Dopo Gary Oldman, un altro volpone del grande schermo entra nel cast del RoboCop di José Padilha: Samuel L. Jackson! Reboot del lungometraggio diretto negli anni ’80 da Paul
Samuel L. Jackson in RoboCop!
7 Days in Havana: recensione del film
In 7 Days in Havana: Sette giorni, sette episodi, uno per ogni giorno della settimana. Sette famosi ed affermati registi, che conoscono e amano Cuba, ci raccontano e ci presentano, ognuno a suo modo, un’ Avana inedita, nascosta e lontana dalle banalità turistiche tipiche del luogo. Una città unica e poliedrica dove i confini e i limiti tra sacro e profano, dramma e passione, sono labili e confusi; una città dove povertà e ricchezza convivono senza distinzioni nette e si mescolano in un clima dove musica e arte, religiosità e depravazione, si percepiscono nell’aria che si respira.
7 days in Havana è un film che parla di speranze disilluse o mai frustrate, è un film che racconta le difficoltà e le battaglie di chi invece della fuga sceglie di rimanere e lottare, giorno dopo giorno, moltiplicando le proprie attività nonostante una laurea in medicina. E’ un film che mostra l’Avana religiosa e unita da grande socialità popolare così come il suo volto superstizioso ed esoterico.
7 days in Havana è un film tratto da una serie di racconti firmati dal famoso scrittore cubano Leonardo Padura che per l’occasione ha curato anche la sceneggiatura di alcuni episodi. Padura è uno dei principali esponenti della cultura cubana nel mondo, figlio della generazione che ha fatto la rivoluzione e che durante la rivoluzione è cresciuto.
Nei sette episodi che coincidono con i sette giorni della settimana, i personaggi così come le storie si intersecano e i protagonisti di un episodio li ritroviamo come personaggi secondari in uno successivo. 7 days in Havana è un film a tratti intenso e sicuramente eterogeneo, ogni regista ha voluto raccontare la sua Avana secondo il proprio punto di vista e sopratutto secondo il proprio stile. Quasi documentaristico il modo scelto da Pablo Trapero per il suo “Jam session” in cui racconta la visita di Emir Kosturica, in perenne stato di ebbrezza alcolica, a Cuba per ritirare un premio per il suo film “Maradona”.
Uno stile sempre oscillante tra l’ironico e il poetico per il bravissimo regista palestinese Elia Suleiman, “Diary of beginner”, che presenta l’episodio forse migliore pur rinunciando a veri dialoghi ma affidandosi a splendide istantanee dal grande impatto visivo ed emotivo. Cantet e Noe’ puntano su un’Avana mistica e fortemente immersa in una religiosità estrema e disperata che spesso tende a cedere a reminiscenze pagane e tribali, figlie di antiche e radicate superstizioni. Quindi gli episodi probabilmente più toccanti, “La tentacion di Cecilia” di Medem e “Dulce Amargo” di Tabìo, in cui alla vitalità e alla passionalità che serpeggia per le caotiche vie della città si contrappone il desiderio della fuga, vista come unica soluzione e scelta possibile per sfuggire alla miseria di ogni giorno.
Benicio del Toro apre il film con il primo episodio, “El Yuma”, cui sceneggiatura è stata curata dallo stesso Padura, ma onestamente è il corto che ha suscitato meno interesse, quello che è oggettivamente piaciuto meno. Il bravissimo attore, all’esordio dietro la macchina da presa, racconta senza convincere molto una storia alquanto pigra e banale in cui si inquadra un’ Avana notturna e spregiudicata dove gli eccessi e le stravaganze si accompagnano ad una quotidiana caduta dei costumi.
7 days in Havana è un film che racconta e descrive una città incredibilmente viva e vitale, nonostante i palazzi fatiscenti e dagli intonaci scrostati e le auto sovietiche che si alternano alle splendide vetture americane anni ’50. Un’Avana che vive nonostante l’embargo, nonostante le mille difficoltà quotidiane, i balck-out continui e le acrobazie di ingegneri e dottori che si inventano pasticceri o meccanici per comprare le scarpe ai propri figli. Un film che ci permettere di conoscere meglio una città e sopratutto chi la abita, non con gli occhi del solito turista occidentale ma con gli occhi di chi osserva questi ultimi non senza un pizzico di fastidio.
