Come sappiamo Lo Hobbit sarà il
racconto cinematografico della prima parte dell’omonimo libro di
Tolkien, e sappiamo anche che Peter Jackson in fase di
sceneggiatura si è preso la libertà
Oscar 2012: il miglior regista – Michel Hazanavicius
Oscar 2012: il miglior regista – Michel Hazanavicius
Michel Hazanavicius, francese, sta sbaragliando tutta la concorrenza con il suo coraggioso e bellissimo film, The Artist, visto e apprezzato già al Festival di Venezia del 2011.
Noah di Darren Aronofsky: Michael Fassbender protagonista?
Darren Aronofsky sembra essere sempre più convinto del suo prossimo progetto Noah, il kolossal a sfondo biblico da 130/150 milioni di dollari di budget. Ora arriva anche conferma dal suo abituale direttore della fotografia Matthew Libatique. L’uomo ha rivelato di aver discussi con il regista della sceneggiatura e che le riprese dovrebbero partire a New York e in Islanda a Luglio. Libatique ha parlato anche di un Villain del film:
C’è una grande ruolo per il villain, ci deve essere un cattivo nella storia di Noé. Qualcuno che dice “Non state a sentire le sue parole. Va tutto bene, non c’è alcuno bisogno di costruire un arca. Non siate allarmisti. Non siate così fondamentalisti”. Avere presente no? Uno di questi tizi.
Ovviamente nulla di tutto ciò è ufficiale. Le ultime voci, inoltre vorrebbero che l’attore Michael Fassbender in trattative per la parte del protagonista, ma anche queste non ancora confermate. Non ci resta che aspettare ulteriori conferme.
The Amazing Spider-Man: proiezioni in anteprima anche a Roma!
Manca poco per il
ritorno di Peter Parker. La Sony Pictures ha lanciato una
iniziativa virale che condurrà ad alcune proiezioni speciali di
scene selezionate di The Amazing Spider-Man fissate per il
6 febbraio.
Il Federale: un grande Tognazzi per una commedia che aiuta a riflettere
Il Federale – Roma, primi mesi del 1944. Nella penisola si infittiscono i combattimenti tra i nazi-fascisti e gli anglo-americani i quali, appena sbarcati, tentano di risalire il paese. Primo Arcovazzi (Ugo Tognazzi) è un graduato della milizia fascista estremamente ligio al dovere e fanaticamente attaccato alla causa.
In virtù di queste qualità i suoi superiori lo incaricano di una missione molto delicata e importante: arrestare e riportare a Roma il prof. Erminio Bonafè (Georges Wilson), noto filosofo antifascista e prescelto per la carica di primo ministro dell’Italia libera.
Saputo da informatori certi che il professore è nascosto nel suo paesino natale sulle montagne abruzzesi, il buon Arcovazzi si mette in sella ad un side-car e si dirige a prelevare il fuggiasco. Trovatolo senza particolari problemi inizia il viaggio di ritorno verso Roma e sopratutto verso quella promozione a federale che il bravo graduato anela da tempo.
Purtroppo per Arcovazzi il viaggio verso la capitale sarà costellato da vari inconvenienti e ostacoli accidentali che renderanno la sua missione più complicata del previsto. Allo stesso modo però daranno a lui modo di entrare in contatto se non in distaccata simpatia con un altro uomo non più visto come un semplice traditore ma solo come un essere umano. E sarà proprio questo essere umano, inizialmente osservato con fredda ed ironica diffidenza, che salverà la vita di Primo nel grottesco finale.
Il Federale
Luciano Salce, uno dei maestri della commedia italiana, confezione questo film nel 1961, in collaborazione con i famosi sceneggiatori Castellano e Pipolo. Il federale è un classico esempio di quella tragi-commedia all’italiana che rappresenta uno dei filoni più amati e di maggior successo nella storia del cinema nostrano.
Il Federale, un film dall’indubbia impronta comica ma che al contempo si presta ad un’analisi e ad un’introspezione seria e a tratti drammatica del contesto storico in cui le vicende sono inserite. Un film che non può essere considerato solo una commedia e che allo stesso modo non può essere catalogato come un film drammatico; Il federale raccoglie il lato buono di uno e dell’altro genere mescolando sapientemente le sequenze divertenti e spassose con quelle più serie e riflessive.
La scena è dominata dai due splendidi protagonisti, eccellenti nelle rispettive interpretazioni: Tognazzi incarna perfettamente il ruolo del fanatico e convinto fascista, il quale non contempla nemmeno l’idea che qualcuno possa non esserlo essendo cresciuto in una società, per lui, da sempre fascistizzata. Wilson, al contrario, raffigura con garbo ed eleganza l’intellettuale democratico che tenta disperatamente di aprire gli occhi e la mente al suo carceriere.
Il viaggio di ritorno verso Roma, diventa una sorta di odissea omerica in cui tutto sembra ostacolare o quantomeno ritardare il compimento della missione di Primo, un lungo e tortuoso percorso in cui i due uomini si avvicinano e conoscono gradualmente, imparando anche ad apprezzare oltre che rispettare ognuno le qualità dell’altro.
Il film di Salce sa essere incredibilmente divertente così come profondo e toccante, Tognazzi si conferma mattatore straordinario e dalla comicità esplosiva ma al tempo stesso grande attore drammatico. Nel film, in cui compare anche una giovanissima Stefania Sandrelli, si ride e si riflette così come vuole la tradizione della grande tragi-commedia all’italiana.
Nello struggente finale in cui Arcovazzi entra nella Roma liberata con il suo prigioniero e indossando una divisa da federale rimediata a poco prezzo, Salce mostra la violenza cieca e incontenibile di un popolo stremato e incattivito da anni di dittatura ma al contempo vuole chiudere con uno straordinario gesto di umanità e pietà con cui il prof. Bonafè salverà Primo mantenendo fede a quei valori di civiltà a cui aveva sempre creduto e a cui si era da sempre affidato.
Kapò: il capolavoro di Gillo Pontecorvo sugli orrori dell’Olocausto
Kapò è un film del 1959 diretto da Gillo Pontecorvo. Fu nominato per l’Oscar al miglior film straniero nel 1961.
A Parigi si vivono i terribili e oscuri giorni dell’occupazione nazista; gli ebrei vengono quotidianamente prelevati dalle loro abitazioni nel ghetto e caricati sui lugubri treni della morte, diretti verso la Germania e i campi di concentramento.
