Road to Oscar 2023: la miglior regia

In attesa della notte degli Oscar 2023, analizziamo insieme le nomination nella categoria della miglior regia e chi potrebbe vincere.

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La categoria dei nominati alla Miglior Regia agli Oscar 2023 contiene un coacervo di visioni uniche, che vanno dall’intimità del racconto personale al vero e proprio surrealismo. Non solo: vi è anche un’apertura alla commedia come genere rivendicato dalla satira sociale, dall’umorismo nero e dalla parodia. Sono le storie confezionate da questi candidati a farle brillare, tanto che tutti concorrono anche nella categoria della migliore sceneggiatura originale.

Da un lato, il duo The Daniels e lo svedese Ruben Östlund osano trasgredire visivamente con sequenze deliranti, rendendo veramente d’impatto il loro debutto agli Oscar. Dall’altro, Martin McDonagh e Todd Field presentano una narrazione molto più lineare, ma che cerca di affascinare con la sua fotografia e non per questo meno mordace. In mezzo a tutte queste proposte, Steven Spielberg non solo ci ricorda perché è un’istituzione vivente del cinema, ma lo dimostra proprio raccontandoci la storia delle sue origini. Analizziamo insieme tutti i candidati alla Miglior Regia agli Oscar 2023 che, ricordiamo, verranno trasmessi su Sky e NOW dalle 23:15 italiane di domenica 12 marzo.

Daniel Kwan e Daniel Scheinert, Everything Everywhere All At Once

SAG Awards Michelle Yeoh in Everything Everywhere All At OnceIl duo di registi americano conosciuti come i The Daniels è nato con la regia di video musicali, quali “Rize of the Fenix” dei Tenacious D e “Turn Down for What” di DJ Snake e Lil Jon, quest’ultimo un successo senza tempo su Internet. Già a quel punto il loro stile caratteristico, che mischia surrealismo, umorismo assurdo e montaggi esplosivi, saltava all’occhio. Sebbene abbiano diretto alcuni progetti individualmente, i Daniels lavorano come un’unica mente e potremmo definire la stramba commedia dell’A24 Swiss Army Man (2016) il loro biglietto da visita.

Ora, con il loro secondo lungometraggio, Everything Everywhere at Once, si presentano come favoriti agli Oscar 2023 con 11 nomination, tra cui miglior film, sceneggiatura originale e regia. Hanno già iniziato a collezionare premi su premi ad altre prestigiose cerimonie, come i Critics Choice Awards e i Directors Guild Award (DGA). In questo caso, i registi hanno dato prova del loro caratteristico stile stroboscopico, dando vita a un’estetica molto originale, ricca di colori vivaci e coreografie d’azione fluide, unite al metalinguaggio e a riferimenti ad altri film che li hanno formati, che vanno dall’omaggio alla parodia.

Ma se c’è una cosa che affascina di Everything Everywhere at Once è il modo in cui riesce a essere così eclettico senza mai perdere la sua coerenza. Sa muoversi tra generi come la commedia e il dramma come se si trattasse di un vero e proprio salto multiversale. Sopratutto, i Daniels sono riusciti a gestire una sceneggiatura a diversi livelli, in cui la storyline più leggera è capace di contenere importanti riflessioni sull’esistenzialismo, su ciò per cui veniamo messi al mondo e sulla complessità delle relazioni che intrecciamo nel corso della nostra vita, essendo unica e preziosa indipendentemente da quante realtà alternative possano spaventarci.

Steven Spieberg, The Fabelmans

Steven Spieberg Oscar 2023Conosciuto come “il Re Mida di Hollywood”, Steven Spielberg è una pietra miliare della storia del cinema. Alla fine del XX secolo, ha inaugurato l’era dei blockbuster con classici come Lo squalo (1975), ET, l’extra-terrestre (1982), le saghe di Indiana Jones e Jurassic Park. Con The Fabelmans ha raggiunto la nona nomination all’Oscar per la miglior regia, vincendola due volte per Schindler’s List (1994), che ha trionfato anche come miglior film, e Salvate il soldato Ryan (1999).

Con tutto quello che poteva vincere e niente da dimostrare, Spielberg ha guardato al suo passato per ricollegarsi alle radici della sua arte. Nel 2022 ha presentato al pubblico il remake di West Side Story, un musical che lo ha segnato tanto al cinema quanto nella versione originale di Broadway. Con The Fabelmans, si unisce al filone dei film introspettivi e autobiografici come Roma di Alfonso Cuarón, ma aggiungendovi il suo tocco personale. Purtroppo, in questa stagione di premi, si è distinto solo per aver vinto il Golden Globe per la miglior regia di un film drammatico.

Anche se diverse situazioni cambiano e i personaggi sono romanzati, è chiaro che Sammy – il protagonista di The Fabelmans – è Steven, e questa è la sua storia di ragazzo ebreo di periferia. La pubblicazione di alcune registrazioni casalinghe della sua giovinezza confermano come egli sia quasi una copia carbone della realtà, soprattutto se andiamo a confrontare ciò che sappiamo della vera madre di Spielberg con il personaggio di Mitzi (Michelle Williams). Con la sua ormai tradizionale colonna sonora composta dal leggendario John Williams, The Fabelmans emana quell’aura magica caratteristica di Spielberg, che si collega al lato più felice dell’infanzia degli spettatori cresciuti con le sue storie.

Martin McDonagh, Gli spiriti dell’isola

Martin McDonagh 2022
Foto di Luigi De Pompeis © Cinefilos.it

Proveniente dal mondo del teatro, il regista anglo-irlandese è noto sul palcoscenico per il suo umorismo nero e lo stile violento, un po’ alla Quentin Tarantino. L’estro di Martin McDonagh è stato premiato per la prima volta con un Oscar al miglior cortometraggio nel 2006 per Six Shooter mentre, per i suoi lungometraggi, è stato nominato tre volte: una  per la migliore sceneggiatura originale per In Bruges – La coscienza dell’assassino, e un’altra per la migliore sceneggiatura e il miglior film per Tre manifesti a Ebbing, Missouri.

