Oggi fuori concorso verrà
presentato a Venezia 73, il film PLANETARIUM di
Rebecca Zlotowski con Natalie Portman,
Lily-Rose Depp e Emmanuel
Salinger.
La trama del film: Anni 30. Laura e
Kate Barlow sono due giovani sorelle americane che praticano sedute
spiritiche. A Parigi, durante il loro tour europeo, incontrano
André Korben, un rinomato produttore cinematografico francese.
Visionario e controverso, Korben è il proprietario di uno dei più
grandi studios della Francia, dove produce film utilizzando costose
tecniche americane all’avanguardia, senza badare a spese nonostante
la Grande Depressione. Benché scettico, Korben decide di sottoporsi
ad una seduta spiritica privata con le sorelle Barlow: gli eventi
ai quali assisterà provocheranno in lui un forte shock.
Profondamente colpito, offre ospitalità alle ragazze stipulando con
loro un contratto annuale allo scopo di sfruttarle per realizzare
il primo vero film di fantasmi. Ma le intenzioni di Korben sono ben
altre e Laura capisce ben presto che vi sono ragioni più oscure che
lo legano a loro.
Dopo CinquePerDue
Frammenti di vita amorosa e Potiche La
Bella Statuina, François Ozon torna in concorso alla
Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia con il suo
bellissimo Frantz, melodramma che
riprende molte tematiche care all’ormai celebre regista francese ma
che al tempo stesso si addentra in territori mai esplorati prima,
sia da un punto di vista stilistico che narrativo.
Il film è ambientato alla fine della
Prima Guera Mondiale, in una piccola cittadina tedesca, e vede
protagonista Anna, una giovane donna che ogni giorno si reca in
visita alla tomba del fidanzato Frantz, morto al fronte in Francia.
Un giorno Anna incontra Adrien, un timido e affascinante francese
che, come lei, è andato a raccogliersi sulla tomba dell’amico
tedesco. Ben presto tra Anna e Adrien si instaura un forte legame,
fino a quando la donna non verrà a conoscenza di un segreto
apparentemente inconfessabile.
Quello che François
Ozon ci regala con Frantz è una
piccola grande opera dalla messinscena impeccabile e dalla
struttura lineare ed armonica, con due interpretazioni
straordinarie. Il regista e sceneggiatore francese rispolvera
tematiche a lui familiari come il lutto, il piacere ambiguo e
l’educazione sentimentale, e contemporaneamente ne esplora di
nuove, servendosi di un bianco e nero nostalgico e avvolgente che,
intervallato da inaspettate e vivaci pennellate di colore,
conferisce realismo e veridicità alla storia, ai personaggi e alla
pellicola nella sua totalità.
La menzogna e il perdono sono i due
punti cardine di un racconto che si sviluppa come un vero e proprio
romanzo di formazione: da un lato seguiamo l’educazione
sentimentale della protagonista Anna (una Paula
Beer da Coppa Volpi), colta tra i suoi desideri e le sue
disillusioni; dall’altro il percorso di espiazione di Adrien (un
fragile, sensibile e meraviglioso Pierre Niney), un uomo tormentato dal
senso di colpa, la cui ossessione per la figura di Frantz ha avuto
effetti deleteri sulla propria esistenza.
Due storie che Ozon mescola per
confondere lo spettatore (è come se fosse la stessa sceneggiatura a
mentire, al pari dei suoi personaggi) e che non si limita a
descrivere soltanto sulla carta, ma che racconta anche attraverso
l’occhio della sua macchina da presa, riprendendo i tragitti
percorsi dai due protagonisti in modo da elevare l’idea del
movimento ad una dimensione concreta e funzionale alla comprensione
dei personaggi e dei loro mutamenti interiori.
Frantz è
un’opera delicata e mai scontata che sceglie volontariamente di
tacere l’emozione travolgente per sostituirla con il coinvolgimento
più placido e graduale. François Ozon ci trasporta
in un un mondo dove non c’è spazio per i sogni o per l’evasione, ma
soltanto per la bugia, sia essa liberatoria, salvatrice o
devastante.
Attesissimo il ritorno di François Ozon alla Mostra
Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Dopo
CinquePerDue Frammenti di vita amorosa e
Potiche La Bella Statuina, il regista e
sceneggiatore francese torna protagonista del concorso del Festival
con Frantz, melodramma interpretato da
Pierre Niney e Paula Beer.
Accompagnato in conferenza stampa
dai due protagonisti del film, Ozon ha aperto le danze spiegando la
genesi del progetto: “L’idea della pellicola nasce da uno
spettacolo teatrale di Maurice Rostand. Poi mi sono documentato e
ho scoperto che quella stessa storia era già stata portata sullo
schermo da Lubitsch con Broken Lullaby del 1931. Ad ogni modo il
mio film si distacca molto dall’opera originale, con la quale
onestamente non sarei mai voluto entrare in
competizione”.
Venezia
73: Frantzrecensione del film di François Ozon
Il film è girato in b/n,
intervallato da alcune sequenze a colori. A proposito di questa
scelta il regista ha rivelato: “È stata una grande sfida per
me. Anche perché non avevo mai lavorato in bianco e nero prima
d’ora. Mi sembrava comunque una scelta inevitabile, visto il tema e
l’ambientazione del film. Ad ogni modo, le scene a colori
rappresentano una sorta di ritorno alla vita in questo clima di
lutto che pervade l’intera narrazione”.
Parlando invece dei due attori
protagonisti, Pierre Niney e Paula
Berr, Ozon ha dichiarato: “Avevo conosciuto Pierre
grazie a J’aime regarder les filles, ai suoi ruoli alla Comédie
française e a Yves Saint Laurent. È un attore fantastico, a
suo agio sia con la commedia che con il dramma. Di Paula invece non
conoscevo nulla, e devo ammettere che è stata una sorpresa. Ho
fatto un casting in Germania dove ho incontrato molte giovani
attrici. Quando l’ho visto ho pensato subito che fosse perfetta per
la parte. È giovane ma ha un modo di recitare davvero
maturo”.
Emma Stone è la
prima star a sfilare sul red carpet della Mostra di Venezia,
coprotagonista di La La Land, film in
concorso diretto da Damien Chazelle, regista
presente con lei alla kermesse.
La Settantatreesima Mostra
d’Arte Cinematografica del Cinema di Venezia si aprirà questa sera, alle
19.00, nella Sala Grande, alla presenza di Alberto
Barbera e Paolo Baratta, in compagnia
della Madrina di Venezia 73, l’attrice Sonia
Bergamasco. La serata d’apertura sarà inaugurata dalla
consegna del Leone d’oro alla carriera a Jerzy
Skolimowski.
A seguire, la vera stella della
serata, il film d’apertura La La Land, di
Damien Chazelle (Whiplash) con
protagonisti assoluti Emma Stone e
Ryan Gosling, nei panni colorati e
romantici di Mia e Seb, due sognatori nella città della stelle.
Il film di Chazelle apre anche il
Concorso ufficiale di Venezia 73.
Gli altri appuntamenti della
giornata prevedono un omaggio al compianto Abbas
Kiarostami, il regista iraniano scomparso lo scorso
luglio.
È stato presentato il programma
della Trentunesima Settimana della
Critica in programma dal 31 agosto al 10
settembre 2016, organizzata dal Sindacato
Nazionale Critici Cinematografici Italiani nell’ambito di
Venezia 73, la 73. Mostra Internazionale
d’Arte Cinematografica di Venezia.
Di seguito il programma completo del
film selezionati:
In concorso:
Akher Wahed Fina (The Last of Us) di Ala Eddine
Slim
Tunisia-Qatar-UAE-Libano, 2016 – World Premiere
Drum
di Keywan Karimi
Francia-Iran, 2016 – World Premiere
Jours de France (Four Days in France)
di Jérôme Reybaud
Francia, 2016 – World Premiere
Los nadie (The Nobodies)
di Juan Sebastián Mesa
Colombia, 2016 – International Premiere
Prank
di Vincent Biron
Canada, 2016 – World Premiere
Singing in Graveyards
di Bradley Liew
Malesia-Filippine, 2016 – World Premiere
Le ultime cose
di Irene Dionisio
Italia-Svizzera-Francia, 2016 – World Premiere
Eventi speciali fuori concorso:
Film di apertura Prevenge di Alice Lowe
Regno Unito, 2016 – World Premiere
Film di chiusura Are We Not Cats di Xander Robin
USA, 2016 – World Premiere
***
Giona A. Nazzaro – “Anno Uno. Il cinema è
sempre un Anno Uno. Solo i numeri e le statistiche credono alla
crisi (che non c’è ma si vede). Il cinema, quello per cui vale la
pena scendere in campo, si continua a fare. Sta là fuori, basta
vederlo. La Settimana della Critica – luogo dove
sono stati scoperti autori quali Olivier Assayas, Mike Leigh,
Harmony Korine, Kevin Reynolds, Pedro Costa, Antonio Capuano e
Michel Bena – è da sempre interlocutrice privilegiata di questo
rinnovamento.
