Nato nel 1994 da un’idea del
violoncellista Mario Robino, il Quintetto
Architorti (due violini, viola, violoncello,
contrabbasso) si è fin da subito distinto per il costante confronto
con realtà musicale anche apparentemente molto lontane dal mondo
della ‘musica colta’, con collaborazioni con band come Subsonica e
Africa Unite, e per progetti non esclusivamente musicali, con
frequenti escursioni nel mondo del teatro e del cinema: in questo
senso, l’esperienza più significativa del quintetto è sicuramente
quella della collaborazione, ormai decennale, con Peter
Greenaway, rinnovatasi anche in occasione dell’ultimo film
del regista, Goltzius and the Pelican
Company, del quale il quintetto ha firmato la colonna
sonora, avendo anche una parte del cast.
Partiamo subito della
collaborazione con Greenaway: potete raccontarci com’è nata e come
si è sviluppata, rinnovandosi costantemente?
L’inizio è casuale come per tante di queste esperienze. Lo
sviluppo invece è molto più complesso ed articolato sotto l’aspetto
artistico; oserei dire che si tratta di un vero e proprio progetto
ad ampio respiro.
Nel 2004 il mio amico Claudio Ottavi
mi contattò per portare il quintetto Architorti sul set del secondo
capitolo della trologia di Tulse Luper. Dovevamo fare
“l’orchestrina” della festa in costume presso il castello di
Racconigi. In quel frangente ascoltò una mia rielaborazione di un
minuetto di Handel, gli piacque e così cominciò la nostra
collaborazione.
La svolta avvenne nel 2007 con la
colonna sonora dell’installazione multimediale della Reggia Della
Venaria dal titolo “Ripopolare la reggia”(“Peopling the Palaces”).
Con questo lavoro ebbe occasione di capire la mia volontà di
mettermi in gioco su alcune specifiche da lui richieste: la
possibilità di smontare e rimontare a piacimento le produzioni
Architorti, la possibilità di scrivere non solo per quintetto ma
anche per orchestre intere, il coraggio di avere più fiducia sulle
mie possibilità compositive, facendomi capire in questo modo la sua
disponibilità a darmi fiducia.
Contrariamente a quanto succede
spesso tra compositore e regista, dove l’autore delle musiche si
sente violentato se il regista modifica, taglia ed edita i suoi
lavori, io ho in questo caso intravisto una doppia possibilità:
poter imparare dal lavoro di Greenaway per crescere artisticamente,
avendo egli una visione più oggettiva dei miei lavori, ed
acquistare più sicurezza sulle mie potenzialità.
Come si è articolata la
composizione della colonna sonora di “Goltzius”? Avete avuto modo
di vedere il film prima, o è bastato conoscere il soggetto e la
sceneggiatura del film?
In realtà, avendo parlato di
progetto ad ampio respiro, non si realizza una musica sul film di
Greenaway, ma sarà Greenaway a decidere quale brano usare per il
suo film. Lui richiede costantemente del materiale musicale che
valuta, confronta ed archivia per un uso coerente al progetto che
realizzerà. Qualche suggerimento lo elargisce in base alle
“sensazioni” di cui ha bisogno. Un esempio; per molto tempo ha
insistito su un concetto di musica Ironica, dal carattere
grottesco. Un lavoro di ricerca fatto in campo aperto. Trovata la
soluzione nasce e si sviluppa il progetto della Danza Della Morte
(“The Dance of Death – Ein Basler Totentanz”) prodotto nel 2013 a
Basilea dove uno scheletro elabora una coreografia macabra sulle
musiche ironiche composte e sviluppate precedentemente.
La collaborazione con
Greenaway dura ormai da circa dieci anni: avete elaborato un metodo
di lavoro che viene applicato sistematicamente, o ogni nuovo
progetto fa storia a sé?
