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La Banda di Aldo Giovanni e Giacomo presenta il loro nuovo film

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La squadra formata da Aldo Giovanni e Giacomo è scesa in campo al Cinema Adriano a Roma per presentare l’ottavo film insieme, La BANDA dei BABBI NATALE.

Le Cronache di Narnia: il Viaggio del Veliero: recensione

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Le Cronache di Narnia: il Viaggio del Veliero: recensione

Le Cronache di Narnia: il Viaggio del Veliero è il terzo capitolo della saga per ragazzi convertita sullo schermo e diretta per i primi due capitoli da Andrew Adamson, lo stesso dei due primi Shrek (i migliori di sempre), e che questa volta lascia lo scettro della regia a Michael Apted. Ritroviamo in questo film Skandar Keynes nel ruolo di Edmund e Georgie Henley in quello di Lucy.

Ne Le Cronache di Narnia: il Viaggio del Veliero Peter e Susan sono ormai grandi, e già ne Il Principe Caspian abbiamo sentito che non torneranno più a Narnia. Adesso tocca a Lucy ed Edmund, i due fratelli minori, affrontare il loro ultimo viaggio nel paese del leone Aslan, ma con sorpresa si porteranno dietro anche l’antipatico e saccente cugino Eustace. Ricomincia così l’avventura, a bordo di un grande veliero (quello del titolo appunto) capitanato da una variegata ciurma agli ordini dell’ormai Re Caspian, conosciuto nel secondo film. Come nei due precedenti film che compongono la saga de Le Cronache di Narnia, anche il terzo capitolo, Il viaggio del veliero, si distingue per la scelta, condivisibile, di lasciare molto spazio al mondo dell’infanzia, al coraggio e ai buoni sentimenti, che presi a piccole dosi offrono un bello spettacolo per i più piccoli, ma forse un po’ noioso per il pubblico adulto che ormai è avvezzo ai film d’animazione ‘per adulti’ come Shrek e il recente L’illusionista.

Le Cronache di Narnia: il Viaggio del Veliero, il film

La storia si dipana però in maniero troppo graduale dando a metà film l’impressioni di doversi protrarre eccessivamente nel tempo e spaventando chi, già a quel punto, si è annoiato. La sceneggiatura, come è noto, si basa sul terzo volume della raccolta di C.S.Lewis che sulla scia del collega Tolkien, ha elaborato, con risultati decisamente più modesti, questo mondo parallelo creatosi del ruggito di un leone/Dio che governa sul suo equilibrio. La regia, a parte qualche guizzo particolarmente epico a seguire le peregrinazioni e i volteggi in questo mare fantastico, non offre particolari spunti. Risulta comunque buona e all’altezza dell’immaginario da video-game che accomuna la giovane platea del 2010. Ritorna la colonna sonora dei due film precedenti, con qualche variazione sul tema ma sempre efficace, senza troppi guizzi artistici, ma sicuramente funzionale.

Quello che soddisfa a pieno lo spettatore è la grafica computerizzata, sempre più simile alla realtà e molto più espressiva dei giovani protagonisti, che purtroppo non rendono giustizia ai re e alle regine di Narnia su carta. Su tutti spicca per cattiva recitazione il Re Caspian Ben Barnes, che abbiamo già visto nel film precedente della serie e che è stato scelto, a sorpresa, per interpretare il Dorian Gray del film di Parker. Ci stiamo ancora chiedendo cosa mai abbia portato a questo tipo di scelta…

Quello che però nuoce davvero al film è il 3D. Ancora una volta un film girato ‘a due dimensioni’ è stato convertito e proiettato con l’aiuto della tecnologia stereoscopica con risultati davvero disastrosi: non solo il cosiddetto 3D non è funzionale alla storia (almeno per il modo in cui è stato utilizzato), ma rischia di aumentare la sensazione di fastidio nel guardare un film carino ma che non brilla per eccellenza. Una minuscola parte è riservata alla splendida Tilda Swinton che torna ad interpretare, nel ricordo di Edmund, la Strega Bianca Jadis, terribile nemico nel primo film.

Oscar 2011: La pre-selezione come migliori effetti visivi

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L’Academy ha selezionato i 15 film candidati alla nomination per l’Oscar come migliori effetti visivi. Tra questi, ci sono i sette da cui verrà estratta la cinquina di candidati..

L’esplosivo piano di Jean Pierre Jeunet

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All’anteprima romana di “L’esplosivo piano di Bazil” era presente solo il regista Jean Pierre Jeunet, reduce dai successi di “Il favoloso mondo di Amelie”, “Delicatessen” e “Una lunga domenica di Passioni” e inoltre uno dei registi di “Alien”.

L’esplosivo piano di Bazil: recensione del film

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L’esplosivo piano di Bazil: recensione del film

Jean Pierre Jeunet dopo il grande successo di “Il Favoloso Mondo di Amelie” e il grottesco “Delicatessen” porta sullo schermo un pastiche che si colloca a metà tra i due stili dei precedenti film. La sua nuova opera L’esplosivo piano di Bazil è un commedia stramba e senza tempo, dove i personaggi sono dipinti da grosse pennellate caricaturali.

In L’esplosivo piano di Bazil Bazil, rimasto orfano da piccolo perché il padre è rimasto vittima di una mina in guerra, mentre se ne sta comodo a guardarsi un film nella videoteca dove lavora, viene colpito alla testa da un proiettile. Ironia della sorte perde tutto e si ritrova ad essere un maldestro barbone, che a causa di quella pallottola ancora conficcata in testa, potrebbe morire da un momento all’altro. Ma il caso vuole che Bazil girando per la città si imbatta nei simboli impressi sulla sua pallottola e della mina antiuomo che ha ucciso il padre: due edifici uno opposto all’altro, entrambi fabbriche d’armi.

