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A Good Day To Die Hard: negli USA sarà Rated R

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La Twentieth Century Fox ha confermato che il nuovo capitolo della serie di Die Hard avrà il rating ‘R’ (che prevede l’obbligo di accompagnamento da parte di un maggiorenne per i minori di 17 anni).

La restrizione soddisferà sicuramente Bruce Willis, il quale ebbe molto da ridire sul fatto che il precedente film della serie avesse ottenuto solo il rating PG 13, nei fatti venendo giudicato poco più di un film ‘per famiglie’: Live Free or Die Hard è stato in effetti l’unico episodio ad aver ottenuto un rating così basso in una serie in cui la forte dose di violenza ha sempre comportato restrizioni abbastanza rigorose.

A Good Day To Die Hard uscirà il prossimo 14 febbraio, diretto da John Moore su una sceneggiatura di Skip Woods (X-Men Origins: Wolverine). La vicenda vedrà John McClane, in trasferta in Russia, imbattersi nel figlio (Jai Courtney), diventato un agente della CIA, che sta cercando di scongiurare un attacco terroristico contro gli Stati Uniti.

Fonte: CinemaBlend

Arnold Schwarzenegger: aggiornamenti su Legend of Conan

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Arnold Schwarzenegger: aggiornamenti su Legend of Conan

Dopo l’annuncio, arrivato l’autunno scorso, di un nuovo progetto legato a Conan, che avrebbe visto Arnold Schwarzeneggerconan-schwarzenegger

Golden Globe 2013: un commento sui vincitori

Golden Globe 2013: un commento sui vincitori

Dopo qualche ora di sonno eccoci qui a commentare i premi che questa notte sono stati dispensati ai commensali illustri per la 70esima edizione dei Golden Globe 2013.

Un nome risuona con vigore: Ben Affleck. Questo ragazzone di Boston che ha cominciato la sua carriera con un Oscar (condiviso con l’amico e collega Matt Damon) e che poi è stato un po’ dimenticato per una serie di scelte sbagliate come attore; dopo diversi anni, Ben ha rovato il coraggio e la maturità per seguire la sua vera vocazione, la regia. Ed ora sta cominciando a raccogliere i frutti del suo lavoro, in mezzo a candidati concorrenti di tuto rispetto, tra cui (mio Dio!) Steven Spielberg, vrso il quale Affleck non dimentica di guardare mentre accetta il suo premio. Da parte sua orgoglio e grande rispetto che i grandi registi candidati con lui. Ma il trionfo di Ben è perfetto solo quando al suo Argo viene assegnato anche il premio per il miglior film drammatico. Con lui ad accettare il premio un gongolante George Clooney che dimostra di avere talento anche come produttore, oltre che come regista e attore.

E proprio di attori andiamo a parlare adesso, con le sei categorie che li vedono coinvolti. Cominciamo subito dalle signore, e che signore! Tre donne splendide e magnifiche attrici si sono divise i premi: Anne Hathaway ha vinto per la migliore non protagonista ed è probabile che farà doppiettà con l’Oscar; le altre due premiate, Jennifer Lawrence per la migliore performance comica e Jessica Chastain per la migliore performance drammatica, sono invece le principali contendenti per l’Academy Award, e sarà decisamente una bella lotta! Pronostici un po’ sballati invece per gli attori che hanno visto trionfare come miglior non protagonista Christoph Waltz, al posto di quel Tommy Lee Jones tanto osannato (a ragione!) dalla critica. Anche per quanto rigurada il migliore attore, i vicnitori nelle due categorie principali Daniel Day Lewis e Hugh Jackman, rispettivamente miglior attore drammatico e miglior attore in musical o commedia, sono i due maggiori contendenti all’Oscar per il miglior protagonista. Un po’ d’amaro in bocca resta a Bradley Cooper, che vedendo la partner trionfare per Il Lato Positivo, pensava forse di bissare il successo dei Critics Choice Awards. Non preoccuparti Bradley, stai crescendo come attore, arriverà anche il tuo momento!

Come tutti si aspettavano, Les Misérables ha vinto il premio per il migliro musical o commedia, e come contestare un tale trionfo? Escluso che il successo del film si ripeta agli Oscar, se non per il premio alla Hathaway, ma è bello pensare che in questo caso ha vinto tutto ciò che poteva e doveva.

Grande sorpresa invece la vittoria per Quentin Tarantino alla migliore sceneggiatura, una sorpresa che ha colto per primo il diretto interessato: “E’ una grande sorpresa e io amo essere sorpreso!”. Che anche gli Academy Awards riservino finalmente un premio per quello che è considerato all’unanimità un genio pop?

Desta invece non poco disapputo la vittoria di Ribelle – The Brave per il miglior film d’animazione, dal momento che pur senza negarne il valore, c’erano diversi film che potevano fare la differenza, come il delizioso Frankenweenie di Tim Burton, o il colorato Ralph Spaccatutto. Infondo siamo tutti contenti per Merida &Co, ma cosa accadrà agli Oscar quando contro di lei ci sarà anche il geniale esercito di zombie di Paranorman?

Adele ha portato a casa il premio per la migliore canzone Skyfall, e qui niente da dire, mentre Vita di Pi di Ang Lee ha vinto un contentino con il premio alla miglior colonna sonora, dopotutto un film così amato doveva pur portare a casa qualcosa!

Michael Haneke ha vinto per il miglior film straniero, Amour, e siamo quasi sicuri che porterà a casa anche l’Oscar, dal momento che la sua nomination anche alla migliore regia è il chiaro segno di quanto il film sia stato amato negli USA.

Per quanto riguarga la tv Girls e Homeland hanno trionfato per le categorie comedy e drama, mentre Game Change ha portato a casa i premi legati al miglior film tv o mini serie. Menzione d’onore alla grande Maggie Smith che per Downton Abbey vince il premio per la miglior attrice non protagonista in una serie, mini serie o film tv.

Un ultimo commento è da dedicare alle presentatrici della serata Tina Fey e Amy Poehler, caustiche e divertenti hanno “sparato a zero” sulla folla di star, raccogliendo tanti applausi.

Dei premi quest che tutto sommato mettono d’accordo tutti, anche se ci si aspettava qualcosa di più per Steven Spielberg che con Lincoln ha fatto davvero un lavoro straordinario. Ad ogni modo la stampa estera ha detto la sua, per cui ora non ci resta che aspettare e vedere come proseguirà questa season awards appena entrata nel vivo.

Un nuovo Batman in vista?

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Al momento si tratta di una semplice congettura, tuttavia sembrerebbe che qualcosa di nuovo stia cominciando a bollire in pentola riguardo il Cavaliere Oscuro: a quanto pare infatti, negli ultimi giorni vi è stata una valanga di registrazioni di nuovi domini che includono sia l’utilizzo delle parole Batman e, soprattutto Arkham Asylum (la clinica psichiatrica nella quale vengono rinchiusi tanti dei nemici del giustiziere).