La musica, il ballo, l’intensità degli affetti, la voglia di scappare e la paura di farlo, la fede e la superstizione, un insieme di immagini, suoni e sensazioni che meritano di essere vissuti in queste due ore che scorrono piacevolissime. 7 days in Havana è stato prodotto dalla Fullhouse e dalla Morena Films in collaborazione con l’Havana Club che dal 2007 promuove finanziariamente iniziative per diffondere la cultura cubana nel mondo. Distribuito in Italia dalla BIM distribuzione, uscirà nelle sale il prossimo 8 giugno.
Un cast nuovo di zecca per Transformers 4
Intervistato dal Los Angeles Times, Michael Bay ha parlato di Transformers: The Ride 3D, quarto genito del franchise. Il regista, che
Capitan America 2 affidato ai registi di Tu, io e Dupree
Il sequel di Capitan America: Il primo vendicatore sarà diretto da Anthony e Joe Russo (Tu, io e Dupree); manca l’ufficialità, ma le trattative
Lindsay Lohan, sexy incidente sul set di Liz and Dick!
Incidente piccante per Lindsay Lohan sul set di Liz and Dick, miniserie tv diretta da Lloyd Kramr dedicata alla grande Taylor. Galeotta è stata una scollatura troppo audace che non ha contenuto il decolté dell’attrice, 26 anni a luglio. D’altronde, la scena, un furioso litigio sullo yacht tra Liz Taylor e Richard Burton (interpretato da Grant Bowler), era assai movimentata. Niente di grave, per Lindsay, che, pur accorgendosi dello straripamento, ha continuato a recitare e a fine scena è apparsa divertita: in effetti, la April di Machete ha passato di peggio negli ultimi anni. Ecco alcune foto del sexy inconveniente!
Fonte: Dailymail
Nuovo film per George Clooney regista?
Secondo Deadline George Clooney ha trovato un nuovo progetto a cui dedicarsi come regista. Infatti sembrerebbe che la Focus Features abbia opzionato un articolo di David Grann sul New Yorker intitolato
Django Unchained: il primo trailer del film di Quentin Tarantino
Ecco il tanto atteso primo trailer dell’ultimo film di Quentin Tarantino, Django Unchained. Nel film vedremo un Jamie Foxx particolarmente in forma fronteggiare un Leonardo DiCaprio nel ruolo di uno schiavista senza scrupoli, il tutto condito dall’irriverente stile tarantiniano.
Ambientato nel Sud degli attuali Stati Uniti, due anni prima dello scoppio della Guerra Civile, Django Unchained è il nuovo film, scritto e diretto dal premio Oscar Quentin Tarantino, che vede protagonista il premio Oscar Jamie Foxx nel ruolo di Django, uno schiavo la cui storia brutale con il suo ex padrone, lo conduce faccia a faccia con il cacciatore di taglie di origine tedesca, il Dott. King Schultz (il premio Oscar® Christoph Waltz). Schultz è sulle tracce degli assassini fratelli Brittle, e solo l’aiuto di Django lo porterà a riscuotere la taglia che pende sulle loro teste. Il poco ortodosso Schultz assolda Django con la promessa di donargli la libertà una volta catturati i Brittle — vivi o morti.
Ashley Tisdale in Scary Movie 5
Nuova protagonista per Scary Movie 5. Anna Faris, storica protagonista della saga, ha ormai abbandonato il ruolo che l’ha resa famosa per dedicarsi a ruoli più impegnati. Al suo posto, in vista
Brad Peyton dirigerà San Andreas 3D
Christina Ricci in Mother’s Day
Nuovo film per Christina Ricci. Christina Ricci, dopo la sfortunata parentesi della serie televisiva Pan-Am, entra a far parte del cast di Mother’s Day, al fianco di Susan Sarandon e Eva Amurri Martino (figlia dell’attrice). Al momento non è ancora chiaro quale ruolo di preciso interpreterà l’attrice.
Il film, scritto e diretto da Paul Duddrige, seguirà le vicende di 12 coppie di madri e figlie durante il giorno della festa della mamma.
Anche Paul Giamatti in 12 Years a Slave di Steve McQueen!
Si arricchisce ulteriormente il già folto cast di 12 Years a Slave, nuovo film del regista di Shame, Steve McQueen. Infatti, Variety annuncia che nel film ci sarà anche Paul Giamatti, Garret Dillahunt e Sarah Paulson.
Lo Hobbit: videoblog 7 con Peter Jackson dal set!