L’esplosivo piano di Bazil, il film

Ed ecco che Bazil, insieme alla sua banda di strampalati rigattieri con la quale convive, decide di vendicarsi dei due malvagi mercanti d’armi che sono a capo delle fabbriche. Jeunet nel film rispetta i suoi canoni registici: le atmosfere ricordano il seppia antiquato di Delicatessen e i personaggi sono davvero assurdi. La camera è piuttosto mobile e spazia dalle inquadrature da videogioco dall’alto ai dettagli più macabri. Come le sfortunate armate brancaoleone monicelliane Bazil è aiutato da una accozzaglia di personaggi cartooneschi emarginati dalla società. Lo stesso Bazil a causa della pallottola hai dei momenti di panico in cui per non scoppiare si aiuta concentrando la mente su pensieri assurdi, come ad esempio cercare di capire chi è che si inventa le barzellette.

Poi ci sono il vecchio barbone “Slammer”, che è stato graziato dalla ghigliottina perché si era bloccata la lama; “Mama Chow” dal faccione gallico che cucina tutto il giorno; “Elastic Girl” una donna contorsionista che reclama la sua emancipazione; “Remington” un ragazzo di colore che parla solo per proverbi; “Buster” che è un ex uomo cannone da guinness dei primati a cui nessuno da più bada; “Tiny Pete” che crea strambe sculture mobili con i materiali di scarto; e infine “Calculator” una fanciulla timida abilissima nel fare conti.

E se bastassero questi. Anche i cattivi hanno le loro manie e il loro lato assurdo: chi colleziona pezzi di ossa o unghie di personaggi famosi, chi russa sonoramente. Personaggi che nel privato sono padri o mariti senza colpa ma che nella vita reale fabbricano armi. Sono dunque dei massacratori quasi ignari del loro ruolo.  Le situazioni comiche ricordano la commedia slapstik, i personaggi quelli dei cartoni animati di Toy Story, l’ambientazione a volte richiama le artificiose e assurde atmosfere di Brazil.  Jeunet mescola il grottesco al comico, alle storie di gangster d’oltreoceano girate da Sergio Leone. E così facendo crea un mix forse più ricco e definito di quanto non avesse fatto nei precedenti film. Uno stile registico riconoscibilissimo nella fotografia, nei movimenti e nelle inquadrature, ma anche nella sceneggiatura. Una commedia semplice e allo stesso tempo rigorosa nei minimi dettagli.

I due presidenti: recensione del film con Michael Sheen

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I due presidenti: recensione del film con Michael Sheen

In I due presidenti nella seconda metà degli anni anni ’90, la Socialdemocrazia aveva raggiunto il suo massimo livello di potere, grazie a due leader politici al governo rispettivamente delle due principali superpotenze dell’epoca: Bill Clinton, Presidente degli Stati Uniti, e Tony Blair, Primo Ministro del Regno Unito. L’attuale recessione economica era ancora lontana, la Cina e l’India erano solo agli inizi della loro incredibile ascesa capitalista, il terrorismo islamico non era ancora esploso.

Il Mondo occidentale sembrava avere saldamente tra le mani il controllo sul resto del Mondo, trascinato da quei due Paesi i cui leader furono invidiati e imitati dai partiti di sinistra degli altri Paesi europei. A raccontarci tutto ciò ci pensa il lungometraggio di Richard Loncraine – regista inglese con altri 12 film all’attivo – dal titolo: “I due Presidenti”(titolo originale “The Special relationship”). Per la parte di Clinton, Loncraine si è affidato a Dennis Quaid, 56 anni, attore con un curriculum di ben 60 film: in quelli di esordio ha interpretato ruoli di personaggi in precario equilibrio morale; poi arrivò l’anoressia che lo ha tormentato nella prima metà anni ’90, fermando temporaneamente anche la sua carriera. Per poi ritornare soprattutto in film di fantascienza e visionari. Il ruolo di Blair, invece, Loncraine lo ha affidato a Michael Sheen.

I due presidenti: il film

I due Presidenti

Attore che malgrado la giovane età (41 anni) ha già ben 21 film alle spalle, più altri 5 in uscita (tra cui appunto il presente).  In realtà, Michael Sheen ha già interpretato altre due volte il ruolo di Blair, diretto però da Stephen Frears, il quale ha dedicato al leader britannico “The Deal” e “The Queen”. Del resto, Sheen ha avuto a che fare anche con altri presidenti americani, come in “Frost vs Nixon”, dove interpretò il giornalista “scomodo” Frost. I due Presidenti racconta il rapporto tra i due leader come fosse una relazione sentimentale, nella quale il delfino Tony s’infatua del più vecchio ed esperto Bill. Prende a vestirsi come lui, lo cerca al telefono nel cuore della notte, gli parla dal bagno, quasi in clandestinità, o dal talamo; pende irrazionalmente dalle sue labbra e gli si dichiara apertamente, citando la Bibbia, nel momento del bisogno.

Dall’altra parte dell’oceano, anche Clinton commenta con la consorte il fascino del nuovo alleato. Ma l’idillio tra i due subisce una brusca interruzione, causa lo scandalo Lewinsky che investe Clinton, e la successiva guerra in Kosovo, operazione militare che segna lo strappo definitivo.   Blair pugnalerà “alle spalle” l’amico-modello Clinton, con un discorso pubblico inaspettato, niente meno che sul suolo americano. Il modo in cui sono dipinti i due leader politici da questo film, è alquanto desolante e imbarazzante.

Blair viene bocciato dal punto di vista morale e politico, forse per aver seguito fin troppo Clinton. Un atteggiamento che sarà ancora più evidente con George Bush. Mentre il secondo è irriso dal punto di vista estetico, apparendo Quaid più un macchiettista e un caratterista, anziché un attore che interpreta seriamente e in modo coinvolgente il Presidente degli Usa. Ma in fondo, entrambi i giudizi che emergono sono forse quelli che gli americani e gli inglesi hanno provato verso i loro leader. Non a caso, il consenso nei confronti dei due calò visibilmente.