La notizia di queste registrazioni ‘anomale’ ha dato il via alla classica ridda di voci, tra le quali ovviamente quella che ipotizza un rilancio di Batman sul grande schermo; ipotesi suffragata dal fatto i nuovi domini sono stati registrati attraverso MarkMonitor, società che in passato è  stata spesso usata dalla Warner Bros per registrare i siti ufficiali dei propri film, anche se la stessa compagnia ha lavorato anche per altri studios, come recentemente avvenuto per la Paramount in occasione di Star Trek Into Darkness.

Altre voci avevano suggerito che il prossimo film di Batman avrebbe potuto prendere le mosse proprio dalla serie di videogiochi battezzata Arkham Ayslum, ma a questo punto vi è anche la possibilità che i siti in questione siano correlati proprio a un nuovo capitolo della serie di videogame.

Fonte: ComingSoon.net

Step Up 5: riuniti gli attori dell’intera serie?

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Via libera al quinto episodio della ‘saga’ di Step Up: la  Summit Entertainment è già in corso di negoziati con John Swetnam per stendere la sceneggiatura: l’idea sarebbe di riunire personaggi e attori provenienti dai film precedenti.

La serie è nata nel 2006: il primo film aveva come protagonisti Channing Tatum e Jenna Dewan; nel 2008 il primo sequel, Step Up 2: The Streets, in cui lo stesso Tatum appariva in un breve cameo; del 2010 è  Step Up 3D, seguito l’estate scorsa da Step Up Revolution. Se il progetto del quinto film decollerà definitivamente, l’uscita potrebbe essere programmata per il 2014.

Trai prossimi progetti di Swetnam, ci sono Evidence e Black Sky.

Fonte: ComingSoon.Net

Golden Globe 2013: i vincitori!

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Golden Globe 2013: i vincitori!

golden globe 2013

Si è conclusa da poco la cerimonia di premiazione dei Golden Globe, i premi assegnati a cinema e tv dalla stampa estera. Ecco a seguire l’elenco completo dei vincitori

Golden Globe 2013: la diretta streaming

Golden Globe 2013: la diretta streaming

Ecco qui a seguire la diretta streaming della cerimonia di premiazione dei Golden Globe, edizione 2013. Quest’anno il premio della critica straniera è arrivato alla sua 70esima

Lincoln: recensione del film di Steven Spielberg

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Lincoln: recensione del film di Steven Spielberg

Arriverà con alle spalle un grande trionfo in terra natia, e tutti gli amanti del grande cinema qui in Italia lo aspettano trepidanti. È Lincoln, di Steven Spielberg, che dopo essere stato applaudito a scena aperta negli USA nei mesi passati, arriva da noi il prossimo 24 gennaio. L’amatissimo regista americano ritorna a splendere in tutto il suo talento registico dimostrando che il grande autore riesce a mettersi al servizio della storia senza per forza insistere per farne parte.

Lincoln racconta dei quattro mesi che hanno portato il Congresso degli Stati Uniti a votare in maniera favorevole il XIII Emendamento, quello che aboliva per sempre la schiavitù in territorio americano, e si conclude con la tragica morte dell’amatissimo Presidente. Steven Spielberg ci racconta “l’altro” Lincoln, quello che è disposto anche a giocare sporco per raggiungere il suo proposito, nel momento in cui ha il potere per cambiare in nome del bene il corso della Storia. Un taglio coraggioso che si sposa bene con il punto di vista adottato dal regista, ovvero quello dei salotti, degli interni e delle aule, dove i rapporti politici e umani si intrecciano e “fanno” la Storia della modernità, così come la conosciamo.

Spielberg realizza un vero e proprio trattato sulla politica, senza anteporre schieramenti ma sostenendo la validità della stessa come attività sociale alla base di uno Stato libero. La regia di conseguenza quasi sparisce, lascia andare le infinite possibilità spettacolari che il periodo storico raccontato (la Guerra di Secessione Americana) lasciava aperte, e preferisce spostarsi negli interni in cui la luce naturale che entra quasi con violenza dalle finestre, lotta contro l’ombra che si annida negli angoli delle camere. In Lincoln è la luce stessa a raccontare e commentare, come mirabilmente riesce a fare grazie al supporto di uno Janusz Kaminski in stato di grazia.

Lincoln

Ad una regia misurata e impeccabile si accompagna una prova collettiva del cast di straordinaria potenza comunicativa, a partire dal protagonista nei panni dell’altissimo e un po’ curvo Presidente Lincoln, Daniel Day-Lewis, passando per una Sally Field (Signora Lincoln) appassionata eppure sferzante, fino ad un incredibile Tommy Lee Jones, solido, granitico eppure incommensurabilmente dolce nel momento in cui con grande candore mostra le sue ragioni più personali e profonde. Pur presentandosi in maniera così intimamente sontuosa, Lincoln è un film di lenta carburazione, cominciando un po’ a fatica e proiettando solo in un secondo momento lo spettatore in una corsa contro il tempo, in una caccia all’ultimo voto, all’ultimo SI.

Ad accompagnare le immagini con la musica, ancora una volta, Spielberg ha chiamato il Maestro John Williams, che per una volta mette da parte i suoi potenti ottoni e le sue note concitate per dare voce a tonalità delicate e spesso addirittura malinconiche, discrete, che riescono a raccontare più di tante parole, insieme ai volti, alle rughe dei protagonisti. Lincoln è un film di una grande potenza emotiva, che in pochi momenti indulge nell’enfasi tanto cara al regista americano, ma che si colloca tra le migliori prove registiche di Spielberg. Daniel Day-Lewis è senza dubbio il miglior Lincoln cinematografico mai visto fino ad ora, e Lincoln è il miglior film mai realizzato sul 16° Presidente degli Stati Uniti d’America.

Lincoln

Pulp Fiction e la sceneggiatura come polvere da sparo

Pulp Fiction e la sceneggiatura come polvere da sparo

Il film Pulp fiction fu girato nel 1994 dal regista americano Quentin Tarantino, utilizzando l’espediente delle storie intrecciate. Nel prologo, i due giovani Zucchino e Coniglietta stanno seduti presso un coffee-bar di Los Angeles, tranquillamente, finché decidono d’alzarsi in piedi per rapinarlo, con le loro pistole. Ma Tarantino interrompe la scena. Vedremo i due gangsters Jules e Vincent, che uccideranno tre giovanotti, colpevoli d’aver rubato una valigetta al loro capo, Marcellus Wallace.

