Ecco le prime fotoscattate dal set romano di The Third Person, l’ultimo film di Paul Haggis che si sta girando in questi giorni nella città eterna.
Da quello che sappiamo
Via capelli lunghi e barbone che ha in Argo, oggi Ben Affleck a Roma si è presentato in forma smagliante, con il suo mento prominente in bella vista, e dispostissimo a parlare di tutto e di più relativamente al suo ultimo, bellissimo, film. Straordinariamente esaustivo e loquace, ai limiti del logorroico, Ben Affleck ha spiegato di sentire una doppia responsabilità, avendo scelto di dirigere un film tratto da una storia vera: “La prima è quella di realizzare il miglior film possibile per il tuo pubblico, di cercare di soddisfarlo emozionalmente e dal punto di vista spettacolare; la seconda è quella di rispettare il cuore della verità e della storia che racconti. È un gioco d’equilibrio, molto complesso. In Argo, rispetto ai fatti, ho aggiunto un po’ di action nel terzo atto, ma in generale i miei peccati rispetto alla verità sono di omissione: c’era così tanto materiale da bastare per una serie di dieci ore, ho dovuto togliere tanti dettagli.”
-Come ha scelto gli attori? La maggior parte di loro viene dalla Tv.
“E’ vero. Adesso se si fanno film drammatici davvero buoni vanno in tv e così se si vuole fare cinema bisogna scegliere gli attori migliori che possono interpretare i ruoli. Ma non ho scelto gli attori solo perché venivano dalla tv, questo è chiaro. Avevo in ufficio delle foto delle persone vere coinvolte nei fatti, e naturalmente se un attore ci somigliava tanto era un di più ma non era l’unico criterio. Ad esempio John Goodman che interpreta il truccatore John Chambers è molto somigliante!”
-Qualcuno ha detto, all’epoca dei fatti, che la crisi degli ostaggi contribuì ad affossare l’amministrazione Carter…
“Non sono un esperto di politica ma è chiaro che la crisi degli ostaggi ha segnato la fine dell’amministrazione Carter da un lato e l’inizio delle tensioni con l’Iran che viviamo ancora oggi dall’altro. Io però non volevo che il mio film fosse esplicitamente politico, volevo solo rievocare degli eventi, magari, appunto, facendo dei paralleli con la storia di oggi. Volevo essere integro. E volevo anche omaggiare delle persone, come Tony Mendez, che hanno fatto dei sacrifici nella loro vita e nel loro privato per il bene del nostro paese.” “Ho voluto inserire nel finale la voice over di Carter perché aveva un grande valore evocativo, sottolineava che si è trattato di una storia vera”.
-Com’è stato collaborare con George Clooney che compare trai produttori?
“Lui ama il cinema intelligente, e mi ha aiutato molto a ritrovare lo stile sporco, o la staticità studiata dei film anni ‘70: è bello avere qualcuno che i film li fa e li gira, come produttore, perché comprende sempre esattamente la situazione e i problemi che puoi trovarti di fronte sul set.”
-Nel film il personaggio di Goodman dice che “Anche un macaco potrebbe fare il regista”, ci sono molti macachi ad Hollywood?
“Se è vero che forse ci sono tra le colline dei registi che sono dei macachi, tra cui forse anche il sottoscritto, non dirò certo che è vero che Hollywood è popolata da solo pigri e da cialtroni: non potrei mai tornare a casa. Ci sono però delle verità nei dialoghi sul cinema e su Hollywood nel film, dialoghi che rispecchiano la competitività e la spietatezza di quel posto. Poi, come racconto nel film, sia la gente di Hollywood che quella del mondo dello spionaggio compiono in fondo operazioni simili: cercano entrambe di creare un mondo che non esiste, di vedere una bugia. Uno lo fa per arte, uno per altre ragioni.”
Con Argo arrivato alla sua terza regia, Ben Affleck si conferma un ottimo narratore, capace di condurre per mano lo spettatore su un territorio accidentato e pericoloso, facendolo entrare in sintonia con la storia di un uomo coraggioso, di un’operazione segreta sospesa tra la vita e la morte, di sei “ospiti” che hanno riposto le loro speranze in uno sconosciuto.
