In I due
presidenti nella seconda metà degli anni anni ’90, la
Socialdemocrazia aveva raggiunto il suo massimo livello di potere,
grazie a due leader politici al governo rispettivamente delle due
principali superpotenze dell’epoca: Bill Clinton, Presidente degli
Stati Uniti, e Tony Blair, Primo Ministro del Regno Unito.
L’attuale recessione economica era ancora lontana, la Cina e
l’India erano solo agli inizi della loro incredibile ascesa
capitalista, il terrorismo islamico non era ancora esploso.
Il Mondo occidentale sembrava avere
saldamente tra le mani il controllo sul resto del Mondo, trascinato
da quei due Paesi i cui leader furono invidiati e imitati dai
partiti di sinistra degli altri Paesi europei. A raccontarci tutto
ciò ci pensa il lungometraggio di Richard Loncraine – regista
inglese con altri 12 film all’attivo – dal titolo: “I due
Presidenti”(titolo originale “The Special relationship”). Per la
parte di Clinton, Loncraine si è affidato a Dennis Quaid, 56 anni, attore con un
curriculum di ben 60 film: in quelli di esordio ha interpretato
ruoli di personaggi in precario equilibrio morale; poi arrivò
l’anoressia che lo ha tormentato nella prima metà anni ’90,
fermando temporaneamente anche la sua carriera. Per poi ritornare
soprattutto in film di fantascienza e visionari. Il
ruolo di Blair, invece, Loncraine lo ha affidato a Michael
Sheen.
I due presidenti: il film
Attore che malgrado la giovane età
(41 anni) ha già ben 21 film alle spalle, più altri 5 in uscita
(tra cui appunto il presente). In realtà, Michael
Sheen ha già interpretato altre due volte il ruolo di
Blair, diretto però da Stephen Frears, il quale ha
dedicato al leader britannico “The Deal” e “The Queen”. Del resto,
Sheen ha avuto a che fare anche con altri presidenti americani,
come in “Frost vs Nixon”, dove interpretò il
giornalista “scomodo” Frost. I due Presidenti
racconta il rapporto tra i due leader come fosse una relazione
sentimentale, nella quale il delfino Tony s’infatua del più vecchio
ed esperto Bill. Prende a vestirsi come lui, lo cerca al telefono
nel cuore della notte, gli parla dal bagno, quasi in clandestinità,
o dal talamo; pende irrazionalmente dalle sue labbra e gli si
dichiara apertamente, citando la Bibbia, nel momento del
bisogno.
Dall’altra parte dell’oceano, anche
Clinton commenta con la consorte il fascino del nuovo alleato. Ma
l’idillio tra i due subisce una brusca interruzione, causa lo
scandalo Lewinsky che investe Clinton, e la successiva guerra in
Kosovo, operazione militare che segna lo strappo
definitivo. Blair pugnalerà “alle spalle”
l’amico-modello Clinton, con un discorso pubblico inaspettato,
niente meno che sul suolo americano. Il modo in cui sono dipinti i
due leader politici da questo film, è alquanto desolante e
imbarazzante.
Blair viene bocciato dal punto di
vista morale e politico, forse per aver seguito fin troppo Clinton.
Un atteggiamento che sarà ancora più evidente con George Bush.
Mentre il secondo è irriso dal punto di vista estetico, apparendo
Quaid più un macchiettista e un caratterista, anziché un attore che
interpreta seriamente e in modo coinvolgente il Presidente degli
Usa. Ma in fondo, entrambi i giudizi che emergono sono forse quelli
che gli americani e gli inglesi hanno provato verso i loro leader.
Non a caso, il consenso nei confronti dei due calò
visibilmente.
Universal Pictures e
Marvel Entertainment hanno
diffuso il trailer ufficiale di Thor, l’epica
avventura diretta da
Kenneth Branagh.
Diretta da Kenneth
Branagh, l’epica avventura di “Thor”
attraversa l’Universo Marvel dalla Terra dei giorni
nostri al regno di Asgard. Al centro della storia c’è il potente
Thor, un guerriero potente ma arrogante le cui azioni sconsiderate
riaccendono un’antica guerra. Thor viene gettato sulla Terra e
costretto a vivere tra gli umani come punizione. Una volta qui,
Thor impara cosa serve per essere un vero eroe quando il cattivo
più pericoloso del suo mondo invia le forze più oscure di Asgard a
invadere la Terra.
Il quarto film del Marvel Cinematic Universe (MCU). È stato scritto dal
team di sceneggiatori Ashley Edward Miller e Zack Stentz insieme a
Don Payne e interpretato da Chris Hemsworth nel ruolo del protagonista
insieme a Natalie Portman, Tom Hiddleston, Stellan
Skarsgård, Kat Dennings, Clark Gregg, Colm Feore, Ray Stevenson,
Idris Elba, Jaimie Alexander, Rene Russo e Anthony
Hopkins. Dopo aver riacceso una guerra sopita, Thor viene
bandito da Asgard sulla Terra, privato dei suoi poteri e del suo
martello Mjölnir. Mentre suo fratello Loki (Hiddleston) trama per
conquistare il trono di Asgard, Thor deve dimostrare di esserne
degno.