In seguito, parte il primo episodio del film. Il gangster Marcellus Wallace corrompe un suo pugile, Butch, perché lui perda volontariamente un importante incontro. Questi combatte ormai a fine carriera. Vincent è nei paraggi, e scambia perfino qualche battuta col pugile Butch. Il gangster però esce, andando a comprare un po’ di eroina, dal suo amico Lance, perché ne ha bisogno per “far divertire” Mia Wallace, l’avvenente moglie del capo. Vincent deve accompagnarla ad una gara di ballo. Mia Wallace assumerà l’eroina, ma disgraziatamente andrà in overdose. Vincent porta la donna da Lance, facendole un’iniezione d’adrenalina, che le salverà la vita. Nel secondo episodio, il pugile Butch contravviene all’ordine di Marcellus Wallace, vincendo il suo ultimo incontro. Raggiunta la fidanzata Fabienne, per scappare dai gangsters, apprende che lei frettolosamente non s’è ricordata di mettere in valigia un orologio d’oro, un ricordo familiare, passato dal bisnonno al padre di Butch, vero portafortuna contro le guerre. Pericolosamente, il pugile decide di tornare a casa, per recuperarlo. Là Butch ucciderà Vincent, venuto a cercarlo. In seguito, il pugile incontra casualmente Marcellus Wallace.

pulp fiction roth plummer

I due lottano a pugni, finendo però imprigionati dai sadici stupratori Maynard e Zed. Liberatosi, Butch ucciderà i carcerieri, salvando così Wallace, il quale in segno di riconoscenza lo lascerà scappare. Nel terzo episodio, si torna alla scena in cui Jules e Vincent devono uccidere i giovanotti (che hanno rubato una valigetta del loro capo). In realtà, uno di questi è risparmiato, ma caricatolo in macchina, Vincent accidentalmente gli spara, uccidendolo. Temendo che la polizia possa fermarli, per il sangue sui finestrini, i due gangsters raggiungono la casa di Jimmie, un amico di Jules. Là compare il cinico Mr. Wolf, spedito da Marcellus Wallace come risolutore di problemi. L’autovettura viene accuratamente pulita. Jules e Vincent cambiano i loro abiti, intrisi di sangue. I due gangsters raggiungeranno un coffee-bar. E’ lo stesso in cui Zucchino e Coniglietta tenteranno una rapina improvvisata. Mentre i clienti devono consegnare i loro portafogli, Jules riesce a trattenere la preziosa valigetta di Marcellus Wallace. Egli disarma Zucchino, e lo invita ad abbandonare la vita criminale. I due rapinatori usciranno mestamente dal coffee-bar, coi soldi nei portafogli (ivi compresi quelli di Jules).

Possiamo citare la filosofia estetica di Roland Barthes. Per lui, il mondo del gangster si manifesta tramite il caratteristico sangue freddodello sparo. Solitamente un incensurato riflette intorno al problema della morte, laddove questa ad esempio riguardi i suoi familiari, o (più astrattamente) se lui professa una fede religiosa. Ma il gangsterno. Egli ritiene che la morte sia unicamente lo schiocco del suo proiettile. Ove debba uccidere, il criminale moderno si limita a compiere un servizio professionale, senza gli idealismi. Egli non cerca neppure l’enfasi del duello personale, ancora presente nell’epopea del western (spesso in via idealistica). Il killer contemporaneo vuole soltanto sparare, nel modo più efficace e rapido. Nei film western, ad esempio, accade che la ripresa del duello finale s’allunghi nel tempo, acquisendo una valenza narrativa. Così, il regista indugia ad inquadrare l’espressione dei contendenti. Nel gangster-movie, invece, di frequente avviene che la vittima cada a terra proprio nel momento in cui il killer gli ha pronunciato la sua condanna del “Muori!”. L’uccisione letteralmente è il colpo da fuoco.

pulp fiction mr wolf

Nel film di Tarantino, il termine pulp (dal titolo) significa lurido. Il proiettile del gangster serve a risolvere un problema il più rapidamente possibile. Esteticamente, è qualcosa da percepire con grande cinismo. Sempre lo sporco (il lurido) s’accompagna alla trascuratezza. Lo lasciamo con troppa rapidità. Nel film di Tarantino, i criminali maneggiano le armi come se esse servissero a sporcare le loro vittime. La risoluzione del problema (ad esempio: il furto della valigetta, il tradimento del pugile, la rapina al coffee-bar, l’overdose di Mia, l’occultamento del cadavere in macchina ecc…) alla fine non lo ripulisce mai. Tutto il cinismo iniziale del killer sarà contraddetto. Sparare pare fin troppo facile, e l’uccisione avviene immediatamente. Invero, si percepirà che il “problema” non sia stato interamente risolto. Il cinismo del killer solo si sporcherebbe.

Il film Pulp Fiction conosce il sadismo, ad esempio nella cantina del cattivo poliziotto Zed. Visivamente, lo splatter ci pare più trattenuto. Massimamente, esso appartiene alla scena in cui Vincent deve salvare Mia, facendole un’iniezione d’adrenalina. Per il resto, solo dalle parole di Mr. Wolfs’apprenderà che la macchina dei criminali va ripulita (coi sedili sporchi di tessuto cerebrale). Può sembrare che la conclusione sporcata del mero proiettile si percepisca più astrattamente. Nella casa dei giovanotti traditori, uno di loro rischia d’ammazzare Jules e Vincent, sorprendendoli dal bagno. Ma i due si salvano, miracolosamente. Il giovanotto del bagno dunque ha sporcato il suo caricatore, senza prendere la giusta mira. L’episodio cambia profondamente Jules, che annuncia di voler abbandonare la vita criminale. Un risveglio personale che nasce dall’astrazione d’uno splatter (quando la scarica dei molti proiettili incredibilmente manco scalfisce il corpo). Jules è solito recitare un verso falsamente biblico, prima d’uccidere qualcuno. Là, si racconta a grandi linee che gli uomini malvagi minacciano di continuo quelli buoni (o timorati). La vendetta dei secondi sui primi sarebbe giusta. Se gli uomini conoscono pur sempre la malvagità, allora bisognerebbe adoperarla a vantaggio dei buoni. E’ così che Jules interpreta la sua criminale. Egli vuole redimere le vittime, uccidendole, convinto che loro prima abbiano peccato. E’ una visione chiaramente sporcata della misericordiae della provvidenzareligiosa. In fondo ogni criminale ripulisce qualcosa (lo sportello d’una banca, la cassaforte in casa, la valigetta coi diamanti ecc…) solo contro il suo legittimo proprietario.