In Argo nel 4 novembre 1979, mentre la rivoluzione iraniana raggiungeva l’apice, un gruppo di militanti entra nell’Ambasciata USA a Tehran e porta via 52 ostaggi. In mezzo al caos, sei americani riescono a fuggire e si rifugiano a casa dell’Ambasciatore del Canada. Ben sapendo che si tratta solo di questione di tempo prima che i sei vangano rintracciati e molto probabilmente uccisi, Tony Mendez, un agente della CIA specialista in azioni di esfiltrazione, mette in piedi un piano rischioso per farli scappare dal paese. Un piano così inverosimile che potrebbe accadere solo nei film.
La storia di Argo è tratta da un avvenimento realmente accaduto, e reso noto solo nel 1997, quando il Presidente Clinton ha declassificato l’operazione segreta che ha portato alla liberazione dei sei americani fuggiti dall’ambasciata occupata e rifugiatisi presso l’ambasciatore canadese. Una storia così straordinaria che ha dell’incredibile, e forse proprio per questo si presta particolarmente bene ad essere raccontata sul grande schermo.
Argo è un film abbastanza complesso, che si muove in tre luoghi differenti: l’Iran, i quartier generale della CIA e Hollywood, tanto diversi che anche la fotografia del film ne sottolinea le caratteristiche ambientali. Se le immagini ambientate in Iran sono sgranate e dai colori caldi, a Hollywood l’atmosfera è tersa e sgargiante, mentre negli uffici della CIA gli impiegati si muovono tra colori freddi e netti.
Fondato principalmente su un crescendo di tensione che nel finale diventa quasi palpabile, Argo si fa notare per una grande sceneggiatura, firmata da Chris Terrio, e da un assemble di attori decisamente in forma, su cui svettano in tutta la loro bravura John Goodman, Alan Arkin e il grande Bryan Cranston. Ben Affleck, anche interprete e produttore, conferma ancora una volta che il suo posto privilegiato in relazione alla macchina da presa è quello dietro, in cabina di regia, dove riesce a offrire emozione, tensione e sostanza, scegliendo sempre grandi storie e raccontandole sempre con grande cura e tanta dedizione all’opera.
Ecco alcune fto pubblicate dall’Hollywood Reporter che ritraggono Peter Jackson sul set de Lo Hobbit, alle prese con i fantastici effetti speciali, le famose prospettive forzate,
Ecco altre foto dal set del film di Darren Aronofsky, Noah, che ritraggono Russell Crowe e Emma Watson alle prese con i costumi. Nel cast del film, nel ruolo della moglie di Noè, anche Jennifer Connelly. Gli attori si trovano ancora sul set di Brookville, New York.

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FONTE: Just Jared
Star Trek è il primo film del 1979 diretto da Robert Wise con protagonisti William Shatner, Leonard Nimoy, Deforest Kelley, James Doohan, Michelle Nichols e George Takei.
Trama: Quando un’entità aliena, sotto forma di nebulosa, si dirige a tutta velocità verso la Terra, distruggendo tutto ciò che incontra sul proprio cammino, il Capitano Kirk, relegato da anni dietro una scrivania, viene incaricato di tornare a bordo di una rinnovata Enterprise assieme al suo equipaggio per indagare sull’accaduto. Dopo una serie di vicissitudini, preso a bordo anche il signor Spock e raggiunto il centro della nebulosa, l’equipaggio si troverà di fronte ad una sorprendente verità sull’origine della minaccia e sulle sue intenzioni…
Analisi: Lo sbarco sul grande schermo dell’Enterprise e del suo equipaggio, che aprì la strada a una serie di lungometraggi che dura ancora oggi (l’uscita del dodicesimo film ispirato alla serie televisiva è prevista per il 2013) fu per certi versi casuale.
Il tutto in realtà nacque dal progetto di un seconda serie tv dedicata alle avventure di Kirk & co., a una decina d’anni di distanza dalla chiusura del primo, storico, ciclo di episodi.
A solo un paio di settimane dall’avvio della produzione, il clamoroso ripensamento: alla luce del successo planetario di Guerre Stellari, si decide di cambiare la ragion d’essere del progetto e di portare Star Trek nelle sale cinematografiche, utilizzando effetti speciali a profusione.
