Ben Affleck è in trattative per unirsi al cast all-star di Baz Luhrmann per The Great Gatsby, che il regista australiano sta realizzando per la Warner Bros. Leonardo DiCaprio sarà il ricco e misterioso Jay Gatsby, mentre Tobey Maguire potrebbe interpretare Nick Carraway, che nel romanzo è il narratore.
Malavoglia: recensione del film
Come si legge nella cartella stampa, Pasquale Scimeca affronta una prova non facile: mettere in scena uno dei romanzi basilari della nostra cultura, lo abbiamo studiato tutti infatti e soprattutto doversi confrontare con una messa in scena precedente di grande prestigio: quella che ha dato alla storia del cinema La Terra trema di Luchino Visconti. La storia della famiglia Malavoglia che vive in un paese della provincia di Ragusa, è però attualizzata ai giorni nostri, e Ntoni è un ragazzo che vorrebbe fare il dj, Lia si innamora di un uomo sospetto che guida un Suv, mentre Mena intreccia una relazione con un ragazzo immigrato, Alef che viene ribattezzato Alfio una volta arrivato sul suolo italico.
La famiglia cade in disgrazia dopo che la barca con la quale si procuravano il pesce da vendere affonda portandosi in mare il capofamiglia, Bastianazzo. I Malavoglia si indebitano, riparano la barca, ma la sorte avversa gliela distrugge. La famiglia deve così affrontare diverse difficoltà per sopravvivere. Scimeca decide di affrontare la storia in modo decisamente sperimentale, pensando un po’ forse ad altri film che hanno affrontato i classici della letteratura con un piglio moderno.
Notevole è la resa fotografica della pellicola, il film è stato girato con telecamere RED, che quindi consentono di avere una qualità full hd, ma che permettono anche di lavorare con altri contributi in digitale come le immagini degli sbarchi di clandestini e l’introduzione, girata in qualità diversa. Ma segue le tracce di Visconti sulla scelta del cast, che è composto da veri pescatori o giovani al primo film, fatta esclusione per l’attore protagonista, già presente in un altro lavoro del regista Rosso Malpelo. Il tema universale della storia di Verga, ossia che le vicissitudini della vita sono sempre le stesse in qualsiasi epoca si viva, vengono inserite nel contesto dell’Italia contemporanea, con le sue difficoltà e contraddizioni.
A collaborare con Scimeca alla stesura della sceneggiatura c’è anche Tonino Guerra, storico sceneggiatore di Michelangelo Antonioni, e la sua mano si avverte in più punti. Aldilà di una certa difficoltà in alcune rappresentazioni dei “giovani d’oggi”, il film si regge in bilico tra poesia e racconto filmico, di cui restano delle emozionanti immagini del mare in tempesta, a simbolo dell’imprevedibiltà degli eventi. Malavoglia esce il prossimo 29 Aprile, è stato riconosciuto di interesse nazionale ed è distribuito da Cinecittà Luce.
Duncan Jones per il sequel di Wolverine?
Duncan Jones, apprezzato regista di fantascienza per il suo Moon (tra le migliori opere prime degli ultimi dieci anni) e a breve nelle sale italiane con Source Code con Jake Gyllenhaal, è stato pesatemente avvicinato a The Wolverine…
Sembra prprio che Hugh Jackman sia intenzionato
a voler affidare a lui la regia superando di slancio l’altro
pretendente, David Slade. Se Jonee accettasse la regia del sequel
di Wolverine, The Wolverine, certamente innalzerà nuovamente
l’interesse a torno al film che dopo l’abbandono di Aronofsky
a seriamente indebolito il suo il suo fascino. Ricordiamo che Jones
aveva già sfiorato la regia del reboot di Superman (passato ora a
Zack Snyder). Che sia la volta buona di passare ad un film non
“indipendente”? ….
Fonte:comingsoon
The Lords of Salem di Rob Zombie: prima foto!
Rob Zombie ha rilasciato in rete la prima immagine ufficiale di The Lords of Salem, il suo horror low budget prodotto da Jason Blum, Steven Schneider, e Oren Peli, lo stesso team artefice del successo di Paranormal Activity.
Anne Karenina di Joe Wright: che cast!
Il cast del nuovo adattamento di Anna Karenina di Tolstoj diretto da bravo Joe Wright inizia ad entrare nel vivo della pre-produzione e il casting diventa sempre più ricco e interessante. Recentemente interpellato ha confermato la presenza di Keyra Knightley, mentre dice di attendere risposte da James McAvoy e Saoirse Ronan…
Un regista per il remake de Il Corvo!
Il reboot di Il Corvo, The Crow, famoso film del 1994 soprannominato “film maledetto” per la morte sul set del suo protagonista Brandon Lee, ha trovato finalmente un regista. Si tratta di Juan Carlos Fresnadillo autore di 28 settimane dopo.
Il reboot The Crow, (Il Corvo) si concentrerà sul personaggio principale, Eric Drevin, e la sceneggiatura sarà scritta dallo stesso Fresnadillo. La trama sarà presa dal fumetto firmato da James O’Barr: l’inizio delle riprese è previsto per l’autunno.
Fonte:comingsoon.it
Rasputin secondo Louis Nero
“Il mio Rasputin è diverso da quello che la storia ci ha tramandato” . Così difende il suo protagonista Louis Nero, oggi alla conferenza stampa di presentazione del suo ultimo film Rasputin – la verità supera la leggenda, “la sua vita è stata una ricerca della verità e della resistenza al peccato che lui si poneva sempre davanti agli occhi per potervi resistere. Con lui ho anche raccontato uno spaccato di quella Russia che di lì a poco si sarebbe trasformata completamente e avrebbe trasformato il mondo intero”.
Rasputin – la verità supera la leggenda: recensione
Rasputin – la verità supera la leggenda – La sua storia è avvolta nella leggenda, nella diceria e soprattutto in quello che la Storia ha permesso si sapesse di lui fino a questo momento: stregone, diabolico monaco, lussurioso e abbietto, ma magico taumaturgo. Questo è Rasputin. Ma cosa succede se si va ad indagare la vera natura del personaggio storico, al di là della leggenda?
Lo ha fatto Louis Nero, che con il suo
ultimo film Rasputin – la verità supera la
leggenda, ha raccontato in maniera personale e forse
sperimentale una storia che nessuno prima aveva mai raccontato. Le
origini contadine, il percorso personale legato all’esoterismo, la
continuità nel mettersi alla prova davanti alla tentazione, la
grande amicizia con i Romanoff e l’omicidio che l’ha visto annegare
nel fiume Neva nel 1916.
