E’ appena cominciato dicembre e
l’attesa per Sherlock Holmes – Gioco di ombre, il
secondo capitolo delle avventure di Sherlock Holmes sale. Il film,
che si propone come seguito dell’originale di Guy
Ritchie uscito due anni fa, rivede la coppia vincente
formata da Robert Downey Jr. e Jude
Law rivestire gli ottocenteschi abiti di Sherlock
Holmes e John Watson. Accanto a loro alcune
interessanti new entry, su tutti Noomi Rapace ne
panni della zingara Sizma.
Il film, intitolato Gioco di
Ombre, continua la sua massiccia campagna promozionale con il
poster italiano ufficiale e altri cinque character poster dedicati
rispettivamente ai personaggi di Sherlock Holmes, all’assistente
Watson in questo film impegnato a non far andare a rotoli il suo
viaggio di nozze, al cattivo di turno Professor Moriarty, alla
misteriosa Sizma e al cane Gladstone, probabilmente ancora alle
prese con qualche esperimento dell’eccentrico investigatore.
I quattrocento
colpi, girato dal 10 novembre 1958 al 3 gennaio 1959 a
Parigi, segna l’esordio “col botto” per François Truffaut. All’inizio il regista aveva
in mente di realizzare la sua idea in forma di cortometraggio di 20
minuti che avrebbe dovuto intitolarsi “La fugue d’Antoine”.
Ambientato durante l’occupazione
nazista di Parigi, la pellicola avrebbe dovuto narrare la storia di
un ragazzo che, dopo aver marinato la scuola, non trova il coraggio
per tornare a casa e passa la notte in giro per la città.
Il progetto si è poi modificato
nella testa del regista ed è diventato quella che lui ha definito
“una specie di cronaca dei tredici anni” (Gillain 56). Al tempo
stesso, il regista ha abbandonato l’idea di ambientarlo durante
l’occupazione per motivi economici, ma anche estetici, poiché
nell’ambiente cinematografico dell’epoca si evitava di trattare un
periodo tanto cupo quanto ancora vicino.
In questa pellicola, Truffaut
propone per la prima volta il personaggio di Antoine Doinel che lo
accompagnerà in altri quattro film durante la sua carriera. Gli
altri saranno: Antoine e Colette (1962, episodio del film
collettivo L’amore a vent’anni), Baci rubati (1968), Non
drammatizziamo… è solo questione di corna (1970), L’amore fugge
(1978).
I quattrocento colpi, la
trama
Antoine è un ragazzino trascurato
dai genitori, specie la madre, che lo ebbe ancora ragazzina. Così
marina la scuola, si diverte con gli amici, senza trovare, al suo
ritorno a casa, dei genitori che possano essergli d’esempio o anche
solo darli affetto. Una mattina, mentre gironzola per strada con il
compagno di classe René, scopre la madre baciarsi con un uomo.
Da qui il suo comportamento
peggiora, diventando ancora più insofferente nei confronti dei
genitori e della scuola, che non fa altro che punirlo rigidamente
senza sforzarsi di comprenderlo. Ciò nonostante, non dirà una
parola al padre adottivo sul tradimento della madre.
Antoine finisce poi per scappare
due volte di casa, aiutato dal ribelle quanto agiato René. Ad una
lunga serie di bravate succederà un arresto, sotto denuncia del
patrigno, che sancirà anche la definitiva rottura con la famiglia.
Ora lo aspetta il riformatorio, nel quale sono previsti anche
campi-lavoro. Ma la divisa e le regole rigide gli stanno ovviamente
strette…
I Quattrocento Colpi, il film
Antoine sarà sempre interpretato da
Jean Pierre Leaud, per una sorta di film a puntate
sulla vita di questo personaggio immaginario. Inventato però fino a
un certo punto, poiché il regista francese proietta nel piccolo
Antoine la sua insofferenza giovanile nei confronti delle
istituzioni: la famiglia, la scuola, il riformatorio e la polizia,
sebbene, come ammise egli stesso, non sia mai riuscito ad essere
ribelle come quel personaggio dei suoi film.
In questo lungometraggio, il vispo
Antoine appare come un’autentica vittima di genitori poco attenti
ed egocentrici, ma anche come agnello sacrificale di quella Francia
posta sotto la rigida legislazione post-occupazione di De Gaulle.
