e volga rotto nell’esprimersi ma dal cuore d’oro e dalla vista lunga.
Come è capitato già in altri casi le spalle sono i personaggi scritti meglio, e qui lo stereotipo dell’amico gay è sfruttato bene facendogli cambiare fronte: è la spalla di lui e non di lei. Come abbiamo già accennato la coppia protagonista crea una bella alchimia in scena merito sicuramente della bravura di Timberlake e del magnetismo degli occhi della Kunis, due autentici fari. Amici di Letto è una buona commedia che pecca di qualche lungaggine ma diverte, intrattiene e indulge nello scontato happy end che il pubblico di tutti i paesi e tutte le età non si è ancora stancato di guardare.
Rooney Mara nel remake di Oldboy
Dominic Cooper diventerà un ex carcerato
Annunciati al RomaFictionFest gli incentivi regionali alla fiction
La Spagna non candida Almodovar all’Oscar!
Luca Bernabei parla della sua Cenerentola al RomaFictionFest
Abduction: recensione del film con Taylor Lautner
Arriva al cinema Abducation, il film thriller diretto da John Singleton e con protagonisti Taylor Lautner e Lily Collins. In Abduction Nathan (Taylor Lautner) è in apparenza un normale adolescente di famiglia benestante, che occupa il suo tempo tra le ricerche scolastiche, le feste e le ragazze. Proprio a causa di un compito a casa, incapperà in una sua foto da bambino, inserita in un database di persone scomparse.
Questo avvenimento lo porterà a voler indagare la verità sulla sua vita, atto che lo porterà ad attraversare Stati, saltare giù da treni e scivolare sulle vetrate di un ascensore di uno stadio di baseball mentre fugge dallo spietato Kozlow, l’assassino di sua madre e dei genitori adottivi. Applicare il sistema Bourne ad un ragazzo che va ancora al liceo. Questa deve essere l’idea che è venuta in mente allo sceneggiatore Shawn Christensen, che ha trovato supporto nella produzione, che gli ha effettivamente affiancato buona parte del team che ha realizzato la trilogia dell’agente della CIA con memoria resettata, interpretato da Matt Damon.
Nathan, però, al contrario di Bourne, ha fin troppe identità, visto che scopre di avere due famiglie, oltre che di avere un destino segnato. Come Bourne, però, ci sono i viaggi, i soldi, l’azione, la prestanza fisica del protagonista, Taylor Lautner, che, alla sua prima prova da protagonista, tenta da un lato di scrollarsi di dosso il personaggio di Jacob della trilogia saga di Twilight, ma allo stesso tempo non delude le sue fan, che posso ammirarne prestanza e agilità già nei primi 15 minuti di film.
Abduction, il film
Il film è infatti più che altro costruito sul personaggio interpretato da Taylor, per attirare un pubblico diversificato, sebbene comunque di target adolescenziale, in sala, piuttosto che su di una storia originale, visto che di Bourne Identity si ricalcano perfettamente i ritmi e lo sviluppo.
Le famiglie protagoniste non sono esattamente comuni, tutte addestrate alle arti marziali e con programmi di vacanze in barca di settimane, Nathan non è un ragazzo comune già nella sua vita prima di scoprire di essere ricercato da un criminale internazionale.
A dare un punto di vista diverso e un tocco che non stia semplicemente ad contemplare le gesta del protagonista ci pensa la regia di John Singleton, autore assurto alla fama grazie a Boyz ‘n the hood che gli valse la candidatura all’Oscar come miglior regista a soli 24 anni, e che poi si è specializzato nei film d’azione da 2 Fast 2 Furious al remake del classico anni ’70 della Blaxploitation Shaft.
Infatti le scene d’azione, soprattutto la lunga sequenza del treno, sono ben montate e architettate per costruire tensione e azione.
A prendere in cura i due giovani protagonisti, due grandi attori come Sigourney Weaver e Alfred Molina che funzionano proprio da mentori e danno un maggiore corpo alla storia. Un film di per sé riuscito, che centra l’obiettivo di creare un “Bourne per le nuove generazioni”, anche se con alcuni aspetti decisamente da migliorare, primo fra tutti, capire come dare un seguito alla storia.
Céline Sciamma racconta il suo Tomboy
Wanted 2 è ufficialmente in produzione
A Dangerous Method: recensione del film di David Cronenberg
A Dangerous Method – Ogni opera di David Cronenberg è stata sempre difficile da decifrare, faticosamente collocabile all’interno di un qualsiasi tentativo di segmentazione proposto dalla odierna divisione in genere, che per certi versi con autori come il regista canadese può senz’altro aiutare nel comporre il puzzle concepito dalla sua mente, ma il più delle volte finisce per rappresentare un mero tentativo di semplificazione di fronte alla complicatissima e sfaccetta poetica cronenberghiana.