I festival, oggetto di periodiche e non entusiasmanti disquisizioni
che s’interrogano sulla loro (in)utilità, sono o dovrebbero essere
il luogo-narrazione delle cose del cinema. Non un banale emporio
delle merci cinematografiche disponibili ma l’arena del farsi di un
pensiero che riflettendo su ciò che si può ancora realizzare con le
immagini in movimento, offra anche qualche
idea, magari non banale, sullo stato del mondo in cui viviamo.
Non è un’idea nuova, questa. Rossellini faceva così. E se possiamo
osare ispirarci a un solo tratto della poetica rosselliniana,
questo è la sua totale assenza di qualsiasi nostalgia
cinematografica. Il suo essere stato sempre al presente indicativo,
calato nel farsi della Storia. Talmente calato nel presente del suo
tempo da essere forse l’unico cineasta che ha pensato il futuro del
cinema (e non solo). Ecco. Questa determinazione a stare nel
presente, a non cedere né a nostalgie né a mitologie, è la prima
spinta propulsiva di questa 31. SIC. Cinema di oggi, fatto oggi,
per sguardi di oggi. Perché solo l’oggi, nella sua imprendibilità,
permette di immaginare un cinema che torni a esplorare il nostro
rapporto con quanto accade sullo schermo e intorno a esso.
Il novero di titoli di quest’anno, individuati fra più di 500 film
iscritti, è all’insegna del “piacere filmico”, un “piacere” che si
attiva a partire da un rimettersi in gioco rispetto alle
convenzioni della visione. Un “piacere” del quale il rischio e lo
stupore sono gli elementi fondanti. A partire da
Prevenge – geniale slasher-movie
post-femminista diretto da Alice Lowe, già vista
nei film di Edgar Wright e Ben Wheatley – passando per
Le ultime cose di Irene
Dionisio – tesa rivisitazione dell’umanesimo neorealista –
si opera una ri-mappatura non delle cose viste, ma di quelle ancora
tutte da vedere. Keywan Karimi, cineasta iraniano condannato a un
anno di carcere e 223 frustate per offesa all’Islam, firma con
Drum un noir metafisico ed
espressionista, mentre Ala Eddine Slim,
documentarista e videoartista tunisino, con The Last of
Us rilancia con grande audacia un cinema sperimentale
e astratto, avventuroso e addirittura schiettamente
fantascientifico.
Perché, in fondo, e non potrebbe essere diversamente, il cinema è
un’arte giovane per definizione. E non solo in senso anagrafico.
Basti pensare a Los nadie di Juan
Sebastián Mesa, girato in sette giorni fra le strade più
inaccessibili di Medellin, o a Prank di
Vincent Biron, ex direttore della fotografia di
Denis Côté, apologo di nichilismo hardcore post-salingeriano.
E se il cinema è sempre e anche un riprendere (o un riperdere) il
proprio posto nel mondo, Jours de France
di Jérôme Reybaud ipotizza un sensuale viaggio
sentimentale, utilizzando un navigatore d’eccezione come Grindr,
per ritrovare i nomi dimenticati delle cose. Pepe
Smith, leggenda del rock filippino, è probabilmente la
presenza più sorprendente: protagonista di Singing in
Graveyards, assieme a Lav Diaz, si offre come
immagine e specchio del complesso rapporto con la modernità e la
democrazia del suo paese.
Infine, in chiusura, Are We Not Cats di
Xander Robin, un melodramma horror viscerale, una
favola dark scandita dalla musica dei Funkadelic, Yvonne Fair,
Lightning Bolt e Albert Ayler. Sorpresa proveniente dagli Stati
Uniti, si ricollega alla new wave dei primissimi anni Ottanta
reinventando pulsioni e calligrafie oniriche.
Senza dimenticare lo splendido mucchio selvaggio di cortisti
italiani di Sic@Sic, sinergia attivata in
collaborazione con Istituto Luce Cinecittà; autrici e autori
lanciati alla conquista del futuro armati solo del loro sguardo,
sorprendente, rigoroso, audace, tenero, provocatorio, radicale e
generoso. E patrocinati da Marco Bellocchio, il
più giovane e vitale dei Maestri italiani. Segnateveli oggi i nomi
di Chiara Leonardi e Edoardo
Ferraro, Valentina Pedicini e
Rossella Inglese, Maria Giovanna
Cicciari, Fatima Bianchi e il collettivo
Caruso, Falanga,
Lombardi, Tenace.
La 31esima edizione della Sic non è una proposta chiusa ma un
invito al viaggio. Si pongono oggi le premesse per immaginare il
cinema che è ancora tutto da inventare.”
Caricati della grande
responsabilità di aprire Venezia 73
con La La Land, film in concorso,
Emma Stone e Damien Chazelle sono
le prime star a essere ospitate nella sala del Palazzo del Cinema
adibita alle conferenze stampa della Mostra.
Il film in questione è
La La Land, musical ambientato nella
città di Los Angeles con protagonisti la Stone e
Ryan Gosling, assente al Lido perché
impegnato sul set di Blade Runner 2.
“Il mio primo lungometraggio,
Guy and Madeline on a Park Bench, era un musical.
Abbiamo bisogno, mai come oggi, di speranza e amore e nei musical
si possono fare delle cose che violano le regole della realtà, come
mettersi a cantare, per esprimere il linguaggio dei nostri sogni.
Il mio tentativo era di tornare indietro alla grande tradizione del
genere, adattandola a oggi. Un immaginario old fashion, ma con
persone vere che vivono nella Los Angeles di oggi.” Così,
Damien Chazelle ha presentato la sua colorata
avventura nella Los Angeles dei nostri giorni, tra ambizioni da
attrice e sogni da jazzista dei due protagonisti.
Emma Stone ha anche
lei una solida esperienza nel campo del musical, essendo anche
stata Sally Bowles in Cabaret a Broadway. “Amo
il musical veramente da sempre ho esordito sul palco a 8 anni
proprio cantando e recitando. Ho sempre sognato di farlo al cinema
e La La Land mi ha dato questo possibilità. A 15
anni arrivai per la prima volta a Los Angeles perché volevo fare
l’attrice. Ci sono stati anche per me vari incidenti durante i
provini, situazioni in cui mi sono sentita umiliata. Ma io non sono
come Mia. Lei scrive in prima persona la sua storia, le sue
esperienze, mentre io non ho avuto il suo stesso
coraggio.”
Su Los Angeles,
Chazelle sfata il mito della città dei sogni
infranti. “Ci vivo da nove anni e mi ricordo la prima volta in
cui arrivai, senza conoscere nessuno. Non è stato facile, come in
ogni città in cui non hai punti di riferimento, in più L.A. non è
amichevole. Queste contraddizioni le ho messe nel film, tutti i
cliché come il traffico, le celebrità, la competizione. Credo che
scavando emerga qualcosa di molto poetico e bello. La La Land è
raccontato con lo sguardo fresco di chi vede la città per la prima
volta. Nel bene e nel male è un sogno nel mondo reale”.
Emma Stone, da
attrice molto spesso presa a esempio dai fan più giovani, ha òpoi
dichiarato sul messaggio che dà il film: “Mi auguro che si
liberino del cinismo, seguano con gioia la speranza e la bellezza
delle storie da raccontare, senza interpretare ogni cosa con uno
sguardo cinico, prendendo in giro tutto. Spero siano spinti a
lavorare per ottenere quello che vogliono, per realizzare i propri
sogni”.
L’arma più potente di ogni essere
vivente è il linguaggio. Che sia visivo, scritto, del corpo, o
semplicemente dello sguardo e delle emozioni, ci aiuta a stare al
mondo, ci guida e spesso ci salva. Da questo assunto Denis Villeneuve,
regista di Sicario,
racconta un misterioso incontro tra specie, pianeti, momenti.
In
Arrival, 12 misteriosi oggetti volanti
non identificati raggiungono la Terra, dislocandosi in altrettanti
luoghi. Nel Montana, l’esercito degli Stati Uniti stabilisce un
campo base per analizzare l’astronave aliena stanziatasi sul
territorio americano. Per capire la natura dell’ “arrivo”, i
militari coinvolgono una linguista (Amy Adams) e uno
scienziato (Jeremy
Renner), allo scopo di decifrare il linguaggio, la
tecnologia e le intenzioni dei visitatori.
Arrival
si basa su Storia della tua vita,
racconto inserito nella raccolta omonima di Ted
Chiang e per l’adattamento, Villeneuve si
è avvalso della penna di Eric Heisserer, avvezzo
allo sci-fi. Dopo aver dimostrato grande destrezza con il
thriller, il regista di
Prisoners si affaccia alla fantascienza,
abbracciando il genere nella maniera più pura, senza però
rinunciare all’approccio intimo nel tratteggiare i personaggi. La
sua maestria sta nel raccontare con le immagini, nello spiegare una
storia che si rivela essere più complessa di quello che si immagina
attraverso gli occhi di Amy Adams, ancora una
volta performer di grande spessore e intensità. L’attrice si fa
portatrice di sofferenze, emozioni, paure, curiosità e intelletto
che si divincolano dalla sua umanità pur fondandola e diventano
caratteristiche universali che accomunano il noto e l’ignoto.
Più che la ricerca dell’altro,
Arrival è un invito alla cooperazione e
alla conoscenza reciproca, proprio attraverso quel linguaggio
totale che si astrae dalla lingua parlata. I canoni dello sci-fi
vengono toccati con rispetto della tradizione ma non si rinuncia al
tentativo di fare propria una storia principalmente umana, che, nel
colpo di scena finale, si rivela nella sua universalità.
