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I Muppet: recensione del film con Amy Adams

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I Muppet: recensione del film con Amy Adams

Dal ’76 all ’81 hanno imperversato nelle tv americane, si sono spostati poi in tutto il mondo e anche da noi in Italia, raccogliendo piccoli fan in tutto il mondo con il loro show che ha cambiato le regole dei programmi per bambini.Adesso arrivano al cinema in un lungometraggio che li riporterà alla ribalta. Sono I Muppet, i simpatici e colorati pupazzi, una via di mezzo tra marionette e burattini, che hanno imperversato in tv per molti anni, diventando protagonisti anche di una serie animata.

La trama di I Muppet

Sotto il Teatro dei Muppet è stato trovato del petrolio e perciò il petroliere Tex Richman (Chris Cooper) vuole raderlo al suolo per perforare ed estrarre l’oro nero. Walter (Jim Parsons) il più grande fan del mondo dei Muppet con suo fratello Gary (Jason Segel) e la fidanzata di quest’ultimo Mary (Amy Adams) vengono a conoscenza del piano di Tex Richman e, volendo fermarlo.

Decidono dunque di mettere in scena il Muppet Telethoon, con il quale vogliono raccogliere i dieci milioni di dollari necessari per salvare il teatro. Al fine di mettere in scena lo spettacolo Walter, Mary e Gary devono però aiutare Kermit a riunire i Muppets, che si sono separati e hanno preso tutti una strada diversa.

I Muppet si risolleva da metà film in poi

Il film, incredibilmente noioso per la prima parte, si apre a divertentissime gag verso la metà e soprattutto nel finale, quando i nostri eroi, finalmente riuniti rimettono insieme lo show dei Muppet. Ci sono tutti da Kermit la rana a Miss Piggy, da Animal e Gonzo e tutti sono esattamente gli stessi, solo con qualche anno in più.

La storia è banale e si riduce alla raccolta fondi per tenere in piedi gli studi e il teatro dei pupazzi e sembra assomigliare molto a quei film di fine anni ’30 in cui Mickey Rooney e Judy Garland mettevano in piedi uno show in un granaio. Tuttavia lo spirito con cui il film è stato girato è quello giustamente filologico che dei personaggi così amati meritano, avendo così la capacità di risvegliare in ogni fan ormai cresciuto, il divertimento, la meraviglia, la gioia di guardare ancora il Muppet show.

Kermit the Frog, Miss Piggy e Fozzie Bear in I Muppet
Kermit the Frog, Miss Piggy e Fozzie Bear in I Muppet. Foto di Scott Garfield – © Disney Enterprises, Inc. All Rights Reserved.

Tutti in fila per un cameo

Anche la metatestualità dello show originale è stata conservata in questo esperimento cinematografico, regalando ancora un altro elemento di valore al film. A testimonianza di quanto i Muppet fossero amati il film diventa poi una caccia al cameo, poiché disseminati per tutta la pellicola ci sono volti notissimi di cinema e tv che si prestano anche per un solo secondo a comparire accanto ai pupazzi, come se fossero le celebrità che un tempo andavano come special guest agli episodi dello show tv.

Accanto agli attori principali Jason Segel e Amy Adams che si cimentano in numerosi numeri musicali, scorgiamo qua e là il grande Mickey Rooney, Emily Blunt, Jim Parsons, Neil Patrick Harris, Zach Galifianakis e Jack Black nel ruolo di sé stesso. L’operazione nostalgica si può definire decisamente riuscita e chissà che i bambini di oggi non comincino ad affezionarsi ai Muppet di ieri. Se così non dovesse essere, poco male,  c’è un pubblico di 40enni che è già in fila fuori dai cinema in attesa del 3 febbraio.

Paradiso Amaro: George Clooney e Alexander Payne al confronto sul Cinema!

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Arrivano due interessanti  featurette che vede protagonisti George Clooney e Alexander Payne, attore e regista di Paradiso Amaro, entrambi candidati all’Oscar per il film. I due deliziano il pubblico in una conversazione su registi della storia del cinema che hanno iniziamo con commedie per arrivare a film drammatici.

The Darkness 2 – Trailer

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Arriva online l’avvincente  Trailer di lancio dell’attesissimo ‘The Darkness II’, videogioco in stile horror destinato a scrivere un importante pagina della storia di questo genere. 

Cinemaster 2012: Studio Universal e Corti d’Argento insieme!

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Studio Universal e Corti d’Argento insieme per la nuova edizione del concorso CINEMASTER 2012. Al via, per la prima volta in collaborazione con i Corti d’Argento dei giornalisti cinematografici, il Cinemaster Studio Universal 2012, il progetto per giovani registi italiani organizzato dalla TV del Cinema da chi fa Cinema (distribuita sul Digitale Terrestre nell’offerta Premium Gallery di Mediaset) che sceglie quest’anno il corto vincitore in una rosa di titoli selezionati dal Sindacato Nazionale Giornalisti Cinematografici Italiani (SNGCI) sulla base dei requisiti indicati dal regolamento del Canale.

Una Notte da Leoni 3? La Wb è disposta a pagare 15mln a testa!

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Sembra proprio che quando firmarono il loro contratto da 1 milione per Una Notte da Leoni, Bradley Cooper, Ed Helms e Zach Galifianakis abbiano firmato per il possesso di una vera e propria miniera d’oro.  Sembra infatti che la Warner Bros sia disposta a pagare i tre 15 milioni a testa per farli tornare di nuovo a sbronzarsi, questa volta a Los Angeles. Se come detto per il primo film il terzetto ha incassato 1 milione e per il secondo 5, l’incremento è mostruoso ma giustificato dalle cifre da capogiro incassate dei primi due film:  467 milioni per il primo e 581 per il secondo.

Anche Tod Phillips verrebbe richiamato a bordo per girare il film quest’estate e farlo uscire nel 2013. Staremo a vedere cosa si deciderà, intanto i fan delle hangoover possono cominciare a sfregarsi le mani.

Fonte: comingsoon

Emma Stone e il primo bacio a Garfield…sul set

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Emma Stone e Andrew Garfield stanno pubblicizzando in giro per il mondo The Amazing Spider-Man.

Ovviamente a nessuno sfugge ormai che i due hanno cominciato una relazione e quindi i

IMDB compie 10 anni e fa i conti

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IMDB compie 10 anni e fa i conti

Il più fornito e famoso database cinematografico di internet compie 10 anni. E’ ovviamente IMDb e per celebrare il suo compleanno, il sito ha stilato un po’ di classifiche per valutare chi, tra star, film , serie tv e film in arrivo è il più popolare nell’arco di questi 10 anni.

Johnny Depp si è rivelato il più popolare tra gli attori, uomini e donne comprese, in una classifica che vede nomi molto glamuor nelle prime dieci posizioni e a sorpresa forse un decimo posto occupato da Emma Watson, che senza dubbio riesce a sfruttare alla grande il suo successo ottenuto con Harry Potter. Per quanto riguarda il film, il più cliccato è Il Cavaliere Oscuro, Lost primeggia tra le serie tv e per quanto riguarda i film in produzione più attesi a capeggiare la classifica dei primi dieci c’è prevedibilmente Il Cavaliere Oscuro il Ritorno.

Ecco le liste complete:

Top 10 Stars degli ultimi 10 anni:
1. Johnny Depp
2. Brad Pitt
3. Angelina Jolie
4. Tom Cruise
5. Natalie Portman
6. Christian Bale
7. Scarlett Johansson
8. Jennifer Aniston
9. Keira Knightley
10. Emma Watson

Top 10 dei film degli ultimi 10 anni:
1. Il cavaliere oscuro
2. Donnie Darko
3. Pulp Fiction
4. Il Signore degli Anelli: La compagnia dell’anello
5. Il Signore degli Anelli: Il Ritorno del Re
6. Harry Potter e il prigioniero di Azkaban
7. Harry Potter e l’Ordine della Fenice
8. Twilight
9. Harry Potter e il calice di fuoco
10. il Padrino

Top 10 delle Serie TV degli ultimi 10 anni:
1. Lost
2. House M.D.
3. Grey’s Anatomy
4. Heroes
5. How I Met Your Mother
6. 24
7. Glee
8. True Blood
9. Dexter
10. Gossip Girl

Top 10 dei film in produzione più attesi degli ultimi 10 anni:
1. The Dark Knight Rises
2. Men in Black III
3. The Dictator
4. G.I. Joe: Retaliation
5. The Expendables 2
6. Battleship
7. The Avengers
8. Rock of Ages
9. The Hunger Games
10. Prometheus

Fonte: IMDb

What to Expect When You’re Expecting: cinque character poster

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Ecco cinque character poster del film What to Expect When You’re Expecting, una commedia sul significato del diventare genitori vissuta attrverso i 9 mesi di gravidanza di cinque donne diverse che vedono

The Amazing Spider-Man: trama ufficiale e cameo d’eccezione!