Il suo ultimo lavoro A
Dangerous Method sorprende molto. A prima vista si
presenta come un prezioso nuovo contributo a temi molto cari al
regista come la malattia, la deviazione patologica e la
degenerazione del corpo dell’individuo protagonista delle sue
storie; il che ben collima con l’acceso dibattito scientifico fra
il patriarca della psicoanalisi Freud e il giovane brillante Jung,
che non ha raccolto l’eredità lasciatagli dal predecessore. Ma
passata una prima parte interessante, la pellicola si dimostra
incapace di apportare un ulteriore contributo alla filmografia
dell’autore peccando in un’ingenua e troppo scontata fedeltà al
testo di riferimento, il libro di John Kerr Un
metodo molto pericoloso.
Tutto ciò relega A Dangerous Method ad una semplice trasposizione cinematografica priva di quegli spunti geniali che hanno permesso a David Cronemberg di affermarsi e di essere apprezzato. Il film privo della sua natura cronenberghiana sconfina in inusuali registri melodrammatici che sorprenderanno i fan del regista e entusiasmeranno i suoi detrattori. L’unico punto che lega il film alla vena d’autore è il concetto di metamorfosi, che qui è senz’altro ripreso ma che diventa quasi un gioco fra i due amanti, più una maschera intercambiabile che un effettivo cambiamento.
In tutto questo rimane ingabbiato anche il talentuoso cast del film composto da una brava Keira Knightley che forse pecca per un’eccessiva esasperazione dell’interpretazione e da un ormai onnipresente Michael Fassbender. Su tutti Viggo Mortensen, nel ruolo di Freud che seppure ammirevole, diventa un personaggio patinato da romanzo ottocentesco.
RomaFictionFest: la Sony presenta i suoi Pilota
RomaFictionFest: quarta giornata tra poliziotti e principesse
Terraferma di Crialese è la proposta Oscar per l’Italia
Tomboy: recensione del film di Céline Sciamma
Tomboy è un film sulla ricerca della propria identità, sull’avventura di crescere ritrovandosi a essere altro rispetto a ciò che si credeva. Tutto si incastra alla perfezione. Dal ritratto dei bambini a quello degli adulti e della famiglia. In Tomboy Laure ha 10 anni e si è appena trasferita, insieme ai genitori e alla sorellina Jeanne, in un nuovo quartiere di Parigi. Un po’ per gioco e un po’ per realizzare un sogno segreto Laure decide di presentarsi ai nuovi amici come un maschio Mickael. In questi nuovi panni è perfettamente accettato dalla comitiva. L’estate però sta per finire, tra poco inizierà la scuola e il gioco dei travestimenti piano piano si complica.
Con l’utilizzo della camera a mano Céline Sciamma cala il suo pubblico in un’atmosfera profondamente intensa. Lo fa dolcemente, con un tocco materno volto alla protezione, ma anche con poesia insita in ogni momento dell’opera, emozionando ininterrottamente lo spettatore. La seconda opera della talentuosa regista francese si impone per la sua straordinaria semplicità e per una naturalezza assoluta che spiazza e coinvolge lo spettatore. La Sciamma riesce a sviscerare, le personalità dei personaggi senza lasciare nulla al caso. Infatti, nonostante la profonda intensità delle situazioni ciò che prepotentemente emerge è proprio la descrizione e lo studio dei caratteri dei personaggi.
Tomboy, il film
Il dilemma che la protagonista vive rispetto la propria identità, scissa tra ciò che il suo corpo le impone d’essere e l’irrefrenabile desiderio della sua mente che desidera l’opposto, non scade mai in un’eccessiva drammatizzazione delle situazioni. I dialoghi non sono molti, Céline Sciamma lascia molto spazio all’intensità e all’espressività dei volti. I micromovimenti di questi visi, caratterizzati da una struggente bellezza, ci parlano di speranza, timore, gioia, paura, sensualità, facendoci comprendere quanto le parole siano superflue.
Non solo un film sull’infanzia, un’età che molti credono destinata all’innocenza, ma in realtà carica di sensualità e ambigue emozioni, ma sull’identità, in particolare sulla formazione e l’affermazione del proprio “io” più profondo in una delle più delicate stagioni della vita. La giovane regista gioca subito sull’identità ambigua della protagonista: con i capelli cortissimi e con i suoi vestiti da maschiaccio facciamo fatica a riconoscerla come una bambina.