Ed ecco che le sue disavventure, che lo rendono una sorta di
Pinocchio moderno in balia di una società cinica e senza scrupoli,
sono anche un’occasione per Truffaut per
bacchettare i genitori poco curanti dei figli, egoisticamente presi
dalle loro faccende private, nonché le istituzioni francesi
dell’epoca troppo rigide, reprimenti ma mai davvero correttive.
Eloquente è la scena di quando Antoine, per una banale ragazzata,
viene messo in carcere insieme a un ladro e a delle prostitute,
come se i rifiuti della società venissero raccolti senza essere
“differenziati”.
Seguendo le sue sfortunate vicende,
lo spettatore finisce per affezionarsi al piccolo Antoine, provando
per lui compassione ma nello stesso tempo rabbia per come viene
trattato da chi invece dovrebbe averne cura. La spontanea
interpretazione di un Jean Pierre Leaud appena
ragazzino intenerisce e trasporta, fino alla scena finale.
Veniamo ad alcune
curiosità. I quattrocento colpi è
dedicato alla memoria di André Bazin, famoso
critico cinematografico morto appena quarantenne proprio la sera
del giorno in cui iniziarono le riprese. La pellicola si apre con
le immagini della Torre Eiffel, scelta non casuale poiché nei
pressi di essa il regista aveva abitato da ragazzo, e per la quale
ha sempre conservato una sorta di attrazione. Philippe de Broca,
regista e sceneggiatore, appare in un cameo: sulla giostra insieme
ad Antoine al luna park. Il British Film Institute ha inserito
I Quattrocento colpi nella lista dei 50 film più
adatti ad un pubblico giovane. Infine, un’ultima curiosità riguarda
i nostri giorni e il nostro Paese. Nell’episodio “Cineforum” della
serie TV Camera Cafè, questo film viene scambiato dai protagonisti
per un film porno a causa di un forzato doppio senso nel
titolo.
John Carter è il nuovo film del regista
premio Oscar® Andrew Stanton, un’avventura di pura azione
ambientata su Barsoom, un esotico e misterioso pianeta che noi
conosciamo con il nome di Marte. Basato sul romanzo classico di
Edgar Rice Burroughs, John Carter è la storia che ha ispirato la
maggior parte dei film Hollywoodiani sulla fantascienza. In
un mondo sull’orlo del collasso, Carter scopre che la sopravvivenza
di Barsoom e della sua gente è nelle sue mani. John Carter vi
aspetta al cinema da Marzo 2012. Nel cast Ciarán Hinds, Daryl Sabara, Dominic West, James Purefoy, Lynn Collins, Mark Strong, Polly Walker, Samantha Morton, Taylor Kitsch, Thomas Haden Church,
Willem Dafoe
Dopo l’abbuffata istituzionale del Festival di Roma, sempre
nella capitale, ma decentrato al Nuovo Cinema Aquila prende vita,
dal 9 all’11 Dicembre, giusto in periodo di ponte, la prima
edizione di Agender – Queer and future arts festival.
Sarà il regista inglese Peter
Cattaneo (Full Monty) a dirigere il terzo capitolo della saga di
Bridget Jones, che sarà intitolato Bridget Jones’s
Baby.
Sarà David Ayer,
sceneggiatore di film come Fast and
Furious e Training Day, a
scrivere Scarface, remake dell’omonimo film con
protagonista Al Pacino diretto da Brian De Palma nel 1983, che a
sua volta si ispirava a un altro Scarface, il primo della storia
del cinema, risalente al 1932 e diretto da Howard Hawks. Pur
essendo un remake, questo nuovo Scarface targato Universal Pictures
non avrà molto in comune con i due citati predecessori, eccezion
fatta per il titolo e i tratti generali della storia. “Lo vedo come
la storia del sogno americano”, ha dichiarato Ayer ricordando il
film di De Palma ” con un personaggio che punta in una direzione
differente la sua bussola morale”.
Christian Bale non sarà il
protagonista della prossima fatica di Darren Aronofsky, il film
Biblico-epico Noah, nonostante il desiderio del regista newyorkese
di averlo a disposizione. Bale non potrà essere nel cast di Noah
per gli impegni presi con Terrence Malick: reciterà infatti in
entrambi i film che il regista texano girerà nel 2012,King of Cups
(con Bale protagonista) e Lawless. Pare che, accantonata l’idea
Bale, le attenzioni di Aronofsky si siano spostate su un altro
richiestissimo attore, Michael Fassbender (A Dangerous Method).