Nell’incontro con l’altro, Villeneuve ci invita ad
accettare, amare e scoprire noi stessi.
Sorprendendo, affascinando e
intrappolando lo spettatore con una tensione narrativa raffinata e
costante, Denis Villeneuve rivela un aspetto più
umano, tenero, e forse per questo più potente, della sua
personalità registica, confezionando una preziosa esperienza
cinematografica.
Oltre all’italiano Munzi, oggi è
il grande giorno a Venezia 73 di The Bad
Batch di Ana Lily Amirpour (Usa, 119’,
v.o. inglese s/t italiano) con Suki Waterhouse, Jason
Momoa, Keanu Reeves, Jim Carrey e Giovanni Ribisi.
Il film è una feroce fiaba
distopica ambientata in una desolata regione del Texas in cui
alcuni reietti della società cercano di sopravvivere.
Anche la Mostra
Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia ha deciso di
mostrare la sua solidarietà verso le vittime del tragico terremoto
che ha colpito il centro Italia nella notte del 24 agosto.
A Venezia 73 non ci
sarà nessuna cena di gala né il ricevimento tradiozionale sulla
spiaggia dell’Excelsior.
La Biennale fa sapere di
“partecipare al lutto, esprimere profondo cordoglio per le
vittime, nonché viva solidarietà e vicinanza alle comunità
duramente colpite dal sisma”.
Venezia 73: il
programma con Malick, Ford, Wenders,
Villeneuve, Sorrentino
Al red carpet di inaugurazione
parteciperanno gli ospiti del film di apertura, Emma Stone e Ryan Gosling che presentano il film
di Damien ChazelleLa La Land, insieme
al presidente di Giuria, Sam
Mendes con i giurati Laurie Anderson,
Gemma Arterton, Giancarlo De Cataldo, Nina
Hoss, Chiara Mastroianni, Joshua
Oppenheimer, Lorenzo Vigas e
Zhao Wei, la madrina di Venezia 73, il Presidente
della Giuria di Orizzonti Robert Guédiguian con i
giurati Jim Hoberman, Nelly Karim,
Valentina Lodovini,Moon So-ri, Josè
Maria (Chema) Prado Chaitanya Tamhane, il
Presidente della Giuria per l’Opera Prima Kim Rossi
Stuart con i colleghi giurati Rosa Bosch,
Brady Corbet, Pilar López de Ayala, Serge Toubiana.
Il Festival di Venezia partirà il 31
agosto e si concluderà il 10 settembre al Lido.
Dopo Arrival, Amy
Adams è stata la stella anche della terza serata del
Festival di Venezia 2016, durante la quale ha presentato Nocturnal
Animals di Tom Ford. Di seguito
gli scatti con protagonista la Adams che per l’occasione ha
indossato ovviamente un abito a sirena firmato Tom
Ford.
Terzo film in concorso della
seconda giornata di Venezia 73 è Arrival
(dopo The Light
Between Oceans e Les Beux Jours
d’Aranjuez ). Il film di Denis
Villeneuve, assente al Lido, è stato splendidamente
rappresentato in conferenze stampa dai suoi protagonisti:
Amy Adams e Jeremy Renner.
Venezia 73:
Arrival recensione del film
con Amy Adams
“È stata una delle grandi gioie
della mia carriera – ha commentato Amy Adams
in merito al lavoro con Villeneuve – Denis è un regista
concentrato e attento, molto calmo e sereno. Ci ha consentito di
girare con pazienza. Non avevo mai lavorato con un regista così
paziente”.
Le fa eco il collega Jeremy
Renner: “Denis è molto intelligente, non so come
faccia a tenere tutto insieme, a essere così equilibrato in tutto
quello che gli passa per la testa. Consente a tutti di fare il
meglio senza imporre l’eccellenza. Consente a tutti di collaborare
ma rimane saldamente al timore dell’opera.”
Arrival
racconta di un arrivo, appunto, uno sbarco di alieni sulla Terra
che però si risolve in maniera molto insolita, rispetto ai canoni
del genere sci-fi. Per Renner il film mostra la meraviglia
dell’umanità che riesce, nonostante tutto, a trovare un punto di
incontro, un legame nonostante tutto, nel momento più estremo.
Amy Adams,
notissima e amata per le sue straordinarie interpretazioni, ci
consegna anche in questo film una performance incredibile, ma
nonostante la sua familiarità con il grande shcermo e i grandi
registi, conferma che il genere della fantascienza non era mai
stato, prima d’ora, tra le sue predilezioni. “Non avrei mai
pensato di fare un film del genere, per me era una sfida, abbiamo
lavorato su di noi ma anche con qualcuno che non esisteva, e Denis
è stato bravissimo, è riuscito a creare un rapporto trai personaggi
e questo ambiente che in realtà non esiste.” Per quanto
riguarda invece l’immedesimazione nel personaggio di Louise, la
linguista protagonista, la Adams ha attinto anche dalla sua
esperienza personale: “Nelle prime pagine di sceneggiatura c’è
questo viaggio nel cuore di una madre, e visto che anche io sono
madre, questa vicinanza mi ha aiutata moltissimo. Poi nella seconda
parte, in cui si esplora anche il lavoro di Louise, la parte più
fantascientifica, ho cercato una connessione con gli alieni, con
l’altro.” Mentre sulla scelta che Villeneuve ha fatto, nel
volerla nel suo film, Adams ha dichiarato: “Quando mi offrono
un ruolo chiedo sempre perché abbiano pensato a me, e se la
risposta è perché vogliono qualcuno che possa piacere, dico di no.
Denis mi ha detto che gli serviva qualcosa che potesse mostrare
cosa pensava il personaggio, e mi ha detto che guardandomi
recitare, riuscivo a trasmetterlo.”
Jeremy Renner,
noto ai più per la sua pertecipazione al franchise Marvel, non è nuovo a film d’autore di un
certo spessore, e aveva già lavorato con
Villeneuve, ma in ruoli molto diversi. “Non
avevo mai interpretato un personaggio del genere. Per me poteva
essere una sfida. Inoltre molto di quello che accade non viene
detto ma solo mostrato, perciò avevo l’occaisone di fare il mio
lavoro. La parole a volte ci tradiscono, io mando al diavolo
alcunconversazioni solo perché uso male una parola. Il linguaggio
del corpo invece è inequivocabile.”
Arrival
racconta di una linguista e un matematico che vengono coinvolti dal
Governo quando un essere non identificato, presumibilmente alieno,
compare nell’atmosfera terrestre. Nelle dichiarazioni che Renner ha
rilasciato a USA Today,
il film è un thriller molto teso e intenso, ma allo stesso tempo
tocca corde molto intime. “Se siete genitori vi spezzerà”,
ha dichiarato Jeremy Renner.
Per decenni i più grandi filosofi si
sono interrogati sul concetto di responsabiltà. Per Max Weber
l’uomo è chiamato a rispondere delle conseguenze delle proprie
azioni che hanno un peso sulla vita degli altri esseri umani. Per
Hans Jonas il concetto di responsabilità acquista una dimensione
nuova data la minaccia incombente del progresso tecnologico sulla
vita degli individui.
Lo spirito rivoluzionario di
William Powell è il motore di una storia iniziata
nel 1970 che continua ad alimentarsi ancora oggi, chiamando
perentoriamente in causa quel concetto di responsabilità a cui –
nonostante gli anni trascorsi e le parole spese – si fatica ancora
a definire con lucida precisione.
La pubblicazione di The
Anarchist Cookbook, libro contenente le istruzioni per la
fabbricazione di esplosivi che Powell scrisse ormai quarant’anni fa
(a soli 19 anni), è al centro del documentario American
Anarchist di Charlie Siskel. In
un’intervista senza filtri dalla quale emerge una personalità forte
che a mano a mano si libera di qualsiasi sovrastruttura esternando
così tutta la sua fragilità, lo stesso Powell riflette sulle
conseguenze della pubblicazione di una delle più controverse opere
mai pubblicate, a metà tra il manifesto rivoluzionario e il più
didascalico dei manuali.
Siskel si serve di una forma
stilistica molto classica e sicuramente più congeniale al piccolo
schermo (non sorprende, vista l’attiva produzione del regista in
ambito televisivo) per ripercorre la vita di Powell, una vita
segnata dalla continua associazione del suo “libro maledetto” a
decenni di violenza e terrorismo, inclusi episodi di proteste
antigovernative e di sparatorie nelle scuole.
Attraverso le dichiarazioni dello
stesso Powell (e le numerose immagini di repertorio) entriamo in
contatto con l’esperienza di un uomo tormentato alla continua
ricerca di un senso per i danni causati da quello che era
inizialmente (ed unicamente) nato come atto di protesta contro il
coinvolgimento degli Stati Uniti nella guerra del Vietnam, nel
clima esaltante della controcultura e degli scontri politici degli
anni ’60 e ’70.