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E’ decisamente una mattinata da uomo ragno! Infatti è stata rilasciata oggi la sinossi ufficiale del prossimo film, reboot di SpiderMan, che vedrà calarsi dai tetti di New York non più Tobey Maguire

Mission: Impossible – Protocollo fantasma: recensione del film con Tom Cruise

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Con Mission: Impossible – Protocollo fantasma Tom Cruise ritorna nei panni dell’agente segreto Hunt, in quella che sembra l’inizio di una nuova trilogia in cui, oltre a vedere il nostro fare bello sfoggio delle sue straordinarie doti di stunt di se stesso, si introducono nuovi personaggi che al suo fianco potrebbero dare freschezza alla formula del franchise.

La trama di Mission: Impossible – Protocollo fantasma

In Mission: Impossible – Protocollo fantasma l’agente Ethan Hunt torna al cinema nella sua quarta indagine. Questa volta però l’IMF (Impossible Mission Force) non sarà dietro di lui a coprirgli le spalle, ad organizzare recuperi d’emergenza, a fornirgli l’attrezzatura ipertecnologica che sin dal primo film lo ha accompagnato nelle sue missioni. Questa volta Hunt si trova ad avere a che fare con una minaccia nucleare e soprattutto a fare i conti con una squadra, lui che ha sempre agito in solitaria. Questa volta la missione impossibile sarà riabilitare il suo nome, quello dell’agenzia e soprattutto diventare un team leader, il capo di una squadra di agenti operativi, tutti come lui, allontanati dal servizio del loro Paese.

Mission: Impossible - Protocollo fantasma tom cruise
© 2011 – Paramount Pictures

La nuova squadra di agenti desautorizzati è composta dal notissimo leader, Tom Cruise, sempre più in forma e sprezzante nei confronti della forza di gravità, che nonostante l’età riesce ancora a competere con i vari giovanissimi attori che si travestono da supereroi nel cinema recente, gravitando l’attenzione su di sé. Ritroviamo in questo film Simon Pegg, che riprende il ruolo di Benji Dunn, promosso alla squadra operativa, fondamentale elemento nel cast per veicolare ironia in ogni momento, sempre con grande efficacia.

Jeremy Renner si aggiunge al gruppo, il suo William Brant è un sedicente analista che nasconde un passato oscuro che cerca a tutti i costi di scontare una colpa che grava sulla sua coscienza. Famme Fatale di turno è Paula Patton; lei è l’agente Jane Carter, decisamente fatale, che si unisce al gruppo e come tutti gli altri fa fatica a guadagnarsi la fiducia del nostro Ethan.

Alla regia, dopo De Palma, Woo e Abrams (qui in veste di produttore), si riconosce l’abile mano che fu dietro a Gli Incredibili della Pixar. Brad Bird regala allo spettatore un rutilante spettacolo pirotecnico dietro l’altro, a partire dei titoli di testa, passando per l’epica sequenza girata sul Burj Khalifa, a Dubai, l’edificio più alto del mondo.

Mission: Impossible - Protocollo fantasma

Mission: Impossible – Protocollo fantasma, Tom Cruise è tornato in grande stile

Per tutti i nostalgici ritroviamo in questo quarto film, Mission: Impossible – Protocollo fantasma, i famigerati occhialini di Hunt, le maschere in lattice per i travestimenti, e ovviamente le celeberrime note della colonna sonora, riadattate da Michael Giacchino e che ripercorrono tutta la pellicola. L’idea di una nuova trilogia è evidente e fondata, dal momento che la storia convince anche se il ritmo narrativo risulta disomogeneo, soprattutto nella prima parte del racconto.

Tom Cruise è tornato in grande stile, riesce a portare avanti la sua storia personale con notevole energia e promette altre avventure ‘antigravitazionali’. Mission: Impossible – Protocollo fantasma è un film da vedere, per chi ha amato i precedenti capitoli e per chi si vuole semplicemente divertire pur senza conoscere i dettagli delle precedenti avventure di Ethan Hunt.

Polisse: recensione del film di Maïwenn

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Polisse: recensione del film di Maïwenn

La regista francese Maïwenn porta sullo schermo la routine quotidiana della Sezione Protezione Minori (Brigade de Protection des Mineurs). A scatenare la curiosità della giovane e poliedrica transalpina verso questa tematica è stato un documentario di Virgil Vernier su questo particolare reparto: in Polisse ci sembra infatti di rivivere costantemente, a stretto contatto con gli uomini della Sezione, stralci di indagini su casi di abuso, pedofilia e delinquenza minorile. Ma la macchina da presa non si ferma a questo, vuole mostrarci ancora più chiaramente le ripercussioni emotive su Nadine (Karin Viard), Fred (Joey Starr), Iris (Marina Foïs), Mathieu (Nicolas Duvauchelle), di un lavoro che porta allo stremo persino chi è immerso in queste vicende quotidianamente.

Polisse, il film

Maïwenn riesce a far collimare perfettamente sia il lato documentaristico che quello più romanzesco. Il lavoro del cast accanto a veri agenti della Sezione Protezione Minori ha sicuramente facilitato il lavoro della regista facendo raggiungere a Polisse un alto livello di verosimiglianza in entrambi i lati. L’illusione della realtà è molto forte e coinvolge in pieno lo spettatore, il quale risulta totalmente immerso in ogni dramma che il film racconta.

Lo stile registico della giovane francese si accosta un po’ troppo a quello di numerose serie poliziesche viste e riviste in televisione. L’originalità non può di certo dirsi il punto forte della pellicola, ma nonostante tutto ne esce fuori un qualcosa di convincente ma soprattutto di coinvolgente, che porta lo spettatore ad immergersi totalmente negli orrori su cui indagano gli uomini della Sezione, ma anche a comprendere i complicati meccanismi che ci sono dietro questo lavoro.

L’unica parte che rimane confusionaria in Polisse risulta essere quella relativa alle numerose relazioni amorose all’interno del nucleo. Queste porzioni di pellicola avrebbero dovuto lasciare più spazio all’azione documentaristica del film. Maïwenn ed il suo Polisse ha sicuramente meritato il Prix du Jury a Cannes e un riconoscimento ancora maggiore lo otterrà sicuramente dal consenso del pubblico che lo vedrà in sala dal 3 Febbraio 2012.

L’arte di vincere – Moneyball: recensione del film con Brad Pitt

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L’arte di vincere – Moneyball: recensione del film con Brad Pitt

L’arte di vincere – Moneyball, regia di Bennett Miller, racconta di un sogno, di una scommessa fatta contro un sistema solido e chiuso, di un uomo coraggioso che voleva più della vittoria, voleva stravolgere il suo mondo, quello del baseball.

La trama di L’arte di vincere – Moneyball

L’arte di vincere – Moneyball è la storia di Billy Beane (Brad Pitt) che nella stagione del 2002 è stato general manager degli Oakland Athletic’s e si è trovato a dover rifondare la squadra senza soldi e con tre dei giocatori migliori ceduti a società più importanti. Contro tutto e tutti Billy si affida a Peter Brand (Jonah Hill), giovanotto goffo di movimenti ma agilissimo di mente, laureato in economia a Yale, e con lui costruisce una squadra servendosi di un metodo molto poco ortodosso.

Un metodo numerico, basato sulle percentuali di successo e le caratteristiche singole del giocatore. Beane e Brand andranno dunque contro la grande tradizione del baseball, raccogliendo mezzi giocatori, alcuni troppo vecchi, altri troppo giovani e irrequieti, altri ancora infortunati, e formeranno una squadra che riuscirà a sfondare il muro delle vittorie consecutive.

Brad Pitt e Jonah Hill in L'arte di vincere
Brad Pitt e Jonah Hill in L’arte di vincere © 2011 – Sony Pictures

Un duo di irresistibili protagonisti

L’arte di Vincere – Moneyball ci trasporta quindi nel mondo del baseball scandagliandolo con attenzione, dilungandosi nei dettagli squisitamente tecnici, una vera gioia per gli appassionati. Non c’è da stupirsi quindi se il film ha ricevuto diverse candidature ai prossimi Oscar in un Paese in cui il baseball è un rito sociale piuttosto che uno sport. A gareggiare per la statuetta non è solo il film stesso, ma i suoi protagonisti.

Prima di tutto Brad Pitt, nei panni di Billy, è disgustosamente convincente mentre sgranocchia, divora, mangia e ingurgita tutto quello che si trova a tiro sputacchiando qua e la tabacco masticato a dovere. La sua interpretazione riesce a mostrare con grande sobrietà e funzionalità le sfaccettature di un personaggio che oscilla tra l’euforia e l’ottimismo fino a cadere nei più bui antri dello scoramento.