Tutti i passaggi della sua vita sono rispettati, raccontati attraverso lo strumento narrativo del flashback e utilizzando un sistema visivo raffinato e pop allo stesso tempo, ovvero l’introduzione nel quadro di vere e proprie finestre temporali che ci aiutano ad intersecare i piani narrativi ed ha sentire tutti i punti di vista relativi a chi conobbe Rasputin in vita. L’estetica del film, che per certi versi ricorda il Greenaway di Rembrant J’accuse, si rifà ad una tradizione pittorica che dai russi arriva fino a Rembrant (appunto!) e Caravaggio, prediligendo il piano sequenza fisso e la suggestione che questa figura così complessa e misteriosa proietta ancora oggi sulla spettatore e sulla storia stessa.
Rasputin – la verità supera la leggenda
Francesco
Cabras interpreta il monaco siberiano, prestando il suo
viso emaciato e spigoloso al ruolo e provocando vera e propria
inquietudine con il suo sguardo in macchina, ghiacciato ed
incavato, ad indagare dentro lo spettatore e sempre rivolgendosi
per primo a lui e poi agli interlocutori diegetici. Rasputin è un
film spiegato al pubblico, raccontato dagli stessi personaggi che
ci raccontano dalle loro finestre aperte sul passato, una vita
misteriosa anche per coloro che l’hanno condivisa con il nostro
protagonista, e che con il passare del tempo si è oscurata ancora
di più fino a rasentare la leggenda.
Voce narrante, che ipnotizza lo spettatore ancor più dello sguardo di ghiaccio del protagonista, è quella di Franco Nero, anche co-produttore, che ci permette di addentrarci nelle lande siberiane fotografate di blu dallo stesso Luois, e di accoccolarci negli angoli degli interni che invece si tingono del rosso della passione, del sangue, ma anche della misteriosa vita che viene raccontata.
Certo non si può parlare di un film tradizionale, come già accennato siamo ai limiti dello sperimentalismo, e sicuramente quindi il filma avrà vita difficile, ma questo Rasputin riesce comunque a farsi apprezzare se non altro per il tentativo da parte del regista di rimettere in discussione questo personaggio e per la straniante sensazione che il film lascia nello spettatore.
Anonymous di Roland Emmerich che trailer!
La Columbia Pictures ha rilasciato il trailer di Anonymous di Roland Emmerich, con Rhys Ifans, Vanessa Redgrave, Joely Richardson, David Thewlis, Xavier Samuel, Sebastian Armesto, Rafe Spall, Edward Hogg, Jamie Campbell Bower e Derek Jacobi. Le immagini non fanno altro che aumentare l’attesa per questo film non-catastrofico del regista segreto.
Carrie-Anne Moss e Malcom McDowell in Silent Hill:revelation 3D!
Carrie-Anne Moss (La Trilogia di MatriX, Memento) e Malcom McDowell (Arancia Meccanica) entrano a far parte del cast di SILENT HILL: REVELATION 3D, il film diretto da Michael J. Bassett che Moviemax distribuirà nel 2012.
La Moss e McDowell affiancheranno Adelaide Clemens, Kit Harington, Radha Mitchell, Sean Bean e Deborah Kara Unger, proprio in questi giorni impegnati a Toronto sul set del film.
Samuel Hadida, produttore del film ha dichiarato: “Carrie ha mostrato il suo enorme talento in tutti i generi – dalla Trilogia di Matrix a Memento – e siamo molto felici che lei sia entrata a fare parte del mondo di Silent Hill. Certamente porterà ulteriore eccitazione tra i fan della franchise di videogiochi. ”
Il regista, Michael J. Bassett, ha dichiarato: “Malcolm è semplicemente un’icona del cinema moderno e sono un suo fan da quando ero un adolescente, quando sono riuscito a vedere Arancia Meccanica. Ha una straordinaria capacità di portare nuove e inaspettate dimensioni ai suoi personaggi e so che porterà qualcosa di unico e inquietante a Silent Hill “.
Sinossi
SILENT HILL: REVELATION 3D è basato sulla celebre serie di
videogiochi survival horror della Konami ed uscirà nel 2012 a 6
anni di distanza da SILENT HILL diretto da Christophe Gans.
Per anni, Heather Mason (Adelaide Clemens) e suo padre sono stati
in fuga. Ora, alla vigilia del suo 18 ° compleanno, tormentato da
incubi terrificanti e dalla scomparsa del padre, Heather scopre che
lei non è chi pensa di essere. La rivelazione la porta ad essere
risucchiata in un mondo demoniaco che minaccia di intrappolarla a
Silent Hill per sempre.
Fonte Moviemax
Johnny English Reborn Trailer!!!
L’Universal ha rilasciato il primo Trailer di Johnny English reborn, divertente commedia di anni fa di discreto successo con Rowan Atkinson(Mr.Bean). Il nuovo film è diretto da Oliver Parker e nel cast ci sono oltra ad Atkinson, Gillian Anderson, Dominic West, Rosamund Pike e Daniel Kaluuya.
Marco Bellocchio: un cinema spiazzante
È sempre in cerca di novità, di approcci originali, il suo cinema non dà mai nulla per scontato, e questa è certo una delle sue migliori doti, affatto scontata a sua volta, visto che a settant’anni suonati (classe 1939), dopo una lunga e fruttuosa carriera, avrebbe potuto tranquillamente riposare sugli allori o darsi a un cinema auto celebrativo. Ma chiunque conosca almeno in parte il lavoro di Marco Bellocchio sa che un simile atteggiamento non è nelle sue corde.
Marco Bellocchio, la filmografia
Col suo film d’esordio I pugni in tasca (1965), a soli 26 anni suscitò scalpore, mettendo a nudo senza sconti l’universo di una tranquilla famiglia borghese, dietro le cui apparenze si celano legami malati, costrizioni, rancori, desiderio di ribellione e quella vena di follia che, più o meno marcata, ritroviamo in quasi tutti i suoi film.
E sulla famiglia si sofferma spesso il suo lavoro (Nel nome del padre, Salto nel vuoto, La balia, L’ora di religione, Sorelle, Sorelle Mai). Istituzione fondante – e si direbbe “sacra” – della nostra società, essa però costringe, ingabbia l’individuo e può, talvolta, impedirne il sano sviluppo psicofisico, a meno che da quei legami non si abbia il coraggio di emanciparsi, intraprendendo un cammino indipendente. Oggetto di critica da parte del regista di Bobbio sono poi tutte le altre istituzioni costrittive o tese a creare un effetto di “intorpidimento” dell’individuo: le forme di religiosità cieca e bigotta, i mass media se usati per manipolare fatti e opinioni, la cattiva politica (a prescindere dagli schieramenti). Un cinema d’impegno e di denuncia, mai superficiale,che non teme di scavare nell’individuo e nella società, e di dire tutto ciò che c’è da dire, con coraggio, ma senza pretendere adesione da parte dello spettatore, che si vuole vigile e attento alle tematiche proposte, ma non asservito al punto di vista del regista.
