Nell’Italia del ‘68/69 la
contestazione studentesca è forte, gli operai sono in lotta. Si
rivendicano diritti, si cerca un cambiamento che scuota anche il
nostro paese dal torpore e dall’arretratezza, portando modernità.
Le istituzioni vedono con allarme questi sommovimenti sociali. In
questo clima, il 12 dicembre del ’69, l’esplosione a Piazza Fontana
a Milano, alla Banca Nazionale dell’Agricoltura. 17 morti e più di
80 feriti. Tutto questo è Romanzo di una
strage.
Su questo evento tragico della
nostra storia, ancora non è stata fatta piena luce, e anzi si sono
susseguite indagini, depistaggi, processi, affastellando dati e
informazioni spesso in contraddizione tra loro. Marco
Tullio Giordana raccoglie coraggiosamente questa sfida con
Romanzo di una strage, film corale nel solco
dell’esperienza del regista de La meglio gioventù,
ma anche de I Cento Passi e Pasolini, un
delitto italiano, con cui già aveva provato a far luce su
alcune pagine oscure italiane. Si cimenta dunque nel tirare le fila
di una vicenda intricata e di una stagione contraddistinta da altri
eventi tragici rimasti senza una spiegazione definitiva. Vicenda
intricata, ma sulla quale oggi, a distanza di 43 anni da quel ’69,
abbiamo almeno un certo numero di dati accertati. Così parte il
viaggio di ricostruzione del regista, coadiuvato dagli
sceneggiatori Rulli e Petraglia, nonché da un cast di validissimi
attori (Mastandrea,
Favino, Gifuni,
Lo Cascio, Antonutti, Colangeli, Tirabassi sono solo
alcuni). Nel film appare molto evidente l’intento di
chiarezza espositiva, esplicativo, ad uso delle giovani
generazioni che non hanno vissuto quegli anni, ma hanno
ereditato un mondo che ne portava il peso, e anche ad uso delle
meno giovani, che a caldo non hanno potuto guardare ai fatti
oggettivi e averne un panorama complessivo, come si è delineato poi
negli anni.
In dieci capitoli e con un lavoro
di scrittura certamente impegnativo, basato su atti processuali,
inchieste giornalistiche e altro materiale, Giordana assieme agli
sceneggiatori ricostruisce fatti e indagini, condotte dal
commissario Luigi Calabresi/Valerio
Mastandrea. Questi è inizialmente convinto che la
pista da seguire sia quella anarchica, per questa strage come per
altre bombe che da mesi mettono a rischio la città. Tra gli
anarchici fermati, Giuseppe Pinelli/Pierfrancesco
Favino, già noto a Calabresi come persona non
violenta, ma da cui spera di ottenere informazioni importanti,
in primis su Pietro Valpreda, l’anarchico che sarà poi
arrestato, in base alla testimonianza del tassista Rolandi. Dopo
tre giorni di fermo, la notte del 15 dicembre, Pinelli cade giù
dalla finestra dell’ufficio di Calabresi, che non è presente nella
stanza.
La versione ufficiale della
Questura giustifica in modo maldestro l’accaduto, lasciando spazio
al sospetto che Calabresi sia il diretto responsabile. Parte una
campagna di stampa e d’opinione contro di lui. Nel frattempo, in
Veneto, grazie al lavoro di due giudici, prende corpo un’altra
pista, che vede in organizzazioni neonaziste e in particolare in
Giovanni Ventura/Denis Fasolo e Franco
Freda/Giorgio Marchese, gli autori di alcuni degli
“attentati dimostrativi” dell’autunno. Ma su Piazza Fontana il
panorama è ben più complesso: ci sono i depistaggi e la copertura
di una parte dei servizi segreti italiani. Anche Calabresi, che
continua ad indagare sulla strage, arriva a comprendere che vi sono
legami, ancora oscuri, tra quest’eversione di destra e parti dello
Stato, ma viene assassinato poco dopo.
A livello istituzionale più alto,
poi, non mancano divisioni. I più cauti e lungimiranti di
fronte ai torbidi scenari che si configurano dietro la strage, che
vedono insieme movimenti eversivi di destra e pezzi deviati dello
Stato, vorrebbero fare chiarezza, per eliminare macchie dalle
istituzioni. Soprattutto Aldo Moro/Fabrizio
Gifuni, allora Ministro degli Esteri. Altri invece,
come il Presidente della Repubblica Saragat/Omero
Antonutti, preferiscono nascondere le responsabilità a più
alti livelli. Sarà alla fine questa la tesi che verrà seguita, e
alla quale anche Moro si sottometterà, nella convinzione comune che
il Paese non possa reggere la verità.