E’ morto Ray Bradbury!
Il Cavaliere Oscuro il Ritorno: nuova foto
Ecco una nuova fotografia di Selina Kyle, alias Catwoman, nel prossimo e atteso Il cavaliere oscuro – Il ritorno. La parte della donna gatto, com’è ormai noto, è stata assegnata allatalentuosa e bellissima Anne Hathaway. Ecco la in tutto il suo elegante e oscuro splendore:
La foto è stata pubblicata da Empire.
Justice League: la Warner ci riprova
Il successo dei Vendicatori non ammette repliche, e così anche per la DC e la sua ‘casa madre’ Warner Bros sembra ormai imprescindibile lanciare sul grande schermo il proprio supergruppo: Justice League è il nome della squadra che raccoglie i principali supereroi della casa editrice, a partire da Superman, Batman, Wonder Woman, Green Lantern, Flash e altri. Il nuovo incaricato di scrivere la sceneggiatura è Will Beall (Gangster Squad).
L’idea di un film incentrato sulla squadra non è certo nuova, anzi se ne parla già da anni, tuttavia il progetto ha trovato sulla sua strada vari ostacoli: nel 2007 si era vicini al decollo – probabile regista, George Miller – ma poi sorsero vari impedimenti, dal design dei costumi poco convincente allo sciopero degli sceneggiatori che bloccò definitivamente la produzione; ma in proposito vanno anche ricordati altri fattori, a cominciare dallo scarso successo arriso al Superman interpretato da Brandon Routh, fino ad arrivare in tempi più recenti all’esito inferiore alle aspettative di Green Lantern, passando per la più volte ipotizzata, ma mai realizzata, pellicola dedicata a Wonder Woman.
La DC non è insomma riuscita a effettuare lo stesso percorso della Marvel: lanciare – con successo – i singoli personaggi, per poi raccoglierli tutti insieme. L’unico vero successo è stato quello di Batman, mentre molte speranze sono ora affidate al Superman firmato Zack Snyder. Il progetto Justice League insomma, ha ancora un lungo cammino davanti a sé: tutto dipenderà dal riscontro del nuovo Superman, e dall’effettiva realizzazione dei film su Wonder Woman e Flash.
Fonte: Empire
Il gatto con gli stivali (1969): recensione del film di Kimio Yabuki
Anno: 1969
Regia: Kimio Yabuki
Con le voci di: Carlo Romano e Fabrizio Vidale (il gatto Pero nel 1968 e nel 2004), Paolo Torrisi e Alessio Puccio (Pierre nel 1968 e nel 2004), Francesca Fossi e Veronica Puccio (la principessa Rosa nel 1968 e nel 2004), Riccardo Garrone e Roberto Pedicini (Lucifero nel 1968 e nel 2004), Roberto Bertea e Sergio Tedesco (il Re nel 1968 e nel 2004).
Jon Favreau per Jersey Boys?
Jersey Boys: The Story Of Frankie Valli And The Four Seasons è un noto musical che da qualche anno si sta pensando di portare sugli schermi: il progetto sta ora prendendo maggiormente forma e in prima fila per la regia vi è Jon Favreau. Il regista cambierebbe così radicalmente ambiente, dopo aver diretto i due film di Iron Man e aver avuto il ruolo di produttore esecutivo in Avengers.
Jersey Boys seguirà le vicende di Valli e degli altri Four Seasons nel corso della loro scalata alle classifiche, a inizio anni ’60. Lanciato a Broadway nel 2005, il musical ha riscosso grande successo, venendo poi anche portato in tour all’estero. A John Logan (Hugo Cabret) è stata affidata la stesura della più recente versione sceneggiatura. Sui tempi della realizzazione non vi è comunque certezza, dato che Favreau sta attualmente lavorando su Magin Kingdom; nel frattempo sarà sugli schermi come attore in People Like Us, Identity Theft e nel terzo Iron Man (uscita prevista a inizio maggio 2013) nel ruolo di Happy Hogan.
Fonte: Empire
Andrew Garfield: da “agnellino” a supereroe, ed è solo l’inizio
Tra poco vedremo Andrew Garfield nei panni di uno dei più famosi supereroi dei fumetti e del cinema in The Amazing Spider-Man di Mark Webb, reboot della celebre saga, ma nella sua ancor breve carriera hanno trovato posto anche la tv e il teatro, sua prima passione cui tuttora si dedica. Infatti, ha da poco debuttato a Broadway, portando in scena, assieme ad esimi colleghi come Philip Seymour Hoffman, Morte di un commesso viaggiatore di Arthur Miller per la regia del grande Mike Nichols.