Un po’ la
risposta è stata già data alla domanda precedente. Piuttosto si può
approfondire il discorso sulla Tecnica Di Produzione delle musiche
che compongo, ma in questo caso lascerei parlare Marco Gentile che
in veste di coautore e produttore dei progetti prodotti per
Greenaway può raccontare meglio.
(Marco Gentile) In
realtà non amiamo granchè parlare delle tecniche di produzione con
cui creiamo le musiche per i lavori di Greenaway. Posso però
affermare che il marchio di produzione Architorti garantisce alcune
specifiche come la possibilità di utilizzare più lunghezze
temporali dello stesso brano senza interventi di stretching dei
files, la possibilità di rimodulazioni tra due o più brani, la
creazione “virtuale” di orchestre vere, suonate. Oltre non voglio
andare.
Come è nata l’idea di partecipare
direttamente alle riprese? Non è la prima volta che vi trovate
davanti alla macchina da presa (è già successo in occasione di
alcune fiction televisive): il coinvolgimento nel progetto diviene
molto più intenso rispetto alla sola cura della colonna sonora.
(sempre Marco
Gentile) Marco Robino, avuta la proposta di far diventare
il quintetto Architorti “L’orchestra del Margravio”, quindi un
soggetto importante nella sceneggiatura del film, mi espose alcuni
dubbi di tipo organizzativo che fugai senza possibilità di replica.
Feci capire senza ombra di dubbio la grande importanza in
visibilità ed accrescimento artistico che sarebbe stato per noi
essere presenti sul set. Per quanto riguardava problemi di
organizzazione, di lingua e di interfaccia tecnica di ripresa mi
assunsi personalmente ogni responsabilità.
(Marco Robino) e
devo ammettere che il ritorno a livello di esperienza ed immagine è
stato molto più incisivo di quello che mi sarei aspettato.
La colonna sonora di
Goltzius and the Pelican Company ha posto
qualche problema particolare? Al centro del film c’è uno spettacolo
che mette in scena gli episodi più ‘scabrosi’ della Bibbia,
mettendo in subbuglio la corte alsaziana della fine del ‘500; la
storia diviene così lo spunto per una riflessione sul sesso, la sua
rappresentazione e i rapporti tra sessualità e religione. Un tema
per certi versi un po’ spinoso…
Nella produzione di un film il
nostro punto di vista è quello di un ingranaggio facente parte di
una grande macchina. A lavoro ultimato vediamo il risultato finale
e capiamo meglio in che quantità e modalità siamo presenti. Il
contenuto del film non ha portato problemi alla storia degli
Architorti.
Parliamo delle vostre
influenze cinematografiche: alcuni brani della colonna sonora
sembrano rimandare direttamente a Michael Nyman, altro storico
collaboratore di Greenaway: è un’impressione esatta? C’è qualche
compositore, non solo di musiche per cinema, al quale vi sentite
particolarmente legati?
Michael Nyman è il compositore che
più di tutti ha caratterizzato il cinema di Greenaway. Mi sembra
naturale riprendere quel discorso. Ma non si pensi che io
scimmiotti questo o quel compositore. Piuttosto emulo una tecnica
di produzione, ed in questo caso le trascrizioni o rielaborazioni
che Nyman fa delle musiche di Purcell non si avvalgono della stessa
tecnica con cui creo le mie composizioni ispirandomi per esempio a
Vivaldi.
Greenaway a parte, c’è
qualche regista col quale vi piacerebbe collaborare prima o
poi?
Sono tanti i registi che amo e che
vorrei conoscere, ma preferisco citare chi sta già lavorando con
noi come il grande documentarista Giosuè Boetto Cohen.
In conclusione: i vostri
prossimi progetti, cinematografici e non?
Ad agosto inizieranno le riprese del
prossimo film di Greenaway. Per ovvi motivi deontologici non
possiamo rivelare niente, ma un indizio possiamo fornirlo per darvi
la misura dell’importanza che Greenaway riserva a questo progetto:
è da cinque anni che lavoriamo alle musiche!