Il prossimo 13 gennaio preparatevi
ad accogliere nei vostri cuori L’incredibile storia di
Winter il delfino, una storia vera, una fiaba tanto
commovente quanto realistica, capace di avvolgere lo spettatore in
un turbinio di emozioni uniche e spingerlo, infine, a guardare al
mondo con occhi diversi.
In L’incredibile storia di
Winter il delfino Winter, magistralmente
interpretato dal delfino Winter nella parte di se stesso, dopo
essere rimasto impigliato in una trappola per granchi viene tratto
in salvo e trasportato al Clearwater Marine Hospital. Qui,
gravemente ferito, viene assistito dal Dr. Clay Haskett che, pur a
malincuore, si ritrova costretto ad amputare la coda del povero
esemplare. Ma per Winter l’amputazione è solo l’inizio di una lunga
lotta. Una lotta contro la diversità, la disabilità, una
lotta estenuante per la vita. Senza coda il destino di Winter
sembra ormai segnato.
Sara così soltanto l’amicizia di
Sawyer, bambino timido e dalla grande bontà d’animo, con la sua
determinazione ed il suo coraggio, a strappare via Winter
dall’abisso del dolore e della solitudine. Grazie all’intervento
del Dr. Cameron McCarthy, Sawyer riuscirà a compiere un vero e
proprio miracolo, regalando al delfino un nuovo felice epilogo. Con
una protesi appositamente studiata Winter tornerà infatti a
nuotare, a giocare, ma soprattutto a vivere.
Oggi il vero Winter è diventato per
milioni di persone il simbolo della speranza. Il tema della
disabilità, che nel film emerge in primo piano con quello
dell’amicizia straordinaria tra uomini e animali, si sposa
perfettamente con quello della rinascita e di una ritrovata
libertà. Ed ecco che allora, quando valicare limiti, spesso
autoimposti, diventa qualcosa di realizzabile, la disabilità si
tramuta in null’altro che in un’effimera etichetta.
Perché in fondo si può essere
liberi e “illimitati” anche in un corpo diverso, perché dopotutto
una via c’è sempre. Basta saperla cercare.
Conferenza stampa affollata alla
Casa del Cinema per la presentazione de L’industriale, ultimo
lavoro di Giuliano Montaldo, che sarà nelle sale italiane da
venerdì 13 gennaio, distribuito in 85 copie. Presenti i
protagonisti, Pierfrancesco Favino e Carolina Crescentini, ma anche
Elisabetta Piccolomini, Francesco Scianna, Elena Di Cioccio, Gianni
Bissaca, lo sceneggiatore Andrea Purgatori, il produttore Angelo
Barbagallo, e Paolo Del Brocco di Rai Cinema che coproduce la
pellicola e la distribuisce con 01 Distribution.
Montaldo dimostra con
questo film che il suo sguardo su quello che avviene in Italia e
nel mondo non si è mai affievolito e continua a essere interessante
e di forte attualità
Giuliano Montaldo: “Quando abbiamo pensato questo film, un po’
di anni fa, (…) non era così: c’era un mare in burrasca, ma non
c’era certamente lo tsunami che adesso ha colpito tutta Europa e
non solo. Adesso la situazione è grandemente peggiorata”. Riassume
la trama del film (che vede protagonista Favino nei panni di Nicola
Ranieri, industriale travolto dalla crisi che rischia di veder
fallire l’azienda che ha ereditato, creata dal padre, ex operaio,
assieme ai suoi compagni di lavoro. Crisi che diventa presto
esistenziale e travolge il suo rapporto con la moglie
Laura/Carolina Crescentini, facendo emergere il lato peggiore di
lui). Poi torna a parlare di come la realtà oggi vada oltre la
finzione e questa crisi sia più difficile da risolvere di tante
altre nel passato: “(…) Stiamo leggendo ogni giorno cose terribili.
Io continuo a non capire. Leggo sui giornali: oggi hanno bruciato
200 miliardi, ma chi è il piromane? Dov’è il fumo? Perché non
arrivano i pompieri? Non lo so.” “Una volta ce la sbrigavamo da
soli, era l’Italia, se la zecca ti dava un po’ più di soldi (…),
poi magari con qualche piccolo sacrificio, si rimettevano a posto
le cose.” Mentre oggi la crisi è europea: “Ma il cerino sta
bruciando anche nelle nostre mani, ci stiamo scottando tutti. È
chiaro che in un periodo come questo, com’è accaduto al nostro
industriale, Ranieri, nel film, accade che le banche chiudono gli
sportelli, che gli usurai sono pronti a divorare chi ha bisogno di
aiuto.”
A Crescentini e Scianna:
cos’ha rappresentato per voi lavorare con un maestro come Montaldo?
Come avete lavorato sul personaggio? Cosa vi ha dato? Anche a
Favino, parlaci del ruolo di questo industriale.
Carolina Crescentini per questa sua
seconda esperienza con Montaldo parla di “gioia infinita” e
aggiunge che “il suo set è assolutamente speciale. C’è una
concentrazione, un’ironia, una semplicità che non si trovano
facilmente”. Riguardo al suo ruolo spiega: “Il mio personaggio era
una donna in crisi, che compiva anche delle azioni sbagliate,
perché era confusa.” E sul metodo di lavoro: “Mi sono dovuta far
travolgere dalla sua crisi e soprattutto ho dovuto smettere di
giudicarla. Infatti, il primo istante è stato di giudizio e non
riuscivo a capire alcune azioni: anche questo interesse per
Gabriel, in realtà è il risultato della confusione, del provare a
essere vista da qualcuno, provare a sentirsi leggera o speciale.
Quando ho gettato l’ascia del giudizio siamo entrate in contatto,
ed è stato bello. Chiaramente mi ha lasciato con un po’ di
bruciature che poi pian piano si sono risanate.”
Entusiasta anche Francesco Scianna,
che del lavoro col maestro dice: “La cosa che ho percepito
ancora di più lavorando con lui è che la cultura e la conoscenza
sono anche leggerezza (…). Essere diretti da un grande maestro è
fondamentale, perché riesci a entrare in profondità nel lavoro,
nella conoscenza del personaggio, e anche nel gioco di lasciarsi
andare all’istinto, ma con la sicurezza (…) che dietro la macchina
da presa c’è una figura che conosce bene i meccanismi
dell’interpretazione e del racconto” Questo, dice, “è un
regalo bellissimo” ricevuto da parte di Montaldo. Riguardo al
personaggio: “E’ stato bello per me perché è nuovo rispetto a
quelli che ho interpretato finora” soprattutto, aggiunge, è stato
bello poter “lavorare su un personaggio doppio, che fa i propri
interessi a discapito del suo cliente. (…) Non lo stimo come
professionista, però non l’ho giudicato mentre lavoravo,
semplicemente mi ci sono abbandonato”
Pierfrancesco Favino: “Io sono
stato rapito da Giuliano il giorno in cui, incontrandolo a casa
sua, dopo aver iniziato a parlare del film (…) e a un certo punto
mi offre un caffè – che fa lui e di cui è orgogliosissimo
(…), è il nostro Clooney… – mi porta nel bagno di servizio e mi
dice: ‘Alla fine del nostro lavoro, tu finirai qui’. Perché lui ha
tutte le sue locandine in bagno, e questo la dice lunghissima sulla
leggerezza e la serietà di cui parlava prima anche Francesco. Io
sono stato rapito da questa cosa qua e sono molto, molto
orgoglioso, per chiunque di voi che avrà occasione di mingere in
casa Montaldo, di trovare il mio faccione lì.”
