Gli anni ’70 furono un decennio
estremamente prolifico ed interessante per il settore televisivo,
in particolare in Italia, dove, nel giro di appena una decade, gli
ormai attenti ed esigenti spettatori nazionali ebbero modo di
entrare in contatto con film, serie a puntate e sceneggiati di
qualità sempre maggiore e dalle trovate ingegnose e avvincenti. Per
questo motivo furono gli stessi spettatori italiani a rimanere a
dir poco sorpresi e disorientati quando, dal 31 luglio al 14
settembre 1975, solo due anni prima che le prime trasmissioni a
colori facessero la loro comparsa sugli schermi nostrani, la
Programmazione Nazionale (conosciuta in seguito come Rai
1), mise in onda le 5 puntante da 60 minuti ciascuna di un
nuovo e perturbante sceneggiato televisivo dal misterioso titolo di
“Ritratto di donna velata”.
Ufficialmente etichettato come
appartenete al genere del giallo (equivalente spurio del
mystery francese), questo nuovo sensazionale prodotto
televisivo targato RAI venne girato in un evocativo bianco e nero
per la regia di Flaminio Bollini (ex attore e
autore televisivo di grandi titoli come Il
cenerentolo e I mostri
sacri) e sceneggiato da Gianfranco
Caligarich e Paolo Levi, i quali
impiegarono tutto il loro estro e le loro capacità drammatiche per
dare origine ad una narrazione sospesa fra le tinte del gotico
all’inglese e le più consolidate linee del thrilling poliziesco. La
storia stessa difatti si presenta come una vera commistione di
toni, che spaziano dalla pura suspance verso atmosfere
cupe e intriganti, il tutto condito con una sana dose di melodramma
da piccolo schermo e un’interessante catena di personaggi e di
misteri da svelare.
La vicenda si svolge
prevalentemente in Toscana, tra Firenze e Volterra, e ha per
protagonista un giovane scansafatiche di nome Luigi Certaldo
(Nino Castelnuovo), il quale, dopo aver fatto
l’improvvisa e piacevole conoscenza di una misteriosa studentessa
di arte chiamata Elisa (Daria Nicolodi), si trova
nel mezzo di strani avvenimenti e misteriose apparizioni
sovrannaturali che hanno come punto focale un’antica urna funeraria
etrusca che sembra nascondere un oscuro segreto, il tutto proprio
mentre in cui Luigi si trova a fare la conoscenza di personaggi
bizzarri e appare sempre più convinto che Elsa sia la
reincarnazione di una strana donna ritratta in un quadro del
‘700.
Apparso sugli schermi italiani in
un’epoca in cui lo sceneggiato storico in costume e i drammi
familiari tratti dal teatro facevano da padroni, Ritratto di
donna velata venne subito percepito dai contemporanei come
qualcosa di assolutamente unico e anticonvenzionale, anche se i più
esperti non mancarono già all’epoca di far notare la somiglianza di
temi ed atmosfere con altri celebri sceneggiati dal sapore
misterioso e sperimentale, come ad esempio i già affermati
Il segno del comando (1971),
A come Andromeda (1972) e
ESP (1973), oltre al
fantascientifico e contemporaneo Gamma
(1975), fino a spianare la strada per visionarie
produzioni successive del calibro di Il fauno di
marmo (1977).
Malgrado il mistero e la
fantascienza non fossero certo temi nuovi nelle sceneggiature per
la televisione, sicuramente Ritratto di donna velata
contribuì a concretizzare una perfetta miscela di diversi elementi
espressivi e narrativi, tutti incentrati sulla commistione fra
ambientazioni suggestive e spettrali, intrichi misteriosi fra
personaggi e situazioni bizzarre e soluzioni visive perturbati e
pervase da un clima di tensione perenne, complice in prima linea le
evocative locations toscane, permeate di antichi misteri e
terribili segreti esoterici. Fin dalla neutra sigla di apertura
infatti, nella quale compare l’ inquietante e filiforme silhouette
della famosa statua etrusca dell’Ombra della sera, lo
spettatore veniva catapultato in una dimensione onirica e
destabilizzante al sapore delle atmosfere metafisiche dei quadri di
De Chirico, una dimensione ricca di suggestione e carica di
interesse nel seguire i peregrinagli dei protagonisti in mezzo a
diroccati manieri antichi e grotte ancestrali, gran parte del tempo
sotto la plumbea ed abbacinante luce del sole.