Pulp Fiction

Alla fine del film, Jules sceglie d’abbandonare la vita criminale, convertito dal miracolo del caricatore inesploso su di lui. E’ significativo che lui reciti a Zucchino il verso “falsamente” biblico mentre lo tiene idealmente per mano. Pure il giovane rapinatore dovrà seguire il suggerimento di lasciare il crimine. E’ il momento in cui Jules tradisce l’autentico risveglio spirituale (attraverso il miracolo della sopravvivenza), razionalizzato dal cinismo sporcante per cui lui altro non faceva che la parte del malvagio. Dunque, nel film Pulp Fiction pare che il momento topico della sparatoria solo a prima vista si risolva freddamente. Forse, Mr. Wolf è davvero un risolutore di problemi (come recita la sua autopresentazione). Però, ricordiamoci che lui non ha bisogno di girare con la pistola. Consideriamo esteticamente lo pseudo-triello messicano al coffee-bar. Là, Coniglietta punta la pistola contro Jules, Jules punta la pistola contro Zucchino, Vincent punta la pistola contro Coniglietta. E’ così che la tensione della sparatoria rischia più apertamente di degenerare, allo sporco di se stessa. Conosciamo bene il triello messicano nel film di Leone Il buono, il brutto, il cattivo. Là, il regista scelse di aumentare la suspense, rallentando l’avvio degli spari, con le lunghe inquadrature sui volti.

Nel suo film Le iene, Tarantino usa il triello messicanoal massimo grado della pericolosità. Là, da un primo sparo subito seguono gli altri due, e così moriranno tutti. Nel film Pulp Fiction, lo pseudo-triellosi risolve apparentemente in modo positivo. Nessuno si fa ammazzare. Resta però il cinismo sporcante della redenzione in Jules, che contagerà anche Zucchino. La suspense(già cara agli spaghetti-western del film Il buono, il brutto, il cattivo) un po’ alla volta si fa annullare. Non la percepiamo tanto fra le pistole, bensì nel contenuto misterioso della valigetta (che Tarantino eviterà di svelarci). Jules, capendo che Zucchino e la fidanzata sono quasi dei dilettanti, in quanto a rapinare, ironizza apertamente contro di loro. Alla fine, la suspense della sparatoria si fa annullare. Simbolicamente, ciò accade tramite lo sporco nel portafoglio di Jules, riconoscibile dalla scritta “Brutto figlio di…”. Il gangster baratterà i suoi soldi col piccolo ladro, in cambio della valigetta (assolutamente da consegnare a Marcellus Wallace). Il portafoglio contribuisce a sporcare la suspense per il triello messicano.

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La regia di Tarantino si diverte a giocare contro la possibilità che noi vediamo qualcuno o qualcosa. Lo sparo di Vincent contro il giovanotto superstite sporcherà di sangue tutta l’automobile. Non vediamo la testa spappolata della vittima, ma essa determina l’obnubilamento dei due criminali, i quali dovranno cambiare il loro percorso, temendo d’incontrare la polizia. Spesso, Tarantino ci mostra il volto soltanto dalla nuca. Egli ama nascondere completamente il contenuto di qualcosa (dal bagagliaio, dalla valigetta, dalla porta chiusa ecc). La regia si diverte a sporcare la nostra visione. All’inizio del film, succede che Jules e Vincent abbiano un faccia a faccia su argomenti quasi filosofici. Tarantino li inquadra dentro un corridoio, sia in primo piano sia verso il punto di fuga. Il secondo caso serve esteticamente a mettere una patina percettiva sul primo, per così dire. Il gangster Jules, prima d’uccidere uno dei giovanotti, viene inquadrato distendendo il braccio minaccioso (con la pistola) verso di noi. E’ un modo per sporcare virtualmente lo schermo cinematografico, come passandoci sopra con la bomboletta spray. Quando Mia va drammaticamente in overdose, la sua testa dapprima barcolla e poi cade a terra, di profilo, occupando l’intera inquadratura. Pare che il busto della donna sia stato spazzolato. La testa a terra di Mia diventerà un grosso grumo di polvere (materialmente: di droga), ostruendo lo scorrimento normale dell’immagine filmica.

Golden Globe 2013: live blogging con Cinefilos.it

Golden Globe 2013: live blogging con Cinefilos.it

golden_globe_2011Questa notte, tra circa 7 ore, comincerà la 70esima edizione della cerimonia di premiazione dei Golden Globe 2013. I premi sono assegnati da una giuria di circa novanta

Jimmy Neutron ragazzo prodigio: recensione del film film di John A. Davis e Steve Oedekerk

Jimmy_Neutron_Boy_Genius_poster Anno: 2001

Regia: John A. Davis, Steve Oedekerk

Voci: Debi Derryberry (Jimmy Neutron), Rob Paulsen (Carl Wheezer), Patrick Stewart (Re Goobot), Martin Short (Ooblar)

Trama: Ambientato nell’immaginaria Retroville, cittadina del futuro ma dal sapore anni sessanta, Jimmy Neutron racconta la storia di un bambino geniale ma come spesso accade incompreso dai suoi coetanei e dalla stessa famiglia, che pur volendogli bene e incoraggiando il suo genio vorrebbe che vivesse la vita di un bambino normale e che non fosse preso in giro ed emarginato dai compagni: gli unici amici di Jimmy all’inizio della storia sono Carl, ragazzino ipocondriaco goffo e grassottello e un uno cagnolino robot costruito dallo stesso Jimmy di nome Goddard.

Koda, fratello orso: recensione del film di Aaron Blaise e Robert Walker

  koda fratello orso posterAnno: 2003

Regia: Aaron Blaise, Robert Walker

Voci: Joaquin Phoenix (Kenai), Jeremy Suarez (Koda), Jason Raize (Denahi), Dave Thomas (Rocco), Rick Moranis (Fiocco), Joan Copeland (Tanana), Michael Clarke Duncan (Tug).

Trama: Immerso negli splendidi paesaggi del Nord America, il film racconta la storia di Kenai, giovane impaziente di diventare adulto e di prendere il posto che gli spetta nella tribù a cui appartiene proprio come i due fratelli: deluso dal fatto di aver ricevuto come totem guida dalla saggia del villaggio il poco interessante “orso dell’amore”, Kenai si lascia prendere dalla rabbia e dall’incoscienza finendo per perdere il fratello maggiore Sitka e per uccidere il suo stesso animale guida, suscitando il disappunto degli spiriti.

La Casa Bianca risponde alla petizione per la costruzione della Morte Nera

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morte-neraIn America, se abbastanza persone firmano una petizione, questa, di qualunque cosa si tratti, può essere mandata alla Casa Bianca e il governo degli US ha il dovere

JJ Abrams accenna ad un possibile Star Trek 3

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JJ Abrams accenna ad un possibile Star Trek 3

Come ci ha ben insegnato fino ad ora, JJ Abrams è un regista e produttore molto riservato quando si tratta del proprio lavoro, dal momento che pare ritenga che anche il più piccolo dettaglio sul film possa rovinarne la visione da parte dei fan. Il regista infatti non ha ancora confermato la natura del personaggio interpretato da Benedict Cumberbatch in Star Trek Into Darkness, ma ha però rivelato che la Paramount Pictures sta mettendo in programma un terzo capitolo di Star Trek.