Lo spettacolo è candidato a ben sette Tony Awards (e una nomination ovviamente è anche per lui); domenica sapremo se e quali premi avrà portato a casa. E a chi gli chiede se sia stato difficile trovare spazio per il teatro in un periodo di fitti impegni cinematografici, risponde tranquillo: “E’ stata una decisione semplice (…). Arthur Miller è il mio autore preferito e mi sento molto legato a quest’opera”. Questo per dire che il talentuoso giovane di cui parliamo forse non ha ancora preso esattamente le misure al successo, ma certo ha capito che il giusto bilanciamento tra progetti diversi è la strada da seguire.
Andrew Garfield: da “agnellino” a supereroe, ed è solo l’inizio
Per restare solo al cinema, in cinque anni ha partecipato a una manciata di film piuttosto eterogenei, a partire da quel Leoni per agnelli in cui convinse il regista Robert Redford, tanto da affidargli una delle sequenze più significative del film, che lo vedeva confrontarsi aspramente con lo stesso Redford. È riuscito poi a farsi apprezzare anche dal genio visionario di Terry Gilliam, che lo ha voluto nel cast del suo Parnassus – L’uomo che voleva ingannare il diavolo. Mentre lo abbiamo visto assieme a Jesse Eisenberg e Justin Timberlake nell’acclamato The Social Network, che ci racconta la nascita e l’esplosione di Facebook, uno dei fenomeni più rilevanti degli ultimi anni in fatto di social media.
Andrew Garfield è nato a Los Angeles il 20 agosto del 1983, cinque anni dopo il fulvo gattone dei fumetti di Jim Davies con cui condivide il nome. E chissà se da bambino ha mai pensato che un giorno avrebbe interpretato addirittura l’Uomo Ragno. Di padre statunitense e madre inglese, a tre anni si sposta con la famiglia dagli Usa all’Europa, precisamente in Inghilterra nella contea del Surrey. La doppia origine gli sarà molto utile cinematograficamente parlando, perché gli consentirà di padroneggiare sia l’accento americano, che quello inglese. Dopo il diploma, inizia gli studi di recitazione alla Central School of Speech and Drama, che conclude con successo nel 2004. Si fa subito notare sul palcoscenico nella commedia Kes, per la quale ottiene il Men Theatre Award. L’anno successivo esordisce sul grande schermo nel corto Mumbo Jumbo. Poi s’impegna in lavori televisivi che tra il 2005 e il 2007 sono per lui un’importante vetrina e un trampolino di lancio verso occasioni più ghiotte. Tra le serie cui partecipa, Sugar Rush (2005), Simon Schama’s Power of Art (2006), Freezing e Doctor Who (2007).
Il cammino cinematografico si apre con un’interessante pellicola indipendente britannica: il regista John Crowley, offre ad Andrew l’opportunità di un ruolo da protagonista nel drammatico Boy A, adattamento da un romanzo di Jonathan Trigell. Garfield si immerge nel personaggio di Jack Burridge, ovvero Boy A: ventiquattrenne inglese la cui vita è stata precocemente segnata dall’aver commesso un tremendo crimine e che cerca faticosamente di ricostruirsi, o costruirsi per la prima volta vista la giovane età, un’esistenza con una nuova identità, dimenticando il passato. Ma liberarsene sembra difficilissimo. Da una parte dunque, la voglia di apprezzare la vita, di imparare a conoscerla e viverla come una persona “normale”, imparare ad aprirsi agli altri, reinserirsi nella società. Dall’altra il passato, sempre vivo nella sua mente, ma che deve nascondere per proteggersi da una società tutt’altro che pronta ad accoglierlo, nonostante abbia pagato il suo debito con la giustizia. Personaggio complesso e tematiche non facili, attraverso cui il giovane attore riesce a traghettare lo spettatore e, inevitabilmente, a portarlo dalla sua parte. Complice anche lo sguardo di Crowley che ne fa il suo eroe, intrappolato in un meccanismo troppo più grande di lui. Così il talentuoso Garfield si accaparra il BAFTA come miglior attore per il ruolo di Jack Burridge, sbaragliando brillantemente la concorrenza. La pellicola ottiene lo stesso riconoscimento per regia, montaggio e fotografia. Nel cast, nei panni del tutore di Jack troviamo Peter Mullan.