Steven Spielberg si tiene sempre impegnato.
Con War Horse in uscita si sta dedicando al suo ambizioso biopic su
Lincoln che avrà come protagonista Daniel Day Lewis.
Non ti muovere –Anno: 2004 – Regia: Sergio
Castellitto – Cast: Sergio Castellitto, Penelope
Cruz, Claudia Gerini
Forse arriva un momento, nella
vita, nel quale immancabilmente si finisce per sprofondare nel mare
dei ricordi. Il passato si svela, inatteso avvia un replay di
emozioni sopite da tempo. Così Timoteo, padre frustrato e chirurgo,
si ritrova d’un tratto a capezzale della figlia Angela, in coma
dopo un grave incidente in motorino. Il dolore, l’impotenza di
fronte a quel corpo così vicino ma drammaticamente lontano, lo
conducono indietro negli anni sino all’incontro con Italia, una
donna non bella e all’apparenza volgare ma dall’animo fragile.
Comincia da qui, in un dialogo
immaginario con la figlia, il racconto-confessione di una storia
extraconiugale, di un amore tanto profondo quanto impossibile, di
una passione viscerale. Non ti muovere è il sussurro di un padre
disperato che rischia di perdere quanto gli resta di più prezioso,
è la speranza, ma è anche infine il filo conduttore della
narrazione.
Non ti muovere è un film intenso,
capace di mettere a confronto gli uomini con una paura recondita
per la perdita della vita quando il dolore, la devastazione,
l’abbandono, restano l’unica visione del mondo. Tratto dall’omonimo
romanzo di Margaret Mazzantini, vincitore del celebre Premio Strega
nel 2002, il film, diretto e interpretato da Sergio Castellitto
(marito della scrittrice), mette a nudo una realtà cruda ma allo
stesso tempo tangibile, riportando a galla quelle stesse emozioni
celate tra le pagine del testo.
Persino il ruolo di Italia viene
magistralmente messo in scena dalla splendida Penelope Cruz,
imbruttita e resa quasi irriconoscibile, ma capace di recitare
talmente bene in lingua italiana da essere stata definita «la nuova
Anna Magnani del XXI secolo, in grado di comunicare la sua essenza
in italiano meglio di quanto non riesca a fare in inglese».
Un’impresa non facile e che ha costretto l’attrice ad allenamenti
linguistici impegnativi ma che alla fine le ha permesso di
trasporre sul grande schermo quella donna, Italia, che milioni di
lettori avevano già potuto conoscere nel libro e che le è valsa il
David di Donatello 2004 come migliore attrice protagonista. A
condire il tutto una colonna sonora d’eccezione, Un senso,
scritta appositamente per il film dal cantautore Vasco Rossi.
Proprio la ricerca di un senso ad
una vita che spesso un senso non ce l’ha, l’attesa di un domani che
arriverà, aiutano l’uomo a non sentirsi solo, ad andare avanti
nonostante tutto, nonostante incertezze, paure, sconfitte. Ed è in
questa ricerca continua che si mostra il cerchio della vita, al
tragico epilogo della morte si contrappone la rinascita, un
risveglio che, dopotutto, altro non è che l’inizio di una nuova
vita.
Il Mago di Oz è un
film del 1939 diretto daVictor Fleming e con
protagonisti nel cast Judy
Garland, Frank Morgan, Ray Bolger, Bert Lahr, Jack
Haley.
Il Mago di Oz – trama
Dorothy vive in una
fattoria del Kansas. Improvvisamente un terribile tornado si
abbatte su di lei, trascinandola insieme alla sua casa e al suo
cane nel mondo del mago Oz. Qui tutto è strano e bello, ma Dorothy
vuole lo stesso ritornare al più presto a casa….
“From now on you’ll be History” è
una delle battute pronunciate dal sindaco dei Mastichini, e la
frase propiziatoria ha gettato una luce positiva su quest’opera
cinematografica.
Il Mago di Oz non
solo ha fatto la storia del cinema, ma rappresenta la trasposizione
di un film che ha regalato il successo anche all’opera da cui è
tratto, assolutamente un caso singolare. Chi non ricorda le
scarpette rosso rubino del film? Il rimando immediato è a
Cenerentola, ma attenzione, quel paio faceva parte
dell’incantesimo, qui invece, sono le scarpette a scatenare poteri
da incantesimo!