Il punto di forza del film Star Trek è naturalmente la ‘reunion’ del cast originale, a partire da Shatner – Kirk e Nimoy – Spock, per continuare con i vari Kelley – McCoy, Doohan – Scott, Takei – Sulu, Nichols – Uhura e Koenig – Checov, con l’aggiunta di due personaggi creati ad hoc, l’aliena Ilia e il capitano Decker, che avranno un ruolo peraltro determinante nell’economia della storia.
Per la regia, il produttore e ideatore della serie Geene Roddenberry decide invece di affidarsi a Robert Wise, regista navigato che nel suo curriculum vantava titoli come The Haunting, Lassù qualcuno mi ama, West Side Story, Tutti insieme appassionatamente e che aveva avuto già a che fare con minacce extraterrestri di vario tipo, dirigendo il celeberrimo Ultimatum alla Terra e il poco fortunato Andromeda (tratto dal romanzo di Michael Crichton).
Costato 35 milioni di dollari, il film ne incassò 139 al botteghino, piazzandosi al quinto posto nella classifica degli incassi di quell’anno, superando anche Alien; un risultato che, per quanto riguarda i film dedicati a Star Trek, è stato superato solo recentemente, dal reboot cinematografico della serie classica, uscito nel 2011.
L’accoglienza al botteghino fu dunque più che lusinghiera; meno quella della critica: in effetti, il film sembra scontare il ‘peccato originale’ di essere il risultato della repentina ‘virata’ del progetto, dalla seconda serie al film: il soggetto non rappresentò peraltro una novità degli appassionati, visto che riproponeva in larga parte quanto visto nel terzo episodio della seconda stagione della serie classica, intitolato Changeling (La sfida).
In effetti, ancora oggi il limite principale di Star Trek è quello di essere in buona sostanza un episodio ‘extralarge’ della serie, con un ritmo non propriamente incalzante e qualche punto morto di troppo; gli stessi attori sembrano in un certo senso risentire del passaggio dal grande al piccolo schermo. Il risultato è un buon film di fantascienza, del quale si ricorda soprattutto il finale (all’epoca) spiazzante, nonché l’efficacissima colonna sonora, firmata da Jerry Goldsmith, il cui tema principale divenne poi una sorta di filo conduttore della serie cinematografica, oltre ad essere utilizzato nella serie televisiva Star Trek – Next Generation.
Per il pubblico italiano, lo spunto di maggior curiosità è risiede nel fatto che il film rappresentò il primo contatto con i personaggi di Star Trek, uscendo nelle sale nella primavera del 1980 e precedendo di qualche mese la messa in onda regolare della serie classica sulle tv locali, anche se a dire il vero un primo esperimento venne fatto da Telemontecarlo nel 1979, ma la rete monegasca a quei tempi non aveva una copertura sufficiente del territorio italiano.
Ballata dell’odio e dell’amore – La storia di Javier inizia nel 1937, quando, agli albori della dittatura di Francisco Franco in Spagna, suo padre, pagliaccio di un circo, viene reclutato per combattere contro i soldati del regime. Catturato e imprigionato, viene costretto ai lavori forzati. Il figlio, Javier, appunto, quasi quaranta anni dopo, alla fine del regime di Franco, ripercorre le orme del padre, entra a far parte di un circo come Pagliaccio Triste, e conosce Natalia, il suo amore, ma anche la sua condanna.
Le storie tristi non hanno vita facile e questo si sa. I film complicati e per giunta anche tristi, poi, ce l’hanno quasi impossibile. Questo riguarda esattamente La ballata dell’odio e dell’amore, titolo italiano di Balada triste de trompeta, ultimo film di Alex De la Iglesia, che come nella migliore delle ultime tradizioni della distribuzione italiana, esce con un quasi primato di ritardo di due anni nelle nostre sale. O meglio, uscirà il prossimo 8 Novembre, non è ancora stato detto in quante copie.
Eppure le carte in regola per essere ben distribuito, il film ce le aveva: miglior regia al Festival del cinema di Venezia 2010, quello della presidenza di giuria di Quentin Tarantino, nonché Osella d’argento per la migliore sceneggiatura.
La ragione? La potremmo individuare nella complessità della storia, che mette in parallelo la storia di un paese, nei 40 anni della dittatura del Generalissimo Francisco Franco e la storia di amore, vendetta e morte dei due pagliacci.
Alex de la Iglesia si è fatto apprezzare per il gusto totalmente sopra le righe e di rottura nei confronti soprattutto della media borghesia spagnola.