Nino Castelnuovo,
apprezzato attore cinematografico già noto per ruoli di prestigio
in film come Rocco e i suoi fratelli
(1960) di Luchino Visconti, Il giorno più
corto (1963) di Sergio Corrucci e
Rose rosse per il fürer
(1968) di Fernando di Leo, viene chiamato a
cimentarsi nuovamente in un’apparizione televisiva dopo il grande
successo dello sceneggiato de I promessi
sposi (1967) e numerose altre produzioni, riuscendo a
far trasparire la sua magistrale preparazione teatrale al servizio
del personaggio di Luigi, uno squattrinato scansafatiche
improvvisatosi detective nel mezzo di intrighi e misteri dal sapore
arcaico ed esoterico. Daria Nicolodi, raffinata
primadonna nella compagnia teatrale di Garinei &
Giovannini e reduce dal clamoroso successo di
Profondo Rosso di Dario Argento (in
realtà lo sceneggiato era stato realizzato un anno prima che
iniziassero le riprese del film), veste con disinvoltura (forse
troppa!) i panni di un’eterea e trasognata studentessa di arti
antiche, una ragazza timida, nervosa ed insicura che pare
costantemente in stato di trance e pallido riflesso di un’antica
donna ormai defunta, una parte interpretata in maniera talmente
particolare da non suscitare all’epoca le reazioni favorevoli di
gran parte del pubblico.
Il microcosmo si completa grazie a
personaggi talmente stravaganti da essere riusciti a meritarsi una
piccola nicchia nella memoria televisiva degli spettatori; come non
ricordare ad esempio il sublime Corrado Gaipa che
con le sue teatrali movenze e la sua voce profonda diede vita al
tenebroso “Nebbia”, oppure l’ottimo Mico
Cundari nelle pompose vesti del velenoso cugino Alberto,
passando poi per la grottesca interpretazione di Oliviero
Dinelli alias Fosco e la gigionesca parlantina di
Andrea Aureli nei sozzi abiti dell’oste della
locanda. I suggestivi e lattiginosi bianchi e neri della splendida
fotografia di Massimo Sallusti ebbero modo di dare
all’intero progetto un’aura di mistero e la giusta atmosfera per
incutere paura e suspance, riuscendo a sfruttare al meglio gli
evocativi giochi di luce e le nebbie notturne per occhieggiare in
più occasioni alle strutture gotiche e morbose dell’estetica
anglosassone, senza disdegnare la realizzazione di vere e proprie
sequenze cult, come ad esempio la spettrale apparizione della
figura velata a cavallo del primo episodio (plasmata
sull’iconografia del celebre cavaliere senza testa),
oppure lo sgrammaticato omicidio nello jact dal sapore spionistico
alla James
Bond, senza poi citare l’ormai iconico bambino sulla sedia a
dondolo posseduto dalla medianica voce cavernosa di un vecchio
(presenza inquietante seppur erede di tante tradizioni horror).
Citiamo per dovere di cronaca anche
l’etereo ritratto di donna che da il titolo alla serie, un quadro
che diviene ben presto simbolo di un tremendo passato che ritorna e
si protende nei secoli, quasi a solcare la tradizione di molti film
di Mario Bava. Gli stupendi costumi di Laura
Zampacavallo, in perfetta armonia fra il moderno anni’70 e
le polverose mise settecentesche, danno un tocco di
raffinatezza ad un prodotto di carattere televisivo, così come la
colonna sonora di Ritz Ortolani riesce a creare
una straordinaria armonia fra misteriose armonie dissonanti e pezzi
dal carattere leggero e generico. Malgrado la produzione,
disponendo di un budget molto consistente, riuscì a dar vita ad un
ottimo risultato commerciale, ricco e complesso in ogni suo aspetto
(tenendo conto degli standard italiani del periodo), purtroppo
Ritratto di donna velata ottenne giudizi alquanto
discordanti; in generale gli spettatori televisivi apprezzarono
molto, così come gli esperti del settore, la messa in scena e la
scrittura ricca di intrighi e complessa nella sua costruzione, ma i
più ebbero da obiettare riguardo alla poca cura riguardo ai
dialoghi e alla recitazione troppo spesso forzata ed eccessivamente
sperimentale (soprattutto quella della Nicolodi), senza poi contare
il fatto che gran parte dei critici e degli stessi spettatori non
sapevano bene in che genere specifico inscrivere un’opera tanto
eterogenea ed innovativa. Le ambientazioni e le atmosfere, così
come le suggestioni visive, facevano pensare più al
mystery e al thriller gotico, mentre gli intrecci e gli
intrighi fra personaggi e situazioni erano chiaramente di matrice
del giallo poliziesco.
In più non mancavano sporadici e
grotteschi intermezzi pseudo-comici conditi con sollecitazioni
melodrammatiche da rappresentazione in costume. Insomma, uno
sceneggiato a dir poco inclassificabile forse non recepito con la
giusta considerazione dai contemporanei, tanto da essere ben presto
caduto in un lento e progressivo oblio dal quale però le menti
degli spettatori con almeno quarant’anni d’età hanno saputo
difendersi e dare a tale fenomeno il giusto valore anche a distanza
di anni. Oggi, a quarant’anni dalla sua messa in onda, Ritratto
di donna velata appare ai giovani pubblici come qualcosa di
sconosciuto, un esperimento che forse oggi fa sorridere ma che nei
ricordi dei nostri genitori qualche piccolo brivido di paura fa
ancora tornare volentieri.