Victor Fleming,
con la sua arguzia, affida ai colori un aspetto significativo
dell’opera, e non è un caso che il film inizi e termini in tonalità
seppia; al contrario raggiunge l’apice della sua espressione e
comunicazione nella parte centrale, quando le immagini sono
affidate ad uno sgargiante Tecnicolor.
Nell’incipit, il regista
traccia le coordinate dell’intera opera, definendo il carattere
travolgente e vivace della ragazza, Dorothy, e descrivendo a grandi
linee le caratteristiche dei tre contadini, che, in seguito, si
tramuteranno in compagni di viaggio.
Il Mago di Oz il film capolavoro
di Victor Fleming
La trasposizione cinematografica,
riprende sommariamente l’opera di L. Frank Baum, e si focalizza
sulla crescita personale della ragazza, che, con l’aiuto dei
compagni, passerà dallo status di bambina ad adulta. La bambina in
questione è nientemeno che la diciassettenne
Judy Garland, che con questo film assurge giovanissima
allo status di star e conquista uno speciale mini-Oscar per la sua
interpretazione. Il sostrato sociale del romanzo viene dunque
incanalato attraverso il personaggio di Judy, che divenne lei
stessa in quel periodo (era il 1939) un veicolo comunicativo della
politica americana per ricordare che il posto più bello del mondo,
nonostante le meraviglie del regno di Oz, era la sua casetta in
Kansas (There’s no place like home, recita alla fine), e quindi gli
USA.
Il momento cruciale, in cui la
storia si snoda verso orizzonti ultraterreni, è simbolicamente
preannunciata dalla canzone Somewhere Over the
Rainbow, che valse al film il suo secondo Oscar. È proprio
qui che avviene la svolta dell’intera trama, e, tramite
l’espediente del tornado, la ragazza si ritrova in una nuova
realtà.
Il popolo dei Mastichini, piccoli
folletti, bolle di sapone che si tramutano in streghe buone, La
Lega della Ninnananna, La Lega dei Lecca-lecca, spaventapasseri
ambiziosi alla ricerca di un cervello, Leoni intimiditi desiderosi
del proprio coraggio, Uomini di latta sdegnati per non aver un
cuore e streghe volanti.
Tutto questo è il Mago di
Oz, ovvero la ricerca di un presunto Mago sulla scia
dorata di un cammino impervio, che regala agli avventurieri
imprevisti di ogni sorta. La storia si snoda tra ritornelli
martellanti che aumentano il ritmo del racconto e un cammino
immaginario e personale effettuato dalla piccola Dorothy, verso la
consapevolezza della realtà.
Un personaggio fondamentale che
scandisce le diverse fasi della storia e ne rappresenta il Deus
ex
machina è Frank Morgan. Non è un caso che Fleming gli
abbia affidato ruoli diversi ma molto affini. È lui ad interpretare
il Professor Meraviglia, personaggio che introduce lo spettatore
nella realtà fantastica del film, dando avvio all’intera trama. Ed
è sempre lui a interpretare il curioso portiere del Mago, aprendo
le porte ai protagonisti e introducendoli verso la prova finale e
più difficile dell’intera storia.
Ed infine è proprio lui a dare voce
a il Mago di Oz. Uno, due e tre… i battiti
dei tacchi delle scarpette color rosso rubino, che chiudono una
storia perfetta, una storia il cui inizio e la cui fine si
somigliano, ma al cui interno risiede una metamorfosi e
un’evoluzione verso ciò di cui più abbiamo bisogno: la
Felicità.
Michael ClaytonAnno: 2007 Regia: Tony Gilroy
Sceneggiatura: Tony Gilroy Cast:
George Clooney, Tom Wilkinson, Tilda Swinton, Sidney Pollack
Michael Clayton (George Clooney) si
occupa dei danni collaterali per il suo studio legale. Quando il
suo collega e amico Arthur Dens (Tom Wilkinson) ha un crollo
nervoso durante una seduta preliminare di un processo, i capi lo
chiamano a rapporto per tentare di capire cosa accada. Dall’altro
lato c’è Karen (Tilda Swinton), giovane legale decisa a fare
carriera all’interno dell’azienda contro la quale Dens sta portando
avanti la causa. Karen scopre dei documenti che incastrerebbero la
U-North e li distrugge ma questi vengono ritrovati da Arthur Dens
che paga la propria diligenza con la vita. L’amico Michael Clayton
non crede al suicidio inscenato dagli assassini pagati da Karen e
decide di continuare a cercare le prove che incastrino la U-North.