Questo film ci riporta alla
tradizione del grande cinema italiano di racconto della nostra
società, di denuncia, che ci fa pensare ai toni di Una vita
difficile, o altri grandi film. Perché in Italia per così tanto
tempo non abbiamo avuto cinema di questo tipo? Quanto è difficile
realizzarlo? Potrebbe tornare ora? Una considerazione sul “cinema
della crisi”, che è anche, come in questo film, crisi esistenziale:
cosa succede alle persone nella crisi?
G.M.: “Di crisi ne ho viste
tante” Racconta, specie nel cinema, dove già si parlava di crisi ai
tempi dei suoi inizi come attore, nel 1950. Ma, “il cinema italiano
ce l’ha fatta, ha superato molte crisi, si è inventato di tutto,
s’è inventato il western all’italiana, ha inventato i film che
Tarantino considera dei capolavori”. Tuttavia, dei problemi pratici
si pongono, come quello di trovare produttori e distributori
disponibili ad investire in progetti di questo tipo. E a tal
proposito Montaldo dice: “Dobbiamo dire grazie (…) a Rai Cinema e a
01 Distribution che tiene alta questo tipo di qualità, devo dire
grazie a un produttore come il mio amico Angelo Barbagallo, che ha
detto sì subito ad un’impresa che all’inizio poteva essere
disperante.” E ricorda come non fosse facile neanche in passato:
“C’ho sempre messo tre, quattro anni a convincere qualcuno a fare
dei film” Anche per Sacco e Vanzetti, a proposito del quale,
racconta, qualcuno che non voleva produrlo disse: “Che è ‘na ditta
de import-export? (…)”. Rivendica poi le sue scelte ribadendo: “Ho
scelto imprese difficili, però volevo raccontare la mia
insofferenza per l’intolleranza, l’ho raccontata con questi
film”.
Ci metti un po’ per fare i
film, quindi non potevi avere già in tasca tutto quello che è
successo negli ultimi anni (per esempio Pierfrancesco sembra uno di
quegli imprenditori che si sono suicidati ultimamente). Come sei
andato a pescare qualcosa che non era ancora successo, come l’hai
trovato?
G. M. “Nel film c’è una scena
con una fabbrica occupata (…). Volevamo cercare una fabbrica
occupata vera (…) a Pinerolo, ma di andare nelle fabbriche
dismesse, occupate o in crisi non ce la siamo sentita, allora
chiedemmo l’autorizzazione ad una fabbrica in funzione, una delle
poche a Pinerolo che aveva un grande successo. Nella notte il
nostro (…) scenografo (Frigeri), si mise a lavoro, mettendo
striscioni (….), fotografie dei figli, scegliendo gli operai uno
per uno, truccati eccetera … E’ scoppiato un casino che non
immaginate: la gente è arrivata, gruppi di persone disperate (…).
Abbiamo dovuto dire: è cinema. Questo accade quando la finzione
diventa realtà. La crisi c’è. È profonda ed è drammatica: quel
giorno abbiamo dovuto quasi abbracciare persona per persona, per
rassicurarli che i familiari fossero dentro a lavorare”.
A Pierfrancesco, una
considerazione “critica”: hai fatto Cosa voglio di più e
L’industriale, che secondo me hanno tantissimo a che vedere l’uno
con l’altro, perché entrambi raccontano la precarietà di un mondo
come il nostro, il momento di difficoltà che poi si tramuta in una
precarietà sentimentale assoluta. Mi faceva piacere una tua
riflessione su questo.
P. F. “Io di mestiere faccio
l’attore e quello che le storie raccontano è quello che capita alle
persone (…). Sicuramente siamo colpiti contemporaneamente nelle
tasche ma forse più gravemente, almeno dal mio punto di vista forse
un po’ ideologico, nella nostra emotività. E questo è quello di cui
non si parla mai, fino a quando non si arriva ai gesti di cui si
parlava prima.” E a proposito di questo ritardo nell’affrontare
certi temi, ricorda che già nelle cronache di cinque anni fa
c’erano casi di imprenditori, fabbriche e lavoratori in difficoltà.
ma in quanto attore, afferma di non essere interessato “alla
storicizzazione o alla politicizzazione degli eventi” “A me
interessa sapere che cosa accade ad un uomo. In questo caso, o nel
caso di Cosa voglio di più, accade che [la situazione economica e
sociale] influisce enormemente su quello che puoi sentire,
addirittura su quello che tu puoi permetterti, in alcuni casi, di
sentire.” Ma sottolinea anche come a risentire di questa crisi, di
questa precarietà, non siano solo i quarantacinquenni come Nicola,
protagonista del film: “Trovo che si parli sempre poco di quello
che succede tra i 18 e i 25 anni, quando le persone si iniziano a
formare un’identità attraverso il lavoro”. “Dal punto di vista
propulsivo per una società, togliere a (…) questi ragazzi la
possibilità di sentirsi integrati (…) è molto grave, (…) e le
conseguenze si raccolgono dopo”. Descrive poi il personaggio di
Nicola come “un uomo che (…) usa una virtù nel lavoro, che è la sua
tenacia. La stessa virtù nel lavoro, nell’ambito familiare,
pratico, diventa il suo difetto, la sua condanna.” E aggiunge:
“Ora, una riflessione su quello che è significato in questi ultimi
vent’anni l’aggressività, l’arroganza come aspetto vincente
dell’essere umano, in particolare maschile, (…) secondo me va
fatta. Credo che sotto questo film ci sia tutto questo, e che sia
meravigliosamente lasciato dall’intelligenza di Giuliano e di
Andrea (Purgatori ndr) a una deriva di fiction.” E su un aspetto
fondamentale del personaggio di Nicola, la solitudine, precisa:
“Una emozione che sente moltissimo chi si trova in una situazione
del genere, è la solitudine, è il fatto di pensare che il mondo gli
si rivolti contro, solo a lui. Vedere rappresentato in un film
questo, è qualcosa che non dico dia speranza, ma ti fa pensare che
non sei solo, perché quando hai i debiti, pensi che (…) ci
sia una scatola che ti si sta chiudendo intorno e nessuno lo
capisce, che sei solo, che sei abbandonato a te stesso.”,
rivendicando anche l’utilità del cinema in questo senso: “Vedere
tutto ciò rappresentato in un film, ora che sembra che si possa
parlare di crisi, (…) credo che abbia un valore molto importante.
(…) Secondo me, fa bene, perché ti fa capire che ci sono altri
nella tua stessa condizione. Negarlo e dire: il pubblico vuole
ridere e basta, secondo me è sbagliato”.