Accanto a lui c’è il giovane Jonah Hill, candidato come migliore non protagonista, molto conosciuto in America per un certo genere di commedia demenziale, e qui invece nei panni goffi, divertenti ma a suo modo carismatici dell’esperto di economia che riesce, insieme a Billy, a cambiare il volto del baseball. E chissà che questa bella coppia non possa riservarci sorprese agli Oscar, visto che Miller ha già portato fortuna al ritrovato Philip Seymour Hoffman qui nei panni dell’allenatore Art Howe.

Philip Seymour Hoffman in L'arte di vincere
Philip Seymour Hoffman in L’arte di vincere © 2011 – Sony Pictures

L’arte di vincere – Moneyball è un puro trionfo

Il film si fregia anche di un’ottima partitura musicale di Mychael Danna, già autore della colonna sonora di Little Miss Sunshine. Quello che però rende davvero prezioso questo film è la fotografia del premio Oscar Wally Pfister (Inception), che disegna l’inquietudine dei personaggi sui loro volti attraverso ombre sapientemente distribuite. Bennett Miller ci mette il resto, riservandoci una regia sobria e davvero brillante in alcune scelte di inquadratura.

L’arte di vincere – Moneyball lascia dunque la sensazione di un grande trionfo, di quelli silenziosi e duraturi, è la storia di un ‘magnifico perdente’ che con il suo sogno ha cambiato per sempre le regole. Gli appassionati di baseball lo adoreranno, gli appassionati di cinema pure.

I Muppet tornano tra noi, questa volta sul grande schermo

La famosa combriccola di animaletti parlanti è pronta all’assalto degli schermi per concederci minuti di esilarante follia e divertimento. I Muppet ritornano con la loro allegria e sfrontatezza per regalarci e riportarci in un mondo che sembrava ormai archiviato.

Il corvo remake: nuovo regista e nuovo sceneggiatore!

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Il corvo remake: nuovo regista e nuovo sceneggiatore!

Arrivano aimé due buone notizie per il remake del Corvo The Crow. La prima riguarda la controversia legale sui diritti del nuovo adattamento dell’opera. E’ di ieri la notizia che la Relativity Media e The Weinstein Company hanno risolto il problema e che sono pronte ora a produrre il film.

La seconda notizie è che questo ha creato un indotto e le cose si stanno muovendo rapidamente, tanto che la pellicola ha ora un nuovo regista, F. Javier Gutierrez, e un nuovo sceneggiatore, Jesse Wigutow. L’obiettivo è quello di andare sul set in autunno. Ora non resta che aspettare notizie sul casting, vi ricordiamo che il progetto è stato abbandonato da Bradley Cooper.

Fonte: Variety

Paradiso amaro: recensione del film con George Clooney

Paradiso amaro: recensione del film con George Clooney

Alexander Payne – ritorna dopo ben sette anni dal suo fortunato ed ultimo lavoro SidewaysIn viaggio con Jack – con Paradiso amaro, e lo fa ancora una volta facendo incetta di nomination agli Oscar. Per certi versi in questo caso il suo merito è minore rispetto alla precedente pellicola, che sorprese molto per la brillantezza della sceneggiatura e per l’ironica malinconia che sarebbero poi diventate lo stilema prediletto del regista, autore anche di A proposito di Schmidt.

The Descentans, titolo originale del film da noi tradotto Paradiso amaro, racconta la storia di Matt King (George Clooney), un marito e padre da sempre indifferente e distante dalla famiglia. Ma quando la moglie rimane vittima di un incidente in barca nel mare di Waikiki è costretto a riavvicinarsi alle due figlie, e quindi a riconsiderare il suo passato e valutare un nuovo futuro. Mentre i loro rapporti si ricompatteranno, Matt è anche alle prese con la difficile decisione legata alla vendita di un terreno di famiglia, richiesto dalle élite delle Hawaii ma anche da un gruppo di missionari.

Elaborare il lutto

Paradiso amaro racconta dunque la dimensione tragica di un uomo difronte a degli eventi drammatici con cui irrimediabilmente deve fare i conti e che rappresenta un bivio non solo per la propria esistenza, ma anche per la sua famiglia. Alexander Payne ancora una volta dimostra di essere molto abile nel muoversi dentro questo substrato di vissuto pieno di dolore e malinconia, abile nello scrutare con il suo sguardo le difficoltà e le peripezie di una condizione così, senza togliere il dubbio di quanto essa rappresenti l’inevitabile conclusione di una strada sinuosa e difficile da attraversare.

Paradiso amaro trama film
George Clooney, Shailene Woodley e Amara Miller in Paradiso amaro. © 2011 – Fox Searchlight Pictures

Quello di Payne è quindi un film su un percorso da affrontare, è il tentativo di rimettere insieme un rapporto e una famiglia che fino ad ora era vissuta in  totale agonia, è soprattutto l’intenzione di King (George Clooney) di voler rimediare al passato, cercando di vivere il presente e modificare il futuro, cercare di riconciliare un puzzle che è per sua stessa natura in frantumi.

Paradiso amaro si muove su un equilibrio precario

Nonostante le buone intenzioni Paradiso amaro, pur assicurandosi l’ampia sufficienza, ha alcuni lati negativi che in qualche maniera ne offuscano la brillantezza. Se da un lato colpisce il lato tragicomico che regala forse i momenti migliori della pellicola, d’altro canto sorprende nell’accezione negativa, la forzata ricerca di una drammaticità eccessiva, che rileva l’intenzione di voler commuovere a tutti i costi. In questo è lo stesso Payne a peccare, nella mancata ricerca di un equilibrio perfetto fra le due nature che compongono il nucleo centrale della narrazione, che avrebbe reso il film più sincero e più dolce.

Detto ciò, rimangono i bei momenti del film e un cast che sorprende soprattutto nelle loro protagoniste femminili, fra tutte una delle due figlie di King, Alexandra, interpretata con sincera passione da Shailene Woodley, all’altezza del compito e capace di duettare con il talento di George Clooney.

The Raven: nuovo spettacolare poster!

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Entertainment Weekly oggi propone in anteprima il nuovo teaser poster americano di The Raven – Gli ultimi giorni di Edgar Allan Poe (John Cusack), la nuova pellicola di James McTeigue (V for Vendetta, Ninja Assassin) ispirata alla figura e ai racconti dello scrittore di Boston.

Alexander Payne a Roma presenta Paradiso Amaro

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Oggi a Roma il neo nominato agli Oscar Alexander Payne ha incontrato la stampa per presentare il suo film Paradiso Amaro. Ecco cosa ha raccontato.

L’arte di Vincere – Intervista a Brad Pitt

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Brad Pitt parla dei protagonisti del film L’Arte di Vincere, per il quale lui e Jonah Hill sono stati candidati all’Oscar (rispettivamente per Miglior attore protagonista e Migliore attore non protagonista).  Dal 27 gennaio al cinema.

Ulteriori info nella nostra Scheda-Film

Lily Collins rinuncia al remake di La Casa

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Lily Collins rinuncia al remake di La Casa

Niente remake di La Casa per Lily Collins (vista in Abduction e prossima interprete di Mirror Mirror, film ispirato aBiancaneve): l’attrice britannica ha declinato il ruolo della protagonista femminile a causa dei troppi impegni concomitanti, tra cui il tour promozionale dello stesso Mirror Mirror e la partecipazione all’adattamento di The Mortal Instruments, ennesima saga post-adolescenziale (firmata da Cassandra Clare) che dopo il successo nelle librerie americane, si prepara a sbarcare sul grande schermo.

Il remake di Evil Dead dovrà trovare dunque una nuova interprete per il ruolo di Mia, una ragazza che nel corso di una gita tra amici finisce in una casa abbandonata… ovviamente infestata, con tuttò ciò che ne seguirà (rispettando il plot dell’originale). Regista del film sarà il semisconosciuto Fede Alvarez, regista uruguayano segnalatosi per il cortometraggio fantascientifico Ataque de Panico. La sceneggiatura è stata scritta dallo stesso Alvarez, assieme a Rodo Sayagues, con l’assistena di Diablo Cody. L’inizio delle riprese è previsto per il prossimo marzo, l’uscita nelle sale per l’aprile 2013.

