Da qualche anno un fenomeno
abbastanza preoccupante sta investendo la produzione Disney: la
genderizzazione dei suoi prodotti. Non parlo solo della rigorosa
suddivisione degli scaffali dei Disney Store, con
Frozen da una parte e i supereroi
Marvel sul lato opposto; parlo
proprio dei film stessi.
Tra gli ingredienti della ricetta
quasi secolare del buon film Disney c’è proprio l’obiettivo di
creare un prodotto per tutti. Idealmente il pubblico di riferimento
sono le famiglie, ma questo non significa attirare principalmente i
bambini e fare in modo che i genitori tollerino a malincuore le due
ore di visione per far contenti i pargoli. Significa invece, e
questo gli artisti lo sanno benissimo, creare storie “a strati”, su
vari livelli di comprensione, pensate per essere universali. In
questo modo ognuno, a prescindere dalla sua età, dal suo essere
maschio o femmina, dalla sua cultura etc. potrà trovare il suo
personale motivo per apprezzare un film Disney. Che sia
riconoscersi in determinati valori, che sia l’amore per la musica o
che sia banalmente l’apprezzare l’animazione come arte,
potenzialmente ogni tipo di spettatore può trovare una ragione per
uscire soddisfatto dalla sala del cinema. Non è un processo di
costruzione scontato, e non tutti gli studi lo applicano… ma del
resto Walt era un genio.
Per questo è decisamente
preoccupante ciò che sta avvenendo da qualche anno a questa parte,
cioè da quando i film Disney si sono (volutamente?) divisi in due
filoni: il “princess movie” e quello che porta l’orribile dicitura
di “boy movie”, ovvero ciò che è “altro”, categoria che solitamente
comprende le storie originali. Di fatto non è cambiato proprio un
bel niente: gli artisti continuano a lavorare con la stessa formula
e i loro film continuano a piacere proprio a tutti, ma la Disney è
ormai una multinazionale e questo fa sì che la creatività e la
tradizione debbano spesso sottomettersi al volere del marketing. E
così i prodotti di
Frozen si rivolgono esclusivamente
alle bambine, mentre
Ralph Spaccatutto cerca di incontrare
il favore dei maschietti appassionati di videogame. Questa era una
distinzione totalmente inesistente fino a pochi anni fa.
Definireste forse Il Re Leone o
Lilli e il Vagabondo film “per
maschi” solo perché non c’è una principessa? Ovviamente no.
Qualcosa potrebbe cambiare,
però, con l’arrivo al cinema di
Zootropolis. L’ultimo lungometraggio dei
Walt Disney Animation Studios nasce dall’incontro tra due
menti brillanti che hanno firmato due grandi successi degli ultimi
anni:
Byron Howard, regista di
Rapunzel, film che ha riportato la
Disney sotto le luci della ribalta dopo molti anni di crisi, e
Rich Moore, autore di Ralph
Spaccatutto, quella che per me è la pellicola
migliore realizzata da casa Disney negli ultimi anni. Sia Howard
che Moore hanno messo la loro esperienza al servizio di
Zootropolis creando di fatto una
situazione anomala in tutto il discorso che abbiamo fatto finora.
Perché Zootropolis è forse il primo film
che dopo tanto tempo viene davvero presentato in modo genuino per
quello che è: un film per tutti.
Zootropolis prende il meglio di Howard e
di Moore, e dunque il meglio di entrambi i mondi. C’è il
coloratissimo universo immaginario tutto da esplorare, un po’ alla
Ralph o alla San Fransokyo di
Big Hero 6. Ci sono i temi del
pregiudizio, dell’outsider, della ricerca di sé stessi e
dell’autodeterminazione che avevamo già trovato in
Ralph. E allo stesso tempo c’è una
protagonista femminile che non ha assolutamente nulla da invidiare
a una principessa, che è determinata, crede nei suoi sogni, qualche
volta si demoralizza, ha i suoi alti e bassi e ha persino una sorta
di “I want song” che serve a esternare i suoi pensieri, i
suoi desideri e le sue ambizioni.
Unendo il meglio dei due filoni e
utilizzando come protagonisti gli animali, che hanno alle spalle
una tradizione che può risalire fino a Topolino,
Zootropolis è forse il miglior esempio
degli ultimi anni per comprendere qual è la formula Disney. Dopo il
boom di Frozen, tale formula viene spesso
associata a “fiabe e principesse canterine”. I protagonisti del
film, la volpe Nick e la coniglietta Judy, fortunatamente, ci
ricordano che c’è anche molto altro. Ci sono innanzitutto storie
senza tempo, ma anche senza genere e senza età. Storie semplici su
valori condivisi: l’amore, l’amicizia, il coraggio, l’uguaglianza,
l’umiltà. Soprattutto, storie che vogliono ispirare ad adottare
quella precisa visione del mondo, dell’arte e del futuro.
Dopotutto, quella Disney è una formula, ma è anche una
filosofia.
A questo punto sarà curioso vedere
come si muoverà il marketing e come reagirà il pubblico quando nel
2018 uscirà Gigantic, il film che
potrebbe davvero fare la differenza, essendo una fiaba… senza
principessa protagonista.
Fonte
concept