A questa drammatica sorte non sfuggono nemmeno la giovane Nicole (Susan Strasberg) e i suoi amati genitori. Catapultata d’improvviso nella realtà apocalittica del lager, la timida e graziosa fanciulla riuscirà a sopravvivere grazie all’aiuto di un medico del campo che le fornirà la divisa con il triangolo nero, quello dei “ladri”, decisamente meno sconveniente del distintivo portato dagli ebrei, destinati a morte sicura.
La vita nel campo è dura e sopravvivere è l’unica preoccupazione di ogni giorno, per farlo, spesso, bisogna sopraffare il prossimo, le normali regole della convivenza civile non valgono più. Nicole comprende questo al punto di accettare l’incarico di Kapo, le terribili sorveglianti, aguzzine delle loro stesse compagne. Il degrado morale oltre che fisico a cui la ragazza si abbandona verrà riabilitato in uno straziante finale nel quale la giovane troverà la forza di un estremo sacrificio nell’amore verso Sasha (Laurent Terzieff), un giovane soldato russo prigioniero nel campo.
Kapo è un film del 1959 diretto mirabilmente da Gillo Pontecorvo che qui si presentava con il suo secondo lungometraggio in carriera. Sceneggiato insieme all’amico Franco Solinas, il regista prese lo spunto per raccontare questa storia dalla lettura di Se questo è un uomo di Primo Levi. Infatti il tema dominante del film è proprio quell’assuefazione all’orrore di cui lo scrittore piemontese parla e descrive nel suo celeberrimo libro.
Pontecorvo narra la storia della giovane Nicole come fosse una sorta di parabola, in cui la giovane ed innocente fanciulla buona e generosa tanto da cedere il suo misero rancio alle compagne più anziane, cede alla paura e all’orrore dilagante corrompendo la propria anima e perdendo ogni rimasuglio di umanità. Una degradazione morale che inizia rubando una semplice patata ad una compagna e che continua gradualmente sino ad accettare l’incarico più infame, quello di Kapò, le temute e ignobili sorveglianti del campo.
Il regista pisano ci racconta questa storia con il suo abituale tratto documentaristico, fedele strumento per fare quel cinema-verità a cui rimarrà legato per tutta la sua carriera. Come lui stesso racconta, per raggiungere un livello di realismo simile a quello dei cine-giornali del tempo, venne usata una particolarissima tecnica conosciuta come “fotografia controtipata” adatta a rendere un’immagine più granulosa ed un effetto meno cinematografico.
Nel cast artistico spiccano le interpretazioni di Didi Perego ed Emanuelle Riva, quest’ultima reduce dal successo di Hiroshima mon amour, così come di Laurent Terzieff nel ruolo del protagonista maschile Sasha, colui che ridarà amore e dignità a Nicole. Susan Strasberg, figlia di Lee Strasberg fondatore dell’Actor Studio, fu invece una scelta difficile per Pontecorvo e anche sul set non mancarono momenti di difficoltà legati ad una capacità interpretativa non sempre naturale e immediata. Il risultato è comunque notevole in quanto la giovane Susan riesce a trasmettere quel senso di innocente candore che progressivamente lascia il posto all’insensibilità e al maligno opportunismo necessario per sopravvivere nel campo.
Da buon compositore mancato (i genitori non gli fecero concludere gli studi al conservatorio) Gillo Pontecorvo riserba un ruolo fondamentale alla musica che scandisce la varie sequenze narrative in modo estremamente efficacie, accompagnando con note prima dolci e melanconiche e poi grevi e drammatiche la degradazione morale della protagonista.
Convintosi solo dopo lunghe discussioni con il suo co-sceneggiatore, Pontecorvo introduce nell’ultima parte del film la storia d’amore tra Nicole ed il bel soldato russo Sasha, una scelta narrativa inizialmente osteggiata dal regista poco propenso a mescolare l’amore tra due giovani nel contesto drammatico del film.
L’amore per il prigioniero russo sarà la leva per riabilitarsi come essere umano in quanto grazie e per lui Nicole deciderà di sacrificarsi ed aiutare così la fuga dal campo. Pontecorvo avrebbe preferito un altro finale, con la protagonista ancora viva e “sola” in mezzo alle compagne festanti per la liberazione, accentuandone così l’alienazione morale.
Forse convinto da una produzione più orientata ad un finale più spettacolare e ad effetto, il regista ha in fine optato per la morte di Nicole e l’intima disperazione di Sasha che dimentica il successo di tutti e soffre per la donna amata.
Ma è evidente che la relazione tra i due giovani sia estremamente marginale nel contesto di un film che ha ben altri scopi e finalità; una delle più fedeli e crude testimonianze cinematografiche riguardo il tema dell’Olocausto, in cui Gillo Pontecorvo tocca uno dei punti più alti, se non il più alto, della sua importante carriera. Un realismo forte e non sempre compreso dalla critica del tempo, il critico e regista francese Jacques Rivette definì “un’abiezione” la carrellata in avanti sul cadavere imprigionato nei fili dell’alta tensione, ma che in realtà rimane ad oggi uno delle migliori testimonianze su un tema tanto battuto ma sempre attuale come quello dell’Olocausto.
Un film da vedere e rivedere periodicamente per non dimenticare l’orrore a cui la follia dell’uomo può portare, per mantenere vigile l’attenzione verso ogni rigurgito di odio e intolleranza.
Captain America 2 in rampa di lancio
In attesa di ammirare The Avengers, la ‘madre di tutti i film sui supereroi’ (almeno quelli della Marvel), giungono notizie su ciò che, successivamente, aspetterà i patiti del genere : mentre dei secondi capitoli delle serie di Thor e Wolverine già si sa molto, arrivano novità sul fronte del nuovo film su Capitan America, le cui riprese portebbero cominciare entro l’anno, una volta terminato Thor 2.
La conferma è venuta da Neal McDonough, inteprete del ruolo di Dum Dugan nel primo capitolo, che farà parte anche del secondo. Novità anche per quanto riguarda il film su Nick Fury, del quale in realtà si parla già da tempo: lo stesso McDonough, dovrebbe essere presente anche in questo lavoro (il personaggio di Dugan nei fumetti della Marvel è infatti il maggior ‘sodale’ d Fury), che ha affermato che il film potrebbe essere ambientato negli anni ’70. Fury sarà naturalmente interpretato da Samuel L.Jackson.