Siskel cerca di avvicinarsi a Powell
e – di conseguenza – allo spettatore nel modo più limpido e meno
contaminato possibile, dipingendo il ritratto di un rivoluzionario
pentito che, all’età di 65 anni, si ritrova a dover fare i conti
con gli effetti devastanti di una ribellione giovanile che
continuano ad intaccare non solo la sua esistenza e le persone che
lo circondano, ma anche il suo spirito, in una confessione
sorprendentemente sincera che apre le porte a tutta una serie di
profonde e sconcertanti riflessioni.
Il documentario/intervista di Siskel
ha il grande pregio di soffermarsi su Powell in quanto essere
umano, sull’uomo che non riesce a liberarsi del suo passato e che
non smette di interrogarsi sull’importanza delle azioni e,
soprattutto, sull’impatto che le nostre idee e le nostre parole
possono avere sulla vita degli altri.
La Biennale di
Venezia e Jaeger-LeCoultre annunciano che
è stato attribuito al grande regista iraniano Amir
Naderi (Vegas, Manhattan by Numbers,
Davandeh-Il corridore) il premio Jaeger-LeCoultre
Glory to the Filmmaker della 73.Mostra Internazionale d’Arte Cinematograficadi Venezia (31 agosto – 10 settembre 2016),
dedicato a una personalità che abbia segnato in modo
particolarmente originale il cinema contemporaneo.
La consegna del premio ad
Amir Naderi avrà luogo lunedì 5
settembre alle ore 14.00 in Sala
Grande (Palazzo del Cinema), prima della proiezione Fuori
Concorso del suo nuovo film Monte, in
prima mondiale a Venezia. Il film (girato in Italia sulle montagne
altoatesine e friulane) è ambientato nel 1350 e racconta la
drammatica storia di un uomo che cerca di riportare la luce del
sole nel proprio villaggio, dove la famiglia riesce a stento a
rimanere in vita proprio per la prevalenza dell’oscurità.
Monte ha fatto parte nel 2014 dei
progetti selezionati all’interno del programma Venice
Gap-Financing Market del Venice Production Bridge.
A proposito di questo
riconoscimento, il Direttore della Mostra Alberto
Barbera ha dichiarato: “Amir Naderi ha
contribuito in maniera decisiva alla nascita del Nuovo cinema
iraniano negli anni ’70 e ’80 con alcuni capolavori destinati a
rimanere nella storia del cinema come Davandeh (Il
corridore, 1985) e Ab, bâd, khâk (Acqua, vento, sabbia,
1988). Ma anche dopo il suo trasferimento a New York nel 1988,
Naderi è rimasto ostinatamente fedele a se stesso e a un’idea di
cinema di ricerca e sperimentazione per nulla incline alle mode e
alle facili scorciatoie. In tutti i suoi lavori, non è difficile
rinvenire il nucleo di una identica ossessione che trascende il
principio di realtà per spingere l’individuo oltre il proprio
limite. L’ultima mezz’ora di Monte costituisce una sorta
di sintesi di tutto il suo cinema, la metafora bigger than
life della lotta per la sopravvivenza, contro i confini, le
coercizioni e gli oltraggi che talvolta rendono la vita umana
miserabile. Un epilogo da togliere il fiato, che traduce in
immagini di grande potenza espressiva le idee, le emozioni, le
visioni che sono alla base di tutti i suoi film. Il premio
Jaeger-LeCoultre è il riconoscimento meritato che sancisce
l’originalità e la grandezza di un cineasta fuori dal gregge, il
talento di un regista appassionato e la generosità di un uomo che
sembra non conoscere limiti”.
Dagli anni Settanta,
Amir Naderi (Abadan, 1945) è stato tra le figure
più influenti del Nuovo cinema iraniano, e si è affermato con
classici quali Tangsir (1974), Entezar (1974),
vincitore del premio della giuria al festival dei ragazzi di
Cannes, Davandeh (Il corridore, 1985) e Ab, Bad,
Khak (Acqua, vento, sabbia 1989), questi ultimi entrambi
vincitori della Mongolfiera d’oro al Festival di Nantes.
Davandeh è il primo film a emergere internazionalmente dal
panorama iraniano. Naderi è anche il primo importante regista
iraniano a espatriare alla metà degli anni ’80, trasferendosi a New
York e realizzando – con la trilogia Manhattan by Numbers
(1993), A,B,C…Manhattan (1997), Marathon
(2000) – opere che hanno catturato in maniera unica
l’atmosfera particolare di quella metropoli. Il successivo
Sound Barrier (2005) ha vinto il premio Roberto Rossellini
della critica alla Festa di Roma 2006. Vegas: Based on a True
Story è stato presentato in Concorso a Venezia nel 2008.
Cut è stato girato in Giappone ed è stato il film
d’apertura della sezione Orizzonti a Venezia nel 2011, vincendo
successivamente i premi per il miglior regista e il miglior attore
ai 21. Japan Professional Film Awards. Il lavoro di Naderi è stato
oggetto di retrospettive in musei e festival di tutto il mondo.
Oltre che regista, Naderi è anche sceneggiatore e montatore di
buona parte delle sue opere. Ha fatto parte di giurie
internazionali, presiedendo quelle del concorso di Tokyo FILMeX
2011 e della sezione Orizzonti a Venezia nel 2012. Il suo nuovo
film Monte, in prima mondiale a Venezia 2016, con Andrea
Sartoretti e Claudia Potenza, è il primo progetto ambientato e
diretto in Italia di Naderi. Monte è una coproduzione
Italia Usa Francia: Citrullo International, Zivago Media, Cineric,
Ciné-sud Promotion e KNM in collaborazione con Rai Cinema e con il
sostegno del Ministero dei beni e delle attività culturali e del
turismo Direzione generale per il cinema.
Il film è stato girato quasi
interamente sulle montagne dell’Alto Adige, a oltre 2.500 mt
d’altezza sul gruppo montano del Latemar, e in Friuli-Venezia
Giulia nei comuni di Erto, Casso e a Sott’Anzas, con il sostegno di
IDM – Film Commission dell’Alto Adige e della Film Commission del
Friuli Venezia Giulia. Le riprese sono durate 6 settimane
Jaeger-LeCoultre è
per il dodicesimo anno sponsor della Mostra Internazionale d’Arte
Cinematografica, e per il decimo del premio Glory to the
Filmmaker. Il premio è stato assegnato negli anni
precedenti a Takeshi Kitano (2007), Abbas Kiarostami (2008), Agnès
Varda (2008), Sylvester Stallone (2009), Mani Ratnam (2010), Al
Pacino (2011), Spike Lee (2012), Ettore Scola (2013), James Franco
(2014), Brian De Palma (2015).
È andato al Maestro
Andrei Konchalovsky (per il film
Paradise) il Premio Soundtrack Stars
Award 2016 per la migliore colonna sonora tra i film presentati in
concorso alla 73.ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica Un
premio speciale è stato assegnato alla colonna sonora del film di
Giuseppe PiccioniQuesti
giorni. Lo ha deciso la Giuria presieduta da Gianni
Canova che, valutata la qualità complessiva della selezione di
quest’anno dal punto di vista dell’attenzione alle sonorità del
cinema, ha voluto sottolineare -oltre le scelte finali-
l’originalità della sperimentazione sulla quale si fonda
l’operazione ambiziosa di Martina Parenti e
Massimo D’Anolfi in Spira
mirabilis.
Il Premio a
Konchalovsky è stato assegnato, come si legge
nella motivazione ,“per la scelta rigorosa di una sonorità
intrinseca alla stessa struttura narrativa del film”.
Al film di Giuseppe
PiccioniQuesti giorni – con le
musiche di Valerio C. Faggioni – un riconoscimento speciale
“Per la perfetta sintonia delle scelte vocali con l’emotività e
la sensibilità che il regista sottolinea nell’interpretazione delle
giovani protagoniste del film”. Si è conclusa così al Lido la
quinta edizione del Premio che si era aperta, all’insediamento
della Giuria, con la consegna del Premio della critica che
Soundtrack Stars Award 2016 riserva ogni anno a un autore
particolarmente significativo a Gabriele Muccino
segnalando così il suo rapporto speciale con la musica. “Quello
tra musica e cinema è ’un link che ha promosso in tutti i suoi film
una costante ricerca di nuove sonorità” si legge nella
motivazione “sempre in stretta collaborazione con autori
particolarmente sensibili all’importanza della musica per il
cinema: Paolo Buonvino, Andrea Guerra, poi Lorenzo Jovanotti con
cui è evidente, in L’estate addosso, che ha debuttato alla Mostra
Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, una particolare
sintonia, dalla scelta delle collaborazioni artistiche all’effetto
sul pubblico, anche attraverso un solo brano già diventato, come
spesso accade nel suo cinema, un leitmotiv di successo”.
La Giuria:
Con il Presidente Gianni
Canova, direttore della rivista di Istituto Luce Cinecittà
8½, nella Giuria 2016 del Premio, con Laura Delli
Colli a nome del SNGCI, sono stati quest’anno Cristiana
Paternò (8½ e Cinecittà News), Marina Sanna
(Rivista del Cinematografo/Ente dello Spettacolo) e la ‘squadra’
autorevolissima di ‘Hollywood Party’ (RadioTre) con Steve
Della Casa, Enrico Magrelli, Alessandro Boschi, Alberto Crespi,
Miriam Mauti.