Thor: trailer del film di Kennet Branagh

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Thor: trailer del film di Kennet Branagh

Universal Pictures e Marvel Entertainment hanno diffuso il trailer ufficiale di Thor, l’epica avventura diretta da Kenneth Branagh.

Diretta da Kenneth Branagh, l’epica avventura di “Thor” attraversa l’Universo Marvel dalla Terra dei giorni nostri al regno di Asgard. Al centro della storia c’è il potente Thor, un guerriero potente ma arrogante le cui azioni sconsiderate riaccendono un’antica guerra. Thor viene gettato sulla Terra e costretto a vivere tra gli umani come punizione. Una volta qui, Thor impara cosa serve per essere un vero eroe quando il cattivo più pericoloso del suo mondo invia le forze più oscure di Asgard a invadere la Terra.

Il quarto film del Marvel Cinematic Universe (MCU). È stato scritto dal team di sceneggiatori Ashley Edward Miller e Zack Stentz insieme a Don Payne e interpretato da Chris Hemsworth nel ruolo del protagonista insieme a Natalie Portman, Tom Hiddleston, Stellan Skarsgård, Kat Dennings, Clark Gregg, Colm Feore, Ray Stevenson, Idris Elba, Jaimie Alexander, Rene Russo e Anthony Hopkins. Dopo aver riacceso una guerra sopita, Thor viene bandito da Asgard sulla Terra, privato dei suoi poteri e del suo martello Mjölnir. Mentre suo fratello Loki (Hiddleston) trama per conquistare il trono di Asgard, Thor deve dimostrare di esserne degno.

Trailer originale

My Week With Marilyn: prima foto di Emma Watson!

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Da My Week With Marilyn dopo aver già visto le foto di Michelle Williams nei panni della celebre icona di Hollywood, oggi arriva una nuova foto del film con l”atra co-protagonista: Emma Watson.

Sarà uno dei suoi primi ruoli slegati dalla saga di Harry Potter. La giovane attrice interpreta un ruolo marginale nel film: è una ragazza che viene sedotta da Colin Clark (Eddie Redmayne).

Fonte: Daily Mail

Hugo Cabret di Scorsese: foto inedite di Ben Kingsley e Sacha baron Cohen

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Ecco Sacha Baron Cohen, Sir Ben Kingsley e Helen McRory sul set di Straordinaria Invenzione di Hugo Cabret,  immagini inedite dal film che Martin Scorsese sta girando in 3D.

Taylor Lautner protagonista di una nuova saga: Incarceron?

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Il licantropo di Twilight Taylor Lautner interpreterà il ruolo principale nella trasposizione cinematografica di Incarceron,  romanzo per ragazzi dell’inglese Catherine Fisher: ennesimo tentativo di scovare “il nuovo Harry Potter”…

Ancora foto di Pirati dei caraibi 4!

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Ancora foto di Pirati dei caraibi 4!

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Online sei foto ufficiali di Pirati dei Caraibi: Oltre i Confini del Mare, atteso quarto episodio della saga con Johnny Depp e Penelope Cruz. Il primo trailer arriverà online lunedì sera!

The Rite (ll Rito): trailer internazionale con Anthony Hopkins

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The Rite (ll Rito): trailer internazionale con Anthony Hopkins

Warner Bros  nuovo trailer internazionale di Il Rito, il film horror diretto da Mikael Hafstrom con Anthony Hopkins. In gran parte girato a Roma. Il film è ispirato al libro scritto da Matt Baglio. Anthony Hopkins torna a combattere le forze oscure dopo la sua straordinaria interpretazione di Van Helsing nel Dracula di Francis Ford Coppola.

Nel cast del Il Rito assieme a Anthony Hopkins ci sono anche Colin O’Donoghue, Alice Braga (che abbiamo visto recentemente in Predators), Ciaran Hinds (Munich, Miami Vice, Harry Potter e i Doni della Morte) e Toby Jones (Frost/Nixon – Il Duello).

Ispirato a eventi realmente accaduti, questo thriller soprannaturale segue le vicende di un seminarista (Colin O’Donoghue) inviato a studiare l’esorcismo in Vaticano nonostante i suoi dubbi su questa pratica controversa e sulla sua stessa fede. Solo quando è mandato come apprendista dal leggendario Padre Lucas (Anthony Hopkins), un sacerdote che ha eseguito migliaia di esorcismi, il suo scetticismo comincia a vacillare. Coinvolto in un caso così inquietante che sembra perfino trascendere le capacità di Padre Lucas, il giovane seminarista inizia a intravedere un fenomeno che la scienza non riesce né a spiegare né a controllare, una manifestazione del male così violenta e terrificante da costringerlo a mettere in discussione tutto ciò in cui crede.

James Cameron e il Cirque du Soleil

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james cameron

Il Cirque du Soleil e James Cameron hanno annunciato che uniranno le loro forze per portare sullo schermo “esperienze immersive in 3D”, in collaborazione con Andrew Adamson (Shrek e le prime due Cronache di Narnia).

Carey Mulligan per Steve McQueen

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carey-mulliganCarey Mulligan, di recente di passaggio al cinema in Wall Street: il denaro non dorme mai, girerà Shame diretto da Steve McQueen.

Jesse Eisenberg partecipa a Free Samples.

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Jesse Eisenberg farà parte del cast del film drammatico indipendente Free Samples. Eisenberg, che da sempre e volentieri partecipa a produzioni indipendenti, non sarà il protagonista del film, interpretato nel ruolo principale da Jess Weixler (Teeth), una ragazza che ha abbandonato la scuola di legge e che lavora nel diner di un amico, dove distribuisce assaggi gratuiti di gelato ( i free samples).