Da My Week With Marilyn dopo aver
già visto le foto di Michelle Williams nei panni della celebre
icona di Hollywood, oggi arriva una nuova foto del film con l”atra
co-protagonista: Emma Watson.
Sarà uno dei suoi primi ruoli
slegati dalla saga di Harry Potter. La giovane attrice interpreta
un ruolo marginale nel film: è una ragazza che viene sedotta da
Colin Clark (Eddie Redmayne).
Ecco Sacha Baron Cohen, Sir Ben
Kingsley e Helen McRory sul set di Straordinaria Invenzione di Hugo
Cabret, immagini inedite dal film che Martin Scorsese sta
girando in 3D.
Il licantropo di Twilight
Taylor Lautner interpreterà il ruolo principale nella
trasposizione cinematografica di Incarceron, romanzo per
ragazzi dell’inglese Catherine Fisher: ennesimo tentativo di
scovare “il nuovo Harry Potter”…
Online sei foto ufficiali di Pirati dei Caraibi: Oltre i Confini
del Mare, atteso quarto episodio della saga con Johnny Depp e
Penelope Cruz. Il primo trailer arriverà online lunedì sera!
Warner Bros nuovo
trailer internazionale di Il Rito, il film horror
diretto da Mikael Hafstrom con Anthony Hopkins. In gran parte girato a Roma.
Il film è ispirato al libro scritto da Matt
Baglio. Anthony Hopkins torna a combattere le forze
oscure dopo la sua straordinaria interpretazione di Van
Helsing nel Dracula di Francis Ford
Coppola.
Nel cast del Il
Rito assieme a Anthony Hopkins ci sono anche Colin O’Donoghue, Alice Braga (che abbiamo visto
recentemente in Predators), Ciaran Hinds
(Munich, Miami Vice, Harry Potter e i Doni della Morte) e
Toby Jones (Frost/Nixon – Il Duello).
Ispirato a eventi realmente
accaduti, questo thriller soprannaturale segue le vicende di un
seminarista (Colin
O’Donoghue) inviato a studiare l’esorcismo in Vaticano
nonostante i suoi dubbi su questa pratica controversa e sulla sua
stessa fede. Solo quando è mandato come apprendista dal leggendario
Padre Lucas (Anthony
Hopkins), un sacerdote che ha eseguito migliaia di
esorcismi, il suo scetticismo comincia a vacillare. Coinvolto in un
caso così inquietante che sembra perfino trascendere le capacità di
Padre Lucas, il giovane seminarista inizia a intravedere un
fenomeno che la scienza non riesce né a spiegare né a controllare,
una manifestazione del male così violenta e terrificante da
costringerlo a mettere in discussione tutto ciò in cui crede.
Il Cirque du Soleil e James Cameron
hanno annunciato che uniranno le loro forze per portare sullo
schermo “esperienze immersive in 3D”, in collaborazione con Andrew
Adamson (Shrek e le prime due Cronache di Narnia).
Jesse Eisenberg farà parte del cast
del film drammatico indipendente Free Samples. Eisenberg, che da
sempre e volentieri partecipa a produzioni indipendenti, non sarà
il protagonista del film, interpretato nel ruolo principale da Jess
Weixler (Teeth), una ragazza che ha abbandonato la scuola di legge
e che lavora nel diner di un amico, dove distribuisce assaggi
gratuiti di gelato ( i free samples).
Guillermo Del Toro ha deciso di
aprire una sua casa di produzione, Mirada. Si tratta di una società
che aiuterà giovani cineasti farsi spazio, producendo e sviluppando
i loro progetti.
James Franco, che vedremo presto in
127 Hours di Danny Boyle, che sta per condurre con Anne Hathaway la
notte degli Oscar non prima di essere tornato a recitare in General
Hospital, che acquisisce diritti su diritti, che dovrebbe recitare
per Noah Baumbach e che è stato tra i 14 protagonisti dei video nel
New York Times dedicati agli attori, ha aggiunto altri impegni al
suo carnet.
Franco sarebbe infatti in questi
giorni alle prese con una piccola produzione indipendente
intitolata Maladies, storia di un giovane attore di successo che si
ritira dalle scene a causa di quella che si crede sia una sua
infermità mentale. A dirigere il film, l’artista noto come Carter,
che già aveva diretto il corto Erased James Franco, mentre nel cast
figurano i nomi di Alan Cumming, Claire Danes, Catherine Keener. E
se questo ancora non bastasse, James si è assicurato i diritti di
una nuova biografia di Sal Mineo scritta da Michael Gregg Michaud,
con l’intenzione di sceneggiare e dirigere un film sulla vita e la
carriera del più giovane interprete ad essere nominato all’Oscar
come miglior attore non protagonista.