La Biennale di
Venezia e Persol annunciano che è stato
attribuito all’attore e regista statunitense Liev
Schreiber (Spotlight, X Men: le
origini – Wolverine, Ogni cosa è illuminata)
il Persol Tribute to Visionary Talent
Award della 73.Mostra
Internazionale d’Arte Cinematografica (31 agosto – 10
settembre 2016).
La consegna del Persol
Tribute to Visionary Talent Award2016 a
Liev Schreiber avrà luogo venerdì2 settembre alle ore 22 in
Sala Grande (Palazzo del Cinema, Lido di Venezia),
in occasione della proiezione del film Fuori Concorso
The Bleeder (Usa/Canada, 93’) diretto da
Philippe Falardeau, con Liev
Schreiber e Naomi Watts. Si tratta di un
biopic che racconta la vera storia del pugile statunitense Chuck
Wepner, che ispirò il personaggio di Rocky Balboa nella celebre
serie cinematografica Rocky.
In precedenza, Liev
Schreiber era stato più volte presente alla Mostra di
Venezia:
come interprete l’anno scorso con
il film premio Oscar Il caso Spotlight di
Tom Mc Carthy, nel 2012 con il film d’apertura Il
fondamentalista riluttante di Mira Nair, nel 2004 con
The Manchurian Candidate (2004) di
Jonathan Demme;
come regista nel 2005 con il suo
film d’esordio Ogni cosa è illuminata,
con Elijah Wood, per il quale ha vinto i premi
Lanterna Magica e Biografilm.
Il Direttore della Mostra,
Alberto Barbera, a proposito di questo
riconoscimento ha dichiarato: “Ho un’ammirazione sconfinata per
Liev Schreiber, capace di dare il meglio di sé sia
nei ruoli da protagonista in tanti film di produzione
indipendente, che in quelli da comprimario in molti film
mainstream hollywoodiani, oltre che in una serie di grande
successo come Ray Donovan, da lui prodotta e in parte
diretta. La solida preparazione da attore shakespeariano dei
suoi esordi sono il lievito che continua ad alimentare
interpretazioni imprevedibili e complesse, intrise di
profonda umanità. Ogni volta che compare in scena, si ha
l’impressione che il film si alzi di tono, facendo di ogni
sua apparizione qualcosa di unico e memorabile. La sensibilità,
l’intuito, l’intelligenza ne sono componenti essenziali: le stesse
qualità del suo unico lungometraggio regista, Ogni cosa è
illuminata, che mi auguro non debba rimanere solitaria prova
di un talento non comune.”
Chiara Occulti,
Senior Vice President Brand and Communication Management di
Luxottica Group, ha dichiarato: “Siamo
particolarmente orgogliosi di continuare la nostra collaborazione
con la Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale
di Venezia, per noi giunta quest’anno alla sua dodicesima edizione
consecutiva. Il PERSOL TRIBUTE TO VISIONARY TALENT
AWARD celebra nel 2016 Liev Schreiber, un
talento che rispecchia appieno la personalità di Persol. Siamo
orgogliosi che un artista come Schreiber abbia
accettato di ricevere e di associare il suo talento a quello di
Persol.”
Liev
Schreiber è considerato uno tra i più talentuosi attori
del cinema contemporaneo, oltre a essere uno stimato regista e
attore teatrale. Tra i suoi titoli di successo al cinema,
Il caso Spotlight (2015) diretto da Tom
Mc Carthy, vincitore dell’Oscar per il miglior film,
Salt (2010) di Phillip Noyce,
X-Men le origini – Wolverine (2009) di
Gavin Hood, Motel Woodstock (2009) di Ang
Lee, Defiance – I giorni del coraggio
(2008) di Edward Zwick, The Manchurian
Candidate (2004) di Jonathan Demme, Kate
& Leopold (2002) di James Mangold accanto a Meg Ryan
e Hugh Jackman, A walk on the moon – Complice la
luna (1999) di Tony Goldwyn, The
Hurricane (1999) di Norman Jewison, RKO
281 (1999) di Benjamin Ross, Big
Night (1996) di Campbell Scott e Stanley Tucci e la
trilogia Scream (1996, 1997, 2000)
diretta da Wes Craven. Liev Schreiber ha diretto
nel 2005 il suo primo lungometraggio Ogni cosa è
illuminata, con Elija Wood. Ha studiato presso la
Royal Academy of Dramatic Art, una tra le più rinomate scuole di
teatro del mondo e tra le più antiche della Gran Bretagna, e si è
laureato nel 1992 alla Yale School of Drama. Ha vinto un
Tony Award nel 2005 come miglior attore non
protagonista per Glengarry Glen Ross, e ha ricevuto due
nomination come protagonista per Uno sguardo dal ponte
(2010) e Talk Radio (2007).
La 73. Mostra del Cinema di
Venezia si terrà al Lido dal 31 agosto al 10
settembre 2016, diretta da Alberto
Barbera e organizzata dalla Biennale
presieduta da Paolo Baratta.
Sono stati attribuiti all’attore
francese Jean-Paul Belmondo e al regista polacco Jerzy
Skolimowski i Leoni d’oro alla carriera della 73.
Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia (31
agosto – 10 settembre 2016).
La decisione è stata presa dal
Cda della Biennaledi Venezia presieduto da
Paolo Baratta, su proposta del Direttore della Mostra del
Cinema Alberto Barbera.
A partire da quest’anno, il Cda ha
deciso l’attribuzione di due Leoni d’Oro alla carriera in ciascuna
delle edizioni future della Mostra: il primo assegnato a registi o
appartenenti al mondo della realizzazione; il secondo a un attore o
un’attrice ovvero a personaggi appartenenti al mondo
dell’interpretazione.
Jean-Paul Belmondo, icona del
cinema francese e internazionale, ha saputo interpretare al meglio
l’afflato di modernità tipico della Nouvelle Vague
attraverso gli straniati personaggi di A doppia mandata
(À double tour, 1959) di Claude Chabrol, Fino
all’ultimo respiro (1960) e Il bandito delle 11 (1965,
in concorso a Venezia) entrambi di Jean-Luc Godard, o La mia
droga si chiama Julie (1969) di François Truffaut. In
particolare, impersonando Michel Poiccard/László Kovács in Fino
all’ultimo respiro, Belmondo ha imposto la figura di un
antieroe provocatorio e seducente, molto diverso dagli stereotipi
hollywoodiani ai quali lo stesso Godard si ispirava. La sua
recitazione estroversa gli ha consentito poi di interpretare alcuni
dei migliori gangster del cinema poliziesco francese, come in
Asfalto che scotta (1960) di Claude Sautet, Lo spione
(1962) di Jean-Pierre Melville e Il clan dei marsigliesi
(1972) di José Giovanni, ottenendo un enorme successo popolare con
i molti film successivi, da L’uomo di Rio (1964) di Philippe
de Broca a Il poliziotto della brigata criminale (1975) di
Henri Verneuil, da Joss il professionista (1981) di Georges
Lautner a Una vita non basta (1988) di Claude Lelouch. “Un
volto affascinante, una simpatia irresistibile, una straordinaria
versatilità – ha dichiarato il Direttore Alberto Barbera
nella motivazione – che gli ha consentito di interpretare di volta
in volta ruoli drammatici, avventurosi e persino comici, e che
hanno fatto di lui una star universalmente apprezzata, sia dagli
autori impegnati che dal cinema di semplice intrattenimento”.
“Jerzy Skolimowski – ha
dichiarato il Direttore Alberto Barbera nella motivazione –
è tra i cineasti più rappresentativi di quel cinema moderno nato in
seno alle nouvelles vague degli anni Sessanta e, insieme con
Roman Polanski, il regista che ha maggiormente contribuito al
rinnovamento del cinema polacco del periodo”. Lo stesso Polanski
(che lo volle accanto come sceneggiatore nel suo film d’esordio
Il coltello nell’acqua), ebbe a predire: “Skolimowski
sovrasterà la sua generazione con la testa e le spalle”. In realtà,
la carriera del “boxeur poeta” (secondo la definizione datane da
Andrzej Munk, il “padre” cinematografico di Skolimowski), durata
ben oltre cinquant’anni con diciassette lungometraggi realizzati, è
stata tutt’altro che facile, segnata da continui dislocamenti –
dalla Polonia al Belgio, dall’Inghilterra agli Stati Uniti, prima
del definitivo ritorno in Patria avvenuto meno di dieci anni fa –
che ne hanno contrassegnato l’opera: apolide in apparenza, perché
assoggettata a strategie produttive eterogenee ed apparentemente
diseguali, in realtà personalissima e originale in ciascuna delle
opere in cui si è concretizzata. La trilogia realizzata in Polonia
ai suoi esordi, Rysopis (1964), Walkover (1965)e
Barriera (1966), fu per i Paesi dell’Est ciò che i primi
film di Godard sono stati per il cinema occidentale, mentre i
capolavori successivi – Il vergine (1967, Orso d’oro a
Berlino), La ragazza del bagno pubblico (1970),
L’australiano (1978, Grand Prix a Cannes), Mani in
alto! (1981), Moonlighting (1982, migliore sceneggiatura
a Cannes) – sono tra i film più rappresentativi di un cinema
moderno, libero e innovatore, radicalmente anticonformista e
audace. I film più recenti realizzati dopo il ritorno in patria –
Quattro notti con Anna (2008), Essential Killing
(2010, Premio Speciale della Giuria a Venezia)e 11 minuti
(2015, in concorso a Venezia) – manifestano infine
un’inesauribile e sorprendente capacità di rinnovamento, che lo
collocano di diritto tra gli autori più combattivi e originali del
cinema contemporaneo.