Fonte: Empire

Cast completo per il nuovo horror di James Wan

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Si va completando il cast del nuovo vilm di James Wan (regista del primo Saw e, più recentemente, di Insidious): dopo Patrick Wilson e Vera Farmiga è la volta di Ron Livingstone e Lily Taylor. Il titolo inizialmente scelto, The Conjuring, è stato in seguito scartato e al momento non ne è stato ancora trovato un altro. Wilson e la Farmiga interpreteranno una coppia di ‘investigatori psichici’ che affronteranno il caso più terrificante della loro vita in una fattoria del Rhode Island; qui, un’altra coppia (Livingstone e la Taylor) si è  trasferita coi propri figli, solo per scoprirla infestate da una presenza dmeoniaca che decisamente non li vuole trai piedi. La sceneggiatura è stata scritta Chad e Carey Hayes, sulla base del caso della famiglia Perron, raccontato dagli investigatori Ed e Lorraine Warren, negli anni ’70. Le riprese dovrebbero cominciare nel prossimo marzo.

Fonte: Empire

Lena Headey a fianco di Ethan Hawke in Vigilandia

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Dopo aver trovato in Ethan Hawke il protagonista, Vigilandia – sci-fi thriller di James DeMonaco (regista le cui precedenti opere non sono granché memorabili) ha trovato anche la sua controparte femminile in Lena Headey (protagonista in Terminator: The Sarah Connor Chronicles, oltre ad aver recitato in altre serie come Game of Thrones o White Collar).

Del film, che sarà un’opera a basso costo, si sa poco: regista e produttori hanno voluto mantenere il massimo riserbo. Produttore è Jason Blum (Insidious), la cui compagnia sta attualmente lavorando a Platinum Dunes di Michael Bay. Nota anche per il ruolo della Regina Gorgo in 300 di Zack Snyder, la Headey sarà sugli schermi in autunno col remake del fumettistico Dredd.

Fonte: Empire

Catherine Zeta-Jones torna sul set per Soderbergh

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Catherine Zeta-Jones torna sul set per Soderbergh

Steven Soderbergh continua a portare avanti il suo nuovo progetto, un ‘thriller – farmaceutico’ intitolato Side Effect: sul fronte del cast, arriva la conferma della partecipazione di Catherine Zeta-Jones, che nel film affiancherà Jude Law, Channing Tatum, e Blake Lively. La storia ruoterà proprio attorno al personaggio della Lively, preda di ansia e depressione a causa dell’imminente scarcerazione del marito; questo stato la poterà ad assumere una grande quantità di farmaci e le cose peggioreranno ulteriormente quando intreccerà una relazione col suo medico (interpretato da Jude Law).

La sceneggiatura è stata scritta da Scott Z Burns (The Informant, Contagion). Per gran parte degli attori principali non si tratta della prima collaborazione con Soderberg: la Zeta-Jones ha recitato in Traffic, Jude Law in Contagion, Tatum ha preso parte a Haywire, e farà parte anche di Magic Mike, altro film messo già in cantiere da Soderberg. Catherine Zeta-Jones sarà presto sugli schermi nel nuovo film di Stephen Frears e nel musical Rock of Ages.

Fonte: Empire

E’ morto Theo Angelopoulos

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E’ morto il regista greco Theo Angelopoulos. A dare lantizia la polizia di Atene che è accorsa immediatamente quanto il grande artista, Palma d’Oro a Cannes e Leone d’Oro alla Mostra del cinema di Venezia

Road to the Oscar 2012: ecco una photogallery di tutti i candidati!

Eccoli i nominati, tutti a fremere per la grande notte del 26 febbraio che incoronerà uno di loro migliore dell’anno. Cinefilos.it vi offre una gallery sintetica ma esplicativa dei nominati per questa

Oscar 2012: tutte le nomination

Oscar 2012: tutte le nomination

Ecco l’elenco completo delle nomination agli Oscar 2012. Come c’era da aspettarsi, The Artist ha conquistato la maggiori candidature: film, regia, attore protagonista, attrice non protagonista, sceneggiatura oltre a

Oscar 2012: annunciate le categorie principali

Oscar 2012: annunciate le categorie principali

Ecco le nomination della 84esima edizione degli Academy Awards, annunciata da Jennifer Lawrence (nominata lo scorso anno per Un Gelido Inverno) e il Presidente dell’Academy, Tom Sherak.

Vampiri: i migliori 50 secondo SFX

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Il sito sfx.co.uk ha stilato un’interessante classifica … succhiasangue. I soggetti in questione sono infatti i vampiri di celluloide, che siano da grande o da piccolo schemo, sono stati classificati in una top 50

The Iron Lady – Intervista a Meryl Streep!

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The Iron Lady – Intervista a Meryl Streep!

In attesa dell’uscita nelle sale di The Iron Lady, la fresca vincitrice del Golden Globe come miglior attrice Maryl Streep, ci racconta il film attraverso la sua esperienza sul set. Vi ricordiamo anche la nostra recensione: The Iron Lady.

Qual è stata la sua prima reazione quando la regista Phyllida Lloyd le ha proposto di interpretare il ruolo di Margaret Thatcher?

Quando Phyllida mi ha detto che avrebbe diretto un film sulla vita di Margaret Thatcher e sulle tematiche della sua leadership, ha immediatamente stuzzicato il mio interesse. Non sono molte le donne leader e non sono molti i registi interessati a sondare cosa significa per una donna essere una leader.

Riflettere sulle barriere che Margaret Thatcher ha dovuto abbattere per diventare la Premier del Regno Uniti significava entrare nella mente di una donna di fine anni ’70, quando riuscì ad emergere e ad assumere il comando del suo partito. E io non faccio che ripetere alle mie figlie che allora il mondo era molto diverso e che tuttavia alcune cose restano molto simili.

È stato interessante seguire le orme di una donna cresciuta durante la Guerra, scoprire la Gran Bretagna del dopoguerra, un periodo di privazioni e di ricostruzione, e vedere questa donna elaborare la propria filosofia e tradurla in pratica formulando soluzioni per quelle che lei considerava delle mancanze nel benessere economico del suo paese. È stato come osservareuna persona, casualmente donna, che tenta di risolvere enormi problemi di portata mondiale in un modo del tutto inedito per una donna.

È entrata in un circolo per soli uomini, nel mondo dell’alta borghesia, e ha preso tutti per la collottola. A prescindere dall’orientamento politico di ognuno, lo considera un risultato significativo?

Io come attrice, arrivando il primo giorno sul set per le prove mi sono sentita incredibilmente sconfortata perché mi sono trovata in mezzo a 40-45 meravigliosi attori inglesi ed ero l’unica donna nella stanza e credo di aver provato la sensazione che deve aver provato Margaret Thatcher arrivando alle riunioni del Partito Conservatore.

I giorni delle riprese nella ricostruzione del Parlamento sono stati particolarmente interessanti: come catturare l’attenzione di un’assemblea, come coinvolgere un pubblico che ti ascolta per riuscire a convincerlo della bontà della tua scelta politica sono situazioni con cui ci misuriamo ancora oggi in quanto esseri umani.

Ho visto registe lottare nel tentativo di assumere il comando. E non siamo ancora del tutto a nostro agio con il concetto di una donna al comando. Margaret Thatcher è stata realmente una grande innovatrice nel mostrare uno dei modi in cui una donna può assumere la leadership. Non aveva grandi problemi a capire come comandare e quindi, in un certo senso, gli uomini non hanno avuto grandi problemi a capire come seguirla. Secondo me è quando una donna esita sul modo di comandare o si preoccupa di come viene percepita o teme di perdere la prima femminilità che la sua abilità al comando ne risente.

Due temi che emergono nel film sono avere l’amore e perderlo e avere il potere e perderlo. Per lei quale dei due è più importante?

Credo che la riuscita del film dipenda dal fatto che alcuni momenti salienti di forte tensione e pressione nella sua vita politica sono controbilanciati da momenti di eguale rilevanza nella sua vita privata che hanno avuto ripercussioni altrettanto grandi su di lei come essere umano nella sua totalità. Quindi abbiamo cercato di fare un film su un essere umano a tutto tondo.

Margaret sostiene che se prendi decisioni dure, la gente ti odia oggi, ma ti ringrazierà per molte generazioni. Ed è sempre in questi termini che deve ragionare un leader, ma anche una madre, che deve pensare ‘è vero, adesso la faccio soffrire e lei mi odierà per quello che le impedisco di fare, ma a lungo andare mi ringrazierà’. Penso che siano preoccupazioni simili. Se un politico ragiona a breve termine, facilmente riscuote consensi, ma è bene avere un’ottica a lungo termine.

Il film è incredibilmente apolitico. Secondo lei il pubblico ne resterà sorpreso?

Non ho iniziato a lavorare al film con un’opinione politica su Margaret Thatcher. In tutta sincerità, sapevo scandalosamente poco dei suoi programmi politici. Sapevo che erano in linea con molti dei programmi del Presidente Reagan, che conoscevo meglio, ma non con tutti.