Quello stesso 2007, lo dicevamo in apertura, porta un’altra grande occasione a Garfield: l’incontro con Robert Redford. Il regista è subito pronto a sfruttare in Leoni per agnelli il potenziale che riconosce in quel giovanotto dallo sguardo sornione e dall’aria sveglia e gli affida un compito arduo: tenere testa proprio a lui, Redford, in un serrato colloquio professore-studente. In questo film, articolato su tre episodi, che riflette criticamente sull’America d’oggi, quella della lotta al terrorismo e delle guerre mediorientali, il regista tiene per sé il ruolo di un maturo professore universitario di scienze politiche, ormai disincantato rispetto alla politica e alla società americana, e fors’anche disilluso rispetto al proprio mestiere. Ciò nonostante, quando gli capita davanti uno dei più promettenti allievi del suo corso che non si sta impegnando negli studi come dovrebbe, il professor Malley cerca in ogni modo di scuoterlo, facendogli capire che vale sempre la pena di mettere a frutto le proprie capacità, di impegnarsi per ciò in cui si crede, di lottare contro quelle che consideriamo ingiustizie. Dal canto suo Andrew Garfield nei panni del promettente allievo Todd, interpreta ottimamente quel senso di impotenza che diventa indolenza, mista al disprezzo e al rifiuto rispetto ad un sistema politico e sociale che non riconosce e ritiene impossibile da riformare, tipico di molti suoi coetanei di ogni latitudine.
Nel 2009 Andrew è Anton in Parnassus – L’uomo che voleva ingannare il diavolo, creatura del genio visionario di Terry Gilliam che mette in campo i temi della vita e della morte, della realtà e della fantasia, dell’immaginazione come straordinario potere umano. Il film è anche un sentito omaggio all’attore Heath Ledger, scomparso prematuramente durante la lavorazione. Proprio tre dei suoi migliori amici, infatti, si sono alternati nel ricoprire parte del suo ruolo: Johnny Depp, Jude Law e Colin Farrell, e nei titoli di coda il regista Gilliam ha fatto inserire al posto del classico “un film di Terry Gilliam”, il più sentito e a suo avviso adatto “un film di Heath Ledger e dei suoi amici”.
L’anno seguente Garfield dà ancora prova della sua bravura interpretando Eduardo Saverin, il migliore amico di Mark Zuckerberg/Jesse Eisenberg in The Social Network di David Fincher, film biografico sul fondatore di Facebook, ben diretto, interpretato e ottimamente sceneggiato da Aaron Sorkin. Saverin è il miglior amico del protagonista, ma il loro rapporto s’incrinerà irrimediabilmente quando le questioni legali legate a Facebook avranno la meglio e la realtà virtuale acquisirà sempre maggiore importanza nella vita dello stesso Zuckerberg. È facile dunque capire come, grazie alle valide forze messe in campo, si vada oltre la semplice biografia, per confrontarsi con il terreno da cui nasce l’idea del social network, che è quello delle difficoltà relazionali, della frustrazione e del cinismo del giovane protagonista, i cui vuoti trovano consolazione nel mondo virtuale e/o nella sensazione di potere derivante dalla consapevolezza di poter influire in qualche modo sulla vita degli altri. La pellicola ottiene un enorme successo di critica e pubblico, tre Oscar per la sceneggiatura di Sorkin, la colonna sonora e il montaggio, numerosi Golden Globe, tra cui regia, sceneggiatura e film drammatico. E conquista anche la Francia, che gli assegna il César come miglior film straniero.