Chris Zylka parteciperà al prossimo
reboot di Spider-Man, che comprende al momento Andrew Garfield nel
ruolo di Peter Parker, Emma Stone in quello di Gwen Stacy, e
grandi attori quali Martin Sheen, Rhys Ifans (lyzard), Denis Leary,
Campbell Scott, Julianne Nicholson, Irrfan Khan e Annie
Parisse.
Cyrus: John, ormai divorziato da sette anni, è
un uomo un po’ infantile che ha allontanato tutti da se e ora
conduce una vita solitaria. Un giorno l’ex moglie lo informa che
sta per risposarsi e lo convince a conoscere un altra donna…
E’ finalmente disponibile l’announcement trailer di
Transformers: Dark of the Moon, terzo episodio della saga
fantascientifica diretta da Michael Bay e in arrivo a luglio 2011
anche in 3D!
Ecco a voi pubblicate due nuove
foto ufficiali di Pirati dei Caraibi: Oltre i Confini del Mare,
assieme ad alcune notizie sul film. Nelle immagini vediamo anche
Angelica, interpretata da Penelope Cruz!
Analisi approfondita, impegno, temi
mai scontati e uno stile registico che punta alla semplicità e
all’immediatezza. Queste le qualità che lo hanno reso un regista
apprezzato in tutto il mondo, spesso presente in festival
internazionali, senza però perdere quello zoccolo duro di
appassionati che ne fanno un regista di culto ancor prima che una
star. È l’inglese Michael Winterbottom, nato a
Blackburn (Lancashire) il 29 marzo 1961. In vent’anni di attività,
prima per la tv e poi per il cinema, ha dimostrato di non aver
nulla da invidiare a più blasonati colleghi suoi connazionali: uno
per tutti, Ken Loach. Anzi, forse per questioni anagrafiche,
Winterbottom allarga il suo campo d’azione e interesse oltre quello
dell’analisi socio-politica – di cui pure si occupa- toccando altri
temi caldi e nervi scoperti dell’ultima generazione: il disagio
esistenziale, l’inaridimento dei rapporti umani, la malattia
mentale e fisica, le perversioni, la violenza. Perciò la sua
produzione è quanto mai eclettica e sempre interessante, curiosa
della realtà e che incuriosisce.
Dopo gli studi di cinema e televisione
alla Bristol University e al Polytechnic di Londra, si occupa di
montaggio alla Thames Television. Non fa mistero
di riconoscersi nel lavoro di grandi maestri del cinema europeo:
Godard, Wenders Truffaut e Bergman. È proprio con
un documentario su quest’ultimo che esordisce dietro la macchina da
presa alla fine degli anni ’80: Ingmar Bergman –
The Magic
Lantern (1989). Al contempo, firma alcuni
lavori televisivi (Rosie The Great –’89- Forget
about me –’90- Under the sun –’92). In questi anni inizia la sua
prolifica collaborazione con lo sceneggiatore Frank
Cottrell Boyce. Nel 1994 dirige per la BBC la serie Family, prodotta da
Andrew Eaton, con cui nello stesso anno fonda la
sua casa di produzione: la Revolution Films. Tutto
è pronto per l’esordio sul grande schermo, che avviene con
Butterfly Kiss. Ci sono tutte le caratteristiche del cinema del
regista inglese in questo drammatico racconto del rapporto intenso,
ma distruttivo, tra due donne: una forte, decisa, violenta
(Eunice/Amanda Plummer), l’altra remissiva (Miriam/Saskia Reeves),
accomunate da un disagio che è insieme esistenziale, mentale e
fisico. Un viaggio nel nord dell’Inghilterra a caccia di vittime da
uccidere. E anche tra le due protagoniste, un rapporto
“carnefice-vittima” o se si preferisce, sadomasochistico, in cui
Miriam alternativamente subisce la furia cieca di Eunice e ne
diventa complice, nell’illusione che quella possa essere per
entrambe la via d’uscita da un’esistenza mortificante e senza
alcuno sbocco. C’è lo squallore dei sobborghi industriali inglesi,
perfetta cornice del dramma, ma c’è anche la natura, l’acqua che
accompagna l’ultimo gesto violento, l’unico possibile, che riporta
pace ed equilibrio in una sequenza finale in bianco e nero. C’è la
musica (Cramberries, Bjork, New Order), che si fonde con l’immagine
e l’azione, adattissima, come sempre quando a sceglierla è qualcuno
che ama questo mezzo espressivo, forse al pari della macchina da
presa. Il film non ottiene un grandissimo successo, ma colpisce i
giovani, che ne fanno una pellicola di culto, e mette senz’altro in
luce il talento di Winterbottom: la forza e al
contempo la delicatezza con cui riesce a trattare temi complessi e
inusuali e a muoversi su terreni impervi.