Andrea Purgatori: “(…) Io
venerdì sarei molto felice se Passera e Monti andassero all’Adriano
a vedere questo film, perché se è vero che il cinema italiano
riesce o riprova a raccontare questo paese, è anche vero che chi
guida questo paese forse può avere un punto di vista, una
intuizione, un suggerimento, una suggestione da una storia che, pur
essendo di cinema, può aiutarli ad avere uno sguardo più ampio di
quello che si può avere all’interno di una stanza, per quanto possa
essere grande la stanza di Palazzo Chigi. Mi auguro che Monti e
Passera vadano a vedere questo film anche per un altro motivo: (…)
domenica Monti è andato da Fazio (Fabio Fazio, conduttore di Che
tempo che fa ndr), riconoscendo in qualche modo al servizio
pubblico la capacità di poter spiegare ciò che la politica in
questo momento drammatico sta facendo, dando alla televisione
pubblica un riconoscimento di elemento strategico, fondamentale
nella vita di un paese. Se vanno al cinema a vedere questo film, ma
non solo questo, forse danno anche al cinema un riconoscimento di
elemento strategico nella conservazione, nello sviluppo e nel
mantenimento della cultura italiana, e della nostra capacità
di raccontare”.
Com’è nata l’idea di questo “quasi bianco e nero”,
di raccontare questa storia con questo stile che le dà una
drammaticità, una forza particolare?
G. M.: “Normalmente, finita la
sceneggiatura, faccio degli appunti (…), un’analisi di quello che è
scritto in sceneggiatura per dare ai collaboratori degli elementi
ulteriori. (…) Tra i primi appunti c’era scritto: ‘Questo film io
lo penso, lo vedo, lo sogno in bianco e nero. So che è una
provocazione, che sarà molto difficile arrivarci, ma non riesco a
immaginarlo che così (…), una storia che non ha colore, il colore è
fuori scena’. Devo dire che, quando il direttore della fotografia
Arnaldo Catinari mi ha portato a Cinecittà, mi ha detto: ho una
sorpresa per te (…. E mi ha cominciato a far vedere queste immagini
desaturate con questa nuova tecnologia (…). È cominciato lì il
passaggio. (…) Quando anche il nostro produttore è venuto a vedere
questo esperimento, l’ho visto subito aderire, come anche Rai
Cinema, a questa idea.” Mentre, riguardo a personaggi come il
banchiere presente nel film (interpretato da Roberto Alpi), che
approfittano delle disgrazie altrui per fare profitti, dice senza
mezzi termini: “Ma che sciacalli!”, e aggiunge: “Non si deve dire:
approfitti di chi è in mezzo ai guai, così lei fa un affare. È
sciacallaggio. Come si chiama? Portatemi altri nomi e io sarò
felice di ascoltarli.”
Il contrasto “caldo-freddo”
di cui si parla nelle note di regia, e che emerge durante tutto il
film, è anche legato al concetto di vergogna? Come avete lavorato a
questo aspetto e in generale alla sceneggiatura per arrivare a un
risultato così buono?
A.P.: “Innanzitutto, Giuliano
Montaldo, grande autore del nostro cinema, è (…) tra i pochi che
hanno profondo rispetto per la scrittura di un film. (…) Non solo
ha rispetto per chi scrive il film, ma ha anche la capacità e la
lungimiranza di capire che se non si fa imprigionare dall’essere
semplicemente coautore della sceneggiatura, può accettare di andare
molto oltre e di migliorarla. Questa è una qualità rara nel nostro
cinema, dove invece stranamente, ci si sente autori solo se si fa
tutto: si scrive, si gira ecc … Questo secondo me è un primo
elemento importante, perché quando abbiamo scritto, Giuliano è
stato sempre molto attento negli stimoli e molto capace di aiutarmi
all’interno delle scene, a tirare fuori quel caldo e freddo ogni
volta che ce n’era bisogno, perché mentre io scrivevo lui stava già
lavorando con la testa per cercare di capire come interpretare e
andare oltre la sceneggiatura. Questa è stata un po’ la chiave.”
Inoltre, sempre sull’elaborazione di soggetto e sceneggiatura:
“Questa crisi non la scopriamo nella tragicità di oggi, è una crisi
che si vedeva benissimo anche due o tre anni fa. In questo
naturalmente c’è l’intuizione che ha avuto Giuliano insieme a Vera,
di immaginare un soggetto da calare dentro questa crisi, e poi c’è
il lavoro fatto per cercare di mettere in scena una realtà: quella
delle banche, dello strozzinaggio (…), la solitudine (…). Abbiamo
parlato dei suicidi e abbiamo cercato, ovunque era possibile, di
inserire tutti quegli elementi che oggi incredibilmente fanno sì
che questo film sembri scritto e girato stamattina.”
“Caldo e freddo io l’ho subito
durante le riprese”, scherza Montaldo. Ma poi torna serio e loda
tutti i suoi collaboratori: “Un copione è come un bello spartito,
parte da un’idea (…). Se nel golfo mistico ci sono dei bravissimi
collaboratori (lo scenografo, il direttore della fotografia, il
collaboratore alla regia, l’aiuto, il montatore e (…) dei bravi
cantanti, ergo attori, (…) il regista-direttore d’orchestra basta
che faccia così” e fa il gesto di dirigere l’orchestra col braccio
“ (…) Se hai fatto queste buone scelte, un passo avanti l’hai già
fatto.” È questo il motivo, spiega, per cui scrive: “regia di”,
anziché “film di”, “Perché il film non è mio, è nostro.”
Volevamo sentire due parole
anche dalle due donne borghesi e dall’operaio …
Gianni Bissaca: “(…) Saverio è un personaggio piccolo ma
interessante, perché mi ha un po’ ricordato quando a Torino è morto
l’avvocato (…): c’era una gran folla ai funerali (…). Tra gli
altri, c’erano molti operai della Fiom (…). Non credo che andassero
ai funerali dell’avvocato per una sorta di piaggeria o perché era
morto il re. C’era davvero qualcosa che legava tutto il mondo del
lavoro e che forse oggi non lo lega più. Questo film lo racconta
molto bene.”
Elisabetta Piccolomini dice del suo
personaggio: “C’è un’ottusità in questa mamma ricca”, e afferma
con ironia e schiettezza: “Sono andata a scuola di stronzaggine per
fare questo film”
Elena Di Cioccio: “Qualcuno mi
ha detto: questa è l’esperienza più bella, più accogliente che ti
potrà mai capitare su un set, ed effettivamente è stato così”.
E racconta come nel suo rapporto con Carolina Crescentini set e
vita reale si siano intrecciati, dando vita a una vera amicizia
: “Come sua amica, ho vissuto tutto il suo lavoro, anche
emotivo, sul personaggio. L’amica sta al fianco, sa tutto, conosce,
vede prima, se ne accorge, vive di riflesso ciò che vive la
protagonista. L’abbiamo vissuto, e soprattutto lei me lo ha fatto
vivere.”
Non pensate che la crisi
privata del personaggi prenda un po’ il sopravvento sulla crisi
dell’industriale?