“Sono certo che lo Studio amerebbe un terzo episodio, ma spetta al pubblico decidere se ne ha bisogno o meno – ha detto Abrams – Ci sono cose di cui abbiamo parlato, ma non c’è nessuna storia o sceneggiatura. Solo un’idea”. Il primo Star Trek diretto da Abrams, uscito nel 2009, costò 250 milioni e ne incassò 385. Questo secondo sarà un film molto più grande e così sarà più difficile per Abrams raggiungere quelle vette di incassi. Siamo però sicuri che il regista di Mission Impossible III farà un grande lavoro.

Fonte: WP

I viaggi di Indiana Jones disegnati su mappa!

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I viaggi di Indiana Jones disegnati su mappa!

indiana-jonesEcco una bella curiosità che viene direttamente dal blog Super Punch (via Badtaste). Si tratta di tre mappe, disegnate dal grafico Andrew DeGraff, che riassumono

Die Hard – Un buongiorno per morire, ecco il terzo spot tv

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Die Hard – Un buongiorno per morire, ecco il terzo spot tv

Ecco il terzo spot tv per Die Hard – Un buongiorno per morire, che vede ancora una votla John McClane sfidare la morte a furia di corse a perdifiato, salti acrobatici, invulnerabilità alle pallottole e tanto altro ancora.

Questa volta al suo fianco suo figlio, anche lui arruolato tra le file della CIA. Bruce Willis torna più in forma che mai! Ecco il terzo spot del film, che avrà un rating R, ovvero vietato ai minori non accompagnati.

Ecco il video:

 

Ninja Turtles: ad aprile inizieranno le riprese!

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Ninja Turtles: ad aprile inizieranno le riprese!

A tutti i fan delle quattro tartarughe versate nelle arti marziali questa notizia interesserà parecchio. Partiranno infatti ad aprile le riprese di Ninja Turtles, il prossimo film dedicato alle Tartarughe Ninja prodotto da Michael Bay e annunciato da diverso tempo.

Le riprese si svolgeranno a New York City e il film dovrà essere pronto per l’uscita il 16 maggio 2014. A dirigere è stato chiamato Jonathan Lieberman su una sceneggiatura di Josh Appelbaum e Andre Nemec.

Evoi, quanto aspettate le Tartarughe Ninja sul grande schermo?

ninja turtles

Fonte: Twitter

Joaquin Phoenix: i film dell’outsider di Hollywood

Joaquin Phoenix: i film dell’outsider di Hollywood

Joaquin Phoenix – Chissà quante signore e signorine nel 2000 andarono a vedere Il Gladiatore per dedicare le loro personali 50 sfumature a Russell Crowe e si ritrovarono invece a chiedersi chi mai fosse quell’imperatore crudele, insopportabile, incestuoso ma terribilmente affascinante.

Joaquin Phoenix, biografia

Fino all’incontro con Ridley Scott, Joaquin Phoenix, nato a San Juan con il nome di Joaquin Rafael Bottom, aveva avuto una sola significativa esperienza nel mondo del cinema, nel 1995, con Da Morire, una delle prime riuscitissime prove di Gus Van Sant. Un ruolo difficile per un ragazzo di appena 21 anni che riuscì a calarsi perfettamente nella parte dell’adolescente idiota e plagiato da una splendida quanto ambiziosa e terrificante oca giuliva interpretata da Nicole Kidman. Ma nelle parti del ragazzo cattivo, dell’introverso, del tormentato, Phoenix sa dare il massimo. L’universo del carismatico, al tempo stesso folle e imprevedibile, gli appartiene forse perché lì, in quel mondo, non ha bisogno di recitare. Certo, molto lo aiutano lo sguardo impenetrabile, le cicatrici, il labbro leporino che solo su di lui riesce ad essere sexy, e il volto spigoloso, irregolare e al tempo stesso ipnotico. Ma soprattutto Phoenix è davvero un bad boy, una mina vagante nell’universo hollywoodiano. Un outsider con un indiscusso talento che gli ha permesso spesse volte di vomitare tutto il suo disprezzo per l’universo in cui vive e di conquistare al tempo stesso una versatilità nella scelta dei ruoli che pochi colleghi possono vantare.

Joaquin Phoenix: film e filmografia

La sua abilità non si circoscrive alla recitazione ma lo ha anche portato, nel 2005, a calcare il set nelle vesti di Johnny Cash, in Walk the line (Quando l’amore brucia l’anima), in cui, insieme ad altri interpreti, prima fra tutti la vincitrice dell’Oscar Reese Witherspoon, ha eseguito personalmente molti successi del mito del cantautorato a stelle e strisce, rivelando grandi doti musicali.

Ha quindi deciso di andare oltre, realizzando un documentario rap-hip hop, diretto da Casey Affleck – suo partner professionale degli esordi – e  chiamato I’m still here. The lost year of Joaquin Phoenix, dove il suo spirito provocatorio ha raggiunto il massimo con sequenze al limite della censura.

Il documentario, che secondo buona parte della critica fu niente più che “una porcata” e un “esperimento di cattivo gusto”, è comunque una delle tante testimonianze della personalità sui generis dell’attore che, ai tempi, si fece notare anche per una bizzarra apparizione al David Letterman Show. Con il volto coperto da una folta barba e occhiali da sole, alle domande del conduttore, Phoenix rispondeva con borbottii incomprensibili, prendendosela perfino con il pubblico, comprensibilmente divertito. Solo in seguito e dopo che Letterman lo ebbe congedato con un “Grazie per non essere stato qui stasera”, si scoprì che quella grottesca apparizione altro non fu che una performance da montare in un secondo momento nel documentario di Affleck.

Testimone della morte del giovane fratello, la promessa del cinema River, Phoenix è frutto della relazione di due hippie ex membri della setta dei Bambini di Dio. È proprio quello dell’appartenenza a una setta il tema centrale del film The Master, presentato nel corso dell’ultima mostra del cinema di Venezia e per cui ha ricevuto la Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile, insieme a Philip Seymour Hoffman, quello stesso gigante biondo che con il suo Capote gli aveva scippato l’Oscar per il miglior attore protagonista nel 2005.

joaquin-phoenix-13The Master diretto da Paul Thomas Anderson, è uscito il 3 gennaio in Italia e se da un lato sta spaccando a metà la critica nel nostro paese, ha invece meritato il primo posto tra i 10 migliori film del 2012 nella classifica stilata dal Guardian. L’elemento che riesce a mettere d’accordo tutti è proprio l’interpretazione dei due protagonisti. Phoenix, alla sua prima collaborazione con il regista di Magnolia, veste i panni di Freddie Quell, un reduce di guerra alcolista, rissoso ed ex adolescente problematico. Diventerà uno dei membri più attivi di un gruppo – che somiglia molto a quello di Scientology – guidato dal carismatico Lancaster Dodd.