Romanzo di una strage, la verità
esiste?
Se vi aspettate che il film
risponda a tutti gli interrogativi, sarete in parte delusi. “La
verità esiste”, come si legge sulla locandina, ed è un filo che c’è
e che viene seguito per tutto il film, mettendo dei punti fermi
dove è possibile, come si diceva in apertura, ma restano
inevitabilmente aperte domande che il film ci pone e si pone,
cimentandosi in ipotesi ricostruttive, sulla base però dei dati
acclarati. È dunque un film aperto per molti aspetti. Giordana si
espone e non teme di mettersi in gioco e prendere una posizione:
descrive ad esempio in maniera precisa il rapporto tra Calabresi e
Pinelli come cordiale e reciprocamente rispettoso e accredita la
versione, suffragata dalle testimonianze, che il commissario non
fosse nella stanza al momento della caduta di Pinelli.
Affida a Moro alcune delle battute
più significative del film, come quelle del dialogo col confessore
in apertura, o del colloquio con Saragat a ridosso del Natale ’69,
in cui la sua visione pare molto presente nelle parole dell’allora
ministro. Il regista dà poi anche una sua lettura più ampia, che
vede in quella strage del ’69 il momento di rottura, quello
in cui si è persa l’occasione per la nostra democrazia, nata da
poco, di crescere, rafforzarsi e sperimentarsi liberamente. Quel
tragico evento, ma soprattutto la mancata chiarezza, le ombre,
l’opacità con cui l’intera vicenda e quelle ad essa legate sono
state gestite da parte delle istituzioni, hanno creato una frattura
estremamente difficile da ricomporre, tra cittadini e istituzioni.
Tra i primi si è fatta largo la diffidenza nei confronti delle
seconde, e ancora oggi il nostro sistema democratico paga le
conseguenze di quelle scelte. Ecco dunque l’importanza di
riesaminare quegli eventi, ora con maggiore serenità e
obiettività.
Veniamo al punto di vista
strettamente cinematografico. Qui, l’impressione è che si sia un
po’ sacrificato alla chiarezza espositiva l’aspetto del
coinvolgimento e dell’emozione. La divisione in capitoli, se da una
parte è funzionale al primo aspetto, dall’altra interrompe la
narrazione, spezzando il ritmo e allontanando lo spettatore. La
ricchezza della materia trattata è poi certo una delle ragioni per
cui non ci si è potuti soffermare a delineare in maniera molto
complessa i personaggi. Si è scelto ad esempio di lasciare fuori
quasi del tutto gli aspetti privati della vita di Calabresi e
Pinelli, i personaggi a cui si dà più risalto nel film. Tuttavia,
specie nel caso del commissario Calabresi, forse qualche elemento
in più poteva essere aggiunto, anche per aiutare a capire meglio la
sua figura, che invece resta per certi versi nebulosa,
criptica.
Si è scelta una chiave
interpretativa direi minimalista, a sottrarre, più adatta ad alcuni
frangenti, ma che in altri non riesce a coinvolgere molto,
nonostante la buona interpretazione di
Valerio Mastandrea. In certi momenti cruciali,
ad esempio la caduta di Pinelli o la successiva riunione in
questura coi superiori, sembra strano che Calabresi non pronunci
qualche parola in più. Il personaggio e la vicenda di Pinelli
riescono invece comunque ad emergere bene, e ci regalano forse,
assieme alla dolente consapevolezza dei gesti e delle parole di
Moro, alcune delle parti più riuscite del film. Doverosa una
menzione per l’ottimo Omero Antonutti nei panni di
Saragat, ma come detto tutto il cast dà ottime prove. Tuttavia, il
complesso della vicenda, non coinvolge fino in fondo, non conquista
il cuore dello spettatore, non lo avvince del tutto, non fa venire
la pelle d’oca o commuovere, come in altre occasioni le pellicole
del regista, pur a confronto con vicende complesse, avevano saputo
fare. Molto curate sono la fotografia, la scenografia, le
musiche.
L’operazione era senz’altro ardua e
va reso merito a Giordana e al cast di aver avuto
grande coraggio nell’affrontare finalmente anche al cinema questa
pagina buia della nostra storia, inaugurando speriamo, una nuova
stagione di riflessione e chiarimento. E ricordandoci anche il
nostro diritto a chiedere quella parte di verità che ancora manca.
Non solo per rispetto nei confronti delle vittime e dei loro
familiari, cui il film è dedicato, ma anche perché solo così,
sembra dirci il regista, si potrà provare a ripartire dal punto in
cui quell’esplosione ci ha interrotti. Romanzo di una
strage sarà nelle sale dal 30 marzo.