Gli spiriti dell’isola è nato come un’opera teatrale che non è mai stata realizzata perché non era considerata abbastanza meritevole. È interessante notare che la trasformazione di quella sceneggiatura scartata in un film gli è valsa due Golden Globe e un Bafta, oltre a nove nomination agli Oscar 2023, tra cui la triade di miglior film, sceneggiatura originale e regia. Con una premessa semplice come la separazione di due amici su un’isola noiosa, McDonagh coglie l’occasione per sollevare questioni come la solitudine, la depressione e l’angoscia di sentire che la vita sta passando davanti ai nostri occhi senza sfruttarla al meglio. Lontano dalla sua ordinaria brutalità, il regista cerca qui altri modi di rappresentare la crudezza: il suo umorismo nero è ancora presente, anche se forse in un modo troppo british per essere apprezzato adeguatamente dall’altra parte dell’oceano. Ciò che si apprezza maggiormente, tuttavia, è la genialità dei suoi dialoghi, che permettono di sfruttare il talento del suo cast, in cui risiede il peso maggiore del film.

Todd Field, Tar

Cate Blanchett TARLa filmografia di Todd Field è composta da tre lungometraggi, per ognuno dei quali ha ricevuto una nomination all’Oscar. Con il suo film d’esordio In the Bedroom (2001) è stato nominato per il miglior film e per la sceneggiatura non originale, e in quest’ultima categoria è stato nominato anche per la miglior sceneggiatura non originale per Little Children (2006). Ora con TÁR, oltre a ripetersi in entrambe le categorie (questa volta per la sceneggiatura originale), riceve anche la sua prima nomination per la Miglior regia agli Oscar 2023.

Come per The Fabelmans, Field si serve della finzione per costruire un film che all’inizio sembra un biopic, al punto che più di una persona avrà cercato su Internet il nome di Lydia Tár (Cate Blanchett) al termine della visione. In seguito, il film si trasforma in un thriller, in cui il regista sa come giocare con il punto di vista e la suspense per manipolare la propria trama. Proprio a questo punto, la pellicola dice molto di più di quello che mostra, lasciando tante svolte di trama in sospeso e senza chiarire nulla, e delegando allo spettatore il compito di interpretare ciò che accade nello stesso modo in cui Tár ci assicura che i direttori d’orchestra interpretano ciò che un compositore voleva esprimere nella sua opera.

TÁR è un saggio sulla cultura dell’annullamento e sull’arroganza delle élite intellettuali, che guardano al mondo con aria di superiorità accademica e al contempo normalizzano appropriazioni culturali e abusi di ogni tipo. Ma il film va addirittura oltre, scrutando nei deliri di una paranoica, manipolatrice e maniaca del controllo, con una Blanchett scatenata e affascinante nella sua discesa verso la rovina. Le sue scene di direzione dell’orchestra sono ipnotiche come la fotografia in generale.

Ruben Östlund, Triangle of Sadness

Triangle of Sadness EFA Awards 2022Lo svedese Ruben Östlund è diventato un regista di culto negli ultimi anni, grazie ai suoi film ricchi di una forte critica alle dinamiche sociali del primo mondo. Con l’approccio più autoriale all’interno del gruppo, Ruben Östlund si presenta agli Oscar 2023 con Triangle of Sadness, con cui ha vinto la sua seconda Palma d’Oro al Festival di Cannes e che chiude una trilogia di satire contro il capitalismo, il patriarcato e la frivolezza dei media. Difatti, aveva già affrontato questo tema con Forza Maggiore (2014) e The Square (2017).

In Triangle of Sadness scatena tutta la sua mordacità, prendendo di mira il capitalismo e la banalità, anche se in modo meno sottile rispetto agli altri suoi film, fino a sfiorare la caricatura. Östlund stesso riconosce le contraddizioni del predicare l’uguaglianza a partire dal privilegio, per questo inserisce nella narrazione un personaggio come il capitano dello yacht Thomas Smith (Woody Harrelson), un socialista che lavora per una compagnia di navigazione di lusso, ma che non si preoccupa minimamente del destino dei suoi personaggi, sottoponendoli alle situazioni più scatologiche durante il viaggio.

La disumanizzazione di ognuno di loro, creata non dalla convenienza della sceneggiatura ma dalle stesse maschere sociali riconoscibili in qualsiasi influencer o nouveau riche, rende facile non provare empatia per le loro disgrazie. Tuttavia, l’autore va oltre il semplice messaggio “di classe”, ed esplora l’idea che la disuguaglianza, più che una questione socio-economica, faccia parte della condizione umana, e che questi ruoli possano essere sovvertiti in un istante: gli oppressi possono atteggiarsi da despoti tanto quanto i loro ex padroni.

Agnese Albertini
Agnese Albertini
Nata nel 1999, Agnese Albertini è redattrice e critica cinematografica per i siti CinemaSerieTv.it, ScreenWorld.it e Cinefilos.it. Nel 2022 ha conseguito la laurea triennale in Lingue e Letterature straniere presso l'Università di Bologna e, parallelamente, ha iniziato il suo percorso nell'ambito del giornalismo web, dedicandosi sia alla stesura di articoli di vario tipo e news che alla creazione di contenuti per i social e ad interviste in lingua inglese. Collaboratrice del canale youtube Antonio Cianci Il RaccattaFilm, con cui conduce varie rubriche e live streaming, è ospite ricorrente della rubrica Settima Arte di RTL 102.5 News.
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