Quindi non mi interessava tanto approfondire gli obiettivi che ha perseguito quanto il costo che le sue scelte politiche hanno avuto su di lei come

persona. Quello che abbiamo cercato di illustrare, con tutta l’accuratezza di cui siamo stati capaci, sono stati i motivi dell’odio viscerale da un lato e dell’ammirazione profonda dall’altro suscitati dalle sue decisioni politiche. Ma ci preoccupava soprattutto il prezzo che deve pagare un individuo che prende decisioni così cruciali. Quando sei un leader con un enorme carico di responsabilità, come ne risenti sul piano umano e quanta capacità di resistenza devi avere per continuare a essere forte?

Interpreta Margaret in un arco temporale di 40 anni; dev’essere stata una sfida incredibile.

Interpretare 40 anni della vita di un personaggio è una sfida, ma quando arrivi alla mia età, ti sembra di avere ancora 20 anni, quindi non è stato un grande problema. Una parte di te si sente ancora la stessa persona che eri quando avevi 16 o 26 o 36 o 46 o 56 anni. Quindi hai accesso a tutte le persone e a tutte le età che hai già vissuto. Credo sia il grande vantaggio, se ne esiste uno, di diventare vecchia.

È stata una meravigliosa opportunità. Di solito il cinema ti colloca in un periodo specifico, ma questo è un film che consente di guardare al passato di una vita intera ed è stato davvero entusiasmante cercare di farlo. Voglio però aggiungere che la creazione di Margaret anziana è anche in gran parte merito, oltre che dello splendido lavoro dei truccatori J. Roy [Helland] e Marese [Langan], della geniale metamorfosi realizzata da Mark Coulier grazie alle protesi che ha disegnato.

Qual è stata la cronologia delle riprese?

Il secondo giorno sul set, quando ero da poco sbarcata dall’aereo dal Connecticut, parlando con questo accento, abbiamo girato la scena della riunione di Gabinetto, quando lei è all’apice del comando e al tempo stesso sull’orlo del crollo nervoso.

Per rispondere alla sua domanda, non mi hanno aiutata affatto, girando tutto il film senza alcun ordine cronologico! Ma in fin dei conti credo sia stato un bene lanciarmi subito in una scena così ambiziosa, perché mi ha costretta a rimboccarmi le maniche come un Marine e a prepararmi a combattere. E ho combattuto ogni singolo giorno delle riprese.

Ora mi sveglio tutte le mattine pensando ‘Grazie a Dio non sono la leader del mondo libero, non sono il Presidente Obama!’. Oh, che compito! Una cosa che ti resta davvero dentro dopo aver interpretato un personaggio di proporzioni shakespeariane è il senso di gratitudine. Mi sento molto modesta e scoraggiata al pensiero dello spaventoso peso che Margaret Thatcher si era presa sulle spalle. È una posizione terribile, scomodissima e devastante quella di chi deve decidere di mandare delle persone a rischiare la morte e poi la sera appoggia la testa sul cuscino. La gente pensa che non paghi alcuno scotto e considera i personaggi pubblici come dei mostri o degli dei, ma la verità è che stanno tutti nel mezzo.

Pensa che il pubblico uscirà dal cinema con un’opinione mutata di Margaret Thatcher?

Non so se gli spettatori cambieranno opinione sulle sue scelte politiche, ma se non altro capiranno meglio le pressioni che ha dovuto sopportare e le

ragioni per cui, alla fine, la risposta che lei sembrava rappresentare all’epoca è stata respinta. Penso che quanto meno arriveranno a cogliere questo. E, alla fine, dopo che la risposta che lei rappresenta viene respinta, vedranno la persona che sopravvive a tutto questo anno dopo anno e, come chiunque altro, continua a rimuginare nella sua testa ‘Cos’era che…? Ricordi questo? Ricordi quest’altro?’.

La destinazione di ogni essere umano è la stessa.

Durante le riprese, la produzione ha diffuso una sua foto sul set nei panni di Margaret Thatcher che è stata pubblicata sulla prima pagina non solo di quasi tutti i quotidiani britannici in edicola, ma anche dei giornali internazionali. Qual è stata la sua reazione?

Quando la foto è stata ripresa da tutte le agenzie in Cina, nel Sudest Asiatico e in posti che non avremmo mai immaginato fossero interessati al progetto, ovviamente i produttori si sono esaltati: forse non è solo un film per sette persone a Westminster! È stato confortante per tutti.

Ma, parlando a livello generale, credo che ci sia una porzione di pubblico cinematografico spesso sottostimata, ovvero le donne, che raramente vedono sullo schermo i personaggi che interessano loro. C’è una sete di conoscenza nei confronti di Margaret Thatcher perché è stata un’innovatrice a molti livelli. Credo che questo film avrà un pubblico molto trasversale e incuriosirà anche le persone che di solito non vanno al cinema perché l’attuale offerta cinematografica le respinge o le annoia.

La stampa ha riferito che prima di girare questo film ha visitato la Camera dei Comuni. Che tipo di visita è stata e che cosa ha imparato?

È stato meraviglioso potermi fare un’idea del protocollo e del comportamento da tenere nella Camera dei Comuni. Abbiamo avuto accesso allo spazio dietro le quinte, non so bene come si chiami, dove ci sono una serie di piccoli uffici attraverso cui i deputati entrano nella Great Hall. Mi sentivo un po’ intimidita a stare nell’aula dove si è riunito per la prima volta il Parlamento inglese nel 1066, una sala sorprendentemente piccola in realtà. È stato toccante vedere quanto è piccola a confronto dell’enorme portata dei capitoli di storia che sono stati scritti al suo interno, della statura delle personalità che quei muri hanno accolto, della grandezza delle idee che sono scaturite da quel luogo. E anche vedere quanto è intima, come i deputati siedono uno di fronte all’altro, gridando uno con l’altro o assumendo un’aria annoiata. È un luogo piuttosto antagonistico.

E poi come è stato ricreare le scene dei suoi interventi dalla tribuna?

Sono state scene ad alta tensione e per certi aspetti sono servite a farmi entrare nella testa di Margaret Thatcher. Era una delle rare donne che facevano politica all’epoca. Ce n’erano altre, ma lei è stata una delle pochissime a raggiungere il vertice.

E non ci è riuscita promuovendo la sua immagine sui mezzi di informazione o con qualsiasi altra astuzia adottino le persone per costruire le proprie carriere politiche nell’attuale sistema, quando meno negli Stati Uniti. Non si preoccupava di essere affabile, ma di essere competente. Doveva essere più preparata e meglio preparata degli altri, doveva prevedere tutte le domande che chiunque avrebbe potuto rivolgerle, anche quelle che nessuno avrebbe

mai pensato di farle, doveva avere una risposta per ogni cosa, perché doveva essere più brava di qualsiasi altro uomo nella sua posizione per poter mantenere la sua posizione. C’era una resistenza enorme all’idea di una donna leader.

È stato entusiasmante incarnarla. A maggior ragione dopo aver visto una serie di filmati di repertorio che mi hanno mostrato la sua prontezza, la sua preparazione impeccabile, la sua determinazione a lottare, la sua capacità nel cogliere l’occasione giusta per sferrare un attacco, sicura di vincere. Un simile appetito è elettrizzante e necessario per avere la stoffa del leader.

Quali sono le doti migliori di Phyllida?

La sua qualità più grande come regista sta nel fatto che non esiste aspetto della lavorazione di un film in cui non abbia il massimo livello di talento. È dotata di grande pazienza e di grande lucidità mentale. Non ha mai virato dal film che avevamo tutti insieme convenuto di fare, non si è mai allontanata da quella visione durante la lavorazione. Spesso il cinema è un processo creativo così singolare e viscerale che inizi a lavorare a un film immaginandolo in un modo, ma poi lo trasformi in qualcos’altro fino ad arrivare a gettare la spugna e ad ammettere che ti è sfuggito di mano ed è diventato un’altra cosa.

Ma a noi questo non è successo, grazie allo sforzo che abbiamo fatto per mantenere gelosamente la sua visione. È incredibilmente coinvolgente: ti sollecita e ascolta qualsiasi proposta collaborativa tu le faccia e spesso ne tiene conto, anche se questo non la porta a modificare la destinazione originale del film che ha in mente. Sono molto fiera del fatto che tutti noi siamo arrivati alla stazione a cui avevamo previsto di scendere, perché è un risultato raro. Il cinema è una forma d’arte collaborativa, quindi può partire in molte direzioni diverse. Ma noi abbiamo avuto un grande sostegno da parte dei nostri produttori, dalla Pathé e dagli altri investitori. Ci hanno appoggiato in quello che abbiamo cercato di fare.