Fonte: Empire
Hugo Cabret: recensione del film di Martin Scorsese
Arriva finalmente al cinema distribuito da 01 Distribution Hugo Cabret, il nuovo film di Martin Scorsese con protagonisti Asa Butterfield, Ben Kingsley, Chloë Grace Moretz, Sacha Baron Cohen, Ray Winstone, Emily Mortimer e Christopher Lee.
Un paio d’anni fa cominciò a serpeggiare la voce che Martin Scorsese si sarebbe cimentato con il 3D in un fantasy ambientato nella Parigi degli anni ’30. Tutti abbiamo aspettato con ansia questa rivelazione, questo inedito rapporto tra un regista come Scorsese e un tecnologia e un genere che mai aveva affrontato prima, e finalmente possiamo vederne il risultato. Con Hugo Cabret ognuno ritroverà l’incredibile dolcezza e la vibrante passione di un ragazzino che insegue un sogno, ancorato all’unico oggetto che gli resta di un padre prematuramente morto.
La trama di Hugo Cabret
In Hugo Cabret, Hugo (Asa Butterfield) è un orfano che nella stazione ferroviaria di Parigi regola gli orologi, al posto di uno zio ubriacone e sempre in giro a far chissà cosa. Un giorno però incontra Isabelle (Chloë Grace Moretz) e con lei, a poco a poco scoprirà un mondo di sogni lì dove non avrebbe mai sospettato ci fosse qualcosa di così meraviglioso da scoprire.

Hugo Cabret è l’amore per il cinema di Martin Scorsese
Scorsese parte dal romanzo bestseller The Invention of Hugo Cabret e ci racconta la storia di un amore verso il cinema, verso l’illusione, verso l’infinita capacità che questo mezzo ha di raccontarci i nostri sogni. Lo fa attraverso gli occhi meravigliati di Hugo, che per una serie di fortunate coincidenze si trova in casa del grande George Méliès (interpretato da Ben Kingsley), primo grande poeta dell’immaginario umano al cinema. Scorsese ci racconta il suo amore verso questo cinema, così grande e profondo da ritagliarsi addirittura un cameo nel film.
L’idea del romanzo, che Scorsese riesce appieno a centrare è quella di rileggere la storia con il genuino senso di ri-scoperta che si cela negli occhi dei ragazzi, anche di quelli, come Hugo e Isabelle, che nella loro giovane vita hanno sofferto la solitudine. Per Hugo il cinema è un luogo di compagnia, di dolce malinconia e di rifugio poiché nella sala buia e nelle immagini in movimento risiede il vivido ricordo di un padre che gli ha lasciato molto più di quello che il ragazzo pensa. Una mente ingegnosa, il desiderio di scoperta, la furbizia nell’ingenuità dell’infanzia, fanno di Hugo un protagonista perfetto per una qualsiasi avventura per ragazzi.

Martin Scorsese padroneggia egregiamente il 3D
Da un punto di vista tecnico, Scorsese passa l’esame con il 3D a pieni voti, realizzando dei piccoli piani sequenza in cui la stereoscopia è perfettamente sincronizzata con il movimento di macchina aiutando lo spettatore ad essere coinvolto nella storia. E qui Scorsese si conferma il grande regista che è, mettendo al suo servizio la tecnica, il tutto per realizzare un racconto favoloso, che forse pecca di lentezza nella parte iniziale, ma che ci regala un vero e proprio viaggio nel cinema che fu.
Qualcuno potrebbe dire che nel film c’è poco del regista newyorkese, tuttavia Hugo Cabret è a tutti gli effetti una dichiarazione d’amore verso il cinema, verso l’attrazione e verso la meraviglia, concetti più autoreferenziali che legati alla filmografia precedente del regista. Il film si sostiene anche su di una scenografia luminosa, opera di Dante Ferretti, e su una colonna sonora del grande Howard Shore.
Interpreti del film sono anche Sacha Baron Cohen nel divertente ruolo del Capostazione, Helen McCrory nei panni di Jeanne, moglie e musa di Méliès, e in piccoli ruoli Jude Law, Emily Mortimer, Johnny Depp (che compare anche in veste di produttore), Michael Pitt, Richard Griffiths e France de la Tour.
I Monty Python ritornano 30 anni dopo
Sembra che Terry Gilliam voglia rimettere insieme la band, o meglio il gruppo. Proprio così, i Monty Python potrebbero tornare a distanza di circa 30 anni del loro ultimo lavoro insieme,
Oscar Backstage: ecco il video
John Hurt riceverà il Premio BAFTA alla carriera!
Molti lo ricorderanno sempre nel ruolo di Olivander nella saga di Harry Potter, ma la sua lunga carriera è costellata di ruoli indimenticabili e interpretazioni straordinarie: John Hurt, grande attore britannico visto recentemente ne “la Talpa” di Tomas Alfredson, riceverà il premio BAFTA alla carriera “per l’Eccellente Contributo Britannico al Cinema.”
Tim Corrie, presidente dei BAFTA, ha dichiarato entusiasta: “John Hurt è un attore che emoziona e affascina. Ha una straordinaria presenza scenica e conferisce credibilità a ogni ruolo che interpreta. E’ unico nel suo genere, una figura iconica, e la giuria dei BAFTA è felicissima di cogliere l’occasione per onorare il suo eccellente contributo al cinema“.
Hurt ha invece risposto all’annuncio con toni diversi: “Il Cinema conta molto per me ma non avevo la minima idea che contassi qualcosa per il cinema. Sono davvero onorato“.
I BAFTA Awards sono uno dei riconoscimenti più prestigiosi del cinema britannico, non a caso spesso paragonati ai premi dell’Academy: un onore più che meritato per il grande John Hurt.
Sarah Jessica Parker sostituisce Demi Moore in Lovelace!
Sarà la stella di Sex and the City Sarah Jessica Parker a interpretare l’icona femminista Gloria Steinem in Lovelace, biopic dedicato alla vita della porno diva Linda Lovelace. La parte, che era stata assegnata a Demi Moore appena all’inizio di gennaio, era ritornata disponibile la scorsa settimana dopo l’abbandono improvviso dell’attrice, troppo provata dal recente divorzio dal marito Ashton Kutcher per concentrarsi sul progetto.