Ciò non avviene in Balada, una storia triste su pagliacci che non fanno ridere, anzi uno non deve farlo per contratto e perché in fondo, non è mai stato bambino. Ma è anche una storia sulla Spagna, e sulla lotta interna che la fa essere terribile e bellissima allo stesso tempo. Una delle frasi su cui si fonda il film è quella che dice la trapezista contesa tra i due clown: “Come fai a liberarti di un amore che sai che ti ucciderà, se al solo pensiero di non averlo più rischi di morire?”
Amore e tradimento, dolore e attrazione è la dicotomia che caratterizza la storia, con due clown che si deformano a causa della follia del sentimento, così come lo stato spagnolo è stato deturpato e trasformato da 40 anni di dittatura, e come potrebbe essere diversamente, che l’hanno portata prima allo splendore dei primi anni duemila, fino alla crisi profonda di questi anni.
Una nazione in bilico, come lo sono i personaggi travagliati del film, il cui ruolo non si addice all’abito, o meglio, come accade in apertura, è un clown a fare strage di soldati, lui in divisa da clown contro chi è in divisa per la guerra.
Ecco il Trailer italiano di 7 Psicopatici di Martin McDonagh con Colin Farrell, Sam Rockwell, Christopher Walken Woody Harrelson e Abbie Cornish. Il film sarà in sala dal 15 novembre,
Arriva dalla Warner Bros. Italia, il primo character poster di Django Unchained nuovo film di Quentin Tarantino. Protagonista del manifesto il premio Oscar Christoph Waltz che veste i panni del Dott. King Schultz.
In Un’estate da giganti due fratelli adolescenti, Zak (Zacharie Chasseriaud) e Seth (Martin Nissen), stanno passando le vacanze estive nel cottage di famiglia. Si direbbe la normalità, non fosse per il piccolo particolare che la madre dei due, l’unico adulto con cui sono in contatto, non sembra avere intenzione di raggiungerli e che le loro giornate sono destinate a trascinarsi, tra una canna e una battuta, in compagnia del loro nuovo amico Dany (Paul Bartel).
I tre, però, passata l’euforia iniziale, si ritrovano senza soldi, né protezione e capiscono che non possono contare sui loro genitori e che è già arrivato il momento di ritagliarsi un posto nel mondo. La natura incontaminata, aperta e luminosa in cui è ambientata la vicenda e su cui la telecamera indugia a lungo, è il luogo ideale per dare forma al percorso, spesso travagliato e pieno di ostacoli, al termine del quale i tre ragazzi diventeranno tre adulti. Gli spazi ampi, dove ci si può muovere liberamente, si contrappongono infatti in modo fin troppo marcato all’universo chiuso e rigido degli adulti, popolato da individui inadeguati, per non dire mostruosi.
Zak, Seth e Dany, senza una guida e senza punti cardinali, vengono continuamente ignorati, derisi, ingannati e raggirati dal mondo dei grandi, persone la cui immoralità emerge tra le pieghe della pelle, nei buchi della dentatura, in un labbro leporino, in un’espressione vacua.
Nonostante le difficoltà, il procedere a tentoni e le sbandate, i ragazzi non si danno per vinti e, come sottolineano due bellissime inquadrature, una dall’alto e una alla fine del film, trovano la loro strada da soli, in mezzo ad un campo di mais che diventa una via da percorrere in macchina e sopra lo specchio d’acqua di un fiume che li porterà, insieme alla corrente, verso il futuro.
Gli attori, magistrali nella loro interpretazione nonostante la giovane età, riescono con il solo gioco di sguardi e con l’espressività dei piccoli gesti, a rendere palpabile il disagio e l’entusiasmo dell’adolescenza, l’ottimismo di un’età in cui tutto sembra ancora possibile e le difficoltà che comporta la crescita. Un’estate da giganti è un ottimo film, con tempi forse un po’ dilatati, che sa essere delicato ma tagliente, divertente e triste. Notevole la colonna sonora firmata The Bony King of Nowhere che fa da cassa di risonanza alle piccole scene dove, in apparenza, non accade nulla.
Un’estate da giganti, diretto da Bouli Lanners e presentato alla Quinzaine des Réalisateurs al Festival di Cannes 2012, sarà in Italia dal 31 ottobre. Sarebbe un peccato perderlo.