Il programma completo della
73. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia
verrà presentato alla stampa il 28 luglio p.v. a
Roma, all’Hotel Excelsior (ore 11).
La 73ª edizione della Mostra
internazionale d’arte cinematografica si è svolta a Venezia dal
31 agosto al 10 settembre 2016; anche quest’anno è diretta da
Alberto Barbera e organizzata dalla Biennale presieduta da Paolo
Baratta.
La madrina della rassegna è
l’attrice italiana Sonia Bergamasco. L’elenco dei film in programma
alla 73ª Mostra è stato annunciato nel corso della conferenza
stampa di presentazione che si è tenuta il 28 luglio 2016 a Roma.
La giuria è presieduta dal regista britannico Sam Mendes.
La La Land di Damien Chazelle
è stato selezionato come film d’apertura della manifestazione.
Sul red carpet di Venezia
73 arriva finalmente fuori concorso il premio Oscar Paolo
Sorrentino per presentare la nuova serie televisiva The Young Pope
targata Sky, HBO. Ecco le foto:
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La settantatreesima Mostra
Internazionale d’Arte Cinematograficadi
Venezia si svolge al Lido dal 31 agosto al 10
settembre.
Grandi star hanno sfilato sul red
carpet di Venezia 73 nella serata di ieri,
ecco di seguito le foto di ieri, tra gli
altri Naomi Watts, Amy Adams, Tom Ford,
Jake Gyllenhaal,
Aaron Taylor-Johnson, Colin Firth e molti
altri.
Di seguito gli scatti:
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Foto La Biennale di Venezia / Iacopo Salvi
La settantatreesima Mostra
Internazionale d’Arte Cinematograficadi
Venezia si svolge al Lido dal 31 agosto al 10
settembre.
Ecco i divertiti scatti fotografici
a cui si è prestata Sonia Bergamasco, madrina di
Venezia 73. Nelle foto a seguire anche Kim
Rossi Stuart, sbarcato al Lido dove presenterà
Tommaso fuori concorso, e Barbara
Palvin, deliziosa testimonial L’Oreal.
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La settantatreesima Mostra
Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia si svolge al Lido
dal 31 agosto al 10 settembre.
Si è tenuta questa sera alla
presenza di Emma Stone e Damien
Chazelle la cerimonia d’apertura del Festival di
Venezia 73. Presenti sul red carpet la madrina,
Sonia Bergamasco, Emma Stone, le giurie
internazionali, Kim Ki-Duk e tanti altri
ospiti.
Di seguito gli scatti:
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La settantatreesima Mostra
Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia si svolge al Lido
dal 31 agosto al 10 settembre.
Ecco le foto dei componenti delle
Giurie della Mostra del Cinema di Venezia 73.
Presenti al photocall, ovviamente, i presidenti dei diversi
concorsi, Sam Mendes per il Concorso Internazionale,
Robert Guédiguian per Orizzonti, Kim Rossi Stuart per
il Premio Venezia Opera Prima “Luigi De Laurentiis” e Roberto
Andò per la sezione Classici.
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La settantatreesima Mostra
Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia si svolge al Lido
dal 31 agosto al 10 settembre.
Giornata di grandi nomi e grandi
film a Venezia 73. Tante le pellicole in concorso
e tanti anche le star che hanno prestato le loro facce famose ai
flash dei fotografi. Michael Fassbender, Alicia Vikander, Amy Adams e Jeremy Renner sono solo
alcuni, i più famosi, degli ospiti di serie A di questa seconda
giornata di Festival di Venezia 73.
Di seguito gli scatti:
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La settantatreesima Mostra
Internazionale d’Arte Cinematograficadi
Venezia si svolge al Lido dal 31 agosto al 10
settembre.
Dopo dieci giorni di film, quando
un improvviso senso di vuoto per la mancanza di proiezioni ti
assale, viene naturale riflettere e rivedere quelle tante idee,
quelle riflessioni sui vari film visti, che durante la maratona
cinematografica ti hanno a volte esaltato, spesso fatto arrabbiare
e molte volte lasciato indifferente. Si ripercorre il programma,
segnato come un campo di battaglia, o come un disordinato taccuino
d’appunti, per vedere cosa rimane di un mucchio di opere con le
quali hai condiviso tanti giorni e l’ennesima fine d’estate
Veneziana.
Molte volte, a fine proiezione, è
sorto un naturale senso di indignazione per aver visto inseriti in
concorso film che forse non dovevano essere neanche presentati
nella selezione generale, poi cala un po’ l’arrabbiatura e si
inizia a ragionare; si arriva così alla conclusione che quel film
andava semplicemente collocato in una sezione differente, magari
collaterale.
La mia è semplicemente un’idea
personale, una serie di pensieri a voce alta e non è assolutamente
un volersi accanire con un singolo film, che magari preso da solo,
o visto nel contesto giusto, risulterebbe anche piacevole. Ma
d’altronde il cinema è così, si può essere critici plurilaureati e
armati di tutti i parametri d’analisi possibili e immaginabili,
oppure semplici spettatori che cercano nella sala un’evasione dallo
stress di una vita insoddisfacente, ma alla fine è solo e un’unica
cosa che decreta il giudizio su un film appena visto: il gusto
personale. Quante volte, nelle file per entrare in sala, si porge
l’orecchio a discussioni scaturite attorno a un film appena visto e
si sentono pareri discordanti, difese a oltranza, bocciature senza
possibilità d’appello, ma alla fine spesso di fronte a uno ‘stallo
messicano’ di natura critica si sente dire “comunque a me è
piaciuto”, oppure “sarà anche un capolavoro, ma
sinceramente io non lo sopporto”. E attenzione, non sono
commenti di semplici spettatori paganti muniti di biglietto, ma di
critici inviati da importanti testate, di studenti di cinema, di
persone che giornalmente lavorano nella realizzazione e diffusione
di film, e diciamolo, anche di una masnada di infiltrati, quasi
sempre di Venezia e dintorni, muniti di accredito ottenuto non si
sa come.
Sorge spontaneo ragionare
sul fatto, che a differenza di tanti altri festival importanti, in
quello di Venezia svetta la dicitura ‘d’ Arte Cinematografica’ e
quindi, almeno nella sezione concorso ci si aspetterebbe di trovare
opere che siano consone a tale appellativo. Poi ci si imbatte in
Piuma
di Roan Johnson, storia sicuramente ben raccontata
e dignitosa nella sua esposizione, ma assolutamente lontana
dall’essere una forma rappresentativa di un cinema inteso come
linguaggio espressivo. E ancora, Questi
giorni di Giuseppe Piccioni, per
il quale vale la stessa identica considerazione, con l’aggravante
del fatto che ci troviamo invece di fronte a un autore navigato,
che forse potrebbe permettersi l’ardire di provare a sperimentare,
allontanandosi dal mero mestiere, o da quel navigare in acque
sicure che tanto piace e rassicura la produzione italiana ma non
solo. Per fortuna ci è stato evitato di trovare in concorso
L’Estate addosso, del buon vecchio
Gabriele Muccino, o Tommaso di Kim
Rossi Stuart, evitandoci così di dilungarci in ulteriori
disquisizioni sulle tristi derive del nostro cinema. Sarebbe stato
bello vedere in gara The Young
Pope di Paolo Sorrentino, che
però saggiamente trincerato nell’approdo sicuro della serialità
televisiva si toglie dalla mischia e dimostra che si può eccome
essere ancora autori e far nascere schieramenti opposti di seguaci
e detrattori, ma soprattutto afferma che si può sperimentare e
raccontare in maniera personale, provando a ricercare quel qualcosa
che sembra dimenticato, o sarebbe meglio dire ‘rimosso’, dal mero
scopo di raccontare.
E il problema più grande forse sta
proprio nel narrare a tutti costi una storia e del rimanere
inesorabilmente ingabbiati nella struttura narrativa, sciorinando
strutture, dispositivi e modelli ormai prevedibili, scontati,
per non dire inutili. Ma poi a metà percorso arriva Spira
Mirabilis di Massimo D’Anolfi e
Martina Parenti, discutibile certo, ma sicuramente
in linea con quello spirito di ricerca che ci si auspicherebbe in
un concorso d’Arte Cinematografica. E poi Voyage of Time: Life’s
Jorney di Terrence Malick, con
il quale, nel bene e nel male, al di là del gusto personale si
rientra in carreggiata.
Peccato invece per autori
come Emir Kusturica,
che tanto hanno regalato in passato all’arte cinematografica, con
opere che hanno influenzato il modo d’intendere l’espressione
cinematografica, ma che oggi appaiono assai stanchi, esauriti
e manieristi nei confronti di se stessi.