G. M. “Abbiamo pensato che
queste crisi irrompano in maniera terrificante all’interno delle
case, perché abbiamo letto di persone che sono morte, non solo
dentro, come sta per morire lui (Favino/Ranieri), ma si sono
suicidate, anzi pare che siano arrivati ad un numero terrificante,
soprattutto nel Nord-est”. Nel film però, non ci si concentra sulla
morte fisica, ma su “la morte dell’amore, ferito in maniera
terrificante dall’orgoglio di Nicola e dal suo desiderio di farcela
da solo (…).”
Qui la crisi viene vista
per la prima volta dal punto di vista dell’industriale. Potrebbe
accadere secondo lei che operai e industriali si unissero per
combattere la crisi?
G. M. “Credo che nelle piccole
aziende (…) questo possa accadere e accada. Normalmente il cinema,
anche i miei colleghi più illustri, non hanno fatto molti film
sulla classe operaia. (…) A parte Petri, Monicelli (…). È come se
ci fosse un pudore da parte nostra: di raccontare un mondo e non
raccontarlo come protagonista (…), con la passione e con
l’attenzione di chi lo conosce bene (…).”
Chiudono l’incontro gli
interventi di Paolo Del Brocco di Rai Cinema e di Angelo
Barbagallo.
Paolo Del Brocco: “(…) Questo è
un film perfetto dal punto di vista di Rai Cinema (…), perché
racconta (…) la nostra società. Anzi, addirittura forse l’ha
anticipata, perche quando il film è stato pensato e realizzato, sì,
c’erano i segnali, ma forse non eravamo a questo punto. Quindi è
perfetto per quello che deve fare, in molti casi, una società del
servizio pubblico: intercettare la società, rappresentarla,
raccontare quello che accade, non solo con storie che (…)
raccontino il generale, ma che partano dal particolare, dalla vita
di un uomo e da quello che prova una famiglia rispetto a una
situazione che ha un impatto sociale fortissimo.”
Angelo Barbagallo: “(…) Per
tutti quelli che fanno questo mestiere è importante che Rai e Rai
Cinema continuino a produrre e a finanziare questi film,
perché è l’unico modo per farli. (…) Riguardo al fatto che
non se ne vedono tanti di film così, che un film come questo è un
po’ un ritorno, anche a me ha fatto particolarmente piacere
partecipare a questo ritorno”. “Non sono moltissimi gli esempi di
cinema così riuscito su questi temi. (…) Abbiamo attraversato tutto
il periodo del cinema politico, che era noiosissimo (…). Questo
film, pur raccontando una storia così drammatica, è un piacere
vederlo, perché è cinema in una forma classica (…), molto ben
interpretato e molto ben diretto da Giuliano. Lavorare con lui è
stato piacevolissimo (…), verificare la sua passione, vivacità, che
mi fanno sperare che ci sia un seguito.”
Passato quasi in sordina
a Venezia
a causa dell’effetto Shame, arriva in Italia La
Talpa (Tinker, Tailor, Soldier, Spy in
originale) opera secondo di Tomas Alfredson. Si
tratta di uno dei film più attesi della stagione, dal momento che
oltre ad avere al timone il regista rivelazione di Lasciami Entrare, ha al suo attivo un cast di
pezzi da novanta, capitanati nientemeno che da Gary Oldman, già bravissimo e amatissimo
commissario Gordon per Christopher Nolan. Insieme a lui sua altezza
reale Colin Firth, il bravissimo John Hurt,
Mark Strong che sta diventando uno dei migliori
caratteristi in circolazione, il Warrior
Tom Hardy e Benedict Cumberbatch, noto ai più come
Sherlock Holmes, protagonista dell’omonima e
recentissima serie tv della BBC One.
La Talpa, tratto
dal romanzo di John
le Carré, si concentra in un periodo storico molto
teso, che vede al suo apice le tensioni tra USA e URSS nel corso
della Guerra Fredda. Di mezzo c’è una presunta ‘talpa’, un
infiltrato nei servizi segreti britannici che sta dalla parte dei
sovietici e che potrebbe incrinare i preziosi rapporti di amicizia
che ci sono tra Regno Unito e i cugini d’Oltreoceano. Incaricato di
stanare la talpa è assegnato a George Smiley (Gary
Oldman), che mettendosi sulla pista lasciatagli dal
suo superiore dal nome in codice Controllo (John
Hurt), si muove con astuzia in mezzo alle difficili trame
nascoste dei servizi segreti. Alfredson mostra per
la seconda volta la sua accattivante eleganza con la macchina da
presa centellinando parole e note, per lasciare spazio alle
immagini, ai piani larghi e ai gesti misurati di un protagonista
immenso, che con uno sguardo, un’inclinazione del viso o
un’increspatura delle labbra riesce a dire tutto ciò che serve.
La Talpa, tra stile e
regia
Lo stile del regista riesce,
rinunciando a qualsiasi espediente esterno come la musica e il
montaggio frenetico, a mantenere alta l’attenzione in una vicenda
che ne richiede molta, soprattutto considerando che viene
raccontata in base ad un susseguirsi di eventi cronologicamente non
lineari e che, soprattutto all’inizio rischiano di confondere lo
spettatore. Purtroppo, proprio questo interessante elemento di
ricercatezza stilistica ha il difetto di appesantire la narrazione,
rendendo il film un po’ meno appetibile. La sensazione che si ha
alla fine è quella di un film concluso, compiuto nella sua
contingenza narrativa ma che promette un futuro in cui altro deve
ancora accadere e dando l’impressione che infondo non è veramente
importante chi sia la talpa, ma chi, una volta rimossa ‘la mela
marcia’, riesce ad ottenere il permesso di guidare i meccanismi
segreti che reggono una nazione.
La Universal celebrerà il prossimo
30 aprile i suoi primi cento anni e si prepara ad accompagnare
l’evento con numerose iniziative, tra le quali il restauro e il
rilancio di alcuni dei suoi maggiori classici: la lista al momento
include 13 film tra cui Gli uccelli, Schindler’s List, Niente
di nuovo sul fronte occidentale, Dracula, Lo Squalo ed E.T. Per
l’occasione è stato ideato un nuovo logo.
Dell’elenco dei film restaurati per
l’occasione fanno parte anche La mia Africa, La moglie di
Frankenstein, La Stangata, Il letto racconta e Gianni e Pinotto
reclute. Inaugura i festeggiamenti, proprio in gennaio, l’edizione
in Blu-ray de Il buio oltre la siepe con Gregory Peck, che
festeggia tra l’altro il suo cinquantesimo anniversario, mentre
E.T. compierà quest’anno i suoi primi trent’anni.
Si intitolerà Sinister uno dei
prossimi film che vedranno protagonista Ethan Hawke, per la regia
di Scott Derrickson (The Exorcism of Emily Rose, Ultimatum alla
Terra). Il film appartiene al classico filone delle ‘case
stregate’, con Hawke nei panni di uno scrittore di thriller che per
trovare l’ispirazione si reca in una casa teatro del massacro di
una famiglia; nella stessa casa, troverà i video di altre uccisioni
avvenute lì, finendo per diventare protagonista di un’indagine dai
risvolti paranormali e vedendo messa in pericolo la sua stessa
famiglia.