Dello stesso anno è il dramma futuribile Non lasciarmi, diretto da Mark Romanek e tratto dal romanzo di Kazuo Ishiguro. Al nostro attore tocca il ruolo di Tommy, giovane che vive confinato nel rigido mondo di un college inglese assieme a Kathy/Carey Mulligan e Ruth/Keyra Knightley. Solo pian piano ci si accorge che la realtà di questi tre ragazzi, e di altri come loro, è molto peggiore di ciò che sembra: sono cloni, perciò non hanno radici o famiglia, e assolvono all’unica funzione di fornire organi. Ma chi vuole sacrificarli sull’altare della scienza e di un fine in apparenza nobile non ha tenuto conto della loro umanità, quella che fa sì che comunque tra loro nascano legami, amicizia, amore. Si pongono in questione i limiti della scienza e la legittimità di perseguirne il progresso a qualsiasi costo, anche a scapito di vite umane (da una parte, alcune vengono salvate; dall’altra, altre vengono stroncate), ma ci si chiede anche quale sia la vera natura dell’uomo, ciò per cui veramente vive, ciò che dà senso alla sua esistenza. Il tutto è veicolato da un’atmosfera sospesa e rarefatta e trattato con estrema delicatezza. Garfield e le due colleghe riescono a rendere efficacemente il senso delle loro esistenze trattenute, bloccate in attesa della precoce fine che li attende. L’attore parlando ai microfoni della BBC, ha sottolineato l’intensità di quest’esperienza ed ha consigliato la lettura del romanzo di Ishiguro, molto ricco e pertanto difficile da rendere sul grande schermo in tutta la sua la sua complessità. Nella stessa sede ha anche parlato dell’ultima sfida della sua ancor breve carriera: quella di diventare Spider-Man in The Amazing Spider-Man di Mark Webb. Se da una parte ha ammesso di essersi molto divertito a vestire i panni che molti al suo posto avrebbero voluto indossare, dall’altra ha invitato a non sottovalutare un film come questo, derubricandolo a semplice prodotto d’intrattenimento fantascientifico perché, dice, al suo interno “ci sono temi come quelli che possiamo trovare nelle grandi tragedie di Shakespeare o di Eschilo”. I grandi temi dell’esistenza con cui Garfield si è confrontato già più volte. Dunque vedremo come se la caverà a raccogliere il testimone di Tobey Maguire, che ha interpretato l’Uomo Ragno negli episodi della saga diretti da Sam Raimi.
D’altra parte però, si tratta di una storia autonoma, un nuovo inizio, diretto da un nuovo regista e, appunto con un nuovo cast (che comprende anche Emma Stone e Rhys Ifans), che si gioca la possibilità di stupire e catturare ancora un volta il pubblico. L’uscita nelle sale è prevista per il prossimo 4 luglio.
Affidato a Jeremy Garelick il remake di Scuola di Polizia
Uscite del 6, 8, 9 e 11 giugno 2012
Mercoledì 6 – Project X – Una festa che spacca: Il film segue le vicende di tre apparentemente anonimi studenti ed il loro tentativo di costruirsi una reputazione. La loro idea è tutto sommato innocente: organizzare una festa indimenticabile… purtroppo però non sono preparati per questo tipo di festa. La voce si sparge in fretta tra sogni spezzati, record abbattuti e leggende che nascono.
Contraband: recensione del film con Mark Wahlberg
Ironia, azione e dramma sono i tre elementi che il regista islandese Baltasar Kormàkur unisce, mescola e ri-impasta in Contraband. Eh sì, pur trattandosi di un film a basso budget, solo 25 milioni di dollari, sotto alcuni aspetti sembra che il cineasta abbia unito più elementi senza far combaciare alla perfezione gli ingranaggi.
Contraband regala agli spettatori una bella avventura, a volte mozzafiato, sul tentativo di Chris Farraday (Mark Wahlberg) di riscattare Andy (Caleb Landry Jones), fratello piccolo della sua sposa, che immischiato in affari loschi, non porta a termine come previsto il suo compito e si trova in debito con lo spietato boss Timm Briggs (Giovanni Ribisi). L’alta morale e il senso di protezione di Farraday lo porteranno ad occuparsi del cognato e a riaprire un capitolo che doveva rimanere totalmente chiuso: il contrabbando. Così, grazie ai contatti del padre, personaggio rispettato nel mondo mafioso ma bloccato in carcere a vita, riesce a imbarcarsi in una nave cargo per raggiungere Panama e ottenere la somma di denaro necessaria per rimettere le pedine nella posizione di stasi.
Gli imprevisti non mancano, ma da buon film che ha ottenuto 70 milioni di dollari al botteghino negli States, il buon e intraprendente Farraday riesce a cavarsela e da salvatore della situazione scioglie ogni enigma e riporta le cose alla fase di allegria e leggerezza con cui inizia il film. Il cast di Contraband è di grande spessore, e Mark Wahlberg, attore protagonista e produttore del film, vede al suo fianco un’interpretazione compiuta e affascinante di Ben Foster nel ruolo del suo migliore amico Sebastian Abney e un arrogante a cattivissimo Giovanni Ribisi nei panni di Tim Briggs.