Di fronte alla nuova minaccia, Karen decide di assassinare anche
Clayton. Stavolta, però, fa un buco nell’acqua, l’avvocato rivale
si salva e, prima di lasciare la città, incastra la stessa Karen e
la compagnia.
Michael Clayton è
l’esordio alla regia dello sceneggiatore Tony Gilroy, è fra le
pellicole favorite agli Oscar del 2008, fra le nomination
campeggiano miglior regia, miglior sceneggiatura originale, miglior
attore protagonista e non. Sfortunatamente, il film si aggiudica
solo la nomination per migliore attrice non protagonista destinato
a Tilda Swinton, sbaragliato dal western dei Coen Non è un
paese per vecchi.
Nonostante il flop agli Academy
Awards, la pellicola è stata unanimemente acclamata dalla critica
sia per la conduzione della regia di Gilroy che per le prove
attoriali dei personaggi, venendo definito il miglior film del
2008.
Intenso ma non melodrammatico,
Michael Clayton è sprovvisto della classica retorica dei
film hollywoodiani, c’è sempre speranza anche se la si deve pagare
a caro prezzo perché, ogni azione ha le proprie conseguenze, e non
sempre conviene scuotersi dal torpore che si sostituisce alla
vita.
Un convincente Erin
Brokovich al maschile, costruito brillantemente in modo da non
far calare la suspence, di sorprendere e di commuovere.
In the Mood for Love
–Anno: 2000 – Regia:
Wong Kar-wai – Sceneggiatura: Wong Kar-wai –
Cast: Tony Leung, Maggi Cheung
È il 1962 e a Shanghai, il signor
Cho (Tony Leung) e la signora Chang (Maggi Cheung) si scoprono
vicini di casa, i loro incontri sono brevi e fugaci finché, un
giorno, il signor Cho non invita la vicina fuori a cena e i due
trovano il coraggio di ammettere che i rispettivi coniugi portano
avanti da mesi una relazione adulterina. Da questo momento i due
instaurano una relazione parallela: si chiedono cosa facciano la
moglie e il marito quando sono insieme, com’è iniziata, chi ha
fatto il primo passo.
Ciò che comincia come un sodalizio
e un gioco malsano, si trasforma ben presto in qualcosa di più. Le
frequenti assenze dei rispetti consorti, portano i due vicini a
fare sempre di più affidamento l’uno sull’altra. La recita, a un
certo punto, cessa di essere tale e i due protagonisti si trovano
sempre di più invischiati nei loro sentimenti e arrivano a un punto
in cui non riescono più a distinguere la realtà dalla fantasia.
Sin dall’inizio sembra che le loro
vite siano destinate a incrociarsi. L’attenzione della macchina da
presa si concentra sui due protagonisti, inquadrando i rispettivi
coniugi e i caratteri che gli gravitano intorno di sfuggita, sono
dei particolari che arricchiscono la pellicola; il signor Cho e la
signora Chang, sembrano due anime affini dall’inizio. Il loro modo
nel vestire, impeccabile, li isola e li esalta, evidenziandoli
l’uno all’occhio dell’altra. Eppure, il loro incontro è sofferto e
trepidato, vi è un valzer fuori sincrono che li porta sempre a
sfiorarsi e mai a toccarsi, il regista gioca su un ritmo
esasperante di campi e controcampi, fino al momento in cui si
trovano uno di fianco all’altro in un taxi, decisi a passare almeno
una notte insieme.
Ciononostante il loro amore non è
destinato a concretizzarsi, rimane sospeso a mezz’aria, tutto ciò
che resta è un’impressione, una sensazione, un segreto sussurrato
nella cavità di un albero. Spettacolare è il montaggio di William
Chung che restituisce piccole schegge di comportamenti abituali e
gesti rituali che si ripetono senza perdere la purezza e la
perfezione con la quale vengono compiuti. Di rilievo anche la
colonna sonora di Michael Galasso e Shigeru Umebayashi che
asseconda i toni della narrazione.
Acclamato alla 53° edizione del
Festival
di Cannes per l’interpretazione di Tony Leung, In the mood
for love è considerato dalla critica una delle pellicole più
importanti del 21° secolo.