Forma e contenuto: Michael
Winterbottom
Nel ’96 torna alla tv, dirigendo
ancora per la BBC uno straordinario Robert Carlyle in Go now. Anche
qui si pone al centro l’individuo e si affrontano temi spinosi e
delicati: Carlyle interpreta infatti un operaio inglese che si
scopre affetto da sclerosi multipla. L’irrompere di questo dramma
sconvolge la normalissima vita di Nick/Carlyle, i suoi rapporti
umani, ma lui, con straordinaria forza e grazie anche all’aiuto di
chi caparbiamente gli resta vicino, riesce a non darsi per vinto, e
a compiere il duro percorso verso l’accettazione della malattia e
il raggiungimento di un nuovo equilibrio. Tuttavia, non è un film
“patetico”, giocato sulla compassione e sulla commozione, è anzi
fiero e battagliero, come il suo protagonista. Inoltre, il film è
stato scritto da chi ha vissuto in prima persona l‘esperienza (Paul
Henry Powell, assieme a Jimmy McGovern). Si manifesta dunque qui la
passione documentale di Winterbottom e la sua determinazione a non
cadere in facili stereotipi.
Il regista si dedicherà ancora ad
indagare la sfera dei rapporti umani, all’interno della coppia e
nel nucleo familiare in special modo, in alcune pellicole
successive: I want you (1998) e
With or without you: il primo su un
rapporto d’amore ossessivo, il secondo riguardante un triangolo
amoroso (1999); Wonderland (1999), quadro di
famiglia moderna dai rapporti inariditi, in cui i problemi si
moltiplicano, perché le tre figlie (Molly/Molly Parker, Nadia/Gina
McKee, Debbie/Shirley Anderson) sono a loro volta alle prese con la
difficile gestione delle loro vite di relazione e con la
genitorialità; 9 songs (2004), storia di
sesso senza amore tra due giovani, scandita dalla musica e dalla
frequentazione di concerti, da cui il titolo. Tenta la riflessione
su una sessualità che allontana anziché avvicinare, accomunando la
sensazione che ne deriva alla solitudine che prova il protagonista,
anni dopo, in una spedizione scientifica tra i ghiacci.
A dimostrazione del suo eclettismo,
delle tante passioni che lo portano in territori sempre diversi –
qui di certo gioca l’amore per la letteratura inglese, studiata a
Oxford- nel ’96 inaugura anche un altro filone del suo cinema:
quello delle trasposizioni su grande schermo di opere letterarie. È
infatti alle prese con Giuda l’oscuro di Thomas
Hardy, che diventa Jude. Proseguirà su questa direttrice
nel 2000 con Le bianche tracce della vita
(The claim), ancora tratto da Hardy, e poi forse
con la sua scommessa più azzardata in campo di trasposizioni
letterarie: Tristram Sandy – A cock and bull
story (2005), tratto dal romanzo di Laurence
Sterne, già di per sé al di fuori di ogni regola
narrativa, trasgressivo e rivoluzionario all’epoca – siamo nel
‘700. Insomma, le caratteristiche adatte per interessare il
fondatore della Revolution Films.
Nel 1997 intraprende un altro
cammino, quello più spiccatamente impegnato e politico del suo
cinema. Con Benvenuti a Sarajevo affronta
infatti per la prima volta il tema della guerra – qui quella in ex
Jugoslavia – e degli effetti devastanti di questa sulla vita di chi
abita i territori del conflitto. Anche qui c’è una fonte
documentale da cui è tratto lo spunto della storia: il racconto da
parte del giornalista britannico Michael Henderson
della sua esperienza a Sarajevo e del tentativo di portare
l’attenzione del mondo sulla condizione di un gruppo di bambini in
un orfanotrofio, lasciati sotto i bombardamenti nell’indifferenza
generale. È dunque la storia di una presa di coscienza da parte del
giornalista, che agisce oltre i limiti del suo mestiere, ma si
spende in prima persona per salvare delle vite. Ed è insieme una
critica a tutte le forze impegnate nel conflitto, che non si curano
dei possibili “danni collaterali”. Ma è anche una denuncia forte
contro chi vi assiste senza far nulla: la comunità internazionale,
i mezzi di comunicazione e pure i comuni cittadini di tutto il
mondo, che assistono alla spettacolarizzazione del tutto, senza più
neppure un barlume d’indignazione. È proprio una reazione emotiva
forte da parte di chi guarda, quella che Winterbottom cerca,
invece, chiamando tutti alle proprie responsabilità. Tuttavia, la
pellicola è forse troppo scopertamente a tesi e non riesce a
sfuggire a una certa quota di retorica. Ciò che invece non accade
in Cose di questo mondo (2002). Nel frattempo c’è stato l’11
settembre, la guerra in Afghanistan e quella in Iraq sono in corso
e il tema della popolazione in fuga dal conflitto è attualissimo.