I registi Rob Epstein e Jeffrey Friedman hanno comunque assicurato che Demi Moore non aveva ancora girato alcuna scena sul set e che pertanto la sostituzione non comprometterà in alcun modo il progresso del film. La parte di Linda Lovelace sarà interpretata da Amanda Seyfried, mentre probabilmente sarà James Franco ad interpretare il fondatore di playboy Hugh Hefner.
fonte: imdb
Ecco le nomination ai César 2012
Sono state annunciate le nomination ai César 2012, i cosiddetti Oscar fancesi. Dominano Polisse e The Artist.
Oggi sono state rivelate le
nomination alla 37esima edizione dei César, i premi più prestigiosi
del cinema francese.
I film più nominati sono The Artist (10) e
Polisse (12), che vedremo in Italia dal 3 febbraio.
Importanti nomine anche per Quasi amici (in originale
Intouchables), lo straordinario campione di incassi
oltralpe che arriverà da noi il 24 febbraio.
In occasione delle premiazioni, che avranno luogo al Teatro Chatelet di Parigi il 24 febbraio, Kate Winslet riceverà il César alla Carriera da Roman Polanski, che l’ha diretta in Carnage. Verrà inoltre reso omaggio all’attrice Annie Girardot, scomparsa lo scorso anno.
Ecco le nomination:
MIGLIOR FILM
Denis Freyd e Pierre Schöller per L’exercice de
l’État
Edouard Weil e Valérie Donzelli per Dichiarazione di
guerra
Fabienne Vonier e Aki Kaurismäki per Miracolo a Le
Havre
Nicolas Duval-Adassovsky, Yann Zenou, Laurent Zeitoun, Éric
Toledano e Olivier Nakache per Quasi amici
Michel Seydoux e Alain Cavalier per Pater
Alain Attal e Maïwenn per Polisse
Thomas Langmann e Michel Hazanavicius per The
Artist
MIGLIOR ATTORE
Sami Bouajila per Omar Killed Me
François Cluzet per Quasi amici
Jean Dujardin per The Artist
Olivier Gourmet per L’exercice de l’État
Denis Podalydès per La conquête
Omar Sy per Quasi amici
Philippe Torreton per Présumé coupable
MIGLIOR ATTRICE
Ariane Ascaride per Le nevi del Kilimangiaro
Bérénice Bejo per The Artist
Leïla Bekhti per La source des femmes
Valérie Donzelli per Dichiarazione di guerra
Marina Foïs per Polisse
Marie Gillain per Toutes nos envies
Karin Viard per Polisse
MIGLIOR REGIA
Alain Cavalier per Pater
Valérie Donzelli per Dichiarazione di guerra
Michel Hazanavicius per The Artist
Aki Kaurismäki per Miracolo a Le Havre
Maïwenn per Polisse
Pierre Schöller per L’exercice de l’État
Éric Toledano e Olivier Nakache per Quasi amici
MIGLIOR ATTORE NON PROTAGONISTA
Michel Blanc per L’exercice de l’État
Nicolas Duvauchelle per Polisse
Joey Starr per Polisse
Bernard Le Coq per La conquête
Frédéric Pierrot per Polisse
MIGLIOR ATTRICE NON PROTAGONISTA
Zabou Breitman per L’exercice de l’État
Anne Le Ny per Quasi amici
Noémie Lvovsky per L’apollonide (Souvenirs de la maison
close)
Carmen Maura per Le donne del 6° piano
Karole Rocher per Polisse
MIGLIOR ATTORE ESORDIENTE
Nicolas Bridet per Tu seras mon fils
Grégory Gadebois per Angele et Tony
Guillaume Gouix per Jimmy Rivière
Pierre Niney per J’aime regarder les filles
Dimitri Storoge per Les Lyonnais
MIGLIOR ATTRICE ESORDIENTE
Naidra Ayadi per Polisse
Adele Haenel per L’apollonide (Souvenirs de la maison
close)
Clotilde Hesme per Angele et Tony
Céline Sallette per L’apollonide (Souvenirs de la maison
close)
Christa Theret per La brindille
MIGLIOR OPERA PRIMA
Delphine Coulin e Muriel Coulin per 17 ragazze
Alix Delaporte per Angele et Tony
Sylvain Estibal per When Pigs Have Wings
David Foenkinos e Stéphane Foenkinos per La
Delicatesse
Eva Ionesco per My Little Princess
MIGLIOR SCENEGGIATURA ORIGINALE
Valérie Donzelli e Jérémie Elkaïm per Dichiarazione di
guerra
Michel Hazanavicius per The Artist
Maïwenn e Emmanuelle Bercot per Polisse
Pierre Schöller per L’exercice de l’État
Éric Toledano e Olivier Nakache per Quasi amici
MIGLIOR ADATTAMENTO
David Foenkinos per La Delicatesse
Vincent Garenq per Présumé coupable
Olivier Gorce, Roschdy Zem, Rachid Bouchareb e Olivier
Lorelle per Omar Killed Me
Benoît Jaubert, Pierre Geller e Mathieu Kassovitz per
L’ordre et la morale
Yasmina Reza e Roman Polanski per Carnage
MIGLIORE COLONNA SONORA
Alex Beaupain per Les bien-aimés
Bertrand Bonello per L’apollonide (Souvenirs de la maison
close)
Ludovic Bource per The Artist
Mathieu Chedid per Un monstre à Paris
Philippe Schoeller per L’exercice de l’État
MIGLIORE FOTOGRAFIA
Pierre Aïm per Polisse
Josée Deshaies per L’apollonide (Souvenirs de la maison
close)
Julien Hirsch per L’exercice de l’État
Guillaume Schiffman per The Artist
Mathieu Vadepied per Quasi amici
MIGLIORE SCENOGRAFIA
Laurence Bennett per The Artist
Alain Guffroy per L’apollonide (Souvenirs de la maison
close)
Pierre-François Limbosch per Le donne del 6°
piano
Jean-Marc Tran Tan Ba per L’exercice de l’État
Wouter Zoon per Miracolo a Le Havre
MIGLIOR SUONO
Pascal Armant, Jean-Paul Hurier e Jean Goudier per Quasi
amici
Jean-Pierre Duret, Nicolas Moreau e Jean-Pierre Laforce
per L’apollonide (Souvenirs de la maison close)
Olivier Hespel, Julie Brenta e Jean-Pierre Laforce per
L’exercice de l’État
Nicolas Provost, Rym Debbarh-Mounir e Emmanuel Croset per
Polisse
André Rigaut, Laurent Gabiot e Sébastien Savine per
Dichiarazione di guerra
MIGLIORI COSTUMI
Catherine Baba per My Little Princess
Mark Bridges per The Artist
Christian Gasc per Le donne del 6° piano
Viorica Petrovici per La source des femmes