L’avvio del terzo capitolo di Ghostbusters vive uno momento d’incertezza e sembra sia finito nel congelatore. Ma nuove news arrivano oggi da Deadline che lasciano ben sperare dopo la decisione presa di fare il film senza Bill Murray. L’importante sito americano sostiene che Ghostbusters 3 partirà l’anno prossimo, dato che la Paramount ha deciso di non girare Draft Day nel breve lasso di tempo che intercorrono fra gli impegni del regista Ivan Reitman dall’inizio dell’atteso film su i nuovi Ghostbusters. Stando alle intenzioni della Sony Pictures le riprese dovrebbero iniziare l’estate prossima. Quindi non ci sarebbe il tempo utile per fare un film ambientato su football americano. La notizia è questa e considerato l’incertezza che ruota attorno al progetto è quasi come un barlume di luce nel buio più pesto! Non ci resta che aspettare ulteriori conferme.
È ufficiale: Nicole Kidman non farà parte del cast di The Nymphomaniac. La notizia arriva insieme a quella della chiusura
Arrivano le prime foto dei protagonisti di Noah di Darren Aronofsky. Le immagini proposte da Just Jared ritraggono per la prima volta Emma Watson e Jennifer Connelly al lavoro sul set, insieme ad un barbuto Russell Crowe.
Dopo l’inedita coppia formata da Natalie Portman e Michael Fassbender, vediamo ora sul set del film ancora senza titolo di Terrence Malick Ryan Gosling e
Arriva dal canele youtube della Paramount il Full trailer di Jack Reacher – La Prova Decisiva con Tom Cruise. La pellicola è diretta da Christopher McQuarrie
Lee Daniels si sta specializzando in biografie: dopo Selma, dedicato alla lotta per i diritti civili degli afroamericani e il prossimo The Butler incentrato sulla storia di un maggiordomo che servì per decenni alla Casa Bianca, il regista è già all’opera sul film dedicato all’uccisione di Martin Luther King, protagonista Hugh Jackman. Evidentemente però Daniels non sembra averne ancora abbastanza di dedicarsi a personaggi realmente esistiti: eccolo quindi entrare in trattative per dirigere Get it while you can, film dedicato a Janis Joplin, stella di prima grandezza della musica degli anni ’60.
L’idea del film risale ormai a parecchi anni fa – se ne parla infatti almeno dal 2004 – e attorno ad esso è circolata una lunga lista di nomi per registi, sceneggiatori e soprattutto possibili interpreti, tra le quali Catherine Hardwicke e Renee Zellweger, ma la scelta definitiva sembra ora essere caduta su Amy Adams. La sceneggiatura è stata curata da Ron Terry, assieme alla moglie Theresa Kounin-Terry. Le riprese, ammesso che Lee Daniels abbracci definitivamente il progetto, dovrebbero cominciare a inizio 2013. C’è peraltro da aggiungere che in cantiere vi è un altro film dedicato alla Joplin, intepretato dalla stella di Broadway Nina Arianda per la regia di Sean Durkin.
Fonte: Empire
Penelope Cruz è in trattative per partecipare a un film dedicato alla dinastia dei Gucci, che ha dato il proprio nome a uno dei principali marchi dell’italian style. Il film, diretto da Jordan Scott (figlia di Ridley) narrerà la storia di Maurizio, nipote del fondatore della casa di moda, ucciso nel 1995 su commissione della ex moglie Patrizia Reggiani. L’idea di un dedicato alla vicenda di Gucci risale al 2006, quando per la regia si era parlato di Ridley Scott, con Andrea Berloff alla sceneggiatura; nel frattempo altri nomi sono stati avvicinati al progetto, che sarà prodotto da Scott Free.
Vari i nomi fatti anche per gli interpreti: nel 2009 si era parlato di Angelina Jolie per interpretare il ruolo della Reggiani. Il rilancio del progetto avviene nel momento in cui la Gucci sta cercando di rilanciarsi quale marchio legato al glamour hollywoodiano, dopo il periodo di appannamento seguito all’abbandono dello stilista Tom Ford.
