Il regista Yves
Angelo, la protagonista Mathilde Bisson e
il produttore del film Au plus près du
soleil hanno presentato nella sala Petrassi
dell’Auditorium il loro film, suscitando la curiosità della
moderatrice dell’incontro proprio per via della scelta della
storia, un racconto a tinte forti e tragiche. Secondo Angelo, la
domanda posta risultava troppo ampia e generica: sono partiti prima
di tutto dalla storia di due donne, una madre adottiva e una
naturale, che re- incontra dopo anni il figlio biologico
abbandonato anni prima. Solo in un secondo momento la storia si è
strutturata maggiormente includendo un’analisi del rapporto tra
bugia e verità, finzione e realtà e le loro conseguenze.
Per questo motivo si è
scelto di calare entrambi i protagonisti, Sophie e Olivier,
nell’ambito giuridico: lei magistrato e lui avvocato, entrambi
perdono lentamente il confine tra ciò che è giusto e ciò che è
sbagliato, con degli esiti drammatici che avranno delle conseguenze
sulla realtà della loro famiglia. Trovare la verità è un processo
complesso e drammatico smarritosi sul fondo del gioco di specchi
delle loro bugie, riconfermando la tesi- come ha sottolineato la
moderatrice- che in fin dei conti non si finisce mai di conoscere
fino in fondo le persone, perfino quelle che amiamo.
Si crea, sempre secondo Angelo, un
complesso d’estraneità verso l’altro: cosa si sa in effetti di
lui/lei? Della sua vita professionale/sentimentale? Conoscere
meglio l’altro consiste di conoscere meglio prima di tutto sé
stessi.
Un altro dei temi più interessanti
del film è quello legato alla manipolazione, sia nella vita di
tutti i giorni (e legato appunto alle bugie e alle menzogne) che al
concetto stesso di regia, dove l’occhio meccanico della macchina da
presa costringe, in fin dei conti, lo spettatore ad andare in una
certa direzione, a vedere solo ciò che gli mostra.
Manipolare, per Angelo, consiste
nell’allontanarsi progressivamente dalla realtà, sviandola e
rivelandola in senso cinematografico; nello specifico la macchina
da presa non si limita solo a questo processo, piuttosto si propone
come scopo quello di riproporre le emozioni percepite attraverso la
recitazione degli attori stessi.
La prima domanda rivolta
all’interprete di Juliette riguarda la costruzione del suo
personaggio: sia l’attrice che il regista sono d’accordo nel
descriverlo come un’(anti) eroina degna dei romanzi di Simenon; una
donna che porta ad un destino fatale, inafferrabile, difficile da
comprendere, che pone una distanza invalicabile tra lei e gli altri
che si carica di mistero. Una caratteristica ricorrente del suo
personaggio, insieme al vagabondaggio: Olivier non prova nessun
sentimento per lei, ma più la allontana, più una strana forza
magnetica lo riporta da lei. La volontà della Bisson era quella di
trasformare il personaggio di questa donna in una sorta di
proiezione fantasmatica, un’icona di donna pericolosa, bionda,
fatale e animalesca, un carattere con nessuna caratteristica
organica quanto animale, spinta da istinti e stimoli che ci
accomunano alla loro sfera.
Al produttore del film viene
domandato se quello pensato fosse in effetti l’unico finale
possibile: no – replica- non era l’unico valutato, ma era quello
più adatto per sciogliere i nodi narrativi dei personaggi. Secondo
il regista, il film inizia con il pensiero di un suicidio e si
chiude allo stesso modo sottolineando l’idea che sia gli uomini che
le donne di legge possano spingersi fino all’omicidio per
riappropriarsi della propria vita: Nella pellicola non c’è un forte
manicheismo ma i personaggi- allo stesso tempo non creano
empatia.
Per quanto riguarda l’aspetto
tecnico, Angelo ha scelto di privilegiare l’uso del primo e del
primissimo piano proprio perché si tratta di un film lontano dal
canone descrittivo e contemplativo (nel quale si predilige una
certa distanza formale dai personaggi) al contrario invece in
questo caso è impossibile allontanarsi troppo da loro, perché la
macchina da presa spontaneamente decide di avvicinarsi, di annusare
letteralmente gli attori trasformati in veri e propri animali sulla
scena, dominati solo dal loro istinto e dalle emozioni.
Un’ultima domanda- prima di
congedarsi- investe l’aspetto musicale della pellicola, e il motivo
specifico che ha spinto Angelo a non prediligere una colonna sonora
vera e propria: come per la scelta delle inquadrature, anche la
musica non poteva che essere diegetica e scaturire direttamente
dalla pellicola stessa, dalle sue scene più cariche d’intensità, e
non dall’esterno; questo perché una vera e propria musica extra-
diegetica manipola ulteriormente- a livello emotivo- lo spettatore,
pilotandolo verso specifiche emozioni che deve suscitargli.