E anche fuori della competizione
ufficiale si incontrano opere estremamente interessati per ricerca
espressiva e utilizzo del linguaggio cinematografico per evadere
creativamente e costruttivamente dalla rigida gabbia della
struttura narrativa. Mi riferisco allo splendido e toccante film su
Nick Cave One More Time With
Feeling di Andrew Dominik, al
sorprendente Boys in the Trees di
Nicholas Verso, dove sotto la patina del
teen-movie a tinte horror si scopre una ricerca visiva e
introspettiva di rara sensibilità, incentrata sul difficile,
drammatico passaggio tra adolescenza ed età adulta, o al film
interamente costruito con spezzoni d’archivio Dawson
City: Frozen Time di Bill
Morrison.
Non sono mancati chiaramente e
giustamente film colossali di grande presa visiva e costruiti per
sbancare al botteghino, dove la presenza di una star o di un’altra
fa la differenza, alla faccia della ricerca espressiva o della
manipolazione del linguaggio per indagare sulla narrazione. Ma in
fondo è giusto che ci siano in un festival film di questo genere
perché rappresentativi di quello che oggi è diventato il mezzo
cinema e oltretutto piacevoli per spezzare l’inevitabile seriosità
che spesso si annida nel fare Arte Cinematografica.
Concludo sottolineando ancora una
volta che queste considerazioni sono personali e totalmente
discutibili. Cercavo dal festival stimoli, idee e soprattutto
motivazioni che mi facessero tornare al mio lavoro carico di voglia
di fare e soprattutto di sperimentare. E la 73° Mostra
Internazionale d’Arte Cinematografica non mi ha deluso in questo,
con una valida selezione rappresentativa a tutto tondo del modo di
intendere e fare cinema in questo momento nel mondo, senza
preclusioni di tecniche, generi, e soprattutto di entità economiche
per la realizzazione di un film.
Venezia 73 – Oggi vi parlo di un
film della Settimana Orizzontale degli Autori, una
sezione parallela inaugurata quest’anno con lo scopo di dare voce a
temi poco trattati dalla volgare, superficiale e sciatta
cinematografia popolare che si preoccupa solo di portare pubblico
in sala con i bei faccini puliti degli attori hollywoodiani. Si
intitola Sono giorni che
non caco, ed è una produzione franco-canadese, un
intenso esperimento di docu-fiction basato sulla tragica vicenda di
un giovane e affascinante uomo, direttore di un’affermata testata
giornalistica online, che improvvisamente vede la sua vita
sconvolta dal dramma di un intestino capriccioso come una starlette
degli anni ’50. Già provato dallo stravolgimento dei ritmi della
flora batterica nel corso di brevi ma impegnative vacanze, il
protagonista – che porta un nome di fantasia, Amedeo
Franceschi, ma è sicuramente ispirato alla figura di
qualche collega realmente presente qui al Lido – le prova tutte per
risolvere la sua situazione, in un emozionante crescendo di
tensione drammatica. Dalle supposte al whisky ai clisteri ripieni
di Spritz, passando per lo yoga – toccante la
scena in cui assume la posizione dello sfintere urticante, con un
gran lavoro d’interpretazione sia facciale che mimica – le palle di
cannone sparate nello stomaco e l’incontro ravvicinato con
Michael Fassbender, senza riuscire a cavare un
ragno (né altro) dal buco. Commovente il finale in cui ATTENZIONE
SPOILER l’uomo riesce finalmente a risolvere la situazione tra
mille effetti pirotecnici sulle note di ‘We are the
Champions’. Che poi, bastava dirlo, gli avrei consigliato
L’Estate addosso di Muccino, che già a
partire dal titolo ispira espletazioni (a vederlo, poi, non ne
parliamo).
Comunque, il film è bello perché dà
voce a istanze che da ste parti sono comuni, costretti come si è
condividere il bagno con altri sessanta coinquilini, a correre da
una parte all’altra per non perdere nemmeno un minuto di qualsiasi
cazzata ci propini la selezione – ‘ok, parla di rutti acrobatici.
Ma se poi è bello? Se poi vince il Leone? Che fai? Non te lo vedi?
– alla fine le parti basse vanno in sciopero. Come diceva il
saggio: tratta bene il tuo ano e lui tratterà bene te.
Corollario: qua si
continuano a vedere scene spaventose di degrado umano davanti al
red carpet. Ieri era per Fassbender. Oggi è per Jake
Gyllenhaal. O per Alvaro Vitali, non ho capito bene. Tanto
diciamocelo, ognuno che abbia almeno cinquanta like a post su
facebook ormai è considerato una star, e ogni scusa è buona per
rendersi ridicoli a favore della gente affamosa. Una dormiva
direttamente dentro la valigia. Sarà. Io sono vittima di uno strano
fenomeno ipnotico, e non je la potrei mai fà. Per me su quel
tappeto ci possono passare pure Amy Adams, Charlize Theron, Scarlett Johansson o
Salma Hayek. Se l’attesa per vederle supera i
cinque minuti mi appaiono automaticamente come quattro cessi a
pedali, e perdo interesse. Quando invidio il candore.
(Ang)
Avevo visto in una proiezione
casalinga riservata a pochi la pellicola orizzontale di cui parla
Ang, per questo motivo oggi ho saltato l’anteprima per trovare il
tempo per darme na sistemata (cioè ben 15 minuti), e andare a
vedere Nocturnal Animals di Tom Ford.
Diciamocelo, so annata pure perché il mio sogno è chiedere al
regista, stilista, esteta e talento della moda di firmarmi le
occhiaie, e pensavo di farlo in conferenza stampa, mentre tutti
fanno domande interessantissime e avvincenti, come ad esempio ‘cosa
ne pensi della maternità surrogata’ (n.d.a. chiesto seriamente da
Marilena Vinci a Michael Fassbender. CIOE’ tra
un boato di donne che gli avrebbero chiesto il numero lei chiede la
MATERNITÀ SURROGATA. Brava Vinci, ecco perché
ti amiamo, perché prendi l’ormone e lo metti da parte) io volevo
alzarmi, con gli occhiali da sole Gucci ovviamente, e dirgli ‘Tom,
le cose so due. O me firmi le occhiaie o me spieghi sta cosa dei
culi.
Perché cari miei, se non lo sapete
quest’anno al lido è l’anno del culo. Di riferimenti anali già vi
avevamo raccontato, insomma, parlando del film di Muccino (Gabri,
stacce, you are always on my mind), ma anche il film di Ford non
scherza proprio. Non mi riesce di farne una recensione cazzona
perché la pellicola è davvero molto interessante, a tratti anche
commovente. Un super thriller, esteticamente seduttivo e
cromaticamente perfetto la cui sceneggiatura è stata scritta dallo
stesso Ford, che ti tiene col fiato sospeso fino alla fine.
Quello che stona, ma forse è un
omaggio al lido, è la presenza ingombrante e claustrofobica di
questi culi, messi così un po’ alla cazza, in ogni dove.
Caro Tom, volevi dirci qualcosa
a posteriori?
Non so. Però grazie caro, finalmente
me so dimenticata la proiezione di ieri sera del Cristo Ciego, che
voglio dire, io al cinema me vedo pure senza colpo ferire i
documentari muti sulla storia del cemento, ma sto film m’ha messo
un malumore che avrei preso a capocciate il poro Rauco. Vi
sintetizzo brevemente la storia.
C’è un ragazzo che è convinto di
essere una sorta di reincarnazione di Cristo, tanto da prendere e
partire per aiutare un amico d’infanzia fisicamente in difficoltà,
certo di poter compiere un miracolo sull’arto menomato dell’amico.
Insomma prende e parte a piedi nudi in pellegrinaggio per tutto il
deserto del Cile.
Poi non succede un cazzo.
C’è bisogno che commenti?
Piccolo aggiornamento sugli usi e
costumi. Tranquilli: passano gli anni, cambiano gestioni, ma gli
amici autoctoni so sempre uguali, ce odiano.
Siamo arrivati al lido e già sul
vaporetto uno mi ha detto che proprio non ci sopporta, che
dipendesse per lui ce menerebbe tutti. Ieri una si è premurata di
dirmi che ‘qui fanno la differenziata’. A me lo dici? Che vivo
mezzo anno della mia vita in Emilia Romagna, che te mandano Report
a casa se cicchi per strada?
Per cui pensavo che ci meritiamo
dopo tanti anni un po’ di onestà, per questo vorrei parlare a cuore
aperto, e buttare il badge, che mi, che ci distingue così tanto da
voi, oltre l’ostacolo.
Amici del lido, è dal 1937 che
ci ospitate demmerda. Tirate fuori la dignità e nelle insegne dei
vostri locali, fuori dalle vostre case, sui vostri autobus scrivete
“Desolati, ce provamo dal 1937 ad abituarci alla vostra presenza,
ma ce vié sempre na merda. Questi anni di fallimenti non sono un
caso, ma prova del fatto che siamo proprio incapaci. Qualcuno se
stava a imparà, ma l’abbiamo mannato a vende vetri di Murano ai
turisti. D’altronde, se non se capimo manco tra di noi quanno
parlamo, come pretendete che capimo a voi?
Quest’anno la celebre mostra del
cinema di Venezia, si arricchisce di uno sponsor molto particolare.
Xie – Xie tea, brand devoto a far scoprire l’arte del te, sarà
infatti uno degli sponsor.