Nonostante dei protagonisti di alta fama internazionale, i personaggi di Contraband sembrano non essere sviluppati all perfezione e si incastrano con difficoltà nella trama del film piuttosto scontata. Tim Briggs al comando della sua gang, appare come un uomo sprezzante e senza scrupoli che però si trasforma in un docile agnellino al cospetto di Sebastian Abney. Quest’ultimo dal canto suo, malgrado la posizione rivestita di imprenditore alla luce del sole e vero boss di traffici illeciti nella sua realtà, appare come un dandy che si circonda di bellezze effimere, alcolista nei suoi periodi di difficoltà, amico fedele e imprescindibile per Farraday ma al contempo alto traditore, viscido negli atteggiamenti e non così sottile nei ragionamenti come potrebbe sembrare.
Contraband girato tra New Orleans e Panama City diventa accattivante nelle scene di combattimento.
Clive Barker per Zombie vs Gladiators
The Tim Burton Collection: Batman il ritorno
In occasione del rilascio nelle sale cinematografiche di Dark Shadows, ultima fatica della coppia Tim Burton e Johnny Depp, Warner Home Video propone un imperdibile Cofanetto da Collezione in Edizione Limitata
, contenente tutti i film Warner Bros.
The Tim Burton Collection: Batman
In occasione del rilascio nelle sale cinematografiche di Dark Shadows, ultima fatica della coppia Tim Burton e Johnny Depp, Warner Home Video propone un imperdibile Cofanetto da Collezione in Edizione Limitata
The Tim Burton Collection: Sweeney Todd
In occasione del rilascio nelle sale cinematografiche di Dark Shadows, ultima fatica della coppia Tim Burton e Johnny Depp, Warner Home Video propone un imperdibile Cofanetto da Collezione in Edizione Limitata, contenente tutti i film Warner Bros.


Killer Elite: intervista a Clive Owen
Anche Clive Owen è trai protagonisti di Killer Elite, adrenalinico film che vede sullo schermo Robert De Niro e Jason Statham. Ecco a seguire un’intervista rilasciata da Owen,
La mia vita è uno zoo, recensione: la speranza secondo Cameron Crowe
Abbiamo rivisto La mia vita è uno zoo, il film diretto da Cameron Crowe tratto dal romanzo autobiografico di Benjamin Mee, e possiamo dire che rappresenta uno dei lavori più sinceri e sottovalutati del regista premio Oscar. Un’opera che parla di perdita, di ricostruzione e di quel piccolo miracolo quotidiano che chiamiamo “ricominciare”. Con un cast d’eccezione – Matt Damon, Scarlet Johansson, Elle Fenning e Thomas Haden Church – La mia vita è uno zoo fonde dramma familiare, commedia e racconto di formazione con la delicatezza e la sensibilità tipiche di Crowe.
Un padre, due figli e un sogno impossibile

Benjamin Mee (Matt Damon) è un padre rimasto vedovo dopo la morte prematura della moglie Katherine. Disorientato e incapace di trovare un senso alla vita, decide di lasciare la città e trasferirsi in campagna insieme ai suoi due figli, il ribelle adolescente Dylan e la piccola Rosie, per ricominciare altrove. Il luogo scelto per il nuovo inizio è un vecchio zoo in disuso, circondato dalla natura ma ormai in rovina. Nonostante l’apparente follia dell’impresa, Benjamin decide di acquistarlo, convinto che la rinascita di quel posto possa coincidere con la rinascita della propria famiglia.
Accanto a lui c’è Kelly (Scarlett Johansson), la determinata responsabile dello zoo, che crede ancora nella possibilità di restituire vita agli animali e speranza alle persone. Tra loro nasce un legame profondo, fatto di rispetto reciproco e di una dolcezza mai forzata, che diventa il cuore emotivo del film.
Il cinema empatico di Cameron Crowe
Con La mia vita è uno zoo, Crowe torna a esplorare uno dei suoi temi più cari: la resilienza di fronte al dolore. Già in Jerry Maguire e Elizabethtown aveva raccontato protagonisti alle prese con crisi personali e professionali, ma qui la riflessione si fa più intima e universale.
La perdita della moglie non è solo il punto di partenza della storia, ma il prisma attraverso cui il regista indaga il rapporto tra dolore e speranza. Benjamin non cerca di dimenticare, ma di trasformare il lutto in un atto d’amore verso la vita stessa.