In questa pellicola – ancora una volta e assai più delle
precedenti, dal piglio documentaristico – girata in digitale nei
luoghi raccontati, assistiamo alle peregrinazioni di due giovani
(Enayat e Jamal) da Peshawar verso l’Inghilterra, in un
viaggio a tappe dove rischiano la vita e sopravvivono con mezzi di
fortuna, passando per il Kurdistan, poi Istanbul e finalmente
l’Europa: prima l’Italia, poi Parigi e infine Londra. L’approccio
documentaristico quasi fa dimenticare che si tratta di un film ed è
efficacissimo nel mostrare tutto il necessario senza cedere a
sentimentalismi e retorica. Il regista lascia parlare l’azione e il
risultato è di grande forza. Il film, selezionato per vari festival
internazionali, come spesso accade a Winterbottom, gli vale l’Orso
d’Oro al Festival
di Berlino e il Premio come Miglior Film non in inglese ai
BFTA. Non contento, il regista inglese continuerà ad esplorare
l’universo dell’umanità in guerra e delle atrocità cui gli uomini
si trovano sottoposti in queste circostanze in altre due pellicole,
sempre attualissime. The road to
Guantanamo (2006), premiato ancora a Berlino con
l’Orso d’Argento, tocca un nervo tuttora scoperto riguardo gli USA
e la loro gestione dei prigionieri di guerra. È la storia di
quattro ragazzi pakistani che nel 2001 tornano nel loro paese
d’origine perché uno di loro sta per sposarsi. Decidono poi di
andare a portare aiuto in Afghanistan alla popolazione vittima dei
bombardamenti e lì, in tre vengono arrestati con l’accusa di
terrorismo e portati a Guantanamo, dove subiscono torture. Saranno
liberati e completamente scagionati due anni dopo. Anche in questo
caso Winterbottom fonde documentario e film: ci sono le
testimonianze dei ragazzi coinvolti e la ricostruzione della
vicenda da parte del regista. E se la parte iniziale, che riguarda
il viaggio e le vicende precedenti all’arresto rimanda al
precedente Cose di questo mondo, il racconto della detenzione a
Guantanamo non potrebbe essere più efficace e costringe ad una
riflessione sul significato delle parole “democrazia” e “civiltà”.
Ultima pellicola firmata dal regista inglese sui temi
guerra/terrorismo è A mighty heart – Un cuore
grande (2007), dove sceglie Angelina
Jolie come protagonista per interpretare il ruolo di
Mariane, moglie del giornalista Daniel Pearl, inviato dal Pakistan
del Wall Street Journal, rapito e ucciso dai terroristi. Il film è
tratto dal libro di Mariane che ricostruisce la vicenda. Ancora una
volta lo stile è documentaristico, la direzione mira a restituire
l’atmosfera concitata creatasi intorno alla donna nei frenetici
giorni che seguono il sequestro. Il fulcro della vicenda qui è
proprio Mariane/Jolie. In secondo piano, stavolta, le riflessioni
di carattere generale sul contesto socio-politico. Riflessioni
socio-politiche che invece non possono mancare, assieme a quelle
economiche, nel più recente documentario sul sistema capitalistico
e le sue storture The shock
doctrine (2009), in cui Michael
Winterbottom, che dirige insieme a Mat Whitecross, si
avvale della collaborazione di Naomi Klein.
Abbiamo però parlato
dell’eclettismo del regista di Blackburn. Ebbene, nella sua
carriera non si è fatto mancare un’incursione nella fantascienza
con Codice 46 (2003), in cui ha diretto
Tim Robbins e Samantha Morton. Così come, da
appassionato di musica quale è, nonché conoscitore
dell’Inghilterra, non poteva farsi sfuggire l’occasione di
realizzare un film sulla scena punk e post-punk di Manchester e più
esattamente sull’etichetta discografica che ha tenuto a battesimo
molti dei suoi protagonisti: Joy Division, New Order,
Happy Mondays tra gli altri, e ha gestito il locale
simbolo dell’epoca, che ha ospitato negli anni anche
Chemical Brothers e Moby. Si tratta della
Factory Records e del suo fondatore Tony Wilson (Steve
Coogan). Il film è 24 Hour Party
People (2002) e ricostruisce le gesta del vulcanico
produttore, oltre ai suoi rapporti con i gruppi in questione,
cercando al tempo stesso di rendere l’atmosfera della Manchester
degli anni ’80 e ’90, altrimenti eloquentemente detta
“Madchester”.
E sempre da amante della musica,
nonché amico dei Coldplay, Michael
Winterbottom ha diretto anche il loro primo video: quello
del brano Bigger Stronger, in cui ritroviamo la sua passione per
l’elemento acquatico.
Per tornare alle produzioni più
recenti, infine, due anni fa il regista ha scelto Colin
Firth per il suo Genova, pellicola di ambientazione
italiana ancora sul tema dei legami affettivi e familiari, messi
alla prova da eventi estremi. Infine, e siamo a quest’anno,
l’ultima sfida: ha diretto Casey Affleck nel
thriller The killer inside me, in cui l’attore
interpreta Lou Ford, vicesceriffo psicopatico nel profondo sud
degli Stati Uniti, negli anni ’50.