Stando a queste anticipazioni,
Sinister sembra destinano a non essere particolarmente originale,
ricordando innumerevoli precedenti (1408 con John Cusack uno degli
esempi più recenti); al film parteciperà anche Vincent D’Onofrio.
Il regista Scott Derrickson ha una lunga consuetudine con l’horror:
ha invatti diretto alcuni sequel, come Hellraiser: Inferno e Urban
Legends: Final Cut, prima dei già citati The Exorcism Of Emily Rose
e del remake di Ultimatum alla Terra; recentemente, il suono nome è
stato collegato ai progetti di altri remake, come quelli di
Poltergeisy e de Gli Uccelli; inoltre è dato come possibile regista
delle trasposizioni dei romanzi del Ciclo di Hyperion dello
scrittore di fantascienza Dan Simmons.
Dopo il cambio di regista, da Patty
Jenkins ad Alan Taylor, la Marvel ha individuato chi si
incaricherà di riscrivere la sceneggiatura del secondo capitolo
della saga dedicata al Dio del Tuono: la scelta è caduta su Robert
Rodat, già autore di Salvate il soldato Ryan e, più recentemente,
ideatore della serie TV Falling Skies.
Dopo una prima stesura da parte di
Don Payne, uno degli sceneggiatori del primo episodio, la Marvel ha deciso di procedere ad
una revisione, scegliendo Rodat per il compito. L’uscita del
secondo film di Thor è prevista per metà novembre 2013; le riprese
dovrebbero cominciare in estate: del cast, oltre a Chris Hemsworth,
dovrebbero tornare a fare parte anche Anthony Hopkins, Natalie
Portman e Tom Hiddleston.
Robert Downey jr. ha parlato
brevemente di due suoi prossimi progetti: il sequel di Iron
Man 2 e le voci che lo vedono in lista per il
Pinocchio targato Warner e che potrebbe dirigere
Tim
Burton.
Il film di Paolo e
Vittorio Taviani, Cesare deve
morire e il film di Billy Bob Thornton,
Jayne Mansfield’s Car,che vede protagonisti oltre allo stesso
regista, Robert Duvall, John Hurt
e Kevin Bacon entrano a far parte del concorso del
62° Festival internazionale del cinema di Berlino. Nel primo
weekend della Berlinale 2012 sarà presentato anche il film
In the Land of Blood and Honey, che vede il
debutto di Angelina Jolie dietro la macchina da
presa.
Il film dei Taviani è una docufiction
sui laboratori teatrali realizzati nel Carcere romano di Rebibbia
dal regista Fabio Cavalli, autore di adattamenti
shakespeariani interpretati dai detenuti. Il film segue le prove e
la messa in scena finale del Giulio Cesare, ma anche le vite
quotidiane dei detenuti. Fra i film italiani che hanno tentato la
via berlinese Diaz di Daniele Vicari e
Romanzo di una strage di Marco Tullio
Giordana. Vedremo nei prossimi giorni se troveranno posto
alla prossima Berlinale.
Arrivano dalla Directors Guild le
prime nomination per la stagione dei premi che presto entrerà nel
vivo. L’associazione dei registi americani ha annunciato la
cinquina con la sorpresa David Fincher, regista di Millennium: uomini
che odiano le donne, che presto arriverà anche da noi.
Approderà nelle nostre sale il 13
gennaio, La chiave di Sara (Elle s’appelait
Sarah), film diretto da Gilles Paquet-Brenner ed
interpretato da Kristin Scott Thomas. La pellicola ripercorre
la storia di Julia Jarmond, giornalista americana
che vive in Francia da 20 anni e sta facendo un’inchiesta sui
dolorosi fatti del Velodromo D’inverno, il luogo in cui vennero
concentrati migliaia di ebrei parigini prima di essere deportati
nei campi di concentramento.
Lavorando alla ricostruzione degli
avvenimenti Sara si imbatte in una donna che aveva 10 anni nel
luglio del 1942, e ciò che per Julia era solo materiale per un
articolo, diventa una questione personale, qualcosa che potrebbe
essere legato ad un mistero della sua famiglia. A 60 anni di
distanza è possibile che due destini si incrocino portando alla
luce un segreto che sconvolgerà per sempre la vita di Julia e dei
suoi cari?
A volte una verità che
appartiene al passato comporta un prezzo da pagare nel
presente… è una delle frasi che recita nel film il personaggio
interpretato con grande bravura ed eleganza da
Kristin Scott Thomas, che con una performance
attoriale perfetta conduce per mano lo spettatore nelle ombre di
uno dei momenti più oscuri della storia contemporanea francese.
La chiave di Sara,
un film che guarda al passato senza remore
Il pregio più grande di La
chiave di Sara è forse la capacità di guardarsi indietro
senza remore, in maniera lucida e schietta, con l’intento di
riscrivere la storia così com’è avvenuta, senza la presunzione di
giudicare ma con il semplice obiettivo di raccontare la
verità, violenta e tragica che sia. Ne viene fuori un sorprendete
ritratto di una Francia in mano ai tedeschi e in completa devozione
a Hitler, mentre tutto il resto della popolazione semplicemente
cerca di sopravvivere, molto spesso chiudendo un occhio e forse
due.
Dietro La chiave di
Sara c’è una regia che racconta attraverso un
continuo alternarsi tra flashback e flashforward le vicende delle
due protagoniste in maniera quasi sempre efficace. Forse la seconda
parte del film viene eccessivamente oberata da una carica emotiva
che in qualche modo condiziona la lucidità del racconto ma è
altrettanto vero che è quasi inevitabile dover fare i conti con un
presente che non è altro che il prodotto del nostro passato. Quindi
si può perdonare una seconda parte un po’ scontata e non
altrettanto sorprendete come la prima.
Tutto sommato però questo non
limita la pellicola che riesce nell’intento di raccontare una
storia ancora oggi avvolta in un velo di assordante silenzio.
Guardarsi indietro con coraggio è sinonimo di crescita e maturità
che la cinematografia francese sembra possedere, come quella
americana, al contrario della nostra che è ben lungi dall’essere
lucida, schietta e matura.
Non avere paura del
buio: Sally Hurst (Bailee Madison), una solitaria figlia
introversa, è appena arrivata a Rhode Island per vivere con suo
padre Alex (Guy Pearce) e la sua nuova fidanzata Kim (Katie Holmes)
presso al palazzo del 19 ° secolo che stanno restaurando. Mentre
esplora la tenuta tentacolare, la ragazza scopre una cantina
nascosta, indisturbata sin dalla scomparsa del costruttore del
palazzo un secolo fa. Quando Sally lascia involontariamente liberi
una razza di antiche creature che dimorano nell’oscurità e che
cospirano di trascinarla giù nelle profondità senza fondo della
casa misteriosa, dovrà convincere Alex e Kim che non è una sua
fantasia prima che la malvagità che si nasconde nel buio li consumi
tutti.