Inoltre Céline Sciamma riesce a incorniciare perfettamente la sintonia e la complicità che nasce tra due sorelle. Il rapporto tra Laure e la piccola Jeanne, carico di un affetto incondizionato, commuove per la sua totale purezza di sentimenti. I piccoli interpreti sono straordinari. La loro è una recitazione naturale, semplice e divertita capace di esprimere senza alcuna falsità o caricatura un’età, l’infanzia, fondamentale per la formazione di un essere umano.
Snow White and the Huntsman: foto dal set
Snow White and the Huntsman procede nella sua fase di produzione, e dopo le immagini delle prove costume, i famosi first look, Rupert Sanders va avanti con le riprese,
Dark Shadows, nuove foto dal set
Ecco altre due foto dal set di Dark Shadows diffuse dalla Warner Bros. Oltre a Johnny Depp, Tim Burton dirigerà un cast molto importante: Chloe Moretz, Helena Bonham Carter, Eva Green, Michelle Pfeiffer, Christopher Lee e Jackie Earle Haley.
Pupi Avati in concorso al Festival del Film di Roma
Jennifer Aniston in Tv
James McAvoy potrebbe diventare Elton John
New Year’s Eve trailer originale
Oltre il mare: la conferenza stampa
Dopo l’anteprima del 26 settembre
all’Anica di Roma, Cesare Fragnelli, insieme al cast completo di
Oltre il mare, ha incontrato i giornalisti cercando di spiegare
l’obbiettivo che si è posto girando la pellicola: il regista
pugliese ha voluto semplicemente fornire un ritratto della gioventù
odierna, senza alcuno scopo didattico. Una fotografia semplice e
pura.
Oltre il mare: recensione del film di Cesare Fragnelli
Distribuito da Microcinema e in uscita nelle sale italiane il 30 settembre, Oltre il mare segna l’esordio di Cesare Fragnelli, regista pugliese autore di numerosi cortometraggi. Scenario delle vicende è Otranto, dove un gruppo di giovani universitari decide di trascorrere le vacanze estive. In Oltre il mare il gruppo è composto inizialmente da cinque ragazzi, Sergio (Alessandro Intini), Francesco (Alberto Galetti), Susan (Giulia Steigerwalt), Giordano (Nicola Mocella) e Guglielmo (Mario Claudio Recchia), accompagnati da tre amiche d’infanzia, Nicoletta (Carlotta Tesconi), Alessandra (Francesca Perini) e Carmen (Lidia Cocciolo). Presto però arrivano da Londra le tre nipoti del professor Ciampi (Cosimo Cinieri): Angie (Laura Bardiger), Mary (Loredana D’andrea) e Betty (Elizabeth Saragnese). Le giovani inglesi si aggregano al gruppo, e questo porterà i ragazzi a non badare più ai propri limiti, né tanto meno alle rispettive fidanzate e ai genitori in ansia.
Fragnelli offre al pubblico il ritratto della gioventù odierna, o perlomeno come lui la vede: troviamo il leader bello, carismatico e libertino, il ragazzo introverso alle prese con le pene d’amore, l’alternativo sinistroide, l’aspirante showgirl e le classiche studentesse inglesi incuriosite dall’Italia. Purtroppo fin dal primo momento si capisce come il regista, più che personaggi, abbia messo sul set degli stereotipi non solo noti, ma probabilmente anche superati: voler racchiudere un’intera generazione di ventenni in quattro-cinque modelli comportamentali risulta un tentativo molto azzardato, anche perché molti ragazzi non si riconosceranno affatto nei personaggi di Oltre il mare.
Tuttavia la maggior pecca della pellicola riguarda soprattutto la scarsa profondità dei protagonisti, caratterizzati da una psicologia debole e con un background inesistente. Ecco quindi che il film si snoda tra tradimenti, baldorie, gozzoviglie, rapporti sessuali a iosa (anche quelli omosessuali) e banali dialoghi: di fronte a questo susseguirsi di elementi a sé stanti si fatica a trovare il senso che il regista (forse) vuole trasmettere. Non bastano purtroppo un paio di scene drammatiche a rivitalizzare una sceneggiatura infarcita di banalità e luoghi comuni.
Unici elementi degni di nota sono rappresentati da un ottimo Cosimo Cinieri, nelle vesti del professor Ciampi, che grazia il finale del film con un discorso dall’altissimo valore poetico, e dal giovane Alessandro Intini, il solo attore a trasmettere vitalità e carisma. Chissà se per quest’ultimo non si prospetti una carriera degna di nota.