Marco Bellocchio, gli inizi
Il percorso artistico di Marco Bellocchio inizia al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, nel 1959. Qui tre anni dopo ottiene il diploma di regia, per poi partire alla volta di Londra, dove continuerà a studiare cinema. Al suo ritorno, nel ’65, come s’è detto, il suo folgorante esordio I pugni in tasca, che gli vale subito riconoscimenti: la stampa non fatica a rintracciare in lui un indubbio talento, coraggioso e dissacrante e il film si aggiudica il Nastro d’Argento per il Miglior Soggetto e la Vela d’Argento al Festival di Locarno per la Miglior Regia. Lou Castel nei panni di Alessandro e Paola Pitagora in quelli di Giulia, sono perfetti protagonisti di questo dramma familiare: due dei cinque componenti di questo nucleo malato che è la famiglia al centro della pellicola, in cui la rabbia e il rancore sempre covati nascostamente da Alessandro, alla fine esplodono nel gesto più estremo. Il tutto è accompagnato dalle musiche di Ennio Morricone, mentre al montaggio c’è Silvano Agosti, che collaborerà ancora con Bellocchio.
Dopo la famiglia, Marco Bellocchio sceglie la politica ipocrita e trasformista come bersaglio della sua ficcante analisi in La Cina è vicina (1967), protagonista il professore e aspirante assessore Vittorio Gordini Malvezzi/Glauco Mauri, assieme al ragioniere Carlo/Paolo Graziosi, che lo aiuta nel suo tentativo di ascesa sociale e politica all’interno del PSU (Partito Socialista Unificato). Accanto a questo, però, ancora una volta non manca il sarcasmo verso l’ipocrisia in ambiente familiare (Carlo diverrà amante e poi marito, suo malgrado, della sorella di Vittorio, il quale sposerà l’ex fidanzata di Carlo, unitasi a lui per vendetta verso il suo precedente compagno). Ancora musiche di Ennio Morricone, mentre il montaggio è stavolta affidato a Roberto Perpignani. E ancora premi: Nastro d’Argento per il Soggetto (dello stesso Bellocchio) e la Fotografia di Tonino Delli Colli, Premio Speciale della giuria a Venezia. Nel ’69 il regista partecipa, assieme a nomi del calibro di Bertolucci, Lizzani, Pasolini e Godard, al film Amore e Rabbia, di cui dirige l’episodio Discutiamo, discutiamo. Nel ’72 dirige Nel nome del padre, film ispirato in parte a vicende autobiografiche, relative agli anni dell’educazione religiosa del regista, avvenuta presso i Salesiani.
Il film è ancora una volta un feroce attacco, stavolta rivolto alle istituzioni religiose e alla loro volontà di controllo e repressione. La vicenda è ambientata alla fine degli anni ’50 e il protagonista, Angelo Transeunti/Yves Beneyton, è un giovane indisciplinato e recalcitrante alle regole costrittive, che entra in un collegio religioso. Qui fa valere la sua forte personalità, scontrandosi continuamente con l’autorità (il vicerettore Corazza/Renato Scarpa) e le ferree regole della “repressione cattolica”, che denigra. La volontà di ribellione culminerà in due rivolte, entrambe fallite, e forse presaghe di altri fallimenti reali. Non manca poi, intrecciato al tema principale, quello della costrizione dei legami familiari. Al film partecipa anche Gisella Burinato, già attrice teatrale, qui per la prima volta sul grande schermo. Dall’unione tra attrice e regista nascerà, due anni dopo, il figlio Pier Giorgio.
Dello stesso anno invece, è Sbatti il mostro in prima pagina. Qui Marco Bellocchiosi concentra sulla “repressione mediatica”, ovvero sul potere dei mezzi di comunicazione di influenzare le menti degli spettatori, di “intorpidirle”, di distrarle. È quello che avviene nel film dove un cinico e straordinario Gian Maria Volonté (memorabile la sua “lezione di giornalismo” all’ingenuo neoassunto Roveda), direttore di un noto quotidiano, orchestra una campagna stampa ad hoc su un sanguinoso fatto di cronaca, per poi strumentalizzarlo politicamente.
Marco Bellocchio, il 70′
Nel ’75 Marco Bellocchio, che nei suoi film si occupa spesso di psiche e di instabilità mentale, dirige con la consueta passione, assieme a Silvano Agosti, Stefano Rulli e Sandro Petraglia, il documentario Nessuno o tutti – Matti da slegare, che punta il dito contro l’istituzione manicomiale italiana, denunciandone abusi e storture, aggiungendovi una personale analisi che rintraccia nella società l’origine del disagio psichico. Occorre dire che la passione documentaristica lo accompagna fin dal 1969, quando firmò Il popolo calabrese ha rialzato la testa (Paola) e vi tornerà spesso.
Nel 1976 dirige Marcia Trionfale, in cui bersaglio della sua critica è il mondo militare machista e repressivo, protagonisti il giovane soldato Paolo Passeri/Michele Placido e il suo severo superiore Asciutto/Franco Nero. L’impeccabile regia di Bellocchio gli vale il David di Donatello. Il ’77 lo vede invece impegnato nell’adattamento de Il gabbiano di Anton Čechov. Il 1978 è l’anno dell’incontro con lo psichiatra Massimo Fagioli, da cui nascerà un’intensa collaborazione, che darà i suoi frutti negli anni a venire. Intanto, il regista di Bobbio torna ad occuparsi di universi familiari malati e instabilità mentale. Lo fa con la solita lucidità e pregnanza in Salto nel vuoto (1980). Al centro della pellicola, la storia di due fratelli, Mauro Ponticelli/Michel Piccoli e Marta/Anouk Aimeé.
Mauro, convinto che la sorella sia sull’orlo della follia, architetta un piano per spingerla al suicidio, con la complicità di un piccolo delinquente, Giovanni Sciabola/Michele Placido. Il piano però fallisce e anzi, Marta riesce finalmente ad emanciparsi dal perverso legame che la teneva avvinta al fratello, anche grazie alla sua relazione con Sciabola. Alla fine, a compiere il “salto” sarà Mauro.
Nello stesso anno, Marco Bellocchio torna, dopo I pugni in tasca, ai luoghi natii, col documentario Vacanze in Val Trebbia, che vede protagonista lui stesso, accanto a Gisella Burinato e al figlio Pier Giorgio, all’esordio davanti alla macchina da presa. Nel 1982, Bellocchio torna a dirigere Lou Castel, già protagonista de i pugni in tasca e poi ritrovato in altre pellicole firmate dal regista.
Qui è di nuovo protagonista, nei panni di Giovanni Pallidissimi, attore, alle prese con la risoluzione di nodi nei suoi rapporti familiari, in particolare con la madre e con Wilma, fidanzata del fratello morto suicida. Stavolta, però, a differenza di quanto accadeva ne I pugni in tasca, tutto si risolve positivamente, in un’ideale percorso di maturazione e crescita. Sceneggiato con Vincenzo Cerami, si avvale delle musiche di Nicola Piovani (come già numerosi altri lavori del regista, a partire da Nel nome del padre). Segue l’adattamento per il grande schermo del dramma pirandelliano Enrico IV, protagonista Marcello Mastroianni. Ancora una volta, i temi cari a Bellocchio: potere, religione, ipocrisia, follia. Accanto a Mastroianni, Claudia Cardinale, Leopoldo Trieste e Paolo Bonacelli, musiche di Astor Piazzolla.