Shame: Brandon ha
un problema di dipendenza dal sesso che gli impedisce di condurre
una relazione sentimentale sana e lo imprigiona in una spirale di
varie altre dipendenze. Nulla traspare all’esterno: Brandon ha un
appartamento elegante, un buon lavoro ed è un uomo affascinante che
non ha difficoltà a piacere alle donne. Al suo interno, però, è un
inferno di pulsioni compulsive. Va ancora peggio alla sorella
Sissy, bella e sexy, ma più giovane e fragile, la quale passa da
una dipendenza affettiva ad un’altra ed è sempre più incapace di
badare a se stessa o di controllarsi.
La talpa: Londra,
1973. Control, il capo del servizio segreto inglese, è costretto
alle dimissioni in seguito all’insuccesso di una missione segreta
in Ungheria, durante la quale ha perso la copertura e la vita
l’agente speciale Prideaux. Con Control se ne va a casa anche il
fido George Smiley, salvo poi venir convocato dal sottogretario
governativo e riassunto in segreto. Il suo compito sarà scoprire
l’identità di una talpa filosovietica, che agisce da anni
all’interno del ristretto numero degli agenti del Circus: quattro
uomini che Control ha soprannominato lo Stagnaio, il Sarto, il
Soldato e il Povero.
Succhiami: Parodia
di Twilight. Dopo 3 film e 5 anni di bacetti al chiaro di luna,
Edward e Bella si danno alla pazza gioia spaccando spalliere dei
letti in luna di miele! Jacob smette di gridare “Al Lupo, Al Lupo”
e amareggiato e depresso abbandona anni di palestra per buttarsi
sui carboidrati. Tutto sembra finito, ma dei valori del sangue
sballati regaleranno nuove sorprese al triangolo amoroso più
tormentato della storia.
L’incredibile storia di
Winter il delfino in 3D: L’incredibile storia di Winter il
delfino di Alcon Entertainment è ispirato alla storia vera del
delfino Winter e della compassionevole comunità che si unisce per
salvargli la vita. Mentre nuota libero, un giovane delfino rimane
impigliato in una trappola per granchi e riporta gravi ferite alla
coda, viene soccorso e trasportato al Clearwater Marine Hospital,
dove gli viene dato il nome Winter. Ma la sua lotta per
sopravvivere è solo all’inizio. La perdita della coda può costargli
la vita e saranno necessarie l’esperienza di un appassionato
biologo marino, l’ingegno di un brillante medico esperto di
prostetica e l’incrollabile devozione di un ragazzo per portare a
compimento un miracolo – un miracolo che non solo ha salvato
Winter, ma è riuscito ad aiutare migliaia di persone in tutto il
mondo.
L’industriale:
Proprietario di una fabbrica ad un passo dal fallimento,
l’ingegnere quarantenne Nicola Ranieri non può più ottenere
prestiti bancari per tamponare la situazione. Se la procedura di
una salvifica join venture con una compagnia tedesca è sempre più
incerta, per caparbietà e orgoglio rifiuta anche quell’aiuto
economico della ricca suocera che potrebbe salvarlo. Mentre gli
operai dimostrano comprensibile preoccupazione per il loro futuro,
la moglie Laura appare sempre più distante. L’industriale comincia
così a nutrire dubbi sulla fedeltà della consorte e si mette a
pedinare ogni sua mossa.
La chiave di Sara:
Julia Jarmond è una giornalista americana, moglie di un architetto
francese e madre di una figlia adolescente. Da vent’anni vive a
Parigi e scrive articoli impegnati e saggi partecipi. Indagando su
uno degli episodi più ignobili della storia francese, il
rastrellamento di tredicimila ebrei, arrestati e poi concentrati
dalla polizia francese nel Vélodrome d’Hiver nel luglio del 1942,
‘incrocia’ Sara e apprende la sua storia.
L’era legale: Anno
2020. Napoli è una città sicura, pulita e moderna, grazie
all’impresa straordinaria compiuta dal suo sindaco, Nicolino Amore.
Nato poverissimo, figlio di una contrabbandiera e di un
parcheggiatore abusivo alcolizzato, all’inizio della sua scalata
sociale Amore si lascia conquistare dai privilegi della bella vita
ma poi si ravvede e decide di occuparsi della sua gente e risolvere
una volta per tutte il problema più grave che da sempre affligge la
città: il narcotraffico. Dopo studi approfonditi, con l’aiuto di
una “madrina” camorrista pentita, Nicolino Amore legalizza la droga
e pone fine ai profitti e al dominio dei criminali.
Ritorna nelle sale italiane con
Non avere paura del buioGuillermo Del
Toro, qui in veste di sceneggiatore e
produttore.
Non avere paura del
buio racconta la storia di Sally Hurst, una bambina
introversa e solitaria appena giunta nel Rhode Island per vivere
con suo padre Alex e la sua nuova compagna Kim in una villa del 19°
secolo in ristrutturazione. Mentre esplora la grande residenza,
Sally scopre una cantina rimasta nascosta fin dalla misteriosa
scomparsa del costruttore della casa, avvenuta un secolo prima.
Libera così, involontariamente, malvagie creature che vogliono
trascinarla nelle oscure profondità dell’antica dimora. Sally deve
convincere Alex e Kim che non si tratta di una fantasia, ma di una
terribile realtà che incombe su tutti loro.
Per chi è abituato a grossi
intrecci e grandi attimi di tensione nel cinema di Del
Toro, forse troverà in quest’ultima opera poco o nulla dei
fasti che hanno portato alla ribalta il regista messicano. Già,
perché quest’opera nelle sue intenzioni non mira a sorprendere e
far sobbalzare (se non una volta) lo spettatore. Al contrario,
cuore pulsante della narrazione è la casa, vero centro dell’opera.
E’ da essa che vengono fuori le inquietudini che segnano
indelebilmente tutti i protagonisti del film. E’ intorno ad essa
che le relazioni di Sally, Kim e Alex cadono in un profondo stato
di malessere e che probabilmente non ritorneranno ad essere più
come prima, ma che in qualche modo faranno riavvicinare padre e
figlia, ricostruendo un rapporto fragile. E’ la casa che
concretizza le immagini favolistiche scritte da Del Toro e dirette
dall’esordiente Troy Nixey, agile nel muoversi con eleganza. E’
soprattutto grazie a una scenografia protagonista che il film
regala allo spettatore atmosfere misteriose, oscure, affascinanti.
Da questo punto di vista è forse un pregio la capacità della
pellicola di rievocare le atmosfere e i strabilianti set dei film
della famosa Hammer che tanto ha dato alla storia
del cinema di genere.
Il difetto maggiore di Non
avere paura del buio sta nella parte centrale della
narrazione, incapace di mantenere il ritmo coinvolgente d’inizio
film e in un finale che è volutamente irresoluto, lasciando
accomodare la vicenda in una conclusione che lascia l’amaro in
bocca, soprattutto perché la sensazione è quella di aver lasciato
inespresse alcune potenzialità fantastiche della storia, che sono
invece il marchio di fabbrica di Del Toro.