L’approccio di Crowe è empatico e mai retorico: il dolore non viene spettacolarizzato, bensì interiorizzato, restituito attraverso gesti quotidiani, sguardi, silenzi e piccoli progressi. La sceneggiatura alterna con equilibrio momenti comici e malinconici, riuscendo a fondere leggerezza e profondità in un racconto che scorre con naturalezza.
Un film sul coraggio di rischiare

La vera chiave di lettura del film è il concetto di coraggio. “A volte bastano venti secondi di coraggio folle” dice Benjamin in una delle frasi più celebri del film. È una sintesi perfetta dello spirito croweiano: affrontare la vita anche quando non ci sono certezze, lanciarsi nel vuoto per scoprire che, forse, si può ancora volare.
Il regista costruisce attorno a questa idea un racconto di rinascita che vale tanto per il protagonista quanto per i personaggi secondari. Kelly, ad esempio, è una donna che ha sacrificato tutto per il suo lavoro; Dylan è un adolescente che, dopo la perdita della madre, deve imparare a gestire la rabbia e a riconnettersi con il padre. Tutti cercano un modo per riappropriarsi della propria vita, e lo zoo diventa la metafora perfetta di quel processo: uno spazio ferito ma vivo, che può tornare a brillare se qualcuno ha il coraggio di crederci.
La regia e la scrittura: equilibrio tra emozione e misura
Crowe riesce a evitare le trappole del sentimentalismo, mantenendo il tono sempre misurato e realistico. Il merito è di una scrittura intelligente, che non forza mai la commozione ma la lascia emergere spontaneamente dai personaggi. I dialoghi, asciutti e pieni di ironia, restituiscono la complessità dei rapporti familiari senza mai scadere nel cliché. Allo stesso modo, la regia predilige inquadrature ampie e luminose, che amplificano la sensazione di libertà e rinascita.
La colonna sonora, come in ogni film di Crowe, gioca un ruolo centrale. Le musiche originali di Jónsi (frontman dei Sigur Rós) accompagnano il racconto con una poesia sonora che amplifica i momenti di malinconia e di gioia, rendendo l’esperienza emotiva ancora più completa.
Il cast e le interpretazioni
Matt Damon offre una delle sue interpretazioni più toccanti e contenute. Il suo Benjamin è un uomo comune che affronta un dolore straordinario, e Damon riesce a trasmettere ogni sfumatura di smarrimento e forza interiore. Accanto a lui, Scarlett Johansson interpreta Kelly con autenticità e naturalezza: non una figura salvifica, ma una donna concreta, fragile e determinata. Elle Fanning porta sullo schermo una dolce energia, mentre Thomas Haden Church aggiunge leggerezza e ironia nel ruolo del fratello di Benjamin. Ma è la piccola Maggie Elizabeth Jones, nel ruolo della figlia Rosie, a conquistare il pubblico con la sua spontaneità e dolcezza disarmanti.
Tra realismo e fiaba contemporanea
La mia vita è uno zoo è una fiaba moderna, ma radicata nella realtà. La presenza degli animali e la cura con cui Crowe li filma non sono mai decorativi: rappresentano la connessione dell’uomo con la natura e la possibilità di guarire attraverso la cura dell’altro. Il film, pur non nascondendo le sue venature melodrammatiche, riesce a costruire una narrazione sincera e luminosa che parla di ricostruzione, empatia e fiducia.
C’è una purezza nello sguardo di Crowe che lo distingue da molti altri registi contemporanei. Non è un film per cinici: La mia vita è uno zoo è un inno alla vulnerabilità come forma di forza, alla gentilezza come atto rivoluzionario.
Cameron Crowe firma un film semplice ma profondamente umano, capace di toccare corde universali. La mia vita è uno zoo racconta che la felicità non è l’assenza del dolore, ma la capacità di trovare bellezza anche dopo una perdita. È un film per chi cerca nella vita – e nel cinema – la possibilità di ricominciare.
Naomi Watts e Jessica Alba in Giappone per Montblanc!
Montblanc festeggia il suo nuovo Concept Store e più grande del mondo, situato in Giappone. All’inaugurazione molte star presenti, fra le più belle Naomi Watts e Jessica Alba, Amber Heard. Premiato anche Nicolas Cage.