La storia
infinita è il film cult del 1984 diretto
da Wolfgang Petersen e con
protagonisti Noah Hathaway, Barret Oliver, Tami
Stronach, Patricia Hayes, Gerald Mc Raney e Moses
Gunn.
Anno: 1984
Regia: Wolfgang
Petersen
Cast Noah
Hathaway (Atreiu), Barret Oliver (Bastian), Tami Stronach
(Imperatrice), Patricia Hayes (Urgl), Sidney Bromley (Engywook),
Gerald Mc Raney (il papà di Bastian), Moses Gunn (Cairon)
La storia infinita
trama: Il piccolo Bastian, oppresso da una triste
situazione familiare e dal bullismo dei compagni di scuola, si
rifugia un giorno in una libreria antiquaria, dove trova un libro
misterioso e antico, La storia
infinita.
Rifugiatosi nella soffitta della
scuola, inizia ad immergersi nel mondo di Fantàsia, magico Regno
minacciato dal Nulla, seguendo le avventure del prode Atreiu, in
cerca di una cura per ridare la salute all’Infanta Imperatrice.
Man mano che la storia va avanti, e
passano le ore, Bastian si sente sempre più avvolto da una storia,
di cui ad un certo punto capisce di essere parte integrante: è lui
e solo lui che può dare un futuro a Fantàsia, con i suoi sogni,
contro il potere del Nulla che tutto distrugge.
La storia infinita,
fantasy anni 80′
Analisi: Alla base
di tutto c’è uno dei libri culto del genere fantastico e non solo
degli anni Ottanta, La storia infinita di
Michael Ende, che a detta di molti il film non
rispetta in pieno, visto che adatta solo la prima parte della
vicenda, soffermandosi sul potere della fantasia e non sulla
necessità di farla interagire con la vita reale, e dando poi spazio
per due seguiti decisamente mediocri che rispetteranno ancora meno
il testo originale.
Detto questo, La storia
infinita resta un film interessante e ben fatto, e
non solo per la colonna sonora di Giorgio Moroder,
con tanto di hit ballabile di Limahl, e i belli effetti speciali di
Brian Johnson, ma per il sense of wonder
che avvolge il tutto, per le creature fantastiche da libro di fiaba
che presenta, a cominciare dal Fortunadrago Falcor, per
l’esaltazione della fantasia e della lettura, per il discorso mai
abbastanza scontato che viene fatto ad un certo punto “è molto più
facile dominare chi non crede in niente”, apologo contro ogni
totalitarismo politico ma anche contro ogni avvizzimento dello
spirito.
Novanta minuti adorati dai bambini e adolescenti (e non solo
degli anni Ottanta), e che comunque restano un esempio di film
realizzato con tecniche più antiche ma in maniera impeccabile. E se
la visione di questo film prelude inevitabilmente ad una lettura
del libro (che comunque il film rispetta, sia pure fermandosi a
metà), comunque resta un titolo da avere se si ama il cinema di
genere fantastico di tutti i tempi, non solo quello degli ultimi
anni.
Interessante anche l’assenza di
volti noti (se si escludono i due veterani della televisione Gerald
Mc Raney e Moses Gunn): così non si è distratti da altro in questo
viaggio nella terra di Fantàsia, partendo dal compagno più antico
di tutti, il libro. E esaltare il libro come canale privilegiato di
sogno, è senz’altro la cosa più interessante e importante del
film.
ED WOOD è il film
cult del 1994 di Tim Burton. Protagonisti nel cast
di Ed Wood sono Johnny
Depp, Sarah Jessica Parker, e Martin Landau.
Quel genio visionario di
Tim Burton ha aggiunto, nel 1994, alla sua ricca
filmografia un “gioiellino” cinefilo: Ed Wood, che
vede un istrionico
Johnny Depp nei panni- e nei “baffetti”- di Edward D.
Wood Jr., “il peggior regista mai esistito” secondo molti critici
che si aggirano in quel di Hollywood.
Ed Wood, il film
Burton narra
l’ascesa di questo mediocre regista di serie B, autore di flop
immortali come Glen or Glenda (1953),
film semi-autobiografico il cui tema di fondo era il travestitismo
(costante nella vita di Ed Wood stesso,
crossdresser che amava indossare golfini d’angora); oppure il
disastroso Bride of the monster (1955) fino al
trash-cult Plan 9 from Outer Space (1959),
considerato dagli addetti ai lavori come il suo… “capolavoro”.