A metà anni ’80 vede la luce il primo lavoro ispirato dal sodalizio con Fagioli, i cui frutti saranno visibili in tre pellicole: Diavolo in corpo (1986), La condanna (1991), Il sogno della farfalla (1994). Tra questi, la pellicola che avrà maggior fortuna è senz’altro La condanna, che otterrà il Gran Premio della Giuria al Festival di Berlino, protagonisti Vittorio Mezzogiorno e Claire Nebout.
Terminata la collaborazione con lo psichiatra Fagioli, Marco Bellocchio si rifà a un testo teatrale, che decide di portare sullo schermo. Si tratta de Il principe di Homburg (1997), fedele trasposizione dell’omonimo dramma di Kleist. Nel ’99 il regista di Bobbio attinge ad un’altra fonte letteraria: la novella pirandelliana La balia. Protagonisti Valeria Bruni Tedeschi e Fabrizio Bentivoglio, coppia alto borghese d’inizio Novecento, la cui tranquilla esistenza subisce un brusco mutamento con la nascita di un figlio, con il quale la madre non riesce a stabilire un legame affettivo. Il neonato viene così affidato alle cure di una balia (Maya Sansa al suo esordio cinematografico), che invece entra subito in sintonia con il bambino, ma ciò provoca ulteriori tensioni. Dunque, è ancora una volta l’universo familiare ad essere scandagliato dall’analisi di Bellocchio, sulla scorta della fonte letteraria. L’affresco storico sociale resta sullo sfondo, in favore dell’aspetto esistenziale ed intimo. Nel cast anche Michele Placido e Pier Giorgio Bellocchio.
Il nuovo millennio di Marco Bellocchio
Nel nuovo millennio, il regista torna ad occuparsi di religione e famiglia in L’ora di religione (2002), non rinunciando a svelarne ipocrisia e opportunismo. Protagonista della vicenda, genialmente surreale, è Ernesto Picciafuoco/Sergio Castellitto (ultimo di una lunga serie di indovinati nomi parlanti, cari a Bellocchio), pittore, che conduce da anni la sua vita, rigorosamente laica, lontano dal resto della blasonata famiglia.
Tutto cambia, quando viene informato dell’imminente canonizzazione della madre, ordita da una zia (una Piera degli Esposti splendidamente cinica) nella speranza di un ritorno economico che rinverdisca le finanze familiari. Perché il processo vada in porto c’è bisogno della collaborazione di tutti, in special modo dei figli della donna: Ernesto, Ettore/Gigio Alberti, Erminio/Gianfelice Imparato ed Egidio/Donato Placido. La canonizzazione è dunque l’occasione per Ernesto di rincontrare la sua famiglia d’origine – oltre a una serie di stravaganti personaggi che si profileranno sul suo cammino – e per il regista di farci scoprire, tassello dopo tassello, un universo familiare lacerato e devastato dalla pochezza di spirito, dall’inadeguatezza, e dall’ottuso bigottismo della donna che si vorrebbe santificare, che di esso è stata per anni il fulcro, e il tarlo.
Scopriamo così che uno dei fratelli, Egidio (nell’intensa interpretazione di Donato Placido), è stato internato in una struttura psichiatrica, proprio in seguito all’omicidio della madre, e ritroviamo quindi anche il tema della follia. Non manca il sarcasmo nei confronti di una Chiesa che bada alle apparenze e non alla sostanza, come verso l’alta borghesia perbenista e ipocrita, da cui il protagonista s’è voluto staccare, ma che torna anche nella sua nuova famiglia (anche la moglie vuole approfittare dei vantaggi della canonizzazione e vuole far battezzare il loro figlio, così come insiste per fargli seguire a scuola l’ora di religione). Il Bellocchio di sempre, dunque, ma certamente il miglior Bellocchio, che sa dare nuova linfa e originalità alla trattazione cinematografica di temi noti, in un film drammatico, e insieme ironico e brioso.
I premi arrivano copiosi: Menzione Speciale a Cannes, 4 Nastri d’Argento (tra cui Miglior Regia), David di Donatello a Piera degli Esposti e European Film Award (EFA) a Sergio Castellitto per le rispettive interpretazioni. Il regista e l’attore si ritroveranno insieme nel 2006, quando l’uno dirigerà l’altro nel più leggero Il regista di matrimoni.
Nel 2003, il regista emiliano torna invece ad occuparsi di politica, scegliendo una delle pagine più buie e controverse della nostra storia. Rielabora infatti le vicende relative al sequestro Moro in Buongiorno notte, liberamente ispirato al libro Il prigioniero, scritto da Anna Laura Braghetti, brigatista. La pellicola si incentra sulla prigionia di Moro e dunque sul dramma da lui vissuto, ottimamente reso da Roberto Herlitzka, oltre che sulle dinamiche all’interno del gruppo di rapitori, tra cui Chiara/Maya Sansa, dapprima convinta, poi dubbiosa sugli sviluppi del sequestro. Nel cast anche Luigi Lo Cascio, Paolo Briguglia, Pier Giorgio Bellocchio. Il film è un successo al botteghino, rivelandosi uno dei più soddisfacenti del regista in questo senso. Ottiene anche svariati premi, ma non il Leone d’Oro a Venezia, per il quale pure era favorito. Riconoscimenti arrivano comunque: Premio FIPRESCI agli EFA a Bellocchio, David di Donatello e Nastro d’Argento a Herlitzka; Globo d’Oro e Ciack d’Oro a Maya Sansa , Premio Ioma per Miglior Film.
Tre anni dopo, torna ad occuparsi di una vicenda privata, ma al tempo stesso dagli evidenti risvolti politici. Con Vincere infatti il regista porta sullo schermo la storia di Ida Dalser, amante di Benito Mussolini, e madre di suo figlio Benito Albino. L’idea del film è nata, dic e Marco Bellocchio, dalla scoperta di questa forte figura femminile, attraverso la lettura della sua corrispondenza. A colpirlo, infatti, sono proprio la sua incrollabile fiducia e l’abbandono col quale si getta nella storia d’amore col Duce, così come l’ostinazione con la quale poi non accetterà di essere da lui abbandonata, assieme al figlio. Ad interpretarla un’efficacissima Giovanna Mezzogiorno, adatta a renderne la caparbietà, a dispetto della realtà e dell’evidenza. E di nuovo il confine tra sanità e follia è labile. Lo stesso può dirsi per gli altri due personaggi principali della storia, Benito Mussolini e Benito Albino, teso verso orizzonti di gloria il primo, e quasi assente dalle sue vicende personali; allevato nell’ossessione dell’ingombrante padre traditore il secondo, che finirà i suoi giorni in manicomio. Filippo Timi interpreta magistralmente entrambi. Il film, unico italiano in concorso nel 2009 al Festival di Cannes, non otterrà in questa sede i premi sperati. In compenso però farà incetta di riconoscimenti ai David di Donatello, conquistandone ben sette, tra cui quello per la Miglior Regia. Nastro d’Argento a Giovanna Mezzogiorno.