Guillermo Del Toro si mette in proprio

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Del_Toro

Guillermo Del Toro ha deciso di aprire una sua casa di produzione, Mirada. Si tratta di una società che aiuterà giovani cineasti farsi spazio, producendo e sviluppando i loro progetti.

Tutti i progetti di James Franco

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Tutti i progetti di James Franco

James Franco, che vedremo presto in 127 Hours di Danny Boyle, che sta per condurre con Anne Hathaway la notte degli Oscar non prima di essere tornato a recitare in General Hospital, che acquisisce diritti su diritti, che dovrebbe recitare per Noah Baumbach e che è stato tra i 14 protagonisti dei video nel New York Times dedicati agli attori, ha aggiunto altri impegni al suo carnet.

Franco sarebbe infatti in questi giorni alle prese con una piccola produzione indipendente intitolata Maladies, storia di un giovane attore di successo che si ritira dalle scene a causa di quella che si crede sia una sua infermità mentale. A dirigere il film, l’artista noto come Carter, che già aveva diretto il corto Erased James Franco, mentre nel cast figurano i nomi di Alan Cumming, Claire Danes, Catherine Keener. E se questo ancora non bastasse, James si è assicurato i diritti di una nuova biografia di Sal Mineo scritta da Michael Gregg Michaud, con l’intenzione di sceneggiare e dirigere un film sulla vita e la carriera del più giovane interprete ad essere nominato all’Oscar come miglior attore non protagonista.

Chris Zylka in Spiderman

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Chris Zylka parteciperà al prossimo reboot di Spider-Man, che comprende al momento Andrew Garfield nel ruolo di Peter Parker, Emma Stone in quello di Gwen Stacy, e  grandi attori quali Martin Sheen, Rhys Ifans (lyzard), Denis Leary, Campbell Scott, Julianne Nicholson, Irrfan Khan e Annie Parisse.

Jean-Luc Godard cittadino onorario italiano

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Jean-Luc-Godard

Il regista Jean-Luc Godard (80) è stato insignito della cittadinanza onoraria da parte del sindaco di Settimo San Pietro.

Charlize Theron e Armie Hammer per Clint Eastwood

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Charlize Theron e Armie Hammer per Clint Eastwood

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Charlize Theron e Armie Hammer sono in trattative per entrare nel cast del biopic su J. Edgar Hoover diretto da Clint Eastwood

Uscite al Cinema del 10 Dicembre 2010

CyrusCyrus: John, ormai divorziato da sette anni, è un uomo un po’ infantile che ha allontanato tutti da se e ora conduce una vita solitaria. Un giorno l’ex moglie lo informa che sta per risposarsi e lo convince a conoscere un altra donna…

Transformers: Dark of the Moon Trailer!!

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Transformers: Dark of the Moon Trailer!!

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E’ finalmente disponibile l’announcement trailer di Transformers: Dark of the Moon, terzo episodio della saga fantascientifica diretta da Michael Bay e in arrivo a luglio 2011 anche in 3D!

Pirati dei Caraibi: Oltre i Confini del Mare due nuove foto!

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Pirati dei Caraibi: Oltre i Confini del Mare due nuove foto!

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Ecco a voi pubblicate due nuove foto ufficiali di Pirati dei Caraibi: Oltre i Confini del Mare, assieme ad alcune notizie sul film. Nelle immagini vediamo anche Angelica, interpretata da Penelope Cruz!

Forma e contenuto: Michael Winterbottom

Analisi approfondita, impegno, temi mai scontati e uno stile registico che punta alla semplicità e all’immediatezza. Queste le qualità che lo hanno reso un regista apprezzato in tutto il mondo, spesso presente in festival internazionali, senza però perdere quello zoccolo duro di appassionati che ne fanno un regista di culto ancor prima che una star. È l’inglese Michael Winterbottom, nato a Blackburn (Lancashire) il 29 marzo 1961. In vent’anni di attività, prima per la tv e poi per il cinema, ha dimostrato di non aver nulla da invidiare a più blasonati colleghi suoi connazionali: uno per tutti, Ken Loach. Anzi, forse per questioni anagrafiche, Winterbottom allarga il suo campo d’azione e interesse oltre quello dell’analisi socio-politica – di cui pure si occupa- toccando altri temi caldi e nervi scoperti dell’ultima generazione: il disagio esistenziale, l’inaridimento dei rapporti umani, la malattia mentale e fisica, le perversioni, la violenza. Perciò la sua produzione è quanto mai eclettica e sempre interessante, curiosa della realtà e che incuriosisce.

Dopo gli studi di cinema e televisione alla Bristol University e al Polytechnic di Londra, si occupa di montaggio alla Thames Television. Non fa mistero di riconoscersi nel lavoro di grandi maestri del cinema europeo: Godard, Wenders Truffaut e Bergman. È proprio con un documentario su quest’ultimo che esordisce dietro la macchina da presa alla fine degli anni ’80: Ingmar BergmanThe Magic Lantern (1989). Al contempo, firma  alcuni lavori televisivi (Rosie The Great –’89- Forget about me –’90- Under the sun –’92). In questi anni inizia la sua prolifica collaborazione con lo sceneggiatore Frank Cottrell Boyce. Nel 1994 dirige per la BBC la serie Family, prodotta da Andrew Eaton, con cui nello stesso anno fonda la sua casa di produzione: la Revolution Films. Tutto è pronto per l’esordio sul grande schermo, che avviene con Butterfly Kiss. Ci sono tutte le caratteristiche del cinema del regista inglese in questo drammatico racconto del rapporto intenso, ma distruttivo, tra due donne: una forte, decisa, violenta (Eunice/Amanda Plummer), l’altra remissiva (Miriam/Saskia Reeves), accomunate da un disagio che è insieme esistenziale, mentale e fisico. Un viaggio nel nord dell’Inghilterra a caccia di vittime da uccidere. E anche tra le due protagoniste, un rapporto “carnefice-vittima” o se si preferisce, sadomasochistico, in cui Miriam alternativamente subisce la furia cieca di Eunice e ne diventa complice, nell’illusione che quella possa essere per entrambe la via d’uscita da un’esistenza mortificante e senza alcuno sbocco. C’è lo squallore dei sobborghi industriali inglesi, perfetta cornice del dramma, ma c’è anche la natura, l’acqua che accompagna l’ultimo gesto violento, l’unico possibile, che riporta pace ed equilibrio in una sequenza finale in bianco e nero. C’è la musica (Cramberries, Bjork, New Order), che si fonde con l’immagine e l’azione, adattissima, come sempre quando a sceglierla è qualcuno che ama questo mezzo espressivo, forse al pari della macchina da presa. Il film non ottiene un grandissimo successo, ma colpisce i giovani, che ne fanno una pellicola di culto, e mette senz’altro in luce il talento di Winterbottom: la forza e al contempo la delicatezza con cui riesce a trattare temi complessi e inusuali e a muoversi su terreni impervi.