Paolo Costella racconta assieme al cast il suo Baciato dalla fortuna
A presentare questa
commedia brillante alla stampa, presso la Casa del Cinema, sono
intervenuti il regista, Paolo Costella e un nutrito gruppo di
attori (Vincenzo Salemme – protagonista nei panni di Gaetano, che
spera da una vita di vincere al lotto – Asia Argento, Nicole
Grimaudo, Alessandro Gassman, Dario Bandiera, Elena
Santarelli).
Once Upon a Time e Revenge: la ABC al RFF 2011
Gli ABC Studios hanno presentato a Roma, nell’ambito del RomaFictionFest, due nuove serie televisive che promettono di avere lunga vita e un buon successo di pubblico. Si tratta di Once Upon a Time e di Revenge
Monica bellissima su Elle Megazine
I Laureati di Leonardo Pieraccioni
I Laureati è il film noto del 1995 di e conLeonardo Pieraccioni, al fianco di Mariagrazia Cucinotta, Rocco Papaleo, Alessandro Haber, Gianmarco Tognazzi, Massimo Cecchirini.
In I Laureati Leonardo, Rocco, Bruno e Pino sono quattro universitari trentenni fuori corso, che vivono assieme in un appartamento di Firenze. In realtà, sono studenti solo sulla carta e la loro vita privata è tutt’altro che esaltante. Leonardo ha lasciato la moglie dopo pochi mesi di matrimonio, Bruno è iscritto all’università solo per compiacere il ricco suocero, Rocco si mantiene facendo il metronotte e Pino cerca un improbabile successo nel cabaret.
Lungi dal dedicarsi agli studi, i quattro tirano avanti tra momenti di divertimento goliardico ed altri di profonda malinconia, senza nessuna voglia di “crescere” e nessuna prospettiva per il futuro. Solamente il tentativo di suicidio dello strambo professor Galliano fornirà loro un’occasione per riflettere sul proprio futuro.
Mentre la stella di Francesco Nuti si spegneva lentamente fino a un tragico epilogo, un’altra stella toscana faceva breccia nel cielo del Cinema italiano. Parliamo di Leonardo Pieraccioni, fiorentino, che dopo una gavetta tra tv, locali e teatro, sforna questo suo primo lungometraggio nel 1995. Affidandosi a coloro che saranno a lungo suoi fedeli compagni di viaggio, Rocco Papaleo e Massimo Ceccherini, a un figlio d’arte, Gianmarco Tognazzi, alla bellezza prorompente di Maria Grazia Cucinotta e a un attore che non ha bisogno di presentazioni, Alessandro Haber, Pieraccioni propone un film fresco, frizzante, uno squarcio della provincia italiana che può adattarsi alle vite di molti trentenni italiani degli anni ’90.
Momenti di comicità a momenti di profonda malinconia
Il film alterna momenti di comicità a momenti di profonda malinconia. I protagonisti, di fatto, ricordano un po’ quelli di Amici miei. Ovvero persone che camminano su un filo sottile, sospeso tra due cime: da un lato la voglia di scherzare e godersi la vita illudendosi di essere eterni adolescenti, e dall’altro la consapevolezza di non potersi più gongolare. Pieraccioni, appena trentenne, è promosso a pieni voti anche davanti alla cinepresa; dimostrando di saper far ridere e di avere una certa personalità e disinvoltura pure sul grande schermo. La sua verve creativa come regista sarà mantenuta per tutta la seconda metà anni ’90, un periodo nel quale proporrà altri film di buona qualità quali Il ciclone, Fuochi d’artificio e Il pesce innamorato, mentre i film successivi peccheranno di ripetitività.I laureati fece anche la fortuna di Vittorio Cecchi Gori, da poco mandato quasi in bancarotta da un film costato una fortuna ma che fu un flop al botteghino: Occhio Pinocchio, di Francesco Nuti. La pellicola costò 2 miliardi di lire e ne incassò ben 15.
La bussola d’oro, il film fantasy con Nicole Kidman
La bussola d’oro è il film fantasy del 2007 diretto da Chris Weitz e con protagonisti Dakota Blue Richards (Lyra Bevacqua), Daniel Craig (Lord Asriel), Nicole Kidman (Marisa Coulter), Eva Green (Serafina Pekkala), Sam Elliott (Lee Scoresby), Christopher Lee (capo del Magisterium), Tom Courtenay (Fader Cortam), Derek Jacobi (Fra Pavel)
La bussola d’oro, la trama
Ci sono infiniti mondi e dimensioni parallele, oltre a quella sotto gli occhi di tutti: in una di queste, molto simile alla Terra di fine Ottocento ma con più tecnologia, sia pure mescolata con la magia, gli esseri umani hanno la loro anima incarnata nel Daimon, un animale che li accompagna fin dall’infanzia, cambiando forma fino a raggiungerne una definitiva.