La passione di Marco Bellocchio per il suo lavoro si esprime però anche nella conduzione del laboratorio Fare Cinema, scuola di regia e recitazione che si tiene ogni anno, in estate, nella natia Bobbio, cui si accompagna il Bobbio Film Festival. E da questa esperienza nasce nel 2006 un primo lungometraggio dal titolo Sorelle, il cui soggetto sarà poi ripreso nel film Sorelle Mai (2010), che ne è ulteriore elaborazione.
La pellicola raccoglie materiale girato durante il laboratorio nel corso di dieci anni, a detta del regista senza l’intento iniziale di farne un film, ma che ne ha poi preso la forma. Al centro, inevitabilmente, un nucleo familiare, che in parte coincide con quello del regista stesso: le sorelle Letizia e Maria Luisa, il figlio Pier Giorgio, la figlia Elena, inseriti però in una vicenda di fantasia, tra allontanamenti e ritorni nella terra natia, vittorie e sconfitte. Ed è proprio alle sue sorelle, con la loro vita “di confortevoli rinunce”, come la definisce lui stesso, che Marco Bellocchio dedica il film. Con quest’opera il regista ci spiazza ancora una volta, accettando e vincendo quella che per lui resta “la sfida” del cinema oggi: parlare di ciò che ci riguarda, farlo in maniera profonda e originale, nella specificità estetica del cinema, senza scimmiottare modelli televisivi, e non cercare mai di compiacere nessuno, ché altrimenti viene meno la libertà espressiva.
Dieci Inverni: recensione del film di Valerio Mieli
Dieci inverni è il film del 2010 diretto da Valerio Mieli con protagonisti Isabella Ragonese, Michele Riondino, Glen Blackhall, Sergej Zhigunov.
Dieci inverni racconta la sera d’inverno del 1999 i diciottenni Silvestro e Camilla , studenti fuori sede a Venezia , si incontrano su un vaporetto: sarà l’inizio di un percorso lento e graduale, lungo dieci anni in cui si avvicineranno e perderanno, sempre per pochi attimi e sempre d’inverno, prima di riuscire a comprendere e a rivelare i propri sentimenti.
Può un amore palesemente scritto nel destino dover attendere dieci anni prima di sbocciare pienamente? Dopo Harry ti presento Sally e in attesa dell’imminente One Day di Lone Scherfig con Anne Hathaway e Jim Sturges, nuove passioni lente ad esprimersi attraversano i Dieci inverni di Valerio Mieli: ben lontano dal rischio di cadere nelle trappole delle più tremende commedie sentimentali, il luminoso esordio del regista romano è un racconto pulito e spontaneo, abile nel descrivere i quadri invernali del decennio che porta ai trent’anni senza la retorica e le convenzioni giovanili esasperate dai romanzi di Moccia, regalandoci un’esperienza intimamente coinvolgente e felicemente isolata dai più recenti trend di un cinema italiano quasi poco interessato a lavorare su un terreno più squisitamente emotivo senza prendersi in giro e cercare la risata.
Dieci Inverni, tra malinconia e suggestione
E’ una Venezia malinconica quella in cui accettiamo piacevolmente di immergerci, assai più affascinante e suggestiva nel suo abito pallido e silente che nelle colorate e caotiche cartoline turistiche, preferendo a un rampante motoscafo o alla solita gondola in Canal Grande un vaporetto arrugginito dove un ragazzo con una buffa pianta e una ragazza che porta una strana lampada si incontrano per la prima volta in una fredda sera d’inverno; dopo una prima castissima notte apparentemente senza seguito, le strade di Silvestro e Camilla iniziano a incrociarsi numerose volte per pochi attimi o per brevi periodi, in frammenti di vita in attesa come gelidi cristalli di neve.
Attraverso un cammino perennemente in fieri, fra frasi non dette e grandi speranze che cedono spesso alle piccole cattiverie e vendette della quotidianità, Camilla e Silvestro provano a cercare altre strade verso la felicità fingendo di poter rinnegare consapevolmente sé stessi: senza che il sole faccia mai capolino i due intraprendono carriere differenti, vivono altre storie e si dividono fra le calli deserte di Venezia e le rigide sere moscovite, in due città tanto diverse quanto abili entrambe a congelare i sentimenti. Quando le reciproche esperienze li hanno fatti finalmente crescere dandogli il coraggio di rischiare, l’incantesimo invernale finalmente può infrangersi e lasciare arrivare la primavera, con il sole che illumina gli sguardi e quella casetta dove da studenti avevano convissuto, sfiorandosi senza mai riuscire davvero a toccarsi e a bruciare.
Un film delicato e sospeso
Valerio Mieli costruisce dunque col suo saggio di diploma al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma un film delicato e sospeso, una finestra sul mondo dei sentimenti che nella semplicità trova il suo punto di forza e che nonostante i tempi lenti e la fredda ambientazione non annoia e scalda il cuore, complice il suggestivo pianoforte di Francesco De Luca e Alessandro Forti e la surreale fotografia di Marco Onorato; ottime le prove di Michele Riondino e Isabella Ragonese, bravissimi nel tratteggiare le storie di due personaggi immaturi e inesperti ma mai eccessivi o caricaturali, nelle cui umane insicurezze e reazioni sbagliate ma all’apparenza inevitabili è facile identificarsi: almeno una volta nella vita abbiamo sperato di trovare qualcuno che ci accompagnasse lungo il percorso, abbiamo pensato che si nascondesse lontano in qualche luogo remoto dove non siamo mai stati quando invece era lì, così vicino a noi, senza che riuscissimo a riconoscerlo.
Habemus Moretti: dal 15 aprile al cinema
“Intorno alla Città del
Vaticano, le televisioni di tutto il mondo trasmettono da
impalcature costruite apposta o dalle terrazze dei palazzi”. Questa
è una didascalia tratta dalle prime scene della sceneggiatura (
visibile sul sito ufficiale ) di Habemus Papam. E se il
Papa appena eletto ha una crisi di fede?
David di Donatello 2011: tutte le nominations
David di Donatello 2011: super-candidato è Noi credevamo, il film di Mario Martone che racconta un Risorgimento inedito e lontano dalla visione appiattita da molta aneddotica passata nella storiografia ufficiale. La pellicola, presentata al Festival del Cinema di Venezia 2010 e che per l’argomento ha subito nella sua prima fase una distribuzione piuttosto travagliata, nell’anno delle celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia raccoglie ben 13 nomination, tra cui quelle pesanti nelle categorie miglior film e miglior regia.