La vita di Aung San Suu Kyi –
leader dell’opposizione birmana Nobel per la pace nel ’91, liberata
il 13 novembre scorso dopo più di sette anni di arresti domiciliari
– diventerà presto un film. Il regista sarà il francese Luc
Besson.
ONDINE Il segreto del
mare è un film del 2009 diretto da Neil Jordan con
protagonisti Colin
Farrell e Alicja Bachleda, è stata
presentata al Toronto International Film Festival 2009.
ONDINE Il segreto del mare – Syracuse è
un pescatore con alle spalle un passato da alcolista, un divorzio e
una figlia malata di reni costretta su una a sedie a rotelle.
Durante una delle sue consuete uscite in nave, ritrova una donna
intrappolata nella sua rete da pesca, priva di sensi.
Dopo averla soccorsa la accoglie
nell’abitazione che un tempo fu di sua madre nascondendola dagli
sguardi della cittadina irlandese in cui vive. Da quel momento la
vita di Syracuse sembra prendere la giusta direzione e intanto il
pensiero che la donna incontrata sia una sirena è sempre più
forte.
ONDINE Il segreto del mare
recensione del film con Colin Farell
Neil
Jordan, regista de Intervista col vampiro, torna al cinema con
questo film pieno di poesia e cupe emozioni, una storia bellissima
raccontata attraverso gli occhi di un uomo che ha vissuto
un’esistenza non troppo felice e piena di problemi e di una figlia
troppo piccola per dover già vivere una vita costretta su una sedia
a rotelle.
Distribuito negli USA nel 2009 con
l’approvazione delle rock star Bono e The Edge
(membri del gruppo irlandese degli U2) e arrivato
qua in Italia solo un anno dopo e direttamente in DVD grazie alla
Sony Pictures, e si può dire che sia stata una
fortuna visto che film di questo tipo spesso rischiano di non
essere nemmeno distribuiti nel nostro paese.
Colin Farrell,
interpreta il buon Syracuse, pescatore ingenuo e segnato dalla
vita, e come già visto in diversi film conferma ancora una volta di
essere un attore di tutto rispetto in grado di adattarsi ai ruoli
più variegati. Ad affiancarlo invece l’attrice polacca semi
sconosciuta Alicja Bachleda, nel ruolo della
misteriosa donna/sirena che incontra quasi per caso o come segno
del destino (di entrambi).
Colin e Alicja che nella vita reale
dopo questo film avranno una relazione e daranno alla luce il
piccolo Henry, prima di separarsi. La storia è un mix tra la
mitologia irlandese e una sceneggiatura contemporanea scritta dallo
stesso Jordan che si dimostra fin da subito efficace e di qualità,
storia che fino alla parte finale del film regge bene ma che poi
prende direzioni inaspettate che rischiano di minare il film
stesso.
L’alchimia fra i due attori rende i
rapporti descritti e raccontati, così come i sentimenti, i più
reali possibili. Il rapporto con la buffa ragazzina (Alison
Barry) che cita spesso Alice nel paese delle meraviglie,
rendono giustizia all’aspetto umano e a quello di padre del
pescatore Syracuse.
Altro aspetto è poi il rapporto di
amore e odio con la Chiesa dove il protagonista si rifugia per
parlare con il prete della zona (Stephen
Rea), con cui ha un legame più psicologico che di
credo religioso. Onorato con diversi premi in Irlanda, nel
complesso rimane un film molto bello in qualunque suo aspetto, e
per quanto sia un giudizio semplicistico non si potrebbero trovare
parole migliori per descriverlo.
In Noi Credevamo
Cilento, Regno delle due Sicilie. In seguito ai falliti moti
rivoluzionari del 1828, facilmente e duramente repressi
dall’esercito borbonico, tre ragazzi decidono di affiliarsi alla
neonata setta clandestina della Giovine Italia fondata dal
repubblicano Giuseppe Mazzini (Toni
Servillo). Domenico e Angelo figli di nobili e
Salvatore figlio del popolo saranno i tre protagonisti da cui si
dipanano le vicende narrate in questo film il quale abbraccia un
ampio periodo della nostra storia risorgimentale. I tre
protagonisti ci accompagnano infatti dal primo e fallimentare
tentativo insurrezionale del 1834 in Savoia sino al drammatico
episodio dell’Aspromonte nel 1862 quando i fucili del neonato
esercito italiano spareranno sulle giubbe rosse garibaldine.
Noi Credevamo, una
parabola lunga trent’anni in cui Domenico, Angelo e Salvatore
saranno interpreti di una storia fatta di grandi speranze,
illusioni, paura, solitudine, esilio e tradimenti.Angelo(Valerio
Binasco) rappresenta il mazziniano irriducibile e fanatico, pronto
a cedere ad una impulsiva e irrazionale violenza che lo porterà ad
uccidere il suo caro amico Salvatore (Luigi Pisani) da lui
sospettato di tradimento. L’omicidio lo costringerà ad un’intera
vita fuggiasca e solitaria sempre vissuta nel rimorso e nella
paura; sarà questo stato disperato che lo spingerà verso
l’interpretazione più estrema della teoria mazziniana “del pugnale”
arrivando così a progettare insieme a Felice Orsini (Guido Caprino)
il folle attentato alla vita di Napoleone III.