Anaïs Romand per L’apollonide (Souvenirs de la maison
close)
MIGLIOR MONTAGGIO
Anne-Sophie Bion e Michel Hazanavicius per The
Artist
Laurence Briaud per L’exercice de l’État
Pauline Gaillard per Dichiarazione di guerra
Laure Gardette e Yann Dedet per Polisse
Dorian Rigal-Ansous per Quasi amici
MIGLIOR DOCUMENTARIO
Daniel Leconte per Le bal des menteurs
Frederick Wiseman per Crazy Horse
Yasmina Adi per Ici on noie les Algériens
Michael Radford per Michel Petrucciani – Body &
Soul
Christian Rouaud per Tous Au Larzac
MIGLIOR FILM STRANIERO
Darren Aronofsky per Il cigno nero
Tom Hooper per Il discorso del re
Nicolas Winding Refn per Drive
Jean-Pierre Dardenne e Luc Dardenne per Il ragazzo con la
bicicletta
Denis Villeneuve per La donna che canta
Lars von Trier per Melancholia
Asghar Farhadi per Una separazione
MIGLIOR FILM DI ANIMAZIONE
Joann Sfar e Antoine Delesvaux per Le chat du
rabbin
Nicolas Brault per Le cirque
Benjamin Renner per La queue de la souris
Jean-François Laguionie per Le tableau
Bibo Bergeron per Un monstre à Paris
E’ morta la costumista Eiko Ishioka
Nicolas Cage vuole il seguito del ‘Prescelto’
Ospite del popolare magazine cinematografico Empire, l’attore di Long Beach ha parlato dei suoi impegni a breve e medio- lungo termine, a cominciare dall’imminente Spirit of Vengeance, che sancirà il ritorno sugli schermi di Ghost Rider, il demone motorizzato creato dalla Marvel Comics. Nel corso dell’intervista, Nicolas Cage ha affermato di essere favorevole a un eventuale sequel di The Wicker Man (uscito in Italia col titolo de Il Prescelto); in particolare, Cage ha affermato che vorrebbe essere diretto da Hideo Nakata, regista di The Ring. Cage ha inoltre rivelato di aver rifiutato ruoli in due dei maggiori blockbuster dell’ultimo decennio, Il Signore degli Anelli e Matrix, a causa dei set che l’avrebbero costretto a passare periodi troppo lunghi lontano dalla propria famiglia.
Fonte: Empire
Paul Giamatti nel Romeo e Giulietta di Carlo Carlei
Paul Giamatti,
recentemente visto ne Le Idi di Marzo diretto da Clooney, sarà
Frate Lorenzo nell’adattamento di Romeo e Giulietta realizzato da
Carlo Carlei, come sappiamo interpretato da Hailee Steinfeld e
Douglas Booth nei ruoli principali.
Steven Spielberg e Warner Bros lavorano ad un Kolossal su Mose’
Per Deadline la Warner e Bros
Steven
Spielberg sarebbero intenzionati a realizzare un kolossal
intitolato Gods and Kings sulla figura e sulla storia di Mose’.
Più come un artista: recensione del film di Elisabetta Pandimiglio
“La cucina è come la vita: un continuo proporsi”. Parola di Gennaro Esposito, cuoco provetto nonché proprietario del ristorante “La Torre del Saracino”, protagonista, insieme al suo gruppo di lavoro, del documentario firmato da Elisabetta Pandimiglio e prodotto dalla coppia Ledda – Arcopinto: Più come un artista.
Più come un artista e il dietro le quinte di una cucina
Già presentato al Festival di Venezia alle Giornate degli autori, Più come un artista è stato proiettato ieri alla Casa del Cinema di Villa Borghese. L’opera nasce dalla volontà di riprendere il dietro le quinte di un ristorante pluristellato, portando con sé un’analisi attenta e mai superficiale delle tensioni, degli odi e degli amori che nascono all’interno del microcosmo di una cucina d’alto livello. Un compito che si è rivelato più facile del previsto, dato che, come afferma la regista.
Ed è stato proprio il protagonista a fornire alla Pandimiglio la chiave attraverso cui plasmare ciò che si presentava come un materiale immenso: l’idea della totale coincidenza di vita privata e lavoro, la consapevolezza del lavoro come forma di riscatto e trampolino di lancio verso una nuova esistenza. Un mestiere che Gennaro intraprese all’età di 9 anni nella pasticceria dello zio – quasi un gioco, culminato anni più tardi nella creazione di quella che la regista non ha esitato a definire “una bottega rinascimentale”, in cui il capo chef “mette a disposizione la propria esperienza agli allievi che apprendono”.

La cucina come un microcosmo
Per comprendere i ritmi e la vita quotidiana della ciurma di cuochi capitanata da Gennaro, la Pandimiglio ha dovuto svolgere un vero e proprio “lavoro d’immersione”, stando con loro e seguendone le vicende, culinarie e non, da mattina a sera. Un’esperienza totalizzante , e insieme una lente d’ingrandimento sugli aspetti più umani del colorito gruppo, che è riuscita a catturare “quei tempi morti della cucina, in cui i personaggi pensano ad altro”. Curioso, le musiche sono del tutto assenti, fatta eccezione per le ultimissime inquadrature. Una scelta che l’autrice spiega parlando della cucina come di “un luogo molto interessante anche dal punto di vista sonoro… Questo documentario è già abbastanza pieno, e la musica sarebbe stata solo un di più”.
Tra i futuri progetti della regista, accanto ad un film in preparazione dal titolo provvisorio Cattive, è ancora in piedi l’idea di un documentario su un gruppo di cuochi che lavorano in carcere. Con la speranza che, qualora venga realizzato, sappia restituire la verità e la semplicità riscontrate in Più come un artista.
L’altra faccia del diavolo – Full Trailer Italiano
L’altra faccia del diavolo (The Devil Inside) è un film del 2012 diretto
da William
Brent Belle girato in stile falso documentario.