Jennifer Aniston dentista sexy in Horrible bosses
Con i capelli più scuri, spietata, provocante e ninfomane. Jennifer Aniston si è trasformata in una calorosa dentista in Horrible Bosses, il film di Seth Gordon
Javier Bardem in trattative per Dark Tower!
Giunge notizia che l’attore Javier Bardem, recentemente diventato papà grazie alla compagna Penelope Cruz, è vicinissimo alla firma del contratto, che lo vedrà tra i protagonisti diDark Tower, trasposizione della saga di Stephen King per mano del regista Ron Howard che sta iniziando a provinare gli aspiranti interpreti per gli altri ruoli.
David Heyman cerca un sostituto di Harry Potter: Oscar Pill?
David Heyman, famoso per aver prodotto la saga di Harry Potter e alla ricerca di un nuovo personaggio che prenda il posto del maghetto occhialuto, e sembra aver trovato un nuovo progetto…
Call of Duty: notizie sulla trasposizione!
Giunge notizia che Dwayne Johnson(The Rock) ha dichiarato di avere in mente una riduzione cinematografica del videogioco Call of Duty. Sembra che sia seriamente intenzionato a trarre un film dal famoso videogame per console.
Source Code: recensione del film con Jake Gyllenhaal
Arriva al cinema distribuito da 01 Distribution Source Code, il film di genere fantascienza, diretto da Duncan Jones, con protagonisti Jake Gyllenhaal e Vera Farmiga.
Duncan Jones, reduce dall’ottimo lavoro presentato con Moon, porta sullo schermo questa storia scritta da Ben Ripley ed interpretata da un cast eccellente che accanto al protagonista Jake Gyllenhaal, vede una bella coppia di signore: Vera Farmiga e Michelle Monaghan.
La trama di Source Code
Il capitano Colter Stevens si risveglia su un treno in un corpo che non è il suo, non capisce come ci è finito ma all’improvviso il treno esplode e lui si risveglia in una capsula senza sapere esattamente dove si trova. Vede solo in uno schermo una donna in uniforme, Goodwin, che gli spiega la situazione: lui è stato scelto per entrare nel Source Code, un software che permette ad una persona compatibile con il sistema di entrare nel corpo di una persona negli ultimi 8 minuti della sua vita. Colter dovrà quindi ritornare nel corpo dello sconosciuto ripetutamente fino a che non riuscirà a trovare l’attentatore e la bomba sul treno. Ma quando il destino di Colter incrocia la sua strada, incarnato nella bella Christina, il soldato capirà che la sua missione non è solo scoprire chi è il terrorista, ma salvare anche la donna che in quegli 8 minuti eterni ha imparato ad amare.
Source Code pur non essendo nato dalla mente di Jones, presenta molte affinità con l’opera prima del regista, su tutte la rarefazione dei personaggi e del mondo che si muove intorno ad essi e la dimensione claustrofobica dello spazio che li ingabbia e contemporaneamente è anche spazio aperto, libero e infinito. Si sprecano infatti, nella spettacolare sequenza d’apertura, le panoramiche di Chicago, estremamente bella sotto il sole, in contrapposizione con l’oscura vastità interstellare di Moon.
Ad un inizio leggermente noioso segue un film importante, ben girato e scandito da un montaggio eccellente. Jones conferma il suo talento e ci racconta una storia di fantascienza ma allo stesso tempo una storia umana, di un uomo in particolare, che fino alla fine della sua vita si dedica agli altri e finalmente trova poi la forza di fare qualcosa per sé. Jake Gyllenhaal offre una performance ordinaria, e come al solito si rivela un attore diligente, perfettamente calato nel ruolo del soldato, senza però strafare e lasciando comunque l’impressione che quello che fa il suo personaggio non sia nulla di straordinario: il suo Colter sbaglia, picchia e viene picchiato, si arrabbia e si innamora, proprio come ogni persona normale.
Source Code trova nel suo finale un perfetto coronamento, grazie anche ad una colonna sonora funzionale e ad un racconto lineare e chiaro per quanto lo consente il complesso meccanismo alla base della trama del film. La fantascienza è fatta da uomini che si rapportano a tecnologie superiori, ma qui l’uomo riesce a piegare questa tecnologia estranea con la propria forza di volontà diventando artefice del proprio futuro e riscrivendo la (sua) storia. Film potente e mozzafiato, Source Code è sicuramente da vedere poiché alla buona fattura e alla storia non originalissima, ma raccontata con precisione ed efficacia, unisce il ritratto di una grande personalità tutta umana.
Gyllenhaal e Jones a Roma per Source Code
“Se avessi un solo minuto a disposizione prima di morire certo non risponderei alle vostre domande! Chiamerei la mia famiglia e probabilmente vorrei mangiare un piatto di pasta!” E’ Jake Gyllenhaal a parlare, arrivato questa mattina a Roma per presenziare alla conferenza stampa di Source Code, insieme al regista Duncan Jones.
Anche Jean-Paul Belmondo al Festival di Cannes
Bébel, 77 anni, sarà festeggiato il 17 maggio con la proiezione del documentario che gli hanno consacrato Vincent Perrot e Jeff Domenech, “Belmondo, itinéraire…”, seguita da una grande festa con tutti i soliti noti del grande schermo transalpino.
Lindsay Lohan interpreterà Sharon Tate?
Lindsay Lohan potrebbe interpretare Sharon Tate, la bellissima e sfortunata moglie di Roman Polanski uccisa brutalmente nel 1969 da Charles Manson e la sua ‘famiglia’. Il film in questione si intitolerà Eyes of a Dreamer e vedrà alla regia quel Tyler Shields amico e fotografo della turbolenta attrice. Nelle sue intenzioni ci sarebbe quella di realizzare un film macabro e particolareggiato sulla storia di Manson.
La Lohan, la cui carriera è stata stroncata da una serie di vicissitudini personali, avrà così forse l’ultima possibilità di risollevarsi professionalmente parlando, dopo la mancata partecipazione al biopic su Linda Lovelance dello scorso anno.
Fonte: badtaste
Nicole Kidman e Clive Owen sul set di Emingway!
Continuano le riprese per Nicole Kidman e Clive Owen, del film della HBO Hemingway & Gellhorn. In rete sono state diffuse nuove foto che questa volta ritraggono un insolito Clive Owen con i baffi e un basco.
Cars 2: nuovo Trailer!
La Disney Pixar ha diffuso sul suo canale youtube un nuovo trailer del nuovo e secondo capitolo di Cars 2, film d’animazione che racconda le vicende di un gruppo di auto. Per vedere il trailer…
Drive Angry 3D: recensione del film con Nicolas Cage
ll regista Patrick Lussier dirige questo nuovo, ennesimo film minestrone dal titolo Drive Angry 3D, e dopo il primo San Valentino di Sangue riprova a fare il pienone di pubblico, ma questa volta il 3D non è certo una novità.