Da segnalare il ritorno discreto di Katie Holmes, che regala una positiva
interpretazione assieme al suo co-protagonista Guy Pearce. Ma a sorprendere nel cast è senza
dubbio la bambina protagonista Sally, interpretata con grande
capacità da Bailee Madison, che regala quelle
sfumature al personaggio che lo rendono interessante e curioso.
Ne L’industriale
Nicola è un industriale torinese che sta affrontando, così come
tutto il Paese, un momento molto difficile a livello economico. La
sua fabbrica specializzata in produzioni di pannelli solari di
nuova tecnologia, non riesce ad ottenere nuovi finanziamenti e
l’uomo di trova stretto tra la morsa delle banche e i suoi operai
che fanno pressione per avere certezze sul loro futuro e sui loro
stipendi. Solo la moglie sembra essere l’unico punto fermo di
Nicola, che orgoglioso e volitivo, rifiuta ogni tipo di aiuto,
anche da lei, per riuscire a sopravvivere insieme alla sua azienda.
Ben presto anche la certezza del matrimonio vacilla, e Nicola
diventa sospettoso, tormentato, e tira fuori il peggio di sé.
La caratteristi importante di
questa sceneggiatura è che il protagonista, altoborghese
industriale, è un uomo corretto e buono, ha a cuore i suoi operai,
e cerca di combattere e fare ciò che è giusto per salvare tutti.
Caratteristica inusuale per il nostro cinema. Altra particolarità
del film è la fotografia: sembra un bianco e nero molto freddo, ma
a metà film cambia e i colori si saturano, per poi riprendere i
toni monocromatici dell’inizio. Questa scelta è interessante, anche
se sembra del tutto scollegata con il film se non addirittura
proprio un errore da parte dei tecnici addetti.
Pierfrancesco
Favino ancora una volta ci offre una buona
performance, l’attore riesce a portare a casa il ruolo con buona
pace dei suoi detrattori anche se in altre performance era stato
molto più convincente. Peccato invece per Carolina Crescentini, che interpreta la moglie
Laura, che non riesce a dare il giusto spessore al suo personaggio.
L’industriale sembra quindi un film a metà, decisamente
interessante da un punto di vista narrativo, addirittura può
sembrare innovativo ad un certo punto, ma si risolve in un finale
che lascia interdetti.
La sofferenza e il male che
esplodono alla fine della storia sono del tutto gratuite e un happy
end non avrebbe guastato, se non altro per andare contro il
pessimismo diffuso nel nostro cinema. Anche i cliché abbondano
dalla suocera cattiva al banchiere viscido. In
L’industriale anche Francesco
Scianna, a suo agio nei panni dell’ambiguo avvocato, e
l’ex Iena Elena di Cioccio nei panni della complice amica di Laura,
Marcella.
Arriva il 13 gennaio al cinema
Shame, il discusso e osannato film di
Steve McQueen che all’ultimo Festival di
Venezia è valso la Coppa Volpi al suo protagonista, un
Michael Fassbender alle prese con un ruolo
complicato e delicato, che mette letteralmente a nudo ogni lato
della sua complessa personalità.
Brandon è un affascinante trentenne
con dei ritmi di vita molto regolari e che nasconde un segreto: una
disperata dipendenza dal sesso che lui in prima persona vive con
metodicità, ma che l’irruzione della sorella Sissy gli farà vedere
con gli occhi dell’autocommiserazione. Shame è
principalmente un viaggio, dallo stretto punto di vista del
protagonista, di quanto in basso, nella propria considerazione e in
quella degli altri, possa scendere una persona prima di sentire la
necessità di una catarsi, prima psicologica e poi fisica. E così
seguiamo Brandon per le strade di New York, sempre alla ricerca di
sesso, in qualunque forma esso si presenti.
McQueen non solo
offre al suo amico e protagonista un ruolo impegnativo, ma lo
coinvolge anche in piani sequenza decisamente difficili da reggere,
e il nostro Fassbender se la cava alla grande soprattutto
quando è in compagnia sullo schermo di Carey
Mulligan, che interpreta la disturbata Sissy, anche lei
straordinaria in un ruolo a metà tra la dolcezza dell’infanzia e la
follia dell’età adulta insoddisfatta e sofferente.
Shame non si sofferma
ad indagare le ragioni intime e i rapporti interpersonali che
intercorrono trai soggetti, ne mostra solo il lento disfacimento,
l’inesorabile discesa verso un baratro che sembra apparentemente
inevitabile. Come sempre più spesso accade, nel finale non ci è
dato sapere quale sarà la sorte del nostro eroe. Dopo aver toccato
il fondo e rischiato irreversibile, Brandon torna alla sua vita
regolare e monotona, ma il suo sguardo è davvero cambiato?
McQueen sceglie di lasciarci nel dubbio e per una
storia che scende così a fondo nella perversione della psiche umana
probabilmente dare un finale esplicativo sarebbe stato impossibile,
o quantomeno riduttivo.
Del film resta senza dubbio una
buona regia, che predilige la sequenza lunga e il racconto
integrale, senza ricostruire dialoghi e situazioni attraverso il
montaggio, e l’interpretazione di
Fassbender e Mulligan,
senza dubbio la migliore, forse per entrambi.
Il film arriva accompagnato da un
ingiustificato scalpore, legato principalmente al nudo integrale di
Fassbender che a Venezia ha gettato in un
panico divertito critica e pubblico, ma che in realtà non aggiunge
né toglie molto ad un film in cui, oltre alle grazie di Fassbender si notano anche molte donne
completamente nude, ma, si sa, il nudo femminile ormai non fa
parlare più nessuno.
Dopo le feste, cambia anche la
classifica dei film più visti negli Stati Uniti questa
settimana. The devil inside infatti scalza in
un sol colpo il primo in classifica delle ultime quattro settimane,
Mission Impossible: Ghost protocol, superando
l’incasso di quest’ultimo di ben 14 milioni di dollari. Il
thriller/horror sugli esorcismi ambientato in Italia incassa
infatti la cifra record di 34 milioni contro i 20 dell’ultimo
capitolo delle avventure di Ethan Hunt, che però si consola, in
seconda posizione, con un incasso totale che ha ormai raggiunto i
170 milioni di dollari. In terza posizione rimane saldo
Sherlock Holmes: A game of shadows che aggiunge
altri 14 milioni al suo totale che arriva così a 157 milioni di
dollari realizzati in 4 settimane. Dopo invece tre settimane
di classifica e 77 milioni di dollari di incasso, la versione di
David Fincher della trilogia Millennium di Stieg Larsson, riportata
al grande schermo con il primo capitolo The girl with the
dragon tattoo resta in quarta posizione. Il terzo
film sui criceti canterini Alvin e i suoi fratelli, protagonisti di
Alvin superstar 3: Chipwrecked è a metà classifica
con un totale di 112 milioni di dollari incassati, mentre la più
recente fatica di Steven SpielbergWar Horse,
non riesce a salire nella classifica, resta ancorata alla sesta
posizione con un incasso totale di 57 milioni di dollari.