Ulteriori info nella nostra scheda film: L’altra faccia del diavolo
La Grande Guerra secondo Steven Spielberg: arriva War Horse, storia d’amore e amicizia
Inghilterra, 1912: Ted Narracott vive con la moglie Rose e il figlio Albert in un piccolo podere nel Devon: in bassa fortuna, l’uomo acquista all’asta per 30 sterline un bellissimo cavallo, dal manto rosso e con una croce bianca sul muso; rimproverato dalla moglie che sperava in qualcosa di meglio per risollevare le sorti della fattoria, Ted decide egualmente di tenere il cavallo su insistenza del giovane figlio Albert, che inizia subito a nutrire per Joey(questo il nome scelto per l’animale) un sentimento di affetto profondo. La necessità economica alla fine però avrà la meglio: pressato dai debiti Ted sarà costretto a vendere Joey all’esercito inglese, pronto a scendere in campo per combattere nel Primo Conflitto Mondiale; il cavallo passerà così di mano in mano, attraversando ogni schieramento e legando a sé il destino di molti nell’attesa di ricongiungersi col suo padrone, che nel frattempo partirà volontario nella speranza di ritrovarlo e di riportarlo a casa.
Steven Spielberg sfida Steven Spielberg: a brevissima distanza da “le avventure di Tintin: il segreto dell’Unicorno”, splendido omaggio al grande cinema d’avventura e spettacolare rievocazione del celebre fumetto europeo, il regista si mette alla prova ancora una volta con “War Horse”, tratto dal romanzo per ragazzi di Michael Morpurgo e già piéce teatrale di successo al National Theatre di Londra.
Ambientato durante la Grande Guerra, War Horse racconta dunque un periodo storico che raramente ha trovato il suo posto sul grande schermo, riflesso di un mondo destinato a svanire dove i cavalli erano ancora parte integrante della vita dell’uomo ed essenziali in battaglia, prima che i motori cambiassero per sempre non solo la quotidianità ma anche il modo di concepire le strategie militari;un’opera ambiziosa, dotata di uno scenario che Spielberg promette di dipingere con l’epica e la poesia dei suoi più grandi classici ma che, avverte lui stesso, considerare un film bellico sarebbe un errore: “Questo è un film d’amore, non di guerra. Non è un altro Salvate il soldato Ryan, ma una storia incentrata sui legami affettivi”.
Raccontare un conflitto senza mostrarne la crudeltà e il sangue al fine di renderlo fruibile per un pubblico eterogeneo era effettivamente una vera sfida:”Ho girato in modo che non sia ‘Rated R’ -sottolinea Spielberg- cioe’ vietato ai minori di 17 anni se non accompagnati da adulti, come ad esempio ‘Salvate il soldato Ryan’, perche’ lo considero un film per famiglie. La guerra e’ solo lo sfondo della storia, e offre lo spunto drammatico per collegare i personaggi di questa avventura”. L’impresa è stata però senza dubbio favorita dalla scelta, fedele al libro ma non al lavoro teatrale, di raccontare la guerra attraverso gli occhi di Joey(interpretato nel film da ben 14 esemplari diversi), cavallo sfortunato chiamato a combattere dietro ogni trincea, accompagnato da diversi padroni tutti destinati a scivolare via come gocce nel mare di un conflitto troppo grande e immenso, fino a ritrovarsi a correre disperatamente e senza più una guida nella Terra di nessuno.
Fra gli splendidi paesaggi della campagna del Devon(“Mai prima d’ora,-ha detto il regista- nella mia lunga ed eclettica carriera, mi ero trovato di fonte a così tanta bellezza naturale come in questo film”) e il campo di battaglia della Somme, a sostenere la pellicola è soprattutto un cast corale e in gran parte britannico, che conta fra i tanti padroni di Joey David Kross(the reader), nei panni di un soldato tedesco che per sfuggire all’orrore sceglie la diserzione, e le nuove promesse Tom Hiddleston(Thor, Midnight in Paris) e Benedict Cumberbatch(Espiazione, la Talpa) nei panni di due prodi e determinati ufficiali di cavalleria; senza dimenticare ovviamente la famiglia Narracott, con Peter Mullan nel ruolo di Ted, Emily Watson in quello della madre Rose e l’esordiente Jeremy Irvine(che presto vedremo anche nel nuovo grandi speranze di Mike Newell), scelto dal regista per le sue “qualità ineffabili, che l’hanno subito reso diverso dagli altri, per la sua autenticità di fronte alla telecamera”, nel ruolo di Albert.
La corsa di War Horse, già iniziata negli States nel periodo di Natale e finalmente pronta a proseguire anche nelle sale italiane dal 17 febbraio, potrebbe non fermarsi ai semplici incassi: il film è stato infatti candidato a ben 6 Premi Oscar fra cui miglior film, miglior fotografia per Janusz Kaminski, e miglior colonna sonora originale, ancora una volta firmata dal grandissimo John Williams, per il quale il regista non si è risparmiato in parole di elogi e gratitudine: “L’anno prossimo sarà il quarantesimo anno che collaboriamo insieme con una sorta di esclusiva. […] Adoro qualsiasi cosa abbia scritto, ma alcune bozze che mi propone suonandole al piano hanno un profondo impatto su di me. I temi di Schindler’s List hanno letteralmente devastato me e mia moglie. E anche quello che fece con E.T. mi lasciò senza fiato. E con War Horse, mi ha suonato tre temi ed ero in lacrime.”
Attendiamo con ansia allora di poter finalmente cavalcare insieme a Joey, consapevoli che Il 17 febbraio non arriverà mai troppo presto.
Molto Forte e Incredibilmente Vicino: prossimamente al cinema
Un famoso detto
afferma: “tre indizi fanno una prova”; qui più che indizi abbiamo
tre nomi: Stephen Daldry, Johnatan Safran Foer ed Eric Roth.
Il primo è uno straordinario regista britannico che dal 2000 ad
oggi ha collezionato tre candidature agli Oscar per Billy Elliot
(2000), The Hours (2002) e The reader – A voce alta (2008);
Polisse: conferenza stampa
Maiwenne Le
Besco
D.: Polisse è un film che riesce a dare la sensazione di
essere una presa diretta sulla realtà. C’è un motivo particolare
per cui ha scelto di dare al film un taglio documentaristico
selezionando, poi, i casi da portare sulla pellicola?
R.: Molto probabilmente riesce a dare la sensazione della realtà
perché è girato bene e la percezione di veridicità che si prova nel
guardarlo è dovuta proprio al modo in cui è stata effettuata
la selezione dei casi trattati nel film, dettata non tanto
dall’elemento della straordinarietà che, inevitabilmente, avrebbe
fatto dei poliziotti francesi degli eroi, ma piuttosto in
base alla capacità delle storie di essere molto vicine alla realtà.