Forma e contenuto: Michael Winterbottom

Nel ’96 torna alla tv, dirigendo ancora per la BBC uno straordinario Robert Carlyle in Go now. Anche qui si pone al centro l’individuo e si affrontano temi spinosi e delicati: Carlyle interpreta infatti un operaio inglese che si scopre affetto da sclerosi multipla. L’irrompere di questo dramma sconvolge la normalissima vita di Nick/Carlyle, i suoi rapporti umani, ma lui, con straordinaria forza e grazie anche all’aiuto di chi caparbiamente gli resta vicino, riesce a non darsi per vinto, e a compiere il duro percorso verso l’accettazione della malattia e il raggiungimento di un nuovo equilibrio. Tuttavia, non è un film “patetico”, giocato sulla compassione e sulla commozione, è anzi fiero e battagliero, come il suo protagonista. Inoltre, il film è stato scritto da chi ha vissuto in prima persona l‘esperienza (Paul Henry Powell, assieme a Jimmy McGovern). Si manifesta dunque qui la passione documentale di Winterbottom e la sua determinazione a non cadere in facili stereotipi.

Il regista si dedicherà ancora ad indagare la sfera dei rapporti umani, all’interno della coppia e nel nucleo familiare in special modo, in alcune pellicole successive: I want you  (1998) e With or without you: il primo su un rapporto d’amore ossessivo, il secondo riguardante un triangolo amoroso (1999); Wonderland (1999), quadro di famiglia moderna dai rapporti inariditi, in cui i problemi si moltiplicano, perché le tre figlie (Molly/Molly Parker, Nadia/Gina McKee, Debbie/Shirley Anderson) sono a loro volta alle prese con la difficile gestione delle loro vite di relazione e con la genitorialità; 9 songs (2004), storia di sesso senza amore tra due giovani, scandita dalla musica e dalla frequentazione di concerti, da cui il titolo. Tenta la riflessione su una sessualità che allontana anziché avvicinare, accomunando la sensazione che ne deriva alla solitudine che prova il protagonista, anni dopo, in una spedizione scientifica tra i ghiacci.

A dimostrazione del suo eclettismo, delle tante passioni che lo portano in territori sempre diversi – qui di certo gioca l’amore per la letteratura inglese, studiata a Oxford- nel ’96 inaugura anche un altro filone del suo cinema: quello delle trasposizioni su grande schermo di opere letterarie. È infatti alle prese con Giuda l’oscuro di Thomas Hardy, che diventa Jude. Proseguirà su questa direttrice nel 2000 con Le bianche tracce della vita (The claim), ancora tratto da Hardy, e poi forse con la sua scommessa più azzardata in campo di trasposizioni letterarie: Tristram Sandy – A cock and bull story (2005), tratto dal romanzo di Laurence Sterne, già di per sé al di fuori di ogni regola narrativa, trasgressivo e rivoluzionario all’epoca – siamo nel ‘700. Insomma, le caratteristiche adatte per interessare il fondatore della Revolution Films.