Chissà se il grande successo che sta riscuotendo proprio grazie a Paul Thomas Anderson non possa aprire ad una collaborazione proficua che ci piacerebbe molto osservare. Anche perché finora Phoenix si è concesso due volte solo a M.Night Shyamalan, per The Village e Signs, e a James Gray, che lo ha diretto in Two Lovers e The Yards, confermando la sua reputazione da cattivo che non si fa “mettere in gabbia”.

The Cell – la cellula: recensione del film di Tarsem Singh

The Cell – la cellula: recensione del film di Tarsem Singh

The Cell – la cellula è il film del 2000 di Tarsem Singh e con protagonisti Jennifer Lopez, Vince Vaughn, Vincent D’Onofrio, Jake Weber, e Dylan Baker.

Anno: 2000

Regia: Tarsem Singh

Cast: Jennifer Lopez, Vince Vaughn, Vincent D’Onofrio, Jake Weber, Dylan Baker

The Cell - la cellulaTrama: In un futuro non troppo lontano, una tecnologia sperimentale permette agli psicanalisti di entrare letteralmente all’interno dell’inconscio dei loro pazienti, per meglio indagare sulla loro mente e ricorrere a dalle terapie più efficaci. Catherine Deane (Jennifer Lopez) specializzata in questo tipo di tecnologia, viene incaricata dall’ ispettore di polizia Peter Novak (Vince Vaughn) di entrare all’interno della mente di Carl Stargher (Vincent D’Onofrio), un serial killer finito in coma,  per scoprire il luogo di prigionia della sua ultima vittima: dopo aver catturato le sue prede, le intrappola  in una sorta di ‘gabbia’ destinata a riempirsi d’acqua,  facendole così morire di annegamento,  non prima di averne abusato sessualmente.

La protagonista comincia così le sue indagini all’interno della mente del serial killer, scoprendo che le violenze subite nell’infanzia ne hanno scisso la psiche: da una parte un bambino, a riassumerne la parte buona, dall’altra un mostro dispotico a dare forma ai suoi peggiori istinti. Catherine conquista così la fiducia del bambino, finendo tuttavia per diventare prigioniera della sua metà criminale.

The Cell, l’analisi 

Dopo una discreta carriera nel settore dei videoclip musicali, Tarsem Singh decide di compiere il ‘grande salto’ sul grande schermo, con un thriller psicologico dai contorni futuristi che in fondo appare più che altro un pretesto per costruire scenografie ‘oniriche’, con ampi omaggi ad vari artisti contemporanei, da H.R. Giger a Damien Hirst.

Protagonista è una Jennifer Lopez tutto sommato a suo agio in scenari spesso simili a quelli dei videoclip musicali, affiancata da Vincent D’Onofrio nel ruolo del serial killer e Vince Vaughn in quello del poliziotto, tutti in interpretazioni non memorabili.

L’esito appare a dire il vero abbastanza contrastato: alla lunga si avverte un certo autocompiacimento (impressione rafforzata dall’esplicita autocitazione che il regista esibisce riproponendo in una sequenza l’ambientazione usata in precedenza per il video di Losing my religion dei REM), quasi che il film cerchi in tutti modi di voler essere collocato nella categoria del ‘cinema visionario’.

The CellIl risultato è un’opera  con pretese forse eccessive,  che finisce per risentire forse troppo dei trascorsi del regista nel settore dei videoclip, risultando a tratti un pò manieristica, caratterizzata da un elemento ‘visionario’ troppo smaccatamente cercato. Tutto questo  finisce fatalmente per incidere sulla componente più squisitamente ‘thriller’, all’insegna di un finale prevedibile raggiunto con uno svolgimento macchinoso, proponendo personaggi alquanto stereotipati, dalla protagonista ‘sobria’ che le fantasie del serial killer  trasformano in una ‘dominatrix’, fino alla dicotomia bene – male, in cui tutto il positivo viene abbastanza banalmente identificato con l’infanzia.

Stroncato in larga parte  dalla critica e dagli appassionati, il film ha comunque ottenuto un risultato più che lusinghiero al botteghino, con ricavi pari a oltre il triplo dei trentatrè milioni di dollari di costo.

Nel 2009 ne è stato prodotto un sequel, per nulla memorabile, direttamente indirizzato al mercato dell’home video.

I Figli degli Uomini: recensione del film di Alfonso Cuaròn

I Figli degli Uomini: recensione del film di Alfonso Cuaròn

I Figli degli Uomini è il film cult del 2006 diretto da Alfonso Cuaròn e con protagonisti Clive Owen, Julianne Moore, Michael Caine, Clare-Hope Ashitey, Chiwetel Eljiofor e Danny Huston.

I Figli degli Uomini, la trama

Nel 2027 il mondo assiste impotente all’assassinio del  diciottenne Baby Diego. Il motivo è molto semplice: il ragazzo è infatti l’ultimo nato della specie umana, colpita dall’infertilità che sembra averla condannata rapidamente all’estinzione.  In un mondo caotico, nel quale i flussi migratori son fuori controllo (portando alla creazione di enormi campi profughi) e in cui bande di ribelli spadroneggiano in lungo e in largo, sullo sfondo di una società dominata da un potere che ha assunto connotati dittatoriali, Theo (Clive Owen) è un ex attivista disilluso che viene contattato da un gruppo terroristico, i Pesci: leader di questi è l’ex moglie di Theo, Julian (Julianne Moore), il quale gli chiede di aiutarla a imbarcare una giovane ragazza (Clare Hope Ashitey) immigrata sulla nave Domani, diretta alle Azzorre, dove un gruppo di scienziati, riunitisi nel ‘Progetto Umano’ sta cercando di trovare una cura all’infertilità di massa che ha colpito il genere umano. La ragazza potrebbe infatti rappresentare una nuova speranza per l’umanità, dato che è incinta; da qui, comincerà il classico viaggio pieno di rischi e insidie, verso un finale agrodolce…

I Figli degli Uomini, l’analisi

Fattosi conoscere con Y tu mama tambien, giunto alla notorietà internazionale con Harry Potter e il prigioniero di Azkaban, Alfonso Cuaròn sceglie l’adattamento dell’omonimo romanzo firmato P.D. James per scrollarsi di dosso la pesante eredità di Harry & Co. I Figli degli Uomini segue abbastanza fedelmente la traccia del libro, per quanto con alcune importanti variazioni (l’infertilità, originariamente maschile, nel film colpisce invece le donne).

Clive Owen,  al tempo in piena fase di lancio dopo la partecipazione a Sin City e prima di Inside Man, è il protagonista, nel classico ruolo dell’eroe suo malgrado che nel corso della storia si convince della bontà della propria ‘missione’, fino alle più estreme conseguenze; a fianco a lui una Julianne Moore che confermava la sua poliedricità. Nel cast – come spesso avviene  in questi casi – anche un attore ‘navigato’ nel classico ruolo ‘breve ma intenso’: qui è Michael Caine, nella parte di un canuto ex hippie e vignettista satirico, ritiratosi a vivere in campagna, prendendosi cura della moglie, caduta in stato catatonico dopo essere stata torturata dalle autorità.