Al centro del film c’è la storia d’amore tra Margaret e Denis, altro personaggio affascinante, magistralmente interpretato da Jim Broadbent. Com’è stato lavorare con lui?

Ha un grandissimo senso dell’umorismo e, anche in molti dei ruoli più seri che gli ho visto interpretare, ha il talento dell’ironia e della comprensione empatica, due doti molto toccanti. Denis Thatcher è stato spesso dipinto all’opinione pubblica come una sorta di pagliaccio. E il profilo della sua veste pubblica è stato uno degli aspetti del personaggio, ma sapevamo che Jim avrebbe ancorato il suo protagonista in un substrato di spessore e comprensione della sua maschera di comicità, indagando sul ruolo che il suo senso dell’umorismo ha avuto nel vivacizzare la sua vita e quella di Margaret e sull’importanza della presenza in una coppia di uno disposto ad alleggerire le tensioni ridendo e scherzando. Penso che gran parte degli atteggiamenti nei confronti di Denis fossero dettati dal fatto che la sua posizione destabilizzava molte persone, uomini e donne. Era scioccante vedere una donna Capo di Stato e a quel punto lui cos’era? Il Signor Marito di…? Come potevano definirlo? Il “first husband”? Che cos’era?

In questa fase dell’evoluzione della specie umana solo adesso ci stiamo abituando ad accogliere queste nuove posizioni dei generi sessuali. Secondo

me lui era satireggiato, ma non sembrava provarne risentimento e questa sua reazione è stata davvero straordinaria. So che Jim Broadbent è arrivato sul set con un forte pregiudizio nei confronti di Margaret Thatcher e della sua politica. E man mano che abbiamo interpretato la vecchia coppia di coniugi, credo che abbia un po’ modificato la valutazione, non tanto del suo premierato o del suo operato politico, quanto del suo presunto lato umano che forse ha accettato di più. Di sicuro ha accettato me come attrice che vestiva i suoi panni: ho sentito da parte sua un affetto autentico e un sincero sgomento per la vita che era stata riservata loro.

Prima dell’inizio delle riprese ha passato un po’ di tempo con Alexandra Roach?

Alexandra Roach interpreta Margaret Thatcher giovane. Si è discusso molto di come fare assomigliare il suo incantevole nasino all’insù al mio, ma lei è stata al gioco! È un’attrice davvero incantevole. Ho trovato meraviglioso il rapporto che ha costruito con Harry, che interpreta Denis giovane. Hanno entrambi dedicato un’estrema cura al tentativo di dare ai due personaggi giovani il sapore dei due personaggi anziani. Hanno realmente fatto un ottimo lavoro.

Richard E. Grant si è divertito dicendo che i signori che la circondavano, i suoi colleghi di Gabinetto, erano come palline di naftalina di equità.

No, no, non pallina di naftalina. Li ha definiti falene, falene che circondano una sorgente di luce. Posso dire che Richard E. Grant si diverte in qualunque situazione. È una compagnia simpaticissima. Tutti quei signori sono stati fantastici con me, mi hanno accolta in un territorio a cui io non appartengo, essendo un’intrusa, un’americana.

Ma in un certo senso sono stata incoraggiata a interpretare Margaret Thatcher proprio per il fatto che lei stessa era un’intrusa in quel Partito Conservatore fatto di parrucconi laureati a Oxford e Cambridge in cui lei marciava imperterrita. E io ho pensato: se ce l’ha fatta lei, posso farcela anch’io.

E Anthony Head nei panni di Geoffrey Howe?

Un personaggio fondamentale. Per Margaret Thatcher rappresentava una roccia, una voce giudiziosa, una persona su cui poter sempre contare e quando alla Camera dei Comuni Geoffrey Howe si alzò e diede le dimissioni, ogni cosa precipitò verso la fine.

Anthony è un attore magnifico, estremamente affascinante sul piano personale, che qui interpreta splendidamente e con grande umiltà un uomo senza pretese, facendone un ritratto bellissimo. Percepisci il suo dolore e il suo disappunto. Era molto importante consentire un’identificazione con ogni singolo deputato e con la sua personalità. Ogni attore è arrivato sul set con una biografia esaustiva della persona che avrebbe rappresentato, non per cercare di imitarla, ma per tentare di incarnare qualche verità di quella persona e del ruolo che ha avuto in questa tragedia..

Qual è stato l’aspetto più bello della realizzazione di questo film?

Sicuramente l’opportunità di guardare una vita intera, perché nella fase della vita in cui sono io capita di guardarsi alle spalle e di ripensare a tutta la propria storia. A volte è sconvolgente quanto una vita può essere grande e piena di eventi che nel momento in cui li stai vivendo sembrano molto importanti.

Poi però ti rendi anche conto che quello che conta davvero è il presente, quello che vivi adesso, nel preciso istante e nel luogo in cui ti trovi a viverlo. E si può argomentare che l’unica cosa importante è vivere intensamente la propria vita nell’esatto momento in cui ci si trova e che è questa la cosa più difficile che esiste al mondo. In fondo è il principio del Buddismo Zen, vivere intensamente il qui e ora, sentirlo, esserci fino in fondo.

Quando siamo giovani, ognuno di noi dichiara quello che non farà mai, ma poi seguiamo tutti lo stesso destino, abbiamo tutti un inizio e una fine. È un’ambizione insolita per un film puntare l’intera narrazione verso quel momento, il momento della fine. Di solito un film tende verso un apogeo, un’aspirazione alta. Qui invece guardiamo un distillato di cosa significa aver vissuto una vita enorme, esagerata, intensissima e vederla poi sprofondare. Insomma, è poesia, non trova?

Meryl Streep: vera diva del grande schermo

Meryl Streep: vera diva del grande schermo

Meryl Streep. Attrice versatile, perfettamente a suo agio nel dramma come nella commedia, con i suoi personaggi femminili ha caratterizzato e caratterizza il cinema da oltre trent’anni. Personaggi diversissimi, ma sempre donne grintose, di coraggio, con una forte personalità, cui ha prestato i tratti della sua bellezza fine ed elegante, ma anche determinazione e testardaggine. Così anche per la sua più recente interpretazione, dal 27 gennaio nelle sale: quella di Margaret Thatcher in The Iron Lady di Phyllida Lloyd.

Confermando il suo feeling coi riconoscimenti e le statuette – è l’attrice che ha ricevuto più candidature agli Oscar e ai Golden Globe, ed in quest’ultima categoria è colei che ne ha ottenuti il maggior numero –  simbolo dell’apprezzamento che l’attrice riscuote negli Usa, sua patria, ma non solo, si è aggiudicata pochi giorni fa proprio il Golden Globe come Miglior Attrice per il ruolo della Thatcher, mentre il Festival del Cinema di Berlino si appresta a conferirle l’Orso d’Oro alla carriera. E chissà che, grazie alla sua ultima fatica, non possa di nuovo arrivare a stringere tra le mani la statuetta più prestigiosa, quell’Oscar che già fu suo due volte: nel 1980 per la sua straordinaria interpretazione della signora Kramer in Kramer contro Kramer  di Robert Benton, accanto a Dustin Hoffman; e tre anni dopo, per il ruolo della prigioniera polacca in La scelta di Sophie. Indipendentemente da come andranno le cose, la bravura di quest’attrice e la perfetta aderenza ai personaggi che interpreta, frutto di un meticoloso lavoro, ha sempre messo d’accordo tutti, facendo di lei, indiscutibilmente, una delle più grandi del cinema contemporaneo.

Meryl StreepMary Louise Streep nasce a Summit, nel New Jersey, il 22 giugno del 1949. Sua madre è un’artista, dipinge e dirige una galleria d’arte, mentre il padre è a capo di una casa farmaceutica. In casa la chiamano Meryl e con questo nome sarà poi conosciuta. Nelle sue vene scorre sangue nord europeo: Inghilterra, Irlanda, Svizzera, Olanda. La madre le trasmette la passione per il canto, che le fa studiare fin da bambina. La famiglia vive a Bernardsville, nel New Jersey, e Meryl ha due fratelli. Si diploma nella stessa cittadina e comincia ad appassionarsi al mondo dello spettacolo. È il 1971 quando le viene conferito il Bachelor of Arts in dramma  al Vassar College, mentre il Master of Fine Arts a Yale risale al ’75. Studia poi all’Actor’s Studio con Stella Adler e si dà al teatro. È da qui che parte anche la sua avventura cinematografica. Sarà infatti durante uno di questi spettacoli teatrali che catturerà l’attenzione di Fred Zinnemann, che le proporrà la sua prima apparizione sul grande schermo nel drammatico Giulia (1977), accanto a Vanessa Redgrave e Jane Fonda. A quest’epoca, la Streep ha 28 anni ed è pronta per il grande salto.