Nel 1997 intraprende un altro cammino, quello più spiccatamente impegnato e politico del suo cinema. Con Benvenuti a Sarajevo affronta infatti per la prima volta il tema della guerra – qui quella in ex Jugoslavia – e degli effetti devastanti di questa sulla vita di chi abita i territori del conflitto. Anche qui c’è una fonte documentale da cui è tratto lo spunto della storia: il racconto da parte del giornalista britannico Michael Henderson della sua esperienza a Sarajevo e del tentativo di portare l’attenzione del mondo sulla condizione di un gruppo di bambini in un orfanotrofio, lasciati sotto i bombardamenti nell’indifferenza generale. È dunque la storia di una presa di coscienza da parte del giornalista, che agisce oltre i limiti del suo mestiere, ma si spende in prima persona per salvare delle vite. Ed è insieme una critica a tutte le forze impegnate nel conflitto, che non si curano dei possibili “danni collaterali”. Ma è anche una denuncia forte contro chi vi assiste senza far nulla: la comunità internazionale, i mezzi di comunicazione e pure i comuni cittadini di tutto il mondo, che assistono alla spettacolarizzazione del tutto, senza più neppure un barlume d’indignazione. È proprio una reazione emotiva forte da parte di chi guarda, quella che Winterbottom cerca, invece, chiamando tutti alle proprie responsabilità. Tuttavia, la pellicola è forse troppo scopertamente a tesi e non riesce a sfuggire a una certa quota di retorica. Ciò che invece non accade in Cose di questo mondo  (2002). Nel frattempo c’è stato l’11 settembre, la guerra in Afghanistan e quella in Iraq sono in corso e il tema della popolazione in fuga dal conflitto è attualissimo. In questa pellicola – ancora una volta e assai più delle precedenti, dal piglio documentaristico – girata in digitale nei luoghi raccontati, assistiamo alle peregrinazioni di due giovani (Enayat e Jamal) da Peshawar  verso l’Inghilterra, in un viaggio a tappe dove rischiano la vita e sopravvivono con mezzi di fortuna, passando per il Kurdistan, poi Istanbul e finalmente l’Europa: prima l’Italia, poi Parigi e infine Londra. L’approccio documentaristico quasi fa dimenticare che si tratta di un film ed è efficacissimo nel mostrare tutto il necessario senza cedere a sentimentalismi e retorica. Il regista lascia parlare l’azione e il risultato è di grande forza. Il film, selezionato per vari festival internazionali, come spesso accade a Winterbottom, gli vale l’Orso d’Oro al Festival di Berlino e il Premio come Miglior Film non in inglese ai BFTA. Non contento, il regista inglese continuerà ad esplorare l’universo dell’umanità in guerra e delle atrocità cui gli uomini si trovano sottoposti in queste circostanze in altre due pellicole, sempre attualissime. The road to Guantanamo (2006), premiato ancora a Berlino con l’Orso d’Argento, tocca un nervo tuttora scoperto riguardo gli USA e la loro gestione dei prigionieri di guerra. È la storia di quattro ragazzi pakistani che nel 2001 tornano nel loro paese d’origine perché uno di loro sta per sposarsi. Decidono poi di andare a portare aiuto in Afghanistan alla popolazione vittima dei bombardamenti e lì, in tre vengono arrestati con l’accusa di terrorismo e portati a Guantanamo, dove subiscono torture. Saranno liberati e completamente scagionati due anni dopo. Anche in questo caso Winterbottom fonde documentario e film: ci sono le testimonianze dei ragazzi coinvolti e la ricostruzione della vicenda da parte del regista. E se la parte iniziale, che riguarda il viaggio e le vicende precedenti all’arresto rimanda al precedente Cose di questo mondo, il racconto della detenzione a Guantanamo non potrebbe essere più efficace e costringe ad una riflessione sul significato delle parole “democrazia” e “civiltà”. Ultima pellicola firmata dal regista inglese sui temi guerra/terrorismo è A mighty heart – Un cuore grande (2007), dove sceglie Angelina Jolie come protagonista per interpretare il ruolo di Mariane, moglie del giornalista Daniel Pearl, inviato dal Pakistan del Wall Street Journal, rapito e ucciso dai terroristi. Il film è tratto dal libro di Mariane che ricostruisce la vicenda. Ancora una volta lo stile è documentaristico, la direzione mira a restituire l’atmosfera concitata creatasi intorno alla donna nei frenetici giorni che seguono il sequestro. Il fulcro della vicenda qui è proprio Mariane/Jolie. In secondo piano, stavolta, le riflessioni di carattere generale sul contesto socio-politico. Riflessioni socio-politiche che invece non possono mancare, assieme a quelle economiche, nel più recente documentario sul sistema capitalistico e  le sue storture The shock doctrine (2009), in cui Michael Winterbottom, che dirige insieme a Mat Whitecross, si avvale della collaborazione di Naomi Klein.

Abbiamo però parlato dell’eclettismo del regista di Blackburn. Ebbene, nella sua carriera non si è fatto mancare un’incursione nella fantascienza con Codice 46 (2003), in cui ha diretto Tim Robbins e Samantha Morton. Così come, da appassionato di musica quale è, nonché conoscitore dell’Inghilterra, non poteva farsi sfuggire l’occasione di realizzare un film sulla scena punk e post-punk di Manchester e più esattamente sull’etichetta discografica che ha tenuto a battesimo molti dei suoi protagonisti: Joy Division, New Order, Happy Mondays tra gli altri, e ha gestito il locale simbolo dell’epoca, che ha ospitato negli anni anche Chemical Brothers e Moby. Si tratta della Factory Records e del suo fondatore Tony Wilson (Steve Coogan). Il film è 24 Hour Party People (2002) e ricostruisce le gesta del vulcanico produttore, oltre ai suoi rapporti con i gruppi in questione, cercando al tempo stesso di rendere l’atmosfera della Manchester degli anni ’80 e ’90, altrimenti eloquentemente detta “Madchester”.

E sempre da amante della musica, nonché amico dei Coldplay, Michael Winterbottom ha diretto anche il loro primo video: quello del brano Bigger Stronger, in cui ritroviamo la sua passione per l’elemento acquatico.

Per tornare alle produzioni più recenti, infine, due anni fa il regista ha scelto Colin Firth per il suo Genova, pellicola di ambientazione italiana ancora sul tema dei legami affettivi e familiari, messi alla prova da eventi estremi. Infine, e siamo a quest’anno, l’ultima sfida: ha diretto Casey Affleck nel thriller The killer inside me, in cui l’attore interpreta Lou Ford, vicesceriffo psicopatico nel profondo sud degli Stati Uniti, negli anni ’50.

Un film sulla leader birmana Aung San Suu Kyi

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Luc_Besson

La vita di Aung San Suu Kyi – leader dell’opposizione birmana Nobel per la pace nel ’91, liberata il 13 novembre scorso dopo più di sette anni di arresti domiciliari – diventerà presto un film. Il regista sarà il francese Luc Besson.

 

ONDINE Il segreto del mare: recensione del film

ONDINE Il segreto del mare: recensione del film

ONDINE Il segreto del mare è un film del 2009 diretto da Neil Jordan con protagonisti Colin Farrell e Alicja Bachleda, è stata presentata al Toronto International Film Festival 2009.

ONDINE Il segreto del mareONDINE Il segreto del mare – Syracuse è un pescatore con alle spalle un passato da alcolista, un divorzio e una figlia malata di reni costretta su una a sedie a rotelle. Durante una delle sue consuete uscite in nave, ritrova una donna intrappolata nella sua rete da pesca, priva di sensi.

Dopo averla soccorsa la accoglie nell’abitazione che un tempo fu di sua madre nascondendola dagli sguardi della cittadina irlandese in cui vive. Da quel momento la vita di Syracuse sembra prendere la giusta direzione e intanto il pensiero che la donna incontrata sia una sirena è sempre più forte.