In settima posizione resta anche il
nuovo film di Cameron Crowe, che non decolla neanche grazie alla
presenza di Matt Damon e Scarlett Johansson nel cast, forse è
troppo borderline la storia di We bought a zoo,
che dopo 3 settimane di classifica ha un incasso totale di 56
milioni di dollari. In ottava posizione, l’altra recente
fatica di Spielberg, ma in formato motion capture: The
adventures of TinTin rimane nelle zone basse della
classifica con però un incasso totale di quasi 62 milioni di
dollari. La spy story che ha avuto una buona accoglienza
all’ultimo festival di Venezia e che segna l’esordio
oltreoceano di Thomas Alfredson, regista del dramma romantico con
vampiri Let me in e ora di Tinker,
Sailor, Soldier, Spy, riappare in classifica in nona
posizione e un incasso totale di 10 milioni di dollari. Chiude
la classifica un film smaccatamente creato per le feste appena
trascorse: New year’s eve, in decima posizione,
con 52 milioni di dollari di incasso racimolati in 5 settimane di
presenza in sala, ma solo 3, ottenuti questa settimana.
La prossima settimana usciranno: il
film catastrofico The divide, l’atteso ma già
criticato in terra d’Albione The iron lady, che
quanto meno offrirà ancora una volta una fantastica performance di
Meryl Streep, e il ritorno di Mark Whalberg al film d’azione in
Contraband.
Ottimo esordio per
Immaturi – Il viaggio nel week-end lungo
dell’Epifania, seguito dal testa a testa fra J.
Edgar e Alvin Superstar 3,
in un fine settimana che ha registrato complessivamente ottimi
incassi.
La Medusa Film apre col botto anche
quest’anno, sebbene con risultati distanti dal boom di Checco
Zalone durante l’Epifania 2011. Eppure, abbiamo già la prima
commedia italiana dell’anno che registra un risultato decisamente
soddisfacente al botteghino: Immaturi – Il
viaggio apre in testa alla classifica con 4,4 milioni
di euro incassati da venerdì a domenica, per 6 milioni totali nei
cinque giorni. Il film precedente di Paolo Genovese aveva ottenuto
un anno fa 15 milioni complessivi a fine corsa, un risultato che
potrebbe replicarsi per questo secondo capitolo.
Il week-end dell’Epifania ha
registrato un bel testa a testa fra J.
Edgar e Alvin Superstar 3– Si salvi chi può. Alla fine, a
conquistare la seconda posizione con 2.293.000 euro è il film di
Clint Eastwood, mentre la pellicola animata
segue con 2.236.000 euro. Considerando tuttavia quanto raccolto da
mercoledì a domenica, l’incasso totale maggiore è detenuto da
Alvin: 3,6 milioni contro 3,1 milioni ottenuti dalla pellicola con
Leonardo DiCaprio.
Seguono i film delle feste
natalizie, ovviamente in calo. Il Gatto con gli
Stivali raccoglie 1,6 milioni e giunge a quota 15,2
milioni, mentre Sherlock Holmes – Gioco di
Ombre si rivela infine il film di Natale con il
maggiore incasso in Italia: con 1,4 milioni arriva infatti a ben
17,3 milioni di euro.
Sesto e settimo posto per i due cinepanettoni:
Finalmente la felicità (818.000 euro)
sfiora i 10 milioni complessivi, mentre Vacanze di
Natale a Cortina (817.000 euro) arriva a 11,4
milioni; disastro era il primo week-end, disastro si conferma alla
fine delle feste. Che questi risultati facciano riflettere chi di
dovere…
Finalmente
maggiorenni apre in ottava posizione con 517.000 euro
(743.000 euro nei cinque giorni), mentre Capodanno a
New York (486.000 euro) arriva a 4,6 milioni
totali.
Chiude la top10 Le idi di marzo, che con
373.000 euro giunge a 3,4 milioni.
Il primo trailer ufficiale del film
“L’Industriale”, di Giuliano Montaldo, con Pierfrancesco Favino,
Carolina Crescentini, Eduard Gabia e Francesco Scianna.
L’incredibile storia di
Winter il delfino (Dolphin Tale) è un film del 2011 diretto da
Charles Martin Smith, basato sulla storia del delfino Winter. Il
film è ispirato alla vera e straordinaria storia di Winter, una
femmina di delfino che è stata salvata nel dicembre 2005 al largo
delle coste della Florida e presa in affidamento dalla “Clearwater
Marine Aquarium”. Dopo essersi aggrovigliata ad una corda legata ad
una trappola per granchi, ha perso la sua coda, la quale le è stata
sostituita con una particolare protesi. La storia di Winter è stata
scelta dai produttori perché fonte di ispirazione per migliaia di
persone che si trovano ad affrontare un handicap, e che tutt’oggi
visitano quotidianamente il delfino al Clearwater Marine
Aquarium.
Stravinta la sfida cinematografica
dell’Epifania: ben 6 milioni di euro nei primi cinque giorni di
programmazione. Dopo la straordinaria escalation al botteghino
nazionale del gennaio di un anno fa, la banda di immaturi
raccontata da Paolo Genovese fa ancora una volta
centro. “Immaturi – Il viaggio”,
attesissimo sequel, sbanca il box office nazionale, annienta tutta
la concorrenza e si impone al primo posto in classifica con cifre
da manuale. Distribuita da Medusa Film in 700 copie a partire dallo
scorso 4 gennaio, la commedia di Genovese (prodotta da Marco
Belardi per Medusa) ha chiuso i primi cinque giorni di
programmazione in sala con ben 6 milioni di euro (6.025.972), vale
a dire con una media giornaliera di 1 milione e 200mila euro e una
media per copia di ben 7533 euro. Un successo che ha permesso al
film di essere il dominatore incontrastato della sfida
cinematografica dell’Epifania e il primo straordinario successo del
nuovo anno.
Hugo Cabret (Hugo) è un
film in 3D diretto da Martin Scorsese e con protagonisti Asa
Butterfield, Chloë Moretz, Ben Kingsley, Jude Law e Sacha Baron
Cohen, tratto dal romanzo La straordinaria invenzione di Hugo
Cabret di Brian Selznick. Il film è uscito nelle sale statunitensi
a partire dal 23 novembre 2011. In Italia è stato presentato in
anteprima alla 6ª edizione del Festival Internazionale del Film di
Roma mentre l’uscita nel circuito delle sale cinematografiche,
prevista inizialmente per il 16 dicembre 2011 avverrà il 3 febbraio
2012, in linea con una possibile partecipazione del film agli
Academy Awards.
Arrivano da Collider ulteriori
informazioni sul remake in fase di riprese di Atto di Forza (Total Recall). Il giornale ha avuto la possibilità di
intervistare Kate Beckinsale durante la promozione del nuovo
capitolo della saga di Underworld, Underworld: il Risveglio.
L’attrice ha parlato del suo ruolo nel remake/reboot di
Total Recall (Atto di Forza):
In occasione del decino anniversario
dell’uscita al cinema de La Compagnia dell’Anello, Empire ha
organizzato un reunon degli Hobbit del film, che, rimasti amici
dopo l’incredibile esperienza