Lyra, una bambina di oscure origini che vive nel Jordan College della Oxford di quel luogo, scopre l’esistenza della Polvere, una sostanza misteriosa che il Magisterium, l’organo di dominazione del suo mondo, ritiene l’origine del peccato. La ragazzina è costretta a fuggire dopo l’interesse nei suoi confronti dimostrato dalla misteriosa ed ambigua Marisa Coulter, e parte per un viaggio per svelare il mistero del suo mondo e di altri mondi. Le saranno accanto un orso guerriero in armatura, uno scienziato, i Gyziani, popolo nomade e spesso perseguitato, la strega Serafina Pekkala e forse suo zio lord Asriel, anche lui interessato ai poteri della Polvere.
La bussola d’oro Analisi
La crisi economica
del 2008 ha bloccato, ormai c’è dire praticamente a tempo
indeterminato, le possibilità di avere al cinema i due seguiti de
La bussola d’oro, dal primo romanzo della trilogia di
Philipp Pullman Queste oscure materie. Del resto, gli
incassi non erano stati esaltanti, forse anche a causa delle
polemiche di numerose associazioni religiose sui contenuti della
storia, ma anche perché il fantasy, genere trionfante al cinema
grazie ad Harry
Potter e a
Il signore degli anelli non è
riuscito poi a trovare, nel vasto panorama della narrativa
fantastica degli ultimi decenni, spesso di ottima qualità, degni
sostituti.
C’è da dire peccato, perché, oltre al valore intrinseco della saga di Pullman, da leggere sia per i ragazzi ma anche e soprattutto per gli adulti come inno alla tolleranza, alla libertà e come baluardo oltre ogni forma di oscurantismo, La bussola d’oro al cinema aveva dalla sua molti punti di forza e di interesse, anche se ha pesato sui fan la scelta non felice di chiudere il film in maniera diversa rispetto al libro, in cui veniva svelato il rapporto tra Asriel e Marisa e in cui Lyra si avviava verso nuove avventure.
La realizzazione del mondo di Lyra, così simile e così lontano dal nostro, in cui convergono suggestioni di tanta letteratura per ragazzi, Jules Verne in testa, è impeccabile, e la computer graphic, pur presente, non è ridondante ma al servizio della storia, e dona begli scenari e il personaggio di Iorek Byrnison, l’orso guerriero.
Ne La bussola d’oro il cast è ottimo, e se la giovane Dakota Blue Richards può candidarsi già a volto interessante del cinema futuro, se Daniel Craig e Nicole Kidman si confermano solidi ed affascinanti professionisti, meritano una menzione speciale la strega quasi eterna e conturbante della figlia d’arte Eva Green, una delle più interessanti interpreti del cinema degli ultimi anni non sempre in ruoli all’altezza, e il veterano del cinema anni Sessanta Tom Courtenay (era il marito bolscevico di Lara ne Il dottor Zivago e il militare che inchiodava il generale serial killer ne La notte dei generali) come scienziato alla Verne e amore invecchiato della strega.
La trama deLa
bussola d’oro è avvincente, la metafora del
Magisterium come Chiesa è un po’ edulcorata rispetto al romanzo ma
funziona lo stesso, i Daimon portano simpatia e tenerezza e la
scena in cui si cerca con l’intercisione di separare i bambini dai
loro Daimon è semplicemente terrificante.
Cercare di capire perché il tutto non ha funzionato non è facile: i costi erano alti, in tempi di crisi si preferisce non rischiare, forse la storia non è così facile e commerciale, e forse non si volevano infastidire troppo certe istituzioni, e tutte queste componenti hanno privato gli appassionati della saga letteraria di uno sviluppo al cinema, senza il personaggio fondamentale di Will, vero compagno di Lyra nella sua avventura, e senza gli sviluppi ulteriori di una vicenda che si distingue per la sua originalità e per il suo scegliere di non essere consolatoria come tanta letteratura fantastica, soprattutto quella destinata ad un pubblico di ragazzi.
La bussola d’oro è comunque un film da avere e da guardare, sia per gli appassionati del genere che per chi ama le belle storie, con accanto i libri che spiegano come il tutto andrà a finire davvero.