Nel 1978 Michael Cimino la vuole per uno dei suoi capolavori: sarà accanto a Robert De Niro – ancora oggi suo grande amico – John Savage e Christopher Walken ne Il Cacciatore, intenso lavoro incentrato sull’esperienza di tre amici, soldati in Vietnam. Il film ottiene un grandioso successo agli Oscar, portandone a casa addirittura cinque (miglior film, regia, attore protagonista Walken, montaggio e suono). Anche la Meryl Streep è per la prima volta candidata al premio e si fa conoscere così dal grande pubblico. Sul set del film, poi, conosce l’attore John Cazale, del quale sarà la compagna fino alla sua prematura scomparsa quello stesso anno. Quindi, sposerà uno scultore: Don Gummer, con cui avrà quattro figli.

Del 1979 sono due lavori importantissimi nella carriera dell’attrice del New Jersey: Kramer contro Kramer di Robert Benton e Manhattan di Woody Allen. Nel primo, Ted e Joanna Kramer sono una coppia con un figlio (Billy/Justin Henry), in crisi. Joanna/Meryl Streep, oppressa dalle responsabilità familiari e forse non più soddisfatta della propria vita, decide di prendersi del tempo per riflettere. Perciò se ne va, lasciando marito e figlio a cavarsela da soli. I due trovano un nuovo equilibrio, Ted/Dustin Hoffman riorganizza la propria vita in funzione della cura del figlio, impara ad essere per Billy anche “una madre”, ma Joanna torna e vuole il divorzio, nonché la custodia del piccolo. Inizia così una feroce battaglia legale tra i due genitori. Dunque un film non facile, sul ruolo e sui diritti dei padri, da considerare pari in tutto e per tutto a quelli delle madri.

Meryl Streep: vera diva del grande schermo

Alla Meryl Streep spetta caratterizzare questa figura di donna complessa, sul cui comportamento si può discutere, ma che ci appare qui con tutte le sue debolezze, le difficoltà, i dubbi umanissimi, e  con un sincero amore per il figlio. Interpretazione stellare sia per la Streep che per Hoffman. Infatti i due attori guadagnano entrambi il Premio Oscar. Per Meryl Streep arriva anche il Golden Globe, primo di una lunga serie. In Manhattan, l’attrice è ancora una donna (Jill) che abbandona il marito (Woody Allen/Isaac Davis), scrittore per la tv newyorkese, stavolta per amore di un’altra donna. Ma Isaac incontrerà per le vie di Manhattan Mary Wilkie/Diane Keaton. Collaborazione di peso quella con Allen per l’attrice di Summit. Qui i toni sono quelli di una commedia, diretta con maestria da un Woody Allen in stato di grazia. Un film che racconta soprattutto l’amore del regista per la sua città, che ci appare in bianco e nero mentre la storia si dipana sulle note di Gershwin. Nel 1981 Meryl è scelta da Karel Reisz per interpretare il ruolo della protagonista in La donna del tenente francese. Una storia d’amore tra passato e presente, che vede coinvolti una donna dell’ ‘800 che rinuncia a tutto, ed anche alla sua reputazione, per amore del tenente Jeremy Irons e, ai giorni nostri, due attori che portando in scena questa storia, vengono travolti dalla stessa passione. Quest’interpretazione consente tra l’altro alla Streep, interprete di entrambe le donne, di mostrare una delle sue particolari doti: quella di padroneggiare perfettamente diversi accenti e di saper quindi passare disinvoltamente dall’inflessione inglese britannica a quella americana.

È un periodo d’oro questo per la nostra attrice, che nell’83 viene insignita di un secondo Oscar e del Golden Globe per la sua straordinaria interpretazione nel drammatico La scelta di Sophie di Alan Pakula, che vede al suo fianco Kevin Kline, all’esordio sul grande schermo. Qui interpreta una giovane polacca, prigioniera nel campo di concentramento di Auschwitz, che compie una scelta difficilissima: abbandonare la figlioletta per salvare la vita propria e dell’altro figlio, collaborando con un comandante del campo. Nello stesso anno, con Silkwood entriamo assieme alla Streep in fabbrica e indaghiamo sul suo mal funzionamento: l’attrice interpreta l’operaia Karen Silkwood, vittima di una contaminazione radioattiva sul luogo di lavoro  nell’Oklahoma degli anni ’70, diretta da Mike Nichols. Nel cast anche Kurt Russel e Cher.

Meryl StreepDel 1985 è un altro grande successo di pubblico e critica, che accresce ancora la popolarità di Meryl Streep in tutto il mondo: La mia Africa di Sydney Pollack, tratto dall’omonimo testo di Karen Blixen. Una donna dal carattere forte la baronessa Blixen, che l’attrice interpreta con maestria e intensità. Donna che si innamora dell’Africa, dove compra e gestisce da sola una piantagione di caffè ai primi del ‘900. Ed ha anche il coraggio di lasciarsi alle spalle un matrimonio, quello col barone Blixen che le ha consentito di condurre una vita agiata, per cercare il vero amore. Lo troverà in Denys/Robert Redford. Allo stesso tempo, dunque, un inno a favore del coraggio e dell’intraprendenza delle donne, ma anche il racconto di una storia d’amore travagliata, tra una donna possessiva e decisa e un uomo che ama innanzitutto la propria libertà. Il film ottiene diversi Oscar, tra cui Miglior Film, Regia e Sceneggiatura, ma si fa apprezzare molto anche all’estero, in particolare nel nostro paese. Viene infatti premiato col Nastro d’Argento e col David di Donatello come miglior pellicola straniera, e a Meryl Streep va un meritato David come miglior attrice straniera. Dopo aver lavorato accanto a De Niro, Hoffman, Redford, nel 1986 l’attrice del New Jersey condivide il set con Jack Nicholson. Entrambi sono alle prese con un matrimonio che non riescono proprio a far funzionare in Heartburn – Affari di cuore, dove Meryl ritrova la direzione di Mike Nichols. Il regista la sceglierà di nuovo nel 1990 per il drammatico Cartoline dall’inferno.

Gli anni ’90 iniziano all’insegna della varietà per l’attrice: nel ’92 si fa dirigere da Robert Zemekis nella commedia La morte ti fa bella, dai toni satirici. Assieme a lei a reggere questa satira sul sogno dell’eterna giovinezza, Goldie Hawn e Bruce Willis. L’anno dopo torna al dramma, con la trasposizione cinematografica del romanzo di Isabel Allende La casa degli spiriti, che attraverso le vicende della famiglia Trueba ci racconta il Cile dagli inizi del ‘900 al regime di Pinochet. Difficile senza dubbio la sfida di racchiudere il grande affresco storico nel tempo di un film e di trasporre un romanzo senza tradirlo, ma il tema è forte e meritevole di trattazione, così come meritevoli sono senz’altro le interpretazioni degli attori, specie quelle di Jeremy Irons, nei panni del capofamiglia, il generale Esteban Trueba, della moglie Clara/Meryl Streep, e della sorella Ferula/Glenn Close. Nel ’95, Meryl aggiunge un tassello alle sue prestigiose collaborazioni e ottiene di nuovo il favore di pubblico e critica, diretta niente meno che da Clint Eastwood, e protagonista assieme a lui del romantico I ponti di Madison County. Francesca è una donna sposata che vive nella campagna dell’Iowa e dedica tutta la sua vita alla famiglia. Il fotografo Robert Kincaid è di passaggio, ma i due vivranno in pochi giorni un amore che cambierà le loro vite.

Il nuovo millennio inizia invece con la partecipazione al film di Spike Jonze Il ladro di orchidee, accanto a Nicholas Cage e Tilda Swinton, che vale all’attrice del New Jersey un altro Golden Globe. Dello stesso anno è un’altra scommessa vinta dalla Streep. Prende parte infatti a The Hours, impegnativa trasposizione del romanzo di Michael Cunningham. Un cast tutto al femminile regge quest’ambiziosa opera che vede protagoniste Nicole Kidman, nei panni di Virginia Woolf, Julianne Moore/Laura e Meryl Streep/Clarissa: tre donne in tre epoche diverse, legate da storie che s’intrecciano e dal romanzo Mrs. Dalloway, tre donne poste di fronte a scelte importanti, insoddisfatte delle proprie vite. L’interpretazione che colpisce maggiormente è senz’altro quella di Nicole Kidman, che guadagna l’Oscar e il Golden Globe – ma tutte e tre le protagoniste ottengono l’Orso d’Oro al Festival di Berlino. Nel 2004, un tuffo nel genere fantastico, con la partecipazione a Lemony Snicket – Una serie di sfortunati eventi, favola dalle atmosfere oscure per la regia di Brad Silberling.