Quello che ho cercato di fare con Polisse è stato fare mia la
realtà che mi circonda. E ogni volta che la realtà viene riportata
in un film questa assume sempre una connotazione differente a
seconda di chi è a raccontarla. Ad esempio i personaggi del film
non sono inventati ma sono persone il cui modo di essere è stato
messo in scena direttamente da me e l’elemento del suicidio ne è
una prova visto che proprio una poliziotta ha tentato di
suicidarsi.
D.: Ha lavorato a contatto con la polizia francese? E se si
come è stato valutato il suo operato da chi quotidianamente svolge
questo lavoro e quali difficoltà ha incontrato?
R.: Non ho avuto la possibilità di lavorare con loro perche i loro
capi non hanno voluto. Poi però alla proiezione si sono sentiti a
disagio perché il film effettivamente meritava e si sono resi conto
di aver perso un’opportunità. Quando si dirige un film non si ha la
possibilità di raccontare tutto, quello in cui mi sono impegnata è
stato cercare di fare un film che lasciasse libero lo spettatore di
riflettere senza essere pro o anti polizia.
Nel mio mondo, quello della “sinistra al caviale”, purtroppo quando
si parla di polizia si reagisce sempre in maniera negativa. Quando
mi sono resa conto che avrei potuto individuare degli elementi
positivi e quindi metterli in scena sono stata criticata, in
particolar modo, da quella sinistra di cui mi sento parte.
A tal proposito vi racconto un aneddoto. Un giorno con la mia
macchina ho imboccato una strada preferenziale e, giustamente, i
poliziotti mi hanno fermata. Quando ho aperto la portiera si sono
resi conto chi ero e mi hanno ringraziata per come sono riuscita a
portare sulla scena il loro lavoro.
Quello che effettivamente conta per me nella vita non è essere
compiacente con tutti, ma essere me stessa. Ho prodotto il mio
primo film da sola, l’ho girato da sola e sono fiera di essere
quello che sono.
Se mi rendo conto che c’è un poliziotto che fa bene il suo lavoro,
penso anche che valga la pena raccontarlo. Sono di sinistra, è
vero,ma non voglio e non devo compiacere nessuno.
Questa è una delle caratteristiche della Francia: fai una cosa per
trovare giustizia e poi vieni accusato di tradimento.
A Cannes sono stata contenta di due cose. Prima di tutto che una
rivista di sinistra mi abbia messo in copertina e abbia definito
Polisse: “un film che colpisce lo stomaco”. Seconda cosa quando il
Direttore del Festival
di Cannes mi disse che la decisione di eliminare alcuni
personaggi francesi dalla giuria avrebbe portato alla vittoria di
qualche film francese.
D.: Ha scelto Riccardo Scamarcio perché era intenzionata a
trovare un attore straniero o ci sono altre
motivazioni?
R.: Sinceramente a me non interessava riuscire a trovare un
attore straniero, quello che maggiormente volevo era un attore
carismatico. Alle origini del film il ruolo interpretato da
Riccardo rientrava a far parte di un triangolo amoroso: me, lui e
il poliziotto. Inizialmente avevo elaborato quest’idea di creare
conflittualità sia tra i due personaggi sia tra i due mondi che
essi stessi rappresentano: da una parte la facilità della vita
borghese e dall’altra la realtà povera del poliziotto. Poi mi sono
resa conto che creare una storia parallela a quella raccontata nel
film non funzionava. E il motivo principale per cui ho scelto
Riccardo è perché le sue peculiarità caratteriali si sarebbero
integrate perfettamente in questo contesto e soprattutto lo avrebbe
avvantaggiato il suo modo di essere un po’ chiuso nei
sentimenti. Mentre per quanto riguarda la lingua inizialmente ho
pensato che avrebbe potuto rappresentare un ostacolo poi invece
sono arrivata alla conclusione che avrebbe potuto aiutare a
renderlo un personaggio diverso dal contesto raccontato e che in un
certo senso mi avrebbe aiutato a riconciliarmi con le mie origini
maghrebine.
Forse in futuro girerò Polisse 2 con Riccardo come attore
principale!
D.: Il film è semplicemente straordinario. Cos’ha però di
autobiografico?
R.: La domanda e la risposta, in questo caso, rischiano di essere
uguali per tutti i registi. Ad ogni modo in ogni film c’è una parte
dell’inconscio che viene fuori e che ti porta a realizzare
determinate cose.
Io credo che qualsiasi artista quando produce una sua opera che sia
un quadro, una canzone o altro, racconta sempre qualcosa di sé, la
sua identità che poi è il passato.
Per me, ogni cosa che faccio, è autobiografica. L’abilità è nel
saperla nascondere. Molto probabilmente io non sono molto brava in
questo. Alcune volte però si tratta di antibiografia cioè
raccontare quello che si vorrebbe essere. Nei miei film, ad
esempio, è sempre molto presente l’aspetto della genitorialità, del
come si fa ad essere genitori o come si fa ad essere figli. Per
esempio nel mio ultimo film si percepisce la mancanza d’amore che
caratterizza il periodo dell’infanzia.
Se non ricordo male era Troufau a dire che si fa sempre lo stesso
film per tutta la vita e ci sono due frasi che caratterizzano la
mia esperienza: la prima me la disse un ragazzo quando avevo 11
anni: “Sai non ci sono regole per saper scrivere, si scrive come si
pensa.” La seconda è la seguente:” Tutti si possono identificare in
storie autobiografiche e in ogni storia autobiografica c’è qualcosa
di intimo”.
Riccardo Scamarcio
D.: Questa volta, al contrario di quello che succede
normalmente, hai recitato per un ruolo non da protagonista. Ti ha
fatto piacere?
R.: Avevo avuto modo di vedere il primo film di Maiwenne e la
conoscevo. Conoscevo il suo lavoro e il suo modo di lavorare e di
mettere in scena. Sostanzialmente ero curioso di lavorare con lei
che ha comunque un modo particolare di produrre film. Questo mi ha
spinto ad accettare questa parte che, sicuramente, in origine,
aveva un’importanza diversa da quella che ha avuto poi alla fine,
ma questo sinceramente non è rilevante perché la mia è stata
sostanzialmente una sfida, un mettersi in gioco nel recitare in
francese e nell’andare a lavorare in un altro Paese. La cosa che mi
ha spinto maggiormente è che Maiwenne quando gira un film parte dal
copione ma poi lascia ampio spazio all’improvvisazione. E questo,
per una persona che conosce il francese ma non lo parla come un
madrelingua è una grande sfida!