Ecco i comunicato stampa che
illustra il prodotto:
“Il nome del nostro brand XIE XIE in
Mandarino significa “grazie”. Gratitudine è un sentimento spontaneo
di fronte all’importante lavoro di promozione culturale svolto
negli anni dalla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della
Biennale di Venezia. Siamo fieri di annunciare oggi il nostro
impegno in veste di sponsor della 72. Edizione.
Siamo un’impresa taiwanese attiva
nel settore del tè. Il nostro è un marchio giovane, ma guidato da
una visione ben precisa che ci ha spinto fin dall’inizio ad un
dialogo costante con il mondo del design e della moda e, d’ora in
avanti, del cinema e dell’arte. La nostra volontà è quella di
promuovere e valorizzare la cultura del tè. Il tè Oolong
costituisce la nota fondamentale di tutte le nostre miscele. Oolong
non è semplicemente il nome di una pianta particolare: il termine
Oolong denota anche e soprattutto una forma di preparazione di cui
vogliamo preservare la qualità e l’eleganza. Due foglie
all’estremità di ogni ramo delle piante con cui lavoriamo vengono
selezionate come base del nostro prodotto. Queste foglie sono
essiccate nella loro interezza, senza essere frantumate o tritate.
Mantenendo l’integrità di queste foglie, manteniamo l’integrità di
una tradizione taiwanese.
La Mostra di Venezia è un evento
verso cui sentiamo un legame speciale. Nel nostro impegno verso il
mondo della cultura diamo la massima importanza alla valorizzazione
dello scambio creativo tra l’est asiatico e l’occidente. Non si
tratta infatti di due culture separate senza possibilità di
dialogo, per noi Oriente e Occidente rappresentano una serie di
spazi attraversati da flussi costanti. Questo dinamismo sta alla
base di ogni attività creativa, innovativa e provocante. Questo
spirito ci ha portato recentemente, tra le altre iniziative, a una
collaborazione con lo showroom del fashion designer
americano-taiwanese Alexander Wang durante la scorsa settimana
della moda uomo a Parigi, e a una partnership tecnica con il
product designer giapponese Sori Yanagi.
Crediamo che la Mostra di Venezia
incarni pienamente questo spirito. Il lavoro svolto in passato
dalla Mostra per espandere la conoscenza e il riconoscimento del
cinema internazionale in Europa è notevole. In particolare il
merito riconosciuto al cinema asiatico ed al cinema taiwanese
specificamente ci rendono molto fieri.
Questa sponsorship rappresenta per
noi una tappa fondamentale nel nostro supporto delle arti.”
E anche questa Venezia 72, 72esima
Mostra del Cinema di Venezia ha spento ogni riflettore, gli operai
hanno iniziato a smontare le strutture e i leoni a grandezza
naturale, a scollare il tappeto rosso dall’entrata del Palazzo del
Cinema. Già domani mattina 14 settembre la Sala Darsena, la Sala
Grande, la minuscola Pasinetti non avranno più file, non avranno
più transenne, allo stesso modo non ci sarà più bisogno di lanciare
bombe a mano per accaparrarsi un panino o una pizzetta rinsecchita,
saremo finalmente rientrati a casa.
Nella valigia e nel cuore, oltre
alla roba sporca e alla ovvia fatica, ci portiamo i ricordi di
un’edizione tranquilla, priva di reali scossoni, calma e piatta
come il mare al mattino. Sia per quanto riguarda le presenze
professionali e di pubblico – ormai rischiano di non entrare in
sala soltanto i poveri accrediti verdi, i culturali – sia dal punto
di vista della qualità dei film selezionati. Non sono mancate
neppure le star internazionali, che soprattutto nella prima metà
del Festival hanno attirato orde di ragazzine urlanti e fatto
scattare i flash dei fotografi. A deludere davvero, come
tradizione, soltanto i premi assegnati dalla giuria internazionale
di Venezia 72 guidata da Alfonso Cuarón e composta
da personalità di peso come il regista turco Nuri Bilge
Ceylan, il regista polacco Pawel
Pawlikowski, il regista italiano Francesco
Munzi, il regista taiwanese Hou
Hsiao-hsien, l’attrice tedesca Diane
Kruger, la regista e sceneggiatrice britannica
Lynne Ramsay, l’attrice e regista statunitense
Elizabeth Banks.
La guerra eterna fra i gusti dei
critici presenti al Lido e i giurati è infatti senza soluzione, dal
destino ogni volta già scritto: si “incazzano” i primi (come i
francesi di Paolo Conte di fronte alla forza di
Bartali), vincono i secondi, senza possibilità di replica. Dei
favoritissimi della vigilia, sempre per gli addetti ai lavori si
intende, come Francofonia del Maestro
Aleksandre Sokourov, Rabin, The Last
Day di Amos Gitai, l’immenso
Beixi Moshuo (Behemoth) del cineasta
cinese Liang Zhao, del nostro Marco
Bellocchio con Sangue del Mio
Sangue è rimasto poco e niente. Appena le recensioni
positive sulle varie riviste accreditate in laguna e una montagna
di stelle di carta incollate alla buona su un cielo altrettanto
finto. A trionfare è il sud America e l’esordiente Lorenzo
Vigas, con un dramma disperato sospeso fra l’impossibilità
di amare e l’omosessualità nel feroce contesto di Caracas.
Desde Allà (Da Lontano) è infatti il vero
outsider dell’edizione, capace di sorprendere tutti e vincere
contro prodotti meglio confezionati, segue a ruota El
Clan di Pablo Trapero insignito del
Leone d’Argento (ovvero la miglior regia). Poco male, dei premi se
ne ricordano i manuali, i database, e alla fin della fiera è anche
bello che i risultati siano di molto differenti rispetto alle
aspettative, così si ha qualcosa di cui discutere. È più bello
vincere una scommessa impossibile, dopo aver puntato sul cavallo
peggiore, che tornare a casa con la quota più scontata su cui tutti
hanno giocato.
Non tutte le scelte però sono state
deludenti, la Coppa Volpi a Valeria Golino infatti
è un grande premio, meritato e quasi simbolico. La sua Anna in
Per Amor Vostro vale un’intera carriera,
il ruolo della vita come spesso si suol dire, in profumo di
riconoscimento sin dai titoli di coda. Inoltre unico premio
italiano, poiché tutto il quartetto
Bellocchio-Messina-Gaudino-Guadagnino ha salutato il lido con
l’amaro in bocca, nonostante la qualità del suo cinema, esattamente
come accaduto all’ultimo Festival di Cannes, durante il quale i
nostri registi hanno mostrato artigli affilati ma senza riuscire a
graffiare abbastanza i giurati. C’è però da esser fieri,
L’Attesa e i già citati
Sangue del Mio Sangue e Per
Amor Vostro sono opere da guardare, da sentire, da
vivere, protagonisti di un anno cinematografico meravigliosamente
più unico che raro.
Fuori dalla lista del ‘da guardare’
solo Luca Guadagnigno, il titolo del suo
A Bigger Splash ricorda solo un clamoroso
buco nell’acqua, un titolo da evitare con tutte le forze, anche
casomai dovesse passare in televisione in un afoso pomeriggio
d’estate. Un’anomalia che neppure Charlie Kaufman
saprebbe rendere gradevole, e che nulla ha a che fare con quel
piccolo gioiellino chiamato Anomalisa,
Gran Premio della Giuria. Un film d’animazione in stop-motion per
persone adulte, che vedono il mondo e la gente in maniera piatta,
noiosa, e sono schiave dell’abitudine, da vedere nel primo giorno
di programmazione. Sarà invece difficile vedere nelle nostre sale
Abluka (Follia), un terremoto visivo che
racconta la Turchia sotterranea delle spie, una guerra tra poveri
che ha solo perdenti, giustamente incoronato con il Premio Speciale
della Giuria. Non tutto è andato perduto, dunque, è il pensiero che
ci torna in mente mentre allontanandoci dal Lido siamo proiettati
già all’edizione numero 73.
Ancora una volta i premi non
metteranno d’accordo nessuno, Johnny Depp apparirà sempre più grasso
(speriamo di no…) e i veneziani ci spenneranno vivi come polli allo
spiedo cotti a puntino, ma in fondo è ciò che ci piace, è il nostro
strambo e insostituibile lavoro. Che qualcuno dovrà pur fare.
Nonostante oggi sia presenta al Lido
il maestro Sokurov, gli occhi, gli obiettivi e i
sorrisi sono tutti per lui, Johnny Depp, il pirata di Hollywood, che
arriva alla 72° Mostra per Black Mass
(leggi la recensione), di Scott
Cooper, in compagnia di Dakota Johnson e
Joel Edgerton.
Ecco le foto della mattina:
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(Foto di Aurora Leone)
La 72ª edizione della Mostra
internazionale d’arte cinematografica avrà luogo a Venezia dal 2 al
12 settembre 2015, anche quest’anno sarà diretta da Alberto Barbera
e organizzata dalla Biennale presieduta da Paolo Baratta.
La madrina della rassegna sarà
l’attrice italiana Elisa Sednaoui. L’elenco dei film in programma
alla 72ª Mostra è stato annunciato nel corso della conferenza
stampa di presentazione che si è tenuta il 29 luglio 2015 a Roma.
Il film di apertura del festival sarà Everest, del regista Baltasar
Kormákur.
La giuria sarà presieduta dal
regista messicano Alfonso Cuarón.