Alfonso Cuaròn riprende e attualizza il tema portante del libro, una società condotta alla barbarie dalla consapevolezza da parte della specie umana di non avere un futuro, ampliando la riflessione a temi caldi dell’attualità, come l’immigrazione, o il rischio di deriva autoritaria delle democrazia:  i campi in cui sono tenuti i rifugiati alludono in maniera scoperta ai casi delle carceri Abu Grahib o di Guantanamo, piuttosto che ai campi profughi risultato delle tante guerre che percorrono il continente africano.

Il risultato, pur nello scenario futuristico / futuribile,  è un’aderenza alla realtà accresciuta dallo stile documentaristico con cui è girato il film, che ha ottenuto tre nomination all’Oscar (miglior fotografia, sceneggiatura non originale e montaggio). Il tutto sullo sfondo di un ampissimo numero di riferimenti religiosi, all’insegna di una simbologia cristiana, ma non solo.  Presentato a Venezia, il film ha ottenuto un ottimo risconto di pubblico, accompagnato da giudizi egualmente lusinghieri.

Ampia ed abbondante la colonna sonora, che affianca autori classici come Mahler ed Handel alla Threnody to the Victims of Hiroshima del polacco Krzysztof Penderecki, ma nella quale hanno trovato posto anche Aphex Twin, alfiere dell’elettronica degli anni ’90 a fianco dei Radiohead e di gruppi storici come Deep Purple e King Crimson.

Brood – la covata malefica: recensione del film di David Cronenberg

Brood – la covata malefica è il film del 1979 di David Cronenberg con protagonisti nel cast Oliver Reed, Samantha Eggar, Art Hindle e Henry Beckman.

La trama del film Brood – la covata malefica

Trama: A seguito del ricovero di Nola Carveth (Samantha Eggan) nella clinica del professor Raglan, ideatore di una rivoluzionaria terapia per la cura dei disturbi psichici, le vite della figlia e del marito di lei vengono sconvolte da una serie di atroci eventi, portati a compimento da strani esseri, simili a bambini; sarà lo stesso Raglan a rivelare lo sconcertante collegamento tra le creature e la sua paziente, portando il marito a una drammatica e definitiva scelta.

Reduce dall’action movie Fast Company, nel 1979 David Cronenberg riprende l’esplorazione di territori più orrorifici e disturbanti, già avviata nel 1977 con Rabid.

L’analisi del film di David Cronenberg

Brood – la covata malefica (uscito in Italia col solito discutibile sottotitolo: La covata malefica) continua a tessere quelli che saranno i fili conduttori di gran parte dell’opera del regista canadese: l’ossessione per le mutazioni, il potere della mente sul corpo e sulla materia (tema poi ulteriormente sviluppato nel successivo Scanners), gli interrogativi su una società sempre più guidata dal progresso scientifico e dai suoi eccessi.

Per dare vita ai suoi incubi, David Cronenberg sceglie un attore già affermato, Oliver Reed, affiancandolo alla protagonista Samantha Eggar, attrice dalle alterne fortune, culminata con vari premi e una nomination all’Oscar per Il collezionista (1965) di William Wyler. I cinefili italiani la ricordano forse per la partecipazione ad alcuni cult come Il Grande attacco di Lenzi o L’etrusco uccide ancora di Armando Crispino.

Il terzetto dei protagonisti è completato da Art Hindle, che avrebbe presto abbandonato il grande schermo per un più proficua carriera di caratterista in serie tv.

Brood – la covata malefica ancora oggi può essere ricordato come uno dei più felici esempi di horror à la David Cronenberg, caratterizzato da un riuscito mix tra il pathos più gradito agli amanti della suspence e le trovate orrorifiche più apprezzate dagli appassionati del ‘repellente’, tanto  da venire censurato – scatenando  ovviamente le ire del regista canadese – negli   Stati Uniti, in Canada e in Gran Bretagna, in particolare,  col taglio della scena che sul finale coinvolge la protagonista e una delle ‘creature’.

Brood – la covata malefica ha ottenuto un buon successo di pubblico, che col passare del tempo non si è affatto affievolito, portando anzi il film e alcune delle sue sequenze ad essere puntualmente citati nelle graduatorie all-time del genere.

In linea di massima positivo anche il giudizio della critica, anche se la componente più ‘disturbante’ ha suscitato più di un riscontro negativo; Brood – la covata malefica è stato inoltre tacciato da alcuni di  essere reazionario, con aperte accuse di misoginia.

Brood – la covata malefica segna l’inizio della collaborazione tra David Cronenberg e il produttore esecutivo Solnicki, che proseguirà anche per Scanners e Videodrome; la colonna sonora rappresenta il primo lavoro per il cinema di Howard Shore, che poi sarebbe diventato un collaboratore abituale di Cronenberg e che ha vinto due Oscar per La compagnia dell’Anello e Il ritorno del Re.

Blob – Fluido mortale: recensione del film con Steve McQueen

Blob – Fluido mortale: recensione del film con Steve McQueen

Blob – Fluido mortale è il film cult del 1958 diretto da Irvin Yeaworth e con protagonisti sono Cast: Steve McQueen (Steve), Aneta Corsaut (Jane), Earl Rowe (Tenente Dave), Alden Chase (Dottor Allen), John Benson (Agente Bert), James Bonnett (Mooch Miller), Robert Fields (Tony Gressette).

Blob – Fluido mortale, la trama: Mentre scorre una tranquilla e tiepida nottata americana da innamorati e stelle cadenti, piove dal cielo una specie di grande uovo. Un anziano contadino lo schiude, scoprendovi una palla di melma scura: e ha l’onore di diventarne la prima vittima.

La viscida entità, partendo dalla mano con cui è stata curiosamente toccata, si impossessa dell’intero sventurato, avvolgendolo e fagocitandolo. Stessa sorte tocca al dottore e all’infermiera  che al vecchio provano a fornire aiuto. E per ogni vittima che miete e assimila, Blob cresce, rendendosi minaccia sempre più temibile per il tranquillo scorcio di provincia USA che ha avuto in sorte di battezzarne le gesta terrestri, e che alla creatura dovrà pagare un sostanzioso tributo in vite umane.