ONDINE Il segreto del mare recensione del film con Colin Farell

ONDINE Il segreto del mareNeil Jordan, regista de Intervista col vampiro, torna al cinema con questo film pieno di poesia e cupe emozioni, una storia bellissima raccontata attraverso gli occhi di un uomo che ha vissuto un’esistenza non troppo felice e piena di problemi e di una figlia troppo piccola per dover già vivere una vita costretta su una sedia a rotelle.

Distribuito negli USA nel 2009 con l’approvazione delle rock star Bono e The Edge (membri del gruppo irlandese degli U2) e arrivato qua in Italia solo un anno dopo e direttamente in DVD grazie alla Sony Pictures, e si può dire che sia stata una fortuna visto che film di questo tipo spesso rischiano di non essere nemmeno distribuiti nel nostro paese.

Colin Farrell, interpreta il buon Syracuse, pescatore ingenuo e segnato dalla vita, e come già visto in diversi film conferma ancora una volta di essere un attore di tutto rispetto in grado di adattarsi ai ruoli più variegati. Ad affiancarlo invece l’attrice polacca semi sconosciuta Alicja Bachleda, nel ruolo della misteriosa donna/sirena che incontra quasi per caso o come segno del destino (di entrambi).

Colin e Alicja che nella vita reale dopo questo film avranno una relazione e daranno alla luce il piccolo Henry, prima di separarsi. La storia è un mix tra la mitologia irlandese e una sceneggiatura contemporanea scritta dallo stesso Jordan che si dimostra fin da subito efficace e di qualità, storia che fino alla parte finale del film regge bene ma che poi prende direzioni inaspettate che rischiano di minare il film stesso.

ONDINE Il segreto del mare

L’alchimia fra i due attori rende i rapporti descritti e raccontati, così come i sentimenti, i più reali possibili. Il rapporto con la buffa ragazzina (Alison Barry) che cita spesso Alice nel paese delle meraviglie, rendono giustizia all’aspetto umano e a quello di padre del pescatore Syracuse.

Altro aspetto è poi il rapporto di amore e odio con la Chiesa dove il protagonista si rifugia per parlare con il prete della zona (Stephen Rea),  con cui ha un legame più psicologico che di credo religioso. Onorato con diversi premi in Irlanda, nel complesso rimane un film molto bello in qualunque suo aspetto, e per quanto sia un giudizio semplicistico non si potrebbero trovare parole migliori per descriverlo.

Noi Credevamo: il film di Mario Martone

Noi Credevamo: il film di Mario Martone

In Noi Credevamo Cilento, Regno delle due Sicilie. In seguito ai falliti moti rivoluzionari del 1828, facilmente e duramente repressi dall’esercito borbonico, tre ragazzi decidono di affiliarsi alla neonata setta clandestina della Giovine Italia fondata dal repubblicano Giuseppe Mazzini (Toni Servillo). Domenico e Angelo figli di nobili e Salvatore figlio del popolo saranno i tre protagonisti da cui si dipanano le vicende narrate in questo film il quale abbraccia un ampio periodo della nostra storia risorgimentale. I tre protagonisti ci accompagnano infatti dal primo e fallimentare tentativo insurrezionale del 1834 in Savoia sino al drammatico episodio dell’Aspromonte nel 1862 quando i fucili del neonato esercito italiano spareranno sulle giubbe rosse garibaldine.

Noi Credevamo, una parabola lunga trent’anni in cui Domenico, Angelo e Salvatore saranno interpreti di una storia fatta di grandi speranze, illusioni, paura, solitudine, esilio e tradimenti.Angelo(Valerio Binasco) rappresenta il mazziniano irriducibile e fanatico, pronto a cedere ad una impulsiva e irrazionale violenza che lo porterà ad uccidere il suo caro amico Salvatore (Luigi Pisani) da lui sospettato di tradimento. L’omicidio lo costringerà ad un’intera vita fuggiasca e solitaria sempre vissuta nel rimorso e nella paura; sarà questo stato disperato che lo spingerà verso l’interpretazione più estrema della teoria mazziniana “del pugnale” arrivando così a progettare insieme a Felice Orsini (Guido Caprino) il folle attentato alla vita di Napoleone III.

Domenico (Luigi Lo Cascio) sarà in prima linea nella breve e illusoria parentesi della Repubblica Romana nel 1849 alla caduta della quale sarà fatto prigioniero dalle truppe borboniche e incarcerato insieme ad altri dissidenti politici. In carcere Domenico avrà modo di conoscere importanti individualità del mondo sovversivo, da Carlo Poerio (Renato Carpentieri) al duca Sigismondo di Castromediano (Andrea Renzi) ma sopratutto avrà occasione di  realizzare come l’ideale repubblicano non sia più ritenuto imprescindibile da coloro che lo avevano precedentemente sostenuto. L’unità d’Italia è ora l’obbiettivo più impellente e monarchici e non vedono nel re di Sardegna, Vittorio Emanuele,  l’unico sovrano in grado di patrocinare la causa unitaria.

Noi credevamo Toni Servillo

Uscito dal carcere Domenico continuerà a frequentare gli ambienti clandestini di stampo repubblicano. Prima di rispondere alla chiamata di Garibaldi in Aspromonte avrà modo di assistere, a Parigi, all’esecuzione capitale inflitta all’amico Angelo in seguito all’attentato all’imperatore di Francia. Nel 1862, ad Unità raggiunta, Domenico si aggregherà ai volontari che il gen. Garibaldi raccolse dalla Sicilia alla Calabria con il preciso intento di dirigersi verso Roma e liberarla dal giogo del papato, facendone così la nuova capitale d’Italia. Il viaggio di Domenico attraverso il meridione “liberato” gli darà modo di constatare come i piemontesi interpretarono quell’annessione come una sorta di conquista e assisterà sgomento alle prime e tragiche vicende del brigantaggio.