La compagnia tra l’altro porta avanti da anni un’intensa attività di mecenatismo nel mondo del cinema: ha ad esempio donato due milioni di dollari a Martin Scorsese per per il restauro di pellicole storiche come La Dolce Vita o C’era una volta in America, oltre a sostenere rassegne settimanali presso il Los Angeles County Museum.
Fonte: Panarmenian
Di un film dedicato alla vita e all’arte di Freddie Mercury si parla ormai da diverso tempo: se per la regia del film si era parlato di Stephen Frears, senza che poi siano arrivate conferme ufficiali a riguardo, molto più problematica la scelta del protagonista: quello dell’intimenticato cantante non è certamente un ruolo alla portata di tutti. La scelta sembra ora definitivamente caduta su Sacha Baron Cohen, che peraltro era stato dato per possibile Mercury sul grande schermo già nel 2010, quando si cominciò a parlare del progetto.
La possibilità che il film veda finalmente la luce si è fatta notevolmente più concreta dopo i recenti aggiornamenti arrivati in tal senso da Brian May, ex chitarrista della band, che sul suo sito web ha annunciato che il biopic dedicato al cantante è al primo posto degli impegni del gruppo, e che il progetto ha preso il via. May ha spiegato che le difficoltà principali sono state di tipo contrattuale: ovviamente il film dovrà contenere le musiche del gruppo e portare sullo schermo anche gli altri componenti della band, quindi vi sono varie implicazioni legali, legate soprattutto ai diritti d’autore e d’immagine ma l’ex chitarrista dei Queen ha affermato che tutte le tessere del mosaico stanno andando al loro posto.
Poi, le tre notizie più importanti: le riprese cominceranno probabilmente in primavera, l’uscita nelle sale dovrebbe avvenire a inizio 2014, Freddie Mercury sarà interpretato da Sacha Baron Cohen. Apice del film, il celeberrimo concerto che la band tené nello stadio di Wembley nel 1985, davanti ad una folla oceanica. Al momento non si sa granché del resto del cast: in tempi recenti era stato fatto il nome della popstar Katy Perry per la parte di Mary Austin, a lungo compagna del cantante. Per Sacha Baron Cohen, un’altra sfida, la più importante della carriera: dopo una galleria di personaggi inventati – Ali G, Borat, Bruno, Il Dittatore – il ruolo di Freddie Mercury, con tutti i rischi del caso: potrebbe rivelarsi un trionfo o, al contrario, un flop clamoroso.
Fonte: Huffington Post
S’intitola Our name is Adam l’ultimo progetto cui è stato affiancato il nome di Tom Cruise: ancora una volta un film di fantascienza, genere dal quale l’attore sembra particolarmente attratto negli ultimi tempi (ricordiamo infatti, trai suoi prossimi film, Oblivion e All You Need Is Kill). Al momento del progetto non si sa molto, a parte il fatto che dovrebbe parlare di clonazione. La sceneggiatura è in corso di stesura da parte di TS Nowlin; Mary Parent è data come possibile produttrice. Si allunga così lista di progetti ai quali negli ultimi tempi è stato abbinato il nome di Cruise: tra questi, il remake dei Magnifici Sette, un nuovo film dedicato a Van Helsing e un nuovo episodio della serie di Mission: Impossible. L’attore tornerà sugli schermi a fine anno, in Jack Reacher.
Fonte: Empire
Risaliva allo scorso agosto la notizia del progetto lanciato da Tom Hardy, Leonardo DiCaprio e Tobey Maguire, che hanno deciso di unire i propri sforzi, coinvolgendo le rispettive case di produzione in un progetto finalizzato a sensibilizzare il pubblico nei confronti della lotta al bracconaggio e al traffico illegale di animali. A quel progetto se ne aggiunge ora un altro, nato da un’idea dello stesso Hardy.
Andiamo con ordine: il primo progetto era incentrato attorno al traffico illegale di animali, o di loro ‘derivati’, come ad esempio l’avorio; si tratta di una storia che si snoda a livello globale; DiCaprio, Hardy e Maguire vi parteciperanno naturalmente in prima persona. In seconda battuta è poi arrivato il progetto ideato dallo stesso Tom Hardy, nel quale il protagonista e un suo amico accettano di lavorare per contrastare i bracconieri, conoscendo e affezionandosi all’Africa e alla sua fauna. Nel frattempo Tom Hardy è impegnato sul set di Mad Max: Fury Road.
Fonte: Empire