Due anni dopo a regalare a Meryl l’ennesimo successo è la straordinaria abilità con cui impersona l’arcigna e altera direttrice di un importante magazine di moda, Miranda Priestley, in Il Diavolo veste Prada alle prese con l’apprendistato, non solo lavorativo, della giovane dipendente Andie Sachs/Anne Hathaway. L’interpretazione merita un nuovo Golden Globe. Ma non è questa l’unica commedia con la quale la Streep si cimenta quell’anno. Se infatti nella prima parte della sua carriera ha interpretato soprattutto ruoli drammatici, ha progressivamente scoperto e coltivato, sempre con ottimi risultati, anche il lato comico del suo talento. Così nel 2006 veste anche i panni di Liza, psicanalista di Uma Thurman/Rafi, che cerca l’amore e sembra trovarlo nel giovane David che però, guarda  caso, è il figlio di Liza. Ottima la sua interpretazione in questo Prime, commedia brillante firmata Ben Younger. Nel 2007 Meryl torna al dramma e ritrova Robert Redford, col quale non recitava dai tempi de La mia Africa. In questo caso, però, l’attore è anche regista e sceglie proprio la Streep e Tom Cruise per affiancarlo in Leoni per agnelli, pellicola d’impegno, in cui Redford fonde le storie di tre personaggi: il politico dalle forti ambizioni, senatore Irving/Cruise, la giornalista in cerca di uno scoop che lo intervisterà in esclusiva, Janine Roth/Streep, e un professore, Stephen Malley/Redford che cerca di far cambiare idea a un suo studente intenzionato ad abbandonare gli studi. A tenere insieme e a far da sfondo alla storia c’è la guerra in Afghanistan. Redford intende con questa pellicola scuotere le coscienze e richiamarle all’impegno.

Ma Meryl non trascura neppure il genere thriller, e partecipa all’esordio del regista sudafricano Gavin Hood, Rendition – Detenzione illegale. Nello stesso anno fa di nuovo ampiamente centro e mostra ottime doti di cantante, ballerina e performer nella commedia musicale Mamma Mia!, per la regia di Phyllida Lloyd, in cui dà corpo e una straordinaria vitalità al personaggio di Donna, spensierata figlia dei fiori negli anni ’60 e ora pragmatica padrona di un piccolo hotel in un’isola greca, alle prese  con l’imminente matrimonio della figlia, e non solo. Lo stesso anno la vede anche partecipare a Il dubbio, di John Patrick Shanley, che affronta il delicato tema della pedofilia all’interno delle istituzioni religiose (qui, in una scuola). Il film analizza in maniera complessa la questione e va a fondo nel tratteggiare le psicologie dei personaggi. Non solo quella del presunto pedofilo, Padre Flynn, ma anche quella della direttrice: Sorella Aloysius, una perfetta Meryl Streep.

L’attrice appare anche nel documentario di John Walter Theatre of war, incentrato sullo spettacolo Madre coraggio di Brecht, interpretata dalla Streep al teatro all’aperto di Central Park a New York. Questo testimonia come l’attrice non abbia mai abbandonato la sua passione degli inizi: quella per il palcoscenico. Nora Ephron la vuole nel 2009 per un ruolo brillante nella commedia gastronomica Julie & Julia. L’attrice è stavolta un’americana a Parigi negli anni ’50, conquistata dalla cucina francese. La sua storia scorre in parallelo con quella di una giovane americana dei nostri giorni, anche lei alle prese coi fornelli. Ennesima prova magistrale e meritato Golden Globe.

The Iron Lady filmEd eccoci all’attualità: nelle sale italiane arriva dal 27 gennaio The Iron Lady: un film che ha già fatto molto parlare di sé ed è già valso a Meryl, sua protagonista, il Golden Globe come Miglior Attrice drammatica. Una pellicola per la quale è tornata a farsi dirigere da Phyllida Lloyd, con cui aveva condiviso la fortunata esperienza di Mamma Mia! Una nuova sfida, forse una delle più difficili della sua carriera: quella di vestire i panni, nonché rendere la personalità e il temperamento forte, di Margaret Thatcher, Primo Ministro inglese dal 1979 al 1990. Personaggio discusso e anche criticato per alcune scelte politiche che cambiarono, nel bene o nel male, il volto dell’Inghilterra. La sfida è in parte già vinta, ma manca ancora il “boccone più ghiotto”: di certo l’attrice sarà una delle protagoniste nella corsa all’Oscar 2012.

The Iron Lady: recensione del film con Meryl Streep

The Iron Lady: recensione del film con Meryl Streep

In The Iron Lady, Margaret Thatcher, ex Primo Ministro britannico, ormai ottantenne, fa colazione nella sua casa in Chester Square, a Londra. Malgrado suo marito Denis sia morto da diversi anni, la decisione di sgombrare finalmente il suo guardaroba risveglia in lei un’enorme ondata di ricordi. Al punto che, proprio mentre si accinge a dare inizio alla sua giornata, Denis le appare, vero come quando era in vita: leale, amorevole e dispettoso. Lo staff di Margaret manifesta preoccupazione a sua figlia, Carol Thatcher, per l’apparente confusione tra passato e presente dell’anziana donna.

Preoccupazione che non fa che aumentare quando, durante la cena che ha organizzato quella sera, Margaret intrattiene i suoi ospiti incantandoli come sempre, ma a un bel momento si distrae rievocando la cena durante la quale conobbe Denis 60 anni prima. Il giorno dopo, Carol convince sua madre a farsi vedere da un dottore. Margaret sostiene di stare benissimo e non rivela al medico che i vividi ricordi dei momenti salienti della sua vita stanno invadendo le sue giornate nelle ore di veglia.

Meryl Streep è Margaret Thatcher

Arriva anche da noi The Iron Lady, film biografico che narra l’avvincente storia di Margaret Thatcher, una donna che è riuscita a farsi ascoltare in un mondo dominato dagli uomini, abbattendo le barriere di discriminazione sessuale e sociale. È questo uno dei temi portanti che l’inizio del film porta con sé, cercando di indagare quei lati meno battuti di un’Inghilterra  immobilizzata da una difficile situazione economica ed un maschilismo molto diffuso e difficilmente superabile. Il carattere e l’intraprendenza sono certamente i punti forti che caratterizzano profondamente il personaggio protagonista della storia.

Meryl Streep in The Iron Lady
Meryl Streep in The Iron Lady © 2011 – The Weinstein Co.

E chi se non un’altrettanto intraprendente e carismatica attrice come Meryl Streep può far rivivere con il giusto piglio quel personaggio sul grande schermo. Ancora una volta, Meryl echeggia poderosamente con la sua performance nell’intricato intreccio narrativo di una storia, contribuendo in grossa misura ai pro che caratterizzano la pellicola. Tuttavia quello che sorprende di più è che il suo contributo di bravura genera anche i contro, perché la Streep è talmente brava e desiderata che fa terra bruciata intorno a sé.

Il film è talmente incentrato su di lei e sul suo personaggio che finisce per diventare un cane che si morde la coda, finendo per generare un affresco si affascinante e intrigante ma altrettanto thatchercentrico e didascalico, finendo per limitare quelle che erano le reali potenzialità della storia. D’altronde, districarsi fra la vita politica e dirompete della Thatcher e l’intimità fragile e difficile di Margharet è un terreno difficile per molti.

Meryl Streep e Anthony Head in The Iron Lady
Meryl Streep e Anthony Head in The Iron Lady © 2011 – The Weinstein Company

Un film che fatica a stare dietro alla sua protagonista

Sin dalle prime battute diventano chiari i limiti della regista chiamata a dirigere questo ambizioso progetto: Phyllida Lloyd. La sua regia in tutta la  prima parte è un po’ piatta e non aiuta a far decollare il film, rialzandosi brevemente solo nelle ultime parti della storia, poco per un film che avrebbe dovuto essere un affresco su un periodo storico, su un personaggio storico e al contempo una dolce e sensibile storia d’amore. Gran parte dei meriti di una seconda parte più interessante e ricca di sfumature vanno senza dubbio alla magistrale performance di Jim Broadbent, che interpreta il marito della vulcanica donna, Denis Thatcher.

Dipinto dall’opinione pubblica come un pagliaccio, l’attore riesce nell’intento di rappresentare il suo personaggio come qualcosa di molto più che un semplice menestrello. La sua ironia e il suo senso dell’umorismo hanno senz’altro aiutato a far valere l’importanza del ruolo di Denis nella vita di coppia dei Thatcher, non a caso gli istanti d’intimità fra i due sono i momenti migliori del film, che nonostante tutto sorprende a più riprese, lasciando spazio anche ad alcune riflessioni politiche che risultano essere tutt’oggi ancora spaventosamente attuali.

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