La spedizione garibaldina fallirà tragicamente, fermata dai cannoni italiani per ordine dell’imperatore francese; i disertori saranno passati per le armi e lo stesso Garibaldi ferito gravemente. Ormai disilluso e tradito nei suoi originari sentimenti repubblicani, Domenico farà un ultimo viaggio a Torino dove assistendo ad una seduta del parlamento unitario ascolterà con disgusto un discorso filo-monarchico del vecchio mazziniano Francesco Crispi (Luca Zingaretti).

Noi credevamo un ampio ed importante affresco storico

Noi credevamo è un ampio ed importante affresco storico della durata di 2 h e 50 min, in cui Mario Martone cerca con impegno e coraggio di illustrare la complessa quanto contraddittoria storia del Risorgimento italiano. Il punto di vista da cui  lo spettatore può assistere alle vicende narrate è quello più prettamente repubblicano, essendo i tre protagonisti convinti seguaci di Mazzini. E’ un’ ovvia conseguenza che il film sia pervaso, sopratutto nel finale, da una forte venatura critica, da una marcata disillusione verso quello che poteva essere e non è stato.

L’immagine finale di un Crispi, un tempo protagonista della causa mazziniana prima e garibaldina poi, che dal suo scranno di un parlamento desolatamente vuoto improvvisa un retorico quanto appassionato discorso filo-monarchico, è la chiosa che il regista vuole imprimere alla storia accentuando la delusione di coloro che, come Domenico – Lo Cascio, avevano sacrificato la vita per ben altri ideali.

Rimanendo collegati alle polemiche attuali tra i ferventi difensori della storia risorgimentale e i revisionisti dell’ultima ora che invece vedono nel processo unitario l’origine dei mali sia per l’Italia settentrionale che per quella meridionale, Martone mantiene una posizione più neutra e critica anche se, forse, velatamente a difesa dell’ideale unitario e indipendentista.
Il regista si guarda bene da cadere in facili tentazioni di retorica patriottarda, che oggi la critica avversa come un male assoluto, ed imposta il film sulla base di lunghi e ricercati dialoghi i quali ne conferiscono un carattere più spiccatamente teorico. Infatti le più importanti vicende risorgimentali, le battaglie di indipendenza, le Repubbliche temporaneamente instauratesi a Venezia e Roma nel ’49, sono solo raccontate da una voce narrante, fanno come da sfondo ai fatti a cui lo spettatore assiste. La quasi totale mancanza di azione è, a mio avviso, la lacuna principale del film Noi credevamo il quale rinuncia sistematicamente ad avventurarsi in sequenze di movimento. Considerata la durata del lungometraggio questo limite si accentua particolarmente.

Noi credevamo Guid Caprino e Luca Zingaretti

Detto questo è sicuramente da apprezzare la fotografia curata da Renato Berta oltre al soggetto liberamente ispirato all’omonimo romanzo di Anna Banti e la ricostruzione scenografica che ha riprodotto con efficacia le ambientazioni. Pregevoli le singole interpretazioni degli attori cui spiccano per passione e intensità il Mazzini di Toni Servillo e il repubblicano Domenico – Lo Cascio. Riguardo ad un paio di apparenti sviste come la scalinata in stile moderno che porta alla ghigliottina o alle case in costruzione in cemento armato nel Cilento, sembrano troppo clamorose e grossolane per non nascondere un significato simbolico.

Personalmente credo che si debba in ogni caso ringraziare Mario Martone per aver portato nelle sale dei cinema italiani, non di moltissimi purtroppo, un film di tale spessore trattante il tema del Risorgimento nazionale. In aggiunta se grandi protagonisti di quel preciso periodo storico, come Cavour o come Garibaldi, non vengono interpretati da alcuno ( in verità il Generale si intravederà in controluce e da lontano in una fugace sequenza ) Martone dà un significativo risalto ad altri protagonisti meno noti ma comunque importanti nella storia risorgimentale come la principessa Cristina Trivulzio di Belgioioso, paladina dei valori democratici e benefattrice degli esuli rivoluzionari.

In un momento storico come quello attuale dove i 150 anni dell’unità hanno, ad oggi, avuto il solo risultato di creare polemiche, sterili dibattiti e riacceso tristi quanto puerili vagiti secessionisti sia al nord che sopratutto al sud, dove sta proliferando una nuova letteratura “storica” filo-borbonica, questo film è di grande utilità. Infatti se è vero che Noi credevamo spinge a riflettere su una vecchia quanto ormai assodata distinzione tra un Risorgimento dei vincitori ed uno dei vinti, uno ufficiale ed uno popolare come scrisse a suo tempo Carlo Rosselli, questo film di Martone rende onore e merito verso quelle migliaia di uomini e donne, giovani e meno giovani che diedero la vita, la loro vita, per costruire questo paese. Il Risorgimento, ci dice Martone, non fu perfetto ma pieno di contraddizioni, ma non finì con quel 1862, aggiungo io, ma si completerà solo 76 anni dopo con il referendum per la Repubblica. Noi credevamo non è un film retorico o pedissequo verso il Risorgimento italiano ma è un film sul Risorgimento italiano e se anche un solo giovane studente lo andrà a vedere…beh è già un buon inizio.

Bertolucci al MoMA

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Bernardo_Bertolucci

Il MoMA e Cinecittà Luce presentano l’opera completa di Bernardo Bertolucci,  appositamente ristampata e sottotitolata in inglese, dal 15 Dicembre 2010 al 12 Gennaio 2011, al MoMA di New York. Bertolucci, uno dei più acclamati maestri del cinema internazionale, presenzierà la serata di apertura introducendo Il Conformista (1970), film che ha ispirato importanti registi americani come Martin Scorsese e Steven Spielberg.

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