L’occhio critico di Burton segue le vicende di questo improbabile
regista mosso dal sacro fuoco dell’arte cinematografica e della sua
scalcinata troupe alle prese con la realizzazione di pellicole con
un’imbarazzante scarsità di mezzi tecnici.
Ma la vita di Ed
Wood cambia dopo l’incontro con il suo idolo Bela Lugosi
(uno straordinario Martin Landau con tanto di
accento ungherese) al quale dona gli ultimi sprazzi di popolarità
in una carriera costellata di grandi successi e di abissali ombre
nere (come lo spettro della tossicodipendenza). Nella realtà anche
la carriera di Wood seguì quasi lo stesso iter di quella del suo
“maestro”: negli ultimi anni di vita girò infatti improbabili film
softcore e porno per mantenersi economicamente finché un infarto,
dovuto molto probabilmente all’abuso di alcool, non lo stroncò
all’età di cinquantaquattro anni.
Ma il biopic di Tim
Burton sceglie volontariamente di non narrare l’amaro
declino della vicenda personale di un uomo a cui il regista
stesso dice di essersi ispirato in più di un’occasione, come per
esempio nel suo capolavoro Edward mani di forbice dove il nome del
protagonista è un tenero omaggio a Wood.
Ed Wood e la biografia di Rudolph
Grey
Il film parte da una sceneggiatura
di Scott Alexander e Larry Karaszewski che si sono
ispirati a loro volta alla biografia di Wood scritta da
Rudolph Grey ed intitolata Nightmare
of Ecstasy. Tim Burton commentò a caldo
la lettura dell’opera dicendo che Ed Wood era solito usare ardite
perifrasi e lunghissimi periodi per descrivere concetti
assolutamente banali e, inoltre, aveva la tendenza a considerare i
suoi film alla stregua di capolavori come Quarto potere. Solo che,
invece di peccare di boria, Wood riusciva a farlo con tale
innocenza e trasporto da rendere il tutto estremamente
credibile.
Burton ricostruisce con dovizia di
particolari, aiutandosi pure con le brillanti interpretazioni dei
suoi interpreti, il mondo “mitico” della vecchia Hollywood dei
tempi d’oro, e lo fa con uno sguardo sognante e vivo che rimanda
direttamente all’insana passione da cui era affetto Ed Wood stesso:
il cinema.
Nel ricreare quell’atmosfera il
regista californiano si allontana dal clima tipicamente
gotico di altri suoi lavori (Edward mani di forbice, Il
mistero di Sleepy Hollow) e si avvicina invece decisamente
alle atmosfere da B-movie e horror della Hammer con cui è cresciuto
e che ha omaggiato nella pellicola del 1996 Mars
Attacks!. Inoltre, il rapporto tra Ed
Wood e il suo modello Bela Lugosi ricorda quello tra
Burton stesso e il suo mito Vincent Price, come pure la scomparsa
prematura e dolorosa del personaggio di Lugosi nel film è un
omaggio del regista di Burbank al suicidio dell’amico e
collaboratore Anton Furst, scenografo del Batman del 1989.
Con questo improbabile,
divertentissimo e sentito biopic, Tim Burton
celebra una delle tante figure mitiche che popolavano la sua
fantasia di bambino inquieto appassionato di cimiteri e di storie
macabre.
Dopo aver abbandonato il progetto
di U.N.C.L.E., Steven Soderbergh si dà… alle pillole, con il
thriller farmaceutico The Bitter Pill: il film inizialmente doveva
costituire il debutto di Scott Z Burns, sceneggiatore di Contagion,
diretto proprio da Soderbergh, ma ora sembra che le redini del
progetto siano state prese in mano proprio da quest’ultimo. Le
notizie riguardo la storia sono ancora scarse, così come non è
ancora dato di sapere quale casa di produzione se ne occuperà.
Sembrerebbe comunque che il
film prenda le mosse da ricerche che lo stesso Burns fece
quando collaborava con la serie tv Wonderland di Peter Berg e,
nella forma di un thriller, dovrebbe riflettere su come la società
contemporanea sembri incapace di tollerare l’infelicità e cosa ci
renda così vulnerabili nei confronti di questa. La notizia della
direzione di The Bitter Pill sembra comunque mettere per il momento
la parola fine alla ridda di voci relative a un possibile ritiro di
Soderbegh, scatenata da alcune recenti dichiarazioni di Matt Damon.