Con un’opera come questa le pretese non sono altissime ma ben chiare e delineate: voler mettere insieme un film ritmato che ha come unico scopo quello di intrattenere il pubblico.Il film racconta la storia di Milton, scappato dall’Inferno per un’ultima occasione di redenzione. L’uomo deve fermare una pericolosa setta che ha ucciso sua figlia ed ha tre giorni di tempo prima che questa setta sacrifichi suo nipote neonato sotto la luna piena. Si aggiunge alla sua crociata Piper (Amber Heard), una giovane e sexy cameriera che si è liberata della macchina rossa del suo ex per aiutare Milton. I due sono sulle tracce del leader di questo culto mortale, Jonah King (Burke), che crede sia il suo destino usare il bambino per portare in terra l’inferno. Ma il culto assettato di sangue è l’ultimo dei problemi di Milton. La polizia è sulle sue tracce. A peggiorare la situazione c’è un enigmatico assassino conosciuto come il Contabile (Fichtner), che è stato mandato dal diavolo a recuperare Milton e a riportarlo all’inferno.
Il risultato è un discreto B movie con un buon senso dell’humor che a tratti riesce ad essere degno di nota, strizzando l’occhio certamente a quel cinema degli anni 70’ che ha reso tanto celebre attori del calibro di Charles Bronson. Tra una sequenza d’inseguimento, una bella dose si sesso e bibbia, manco fossimo in un film di De Mille, il film rimane ingabbiato forse in alcuni stereotipi troppo rigidi che non aiutano la narrazione. Nella fattispecie il personaggio interpretato da Fichtner, che certamente rappresenta una notevole presenza scenica, limita però il talento dell’attore, che realizza una fotocopia già vista di un estensione demoniaca in terra. O ancora il personaggio di Burke, Jonah King, che sembra essere una brutta copia dei cattivi che hanno dominato un certo cinema degli anno 80’, pessimo, fuori ruolo e impalpabile.
Tolti i panni da critico, il film risulta essere piacevolmente godibile, forse eccessivamente lungo ma ben confezionato. Menzioni speciali vanno dedicate alla qualità del 3D, che se fino ad ora aveva troppe volte deluso, diventando solo espediente per incrementare gli incassi; invece questo film si distinguerà per un ulteriore passo in avanti verso un 3D che letteralmente buca lo schermo e finalmente aggiunge qualcosa all’opera, aiutato certamente da una scrittura servizievole alla causa stereoscopica. Altra nota positiva è l’attrice Amber Heard, di ritorno dall’ultimo Carpenter in ordine di tempo, adatta al ruolo e buona spalla per il protagonista Nicolas Cage, che fa sempre il suo, fresco della splendida prova data in Kick Ass, in attesa di lidi migliori in cui ammirarlo.
Tutto sommato Drive Angry è un discreto blockbuster che può essere apprezzato per il 3D, ma resta tuttavia vittima di alcuni stereotipi che lo limitano, rendendolo abbastanza prevedibile e scontato.
Paul Haggis: Re Mida delle sceneggiature hollywoodiane
Il regista, sceneggiatore e produttore Paul Haggis, canadese classe ’53, ha da poco presentato a Roma la sua ultima fatica, che lo vede in tutte e tre le vesti sopracitate: The next three days, un thriller che ha come protagonista Russell Crowe, impegnato in una lotta contro il tempo in nome dell’amore.
C’era molta attesa per questa nuova pellicola, essendo Paul Haggis uno degli sceneggiatori più stimati di Hollywood. È stato infatti vincitore nel 2006 del Premio Oscar per la Miglior Sceneggiatura con il film Crash – Contatto fisico. Nota e proficua anche la sua collaborazione con Clint Eastwood, per il quale ha scritto Million dollar baby – che si è aggiudicato l’Oscar come Miglior Film – e le due pellicole speculari dirette da Eastwood sulla battaglia di Iwo Jima (Lettere da Iwo Jima e Flags of our fathers).
In pochi anni dunque si è guadagnato la stima di critica e pubblico creando storie che hanno saputo coniugare abilmente intrattenimento e impegno. Si è occupato di razzismo, intolleranza, eutanasia, guerra, non rinunciando a schierarsi, dandoci la sua visione, senza dimenticare però le esigenze dello spettatore medio americano, che vuol essere avvinto da trame articolate, d’azione e spettacolo.
Paul Haggis, film e filmografia
Ma la carriera di Paul Haggis comincia con la televisione. L’esordio nel 1975, che lo porterà a firmare due delle serie televisive americane più amate degli anni ’70-’80: Il mio amico Arnold e Love Boat. Nel ’77 sposa Diane Christine Gettas, da cui avrà tre figli. Dal ’93 al 2001 lavora ancora in tv, curando la serie Walker, Texas ranger, con Chuck Norris. Nel frattempo, debutta anche sul grande schermo dietro la macchina da presa e sposa, dopo il divorzio dalla prima moglie, Deborah Rennard con la quale ha una figlia. Da lei si separerà nel 2009, ma i due resteranno molto legati, tanto che a tutt’oggi è proprio alla ex moglie che spetta il primo giudizio sul lavoro di Paul.
Il primo grande successo per il cinema risale al 2004 ed è proprio la sceneggiatura di Million dollar baby. Eastwood infatti, convinto dallo script del canadese, decide di portare sul grande schermo la storia di Maggie Fitzgerald (un adattamento dai racconti di F. X. Toole). Ottiene così un risultato su cui piovono riconoscimenti: come Miglior Film conquista non solo l’Oscar, ma anche il Golden Globe, il Nastro d’Argento e il David di Donatello (in questi ultimi due casi come film straniero).
In più, riconoscimenti per la regia ad Eastwood e per le interpretazioni a Hilary Swank, protagonista nel ruolo di Maggie, e a Morgan Freeman. Il film ha varie sfaccettature e momenti, e tiene abilmente insieme diversi temi: la determinazione grazie alla quale è possibile, come fa la protagonista, cambiare il proprio destino (diventerà una grande pugile), a dispetto di pregiudizi e sfiducia; il tema del rapporto padre-figlia, che finisce per instaurarsi tra Maggie e Frankie Dunn/Clint Eastwood, suo allenatore e manager, svelando la profonda umanità dello scontroso Frankie; la morte e la domanda su come porsi rispetto ad essa, che qui in particolare prende la forma di una riflessione sulla legittimità dell’eutanasia. Il tutto, in una visione non semplicistica, che dà conto della complessità del reale, scandita da dialoghi arguti, ironici, ma anche intensi, senza essere stucchevoli. Il film è prodotto dallo stesso Paul Haggis che ha fondato la sua casa di produzione, la Hwy 61.