Domenico (Luigi
Lo Cascio) sarà in prima linea nella breve e illusoria
parentesi della Repubblica Romana nel 1849 alla caduta della quale
sarà fatto prigioniero dalle truppe borboniche e incarcerato
insieme ad altri dissidenti politici. In carcere Domenico avrà modo
di conoscere importanti individualità del mondo sovversivo, da
Carlo Poerio (Renato Carpentieri) al duca
Sigismondo di Castromediano (Andrea Renzi) ma sopratutto avrà
occasione di realizzare come l’ideale repubblicano non sia
più ritenuto imprescindibile da coloro che lo avevano
precedentemente sostenuto. L’unità d’Italia è ora l’obbiettivo più
impellente e monarchici e non vedono nel re di Sardegna, Vittorio
Emanuele, l’unico sovrano in grado di patrocinare la causa
unitaria.
Uscito dal carcere Domenico
continuerà a frequentare gli ambienti clandestini di stampo
repubblicano. Prima di rispondere alla chiamata di Garibaldi in
Aspromonte avrà modo di assistere, a Parigi, all’esecuzione
capitale inflitta all’amico Angelo in seguito all’attentato
all’imperatore di Francia. Nel 1862, ad Unità raggiunta, Domenico
si aggregherà ai volontari che il gen. Garibaldi raccolse dalla
Sicilia alla Calabria con il preciso intento di dirigersi verso
Roma e liberarla dal giogo del papato, facendone così la nuova
capitale d’Italia. Il viaggio di Domenico attraverso il meridione
“liberato” gli darà modo di constatare come i piemontesi
interpretarono quell’annessione come una sorta di conquista e
assisterà sgomento alle prime e tragiche vicende del
brigantaggio.
La spedizione garibaldina fallirà
tragicamente, fermata dai cannoni italiani per ordine
dell’imperatore francese; i disertori saranno passati per le armi e
lo stesso Garibaldi ferito gravemente. Ormai disilluso e tradito
nei suoi originari sentimenti repubblicani, Domenico farà un ultimo
viaggio a Torino dove assistendo ad una seduta del parlamento
unitario ascolterà con disgusto un discorso filo-monarchico del
vecchio mazziniano Francesco Crispi (Luca
Zingaretti).
Noi credevamo un ampio ed importante affresco storico
Noi credevamo è un
ampio ed importante affresco storico della durata di 2 h e 50 min,
in cui Mario Martone cerca con impegno e coraggio
di illustrare la complessa quanto contraddittoria storia del
Risorgimento italiano. Il punto di vista da cui lo spettatore
può assistere alle vicende narrate è quello più prettamente
repubblicano, essendo i tre protagonisti convinti seguaci di
Mazzini. E’ un’ ovvia conseguenza che il film sia pervaso,
sopratutto nel finale, da una forte venatura critica, da una
marcata disillusione verso quello che poteva essere e non è
stato.
L’immagine finale di un Crispi, un
tempo protagonista della causa mazziniana prima e garibaldina poi,
che dal suo scranno di un parlamento desolatamente vuoto improvvisa
un retorico quanto appassionato discorso filo-monarchico, è la
chiosa che il regista vuole imprimere alla storia accentuando la
delusione di coloro che, come Domenico – Lo Cascio, avevano
sacrificato la vita per ben altri ideali.
Rimanendo collegati alle polemiche
attuali tra i ferventi difensori della storia risorgimentale e i
revisionisti dell’ultima ora che invece vedono nel processo
unitario l’origine dei mali sia per l’Italia settentrionale che per
quella meridionale, Martone mantiene una posizione più neutra e
critica anche se, forse, velatamente a difesa dell’ideale unitario
e indipendentista.
Il regista si guarda bene da cadere in facili tentazioni di
retorica patriottarda, che oggi la critica avversa come un male
assoluto, ed imposta il film sulla base di lunghi e ricercati
dialoghi i quali ne conferiscono un carattere più spiccatamente
teorico. Infatti le più importanti vicende risorgimentali, le
battaglie di indipendenza, le Repubbliche temporaneamente
instauratesi a Venezia e Roma nel ’49, sono solo raccontate da una
voce narrante, fanno come da sfondo ai fatti a cui lo spettatore
assiste. La quasi totale mancanza di azione è, a mio avviso, la
lacuna principale del film Noi credevamo il quale
rinuncia sistematicamente ad avventurarsi in sequenze di movimento.
Considerata la durata del lungometraggio questo limite si accentua
particolarmente.