Il regista ha peraltro in uscita due nuovi film: il 24 febbraio
prossimo uscirà in Italia Konckout (titolo originale: Haywire)
mentre per la fine di giugno è prevista l’uscita americana di Magic
Mike.
L’idea iniziale di un remake
di Interceptor, primo capitolo della trilogia originale di Mad Max
si è rapidamente (e prevedibilmente), trasformata in un progetto
più ampio, riguardante l’intero trittico. Dietro la macchina da
presa dovrebbe tornare George Miller, artefice dell’originale; Doug
Mitchell, partner di Miller in sede di produzione, ha recentemente
affermato che la sceneggiatura per il secondo capitolo è già stata
temrinata e la terza è a buon punto.
Il remake di Fury Road (così sarà
intitolato il primo film della nuova serie), nonostante resti una
produzione australiana, ha visto spostare la location delle riprese
in Namibia, a causa delle piogge torrenziali che hanno
improvvisamente coperto di vegetazione l’area desertica di Broken
Hill, su cui era caduta la scelta iniziale. Il cast al momento
prevede la presenza di Tom Hardy, Charlize Theron, Nicholas Hoult,
Zoe Kravitz e Adelaide Clemens; le riprese, inizialmente previste
per l’autunno del 2010, sono state rimandate una prima volta alla
primavera di quest’anno, subendo poi un ulteriore rinvio:
l’intenzione sarebbe quella di avviarle nel prossimo aprile.
Smessi definitivamente i panni di
Harry Potter, per Daniel Radcliffe è arrivato il momento di
rilanciare la propria carriera: dopo l’esperienza teatrale di How
To Succeed In Business Without Really Trying e con The Woman In
Black prossimamente sugli schermi, il prossimo progetto in cantiere
potrebbe essere la partecipazione Kill Your Darlings, nel ruolo di
Allen Ginsberg, poeta americano trai leader della ‘beat
generation’.
Il film non avrà tanto la forma di
un biopic, quanto quasi quella di un thriller: Ginsberg e i suoi
‘sodali’ Jack Kerouac e William S. Burroughs, si riunirono grazie a
Lucien Carr anche lui poeta e scrittore, che fu implicato nella
morte di David Kammerer, altro membro del gruppo, il cui
corpo fu rinvenuto nel fiume Hudson; Carr si dichiarò poi
colpevole. La pellicola, che dovrebbe essere diretta da john
Krokidas è in cantiere ameno da un paio di anni: all’epoca, si era
pensato a Jessie Eisenberg come Ginsberg, Chris Evans nel
ruolo di Kerouac Ben Whishaw nei panni di Carr; da allora le cose
sono ovviamente cambiate e, per Ginsberg si sarebbe pensato a
Radcliffe.
Il 28 Novembre si è
tenuta la proiezione stampa del film Il giorno in più diretto da
Massimo Venier e tratto dal romanzo omonimo scritto da Fabio Volo,
qui nella duplice veste di attore e sceneggiatore del film. In una
delle sale del cinema Adriano a Roma si è tenuto, in seguito,
l’incontro con la stampa a cui ha preso parte il cast del film
composto da Fabio Volo, Isabella Ragonese, Camilla Filippi e Pietro
Ragusa; il regista Massimo Venier;
Trainato dalle polemiche sorte
intorno alla mancata proiezione del 27 Novembre scorso al
Torino Film Festival, viene presentato a distanza
di un giorno qui a Roma in anteprima il nuovo film tratto dal best
seller omonimo di Fabio Volo, Il giorno in
più.
La storia, apparentemente
“surreale” per certi aspetti, è quella di Giacomo Pasetti
(Fabio Volo), un quasi quarantenne apparentemente
affetto da quella che tutti chiamano “sindrome di Peter Pan”. Ma
cambia quando, sul tram che prende tutte le mattine, il suo sguardo
si incontra con quello di una misteriosa ragazza (Isabella
Ragonese) e ne rimane talmente affascinato da
proiettare, quasi per gioco, su di lei i caratteri di una donna
immaginaria: le dà un nome fittizio, Agnese, e comincia a
convincere il resto del mondo dell