I riconoscimenti più importanti arrivano però per il canadese con un’altra pellicola, firmata nello stesso anno (2004), e stavolta da lui diretta, oltre che sceneggiata e prodotta: Crash – Contatto fisico. Qui il regista sceglie una strada non facile: quella di intrecciare in un’unica trama diverse storie, e svariati personaggi. Tematica comune è quella del razzismo, in un contesto fortemente multietnico come quello americano, ma più in generale di un disagio profondo, quello di una società in cui alla logica dell’incontro tra individui si è sostituita, appunto, quella dello scontro. Anche qui, i temi sono trattati senza schemi preconcetti, o divisioni manichee. Nel cast, Sandra Bullock, Brendan Fraser, Matt Dillon. La pellicola si aggiudica tre Oscar: Miglior Regia, Miglior Sceneggiatura e Miglior Montaggio, e il David di Donatello come Miglior Film Straniero. È la consacrazione di Haggis tra le stelle di Hollywood.
Prosegue poi la collaborazione con Eastwood, nel 2006, per il quale scrive la sceneggiatura di Flags of our fathers e il soggetto di Lettere da Iwo Jima, ma gli viene anche affidata la stesura della sceneggiatura di Agente 007 – Casinò Royale, che sarà considerato uno dei migliori degli ultimi anni del “filone Bond”, tanto che Haggis curerà anche il successivo Agente 007 – Quantum of Solace (2008). Ma allo sceneggiatore canadese piace variare, e nel 2006 firma la sceneggiatura del remake de L’ultimo bacio di Gabriele Muccino: The last kiss.
Il 2007, invece, vede Paul Haggis ancora dietro la macchina da presa, a dirigere Nella valle di Elah, in cui affronta il tema della guerra – delicato e attualissimo nell’America post-11 settembre – con la consueta arguzia. Il film è infatti l’odissea di un padre (Hank Deerfied/Tommy Lee Jones), che parte alla ricerca del figlio, scomparso al suo ritorno dall’Iraq. Hank, che ha già perso un altro figlio in guerra, scoprirà un’atroce verità, con l’aiuto di un’ostinata poliziotta (Emily Sanders/Charlize Theron). Il quadro della vita militare che emerge, ne svela gli aspetti più crudi e oscuri, ed è una chiara denuncia degli effetti della guerra su tutti gli individui che ne fanno esperienza. Accanto a Tommy Lee Jones, nei panni della moglie, Susan Sarandon. Paul Haggis è, qui, anche nelle vesti di sceneggiatore.
Dall’8 aprile prossimo, invece, sarà nelle sale la sua ultima creatura, cui s’è accennato in apertura: The Next three days. Ancora una volta il regista è alle prese con la complessità della natura umana, e stavolta in particolare col sentimento dell’amore, e con ciò che un uomo è disposto a fare per la donna che ama. Anche qui, come in Crash, c’è un lasso di tempo relativamente breve nell’arco del quale si svolge l’azione (i tre giorni del titolo), in cui il protagonista Russell Crowe/John Brennan, farà di tutto per riavere con sé sua moglie, incarcerata con l’accusa di omicidio. Il film è un remake del francese Pour Elle, diretto da Fred Cavayé nel 2007, la distribuzione italiana è affidata a Medusa Film. Inoltre, è in preparazione Honeymoon with Harry, per la regia di Jonathan Demme, con Robert De Niro, che vede Haggis alla sceneggiatura.
The Dark Knight Rises verrà girato a Pittsburgh!
Giunge notizia che Christopher Nola ha oramai deciso dove girare il terzo capitolo della sua saga su Batman, The Dark Knight Rises. Il regista ha intenzione di girare la gran parte delle riprese a Pittsburgh PA. Le riprese inizieranno questa estate..
Ecco le dichiarazione del regista:
Pittsburgh è una città bellissima”, dice, “Siamo stati in grado di trovare tutto quello che cercavamo qui e sono entusiasta di trascorrere l’estate a Pittsburgh per la nostra ultima volta in Batman.”
Fonte: superherohype
The Dark Knight Rises verrà girato a Pittsburgh!
Giunge notizia che Christopher Nola ha oramai deciso dove girare il terzo capitolo della sua saga su Batman, The Dark Knight Rises. Il regista ha intenzione di girare la gran parte delle riprese a Pittsburgh PA. Le riprese inizieranno questa estate..
C’è chi dice NO: recensione del film
In C’è chi dice NO Max, Irma e Samuele sono tre ex compagni di scuola che hanno in comune un solo nemico: i raccomandati. Tutti e tre professionisti in gamba vengono scalzati da raccomandati che prendono ingiustamente i loro posti, e così decidono di darsi una mano rendendo la vita impossibile ai tre ‘usurpatori’.
Raccomandazione, calcio, segnalazione, comunque la si voglia chiamare è una gran brutta storia, che in Italia va per la maggiore. E così con C’è chi dice NO Giambattista Avellino ci racconta questa storia, equilibrata, divertente ma mai ridanciana, con protagonisti ben scelti e qualche bravo comprimario. Luca Argentero, a furia di fare film, sta imparando qualcosa e sembra sempre più convincente nei ruoli che gli vengono assegnati, abbastanza bravo anche ad emulare un fiorentino che non gli si addice molto me che è sembrato un ostacolo per tutti, anche per la sempre brava Cortellesi, in questo film forse troppo sacrificata alla coralità del racconto. Molto bravo invece Paolo Ruffini, livornese senza problemi d’accento che diverte ed emoziona, mantenendo sempre un discreto equilibrio che caratterizza poi tutto il film. Comprimario d’eccezione è Giorgio Albertazzi che interpreta un decano dell’Università, completamente invischiato in loschi affari di favoritismi e raccomandazioni: inutile sottolineare che qualunque fosse stato il suo ruolo, l’avrebbe interpretato a meraviglia.
C’è chi dice NO, il film
Poco convincente la distribuzione nel tempo degli eventi; anche se la storia si muove su dinamiche ben costruite, l’idea finale della protesta collettiva, giustamente ambientata all’università, viene portata avanti un po’ tropo tardi e resta solo un accenno che poteva invece costituire non solo un vero e proprio filo conduttore, ma anche una sostanziale novità nella drammaturgia della commedia odierna. Interessante però notare come la commedia si sposti sempre di più su temi sociali, che sono straordinariamente attuali (era successo già con Benvenuti al Sud e Nessuno mi Può Giudicare), tanto da sembrar essere stati girati qualche giorno prima della presentazione, un segnale importante che discosta finalmente il cinema nostrano da quell’intimismo buonista che aveva visto in passato un susseguirsi di storie d’amore più o meno identiche e lo accompagna forse verso un nuovo grado di maturità.
Resta tuttavia il rimpianto di una volontà, sebbene negata, palesemente edulcorante nel finale che pur dando una visione consolatoria risulta anche falsata.