E poi Polisse è un film importante che parla di un argomento
altrettanto importante quale quello della pedofilia e ne parla in
maniera così differente dalla normalità che alla fine del film ho
provato un sentimento di tenerezza sia nei confronti dei bambini
che degli adulti.
D.: Secondo quanto detto prima il tuo ruolo avrebbe dovuto
essere molto più importante. Cosa hai provato quando hai visto le
tue scene ridotte?
R.: Mi è dispiaciuto perchè alla fine avevo fatto un gran lavoro in
10 giorni ma, allo stesso tempo, sono contento di essere in questo
film, anche con una piccola parte. Questo perché Polisse mi ha
trasmesso delle sensazioni e delle emozioni particolari: provare
tenerezza per un bambino è insito nella natura umana ma provare
quello stesso tipo di tenerezza anche per gli adulti non è cosa da
tutti i giorni.
Sono felice di averne preso parte perché è un film
intensamente vivo, che trasmette una grande vitalità e allo stesso
tempo una immensa tenerezza.
Inoltre guardandolo si riesce ad individuare quella sensazione
di malessere del vivere che, ormai, ci riguarda tutti, è un
film denso e non penso ce ne siano molti.
D.: Dato il tuo carattere pignolo com’è stata la tua prima
volta sotto la direzione di una donna e che hai provato a girare un
film in un paese straniero?
R.: Si effettivamente è la prima volta che recito in un film sotto
la direzione di una donna. E sinceramente ho accettato passivamente
tutto quello che Maiwenne mi ha chiesto. Per quanto riguarda,
invece, il mio essere pignolo non penso che i registi italiani
pensino questo di me o, perlomeno, nel set sono quello che tende a
risolvere i problemi poi al di fuori del set è tutta un’altra
cosa.
D.: Progetti Futuri?
R.: Tornerò a Roma a breve e comincerò il film con Valeria Golino,
al quale lavoro da ormai un anno, ovviamente come produttore. Il
titolo provvisorio è Vi perdono.
Il Paradiso Amaro di Payne
Le combinazioni vincenti non sono dettate dalla loro natura di affinità e questo Alexander Payne lo ha capito da sempre. La bellezza non è data dalla felicità, e forse la perfezione dei suoi film scaturisce da abbinamenti opposti e complementari: la spensieratezza della California con la consapevolezza amara vissuta da Paul Giamatti, e ancora l’esotismo delle Hawaii con il dramma di George Clooney.
I Muppet: recensione del film con Amy Adams
Dal ’76 all ’81 hanno imperversato nelle tv americane, si sono spostati poi in tutto il mondo e anche da noi in Italia, raccogliendo piccoli fan in tutto il mondo con il loro show che ha cambiato le regole dei programmi per bambini.Adesso arrivano al cinema in un lungometraggio che li riporterà alla ribalta. Sono I Muppet, i simpatici e colorati pupazzi, una via di mezzo tra marionette e burattini, che hanno imperversato in tv per molti anni, diventando protagonisti anche di una serie animata.
La trama di I Muppet
Sotto il Teatro dei Muppet è stato trovato del petrolio e perciò il petroliere Tex Richman (Chris Cooper) vuole raderlo al suolo per perforare ed estrarre l’oro nero. Walter (Jim Parsons) il più grande fan del mondo dei Muppet con suo fratello Gary (Jason Segel) e la fidanzata di quest’ultimo Mary (Amy Adams) vengono a conoscenza del piano di Tex Richman e, volendo fermarlo.
Decidono dunque di mettere in scena il Muppet Telethoon, con il quale vogliono raccogliere i dieci milioni di dollari necessari per salvare il teatro. Al fine di mettere in scena lo spettacolo Walter, Mary e Gary devono però aiutare Kermit a riunire i Muppets, che si sono separati e hanno preso tutti una strada diversa.
I Muppet si risolleva da metà film in poi
Il film, incredibilmente noioso per la prima parte, si apre a divertentissime gag verso la metà e soprattutto nel finale, quando i nostri eroi, finalmente riuniti rimettono insieme lo show dei Muppet. Ci sono tutti da Kermit la rana a Miss Piggy, da Animal e Gonzo e tutti sono esattamente gli stessi, solo con qualche anno in più.
La storia è banale e si riduce alla raccolta fondi per tenere in piedi gli studi e il teatro dei pupazzi e sembra assomigliare molto a quei film di fine anni ’30 in cui Mickey Rooney e Judy Garland mettevano in piedi uno show in un granaio. Tuttavia lo spirito con cui il film è stato girato è quello giustamente filologico che dei personaggi così amati meritano, avendo così la capacità di risvegliare in ogni fan ormai cresciuto, il divertimento, la meraviglia, la gioia di guardare ancora il Muppet show.

Tutti in fila per un cameo
Anche la metatestualità dello show originale è stata conservata in questo esperimento cinematografico, regalando ancora un altro elemento di valore al film. A testimonianza di quanto i Muppet fossero amati il film diventa poi una caccia al cameo, poiché disseminati per tutta la pellicola ci sono volti notissimi di cinema e tv che si prestano anche per un solo secondo a comparire accanto ai pupazzi, come se fossero le celebrità che un tempo andavano come special guest agli episodi dello show tv.
Accanto agli attori principali Jason Segel e Amy Adams che si cimentano in numerosi numeri musicali, scorgiamo qua e là il grande Mickey Rooney, Emily Blunt, Jim Parsons, Neil Patrick Harris, Zach Galifianakis e Jack Black nel ruolo di sé stesso. L’operazione nostalgica si può definire decisamente riuscita e chissà che i bambini di oggi non comincino ad affezionarsi ai Muppet di ieri. Se così non dovesse essere, poco male, c’è un pubblico di 40enni che è già in fila fuori dai cinema in attesa del 3 febbraio.
Paradiso Amaro: George Clooney e Alexander Payne al confronto sul Cinema!
Arrivano due
interessanti featurette che vede protagonisti George Clooney e
Alexander Payne, attore e regista di Paradiso Amaro, entrambi candidati all’Oscar
per il film. I due deliziano il pubblico in una conversazione su
registi della storia del cinema che hanno iniziamo con commedie per
arrivare a film drammatici.