A fronteggiare la minaccia c’è innanzitutto Steve Andrews (Steve McQueen), intrepido giovanotto, aiutato dalla sua bella, Jane (Aneta Corsaut), e dal comprensivo tenente Dave (Earl Rowe). E Blob, alla fine, sgominato a colpi di gelo, sarà scaraventato da un aereo militare nell’Artide per non nuocere più a nessuno. Anche se il punto di domanda che chiude il film lascia le porte aperte a una rivincita del fluido…

Blob – Fluido mortale, analisi

Film più noto tra i pochi realizzati da Irvin Yeaworth (1926-2004), Blob – Fluido mortale merita di essere conosciuto e apprezzato per intero: un peccato contentarsi dei gustosi inserti nell’omonimo e storico programma di Rai Tre, ispirato a questo cult dell’horror. Un film raffinato, che muove personaggi dalle psicologie lavorate (giustamente) appena in superficie in una provincia americana che è un colorato e artigianale teatrino. La paura (moderata: si parla di oltre 50 anni fa) è costruita con maestria nel primo quarto d’ora, quando, già atterrato il fluido mortale, il film dondola lo spettatore tra le schermaglie molto fifties  – occhiate alla bella Jane, sfide motoristiche e beffe alla polizia – che vedono impegnati il protagonista e un gruppetto di blandi bulletti che, fattasi più concreta (e corpulenta) la minaccia di trasformeranno in altrettanto blandi aiutanti.

Il mostro in sé non desta timore; anzi, qualche sorriso, così alla buona, modellato con effetti speciali estremamente grezzi. Un rinforzo all’orrore lo dà con prontezza la colonna sonora, capace di sottolineare con interventi gravi e taglienti il precipitare delle cose. E l’audio fa il suo dovere anche nell’aprire il film con un brano da party – preparando spettatore e personaggi a una festa della paura – e nel chiuderlo con note rassicuranti sulle immagini dell’Artide, tomba del mostro. Peccato che il punto di domanda che cala dalle impalpabile e sacre altitudini del racconto sbugiardi i segni di quiete e gloria che provengono sia dalla colonna sonora (pur con qualche venatura), sia dalle immagini.

Blob – Fluido mortale è un film da recuperare e rispettare. Un lavoro al contempo semplice e ben cesellato, fluido quanto la brutale creatura che gli dà il titolo.

Recensione film In Darkness di Agnieszka Holland

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Recensione film In Darkness di Agnieszka Holland

Leopold Socha (Robert Wickiewicz) è un operaio che arrotonda il suo stipendio con qualche furto. Conosce le fognature di Lvov come le sue tasche: quei cunicoli sotterranei dove nessuno metterebbe piede sono sia il suo posto di lavoro, sia il nascondiglio per la sua refurtiva.

Durante il 1943 l’uomo, in ricognizione tra i canali, si imbatte in un gruppo di ebrei che vuole nascondersi nelle fogne per sfuggire all’imminente rastrellamento del ghetto. Deciso a non farsi sfuggire un’occasione di guadagno, stringe un patto con loro: non li denuncerà e, anzi, li aiuterà a orientarsi nel labirinto sotterraneo, solo in cambio di una grossa somma di denaro.

Gli ebrei, soprattutto il giovane Mundek (Benno Fürmann), sono inizialmente rassegnati e diffidenti nei confronti del polacco, ma poco a poco, testimoni dei rischi crescenti che l’operaio si assume nel tentativo di salvarli, si affezionano a lui.

Recensione film In Darkness di Agnieszka Holland

Il tempo passato nell’oscurità, la mancanza d’aria e la convivenza forzata tra i rifugiati, portano lentamente alla luce gli aspetti migliori e quelli peggiori dell’animo umano, l’amore e la follia, la disperazione e la tenerezza, la fiducia e l’odio, in un affresco potente che riesce nell’intento di ricordare al pubblico una delle pagine più nere della storia del Novecento.

In Darkness filmIn Darkness, infatti, porta sullo schermo la vera storia degli ebrei salvati da Leopold Socha, ed è tratto da un libro, Nelle fogne di Lvov di Robert Marshall, che narra proprio di quei 14 mesi di prigionia forzata messa in atto per evitare la deportazione.

La regista Agnieszka Holland, però, in accordo con lo sceneggiatore David F. Shamoon, evita di trasporre nel film gli orrori del libro e cerca piuttosto di sondare i sentimenti di alcuni uomini e donne trovatisi a dover fare delle scelte difficili al limite del comprensibile e a vivere in condizioni quasi inumane.

Con un uso della fotografia decisamente metaforico, che vede scene buie e soffocanti nelle fogne con il solo Socha illuminato costantemente (come portatore di luce) e una durata notevole, due ore e mezza, la Holland lascia a chi guarda il compito di immedesimarsi nei corpi dei rifugiati e trascina, anche per poco, il pubblico sottoterra, preda della paura, della noia, del freddo.

Un film non facile, talvolta claustrofobico, che prova a usare diversi registri e a mettere a fuoco personaggi complessi, per narrare la non banalità del bene e l’eroismo di un uomo lontano dai canoni dell’eroe.

Da sottolineare soprattutto i contrasti, resi con dei dolly che sembrano spezzare il confine che divide la città dalle fognature, tra il mondo luminoso in cui scorre la vita della città di Vlov e la condizione di Mundek, Klara e degli altri ebrei.

In Darkness è un film da vedere per riflettere, per scuotersi dal torpore, per porsi delle domande.

In uscita il 24 gennaio, non a caso in prossimità del Giorno della Memoria.

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Come molto di voi sapranno è stato annunciato un quinto capitolo della saga Pirati dei Caraibi, che vede protagonista Johnny Depp nei panni del pirato Jack Sparrow,

Il mondo segreto di Moonhaven: nuovo poster!

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è stato diffuso un nuovo poster per Epic – Il mondo segreto nuovo lungometraggio d’animazione dei Blue Sky Studios (l’Era Glaciale, Rio) e in arrivo negli States il 24 maggio 2013.

Diretto da Chris Wedge Epic – Il mondo segreto è tratto dal racconto per bambini di William Joyce, già autore de Le 5 Leggende. Nel cast di voci originale ci sono Josh Hutcherson, Amanda Seyfried, Beyoncé Knowles e Steven Tyler.

Ecco il poster:

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Frank: prima foto di Michael Fassbender!

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Dopo tanti prove intense e drammatiche, Michael Fassbender ha deciso di concedersi una commedia: ecco la prima foto ufficiale di Frank, diretto da Lenny Abrahamson e prodotto da Film4 e dalla Irish Film Board  su una sceneggiatura di Jon Ronson e Peter Straughan (L’uomo che fissa le capre).

Matthew McFadyen firma per Epic!

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Matthew McFadyen, in questi giorni su BBC America con la miniserie Ripper Street e presto in sala in Italia con Anna Karenina di Joe Wright sarà il protagonista del film di Ben Hopkins Epic, commedia nera scritta dal vincitore del premio BAFTA Pawel Pawlikowski e coproduzione fra Regno Unito, Germania e Russia.

L’attore, che ha firmato insieme a Myanna Buring e Noah Taylor, vestirà i panni di un regista premio Oscar invitato in un’oscura regione del Caucaso, l’immaginario Karastan. Il regista Stephen Daldry sarà produttore esecutivo.

fonte: HollywoodReporter

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