Detto questo è sicuramente da
apprezzare la fotografia curata da Renato Berta oltre al soggetto
liberamente ispirato all’omonimo romanzo di Anna Banti e la
ricostruzione scenografica che ha riprodotto con efficacia le
ambientazioni. Pregevoli le singole interpretazioni degli attori
cui spiccano per passione e intensità il Mazzini di Toni Servillo e
il repubblicano Domenico – Lo Cascio. Riguardo ad un paio di
apparenti sviste come la scalinata in stile moderno che porta alla
ghigliottina o alle case in costruzione in cemento armato nel
Cilento, sembrano troppo clamorose e grossolane per non nascondere
un significato simbolico.
Personalmente credo che si debba in
ogni caso ringraziare Mario Martone per aver portato nelle sale dei
cinema italiani, non di moltissimi purtroppo, un film di tale
spessore trattante il tema del Risorgimento nazionale. In aggiunta
se grandi protagonisti di quel preciso periodo storico, come Cavour
o come Garibaldi, non vengono interpretati da alcuno ( in verità il
Generale si intravederà in controluce e da lontano in una fugace
sequenza ) Martone dà un significativo risalto ad altri
protagonisti meno noti ma comunque importanti nella storia
risorgimentale come la principessa Cristina Trivulzio di
Belgioioso, paladina dei valori democratici e benefattrice degli
esuli rivoluzionari.
In un momento storico come quello
attuale dove i 150 anni dell’unità hanno, ad oggi, avuto il solo
risultato di creare polemiche, sterili dibattiti e riacceso tristi
quanto puerili vagiti secessionisti sia al nord che sopratutto al
sud, dove sta proliferando una nuova letteratura “storica”
filo-borbonica, questo film è di grande utilità. Infatti se è vero
che Noi credevamo spinge a riflettere su una
vecchia quanto ormai assodata distinzione tra un Risorgimento dei
vincitori ed uno dei vinti, uno ufficiale ed uno popolare come
scrisse a suo tempo Carlo Rosselli, questo film di Martone rende
onore e merito verso quelle migliaia di uomini e donne, giovani e
meno giovani che diedero la vita, la loro vita, per costruire
questo paese. Il Risorgimento, ci dice Martone, non fu perfetto ma
pieno di contraddizioni, ma non finì con quel 1862, aggiungo io, ma
si completerà solo 76 anni dopo con il referendum per la
Repubblica. Noi credevamo non è un film retorico o
pedissequo verso il Risorgimento italiano ma è un film sul
Risorgimento italiano e se anche un solo giovane studente lo andrà
a vedere…beh è già un buon inizio.
Il MoMA e Cinecittà Luce presentano
l’opera completa di Bernardo Bertolucci, appositamente
ristampata e sottotitolata in inglese, dal 15 Dicembre 2010 al 12
Gennaio 2011, al MoMA di New York. Bertolucci, uno dei più
acclamati maestri del cinema internazionale, presenzierà la serata
di apertura introducendo Il Conformista (1970), film che ha
ispirato importanti registi americani come Martin Scorsese e
Steven Spielberg.
New Year’s Eve, del quale già tempo
fa parlammo come il seguito ideale di Valentine’s
Day, aggiunge un’altra bella stella al suo cast, si tratta di
Jessica Biel che dovrebbe unirsi al resto degli attori del nuovo
film di Garry Marshall.
Anche Orlando Bloom si unisce al
carrozzone de Lo Hobbit, e pare per una parte importante dedicata
al suo primo personaggio fortunato, l’elfo Legolas. Come per il
ruolo di Galadriel ancora affidato alla bella Cate Blanchett, anche
il personaggio di Bloom non è presente nella storia di Tolkien, per
cui non si sa ancora bene quali siano le intenzioni di Peter
Jackson.
Speriamo vivamente che non cada
nella facile tentazione di rifare Il Signore degli Anelli
aggiungendo personaggi che possano portare più persone al cinema
travisando poi la bellezza del libro. Intanto ancora nessuna firma
sui contratti che legherebbero Ian McKellen (Gandalf), Andy Serkis
(Smeagol) e Hugo Weaving (Elrond) alla produzione del film.
Anche Orlando Bloom si unisce al
carrozzone de Lo Hobbit, e pare per una parte importante dedicata
al suo primo personaggio fortunato, l’elfo Legolas. Come per il
ruolo di Galadriel ancora affidato alla bella Cate Blanchett, anche
il personaggio di Bloom non è presente nella storia di Tolkien, per
cui non si sa ancora bene quali siano le intenzioni di Peter
Jackson.
Keanu Reeves diventerà un samurai
nel prossimo 47 Ronin, film epico in costume della Universal che
sarà realizzato in 3D e sarà diretto da Carl Rinsch, debuttante nel
luongometraggio.
Si è fatto un gran parlare in
questi giorni di lui, su quali saranno i suoi progetti certi e
quali quelli che invece gli appiccicano addosso senza verificarne
la veridicità. Non si tratta dell’attrice più bella del momento nè
dell’attore più pagato, ma di uno di quelli che lavora dietro il
film, il compositore, e più nello specifico del grandissimo Hans
Zimmer, autore amatissimo dai cinefili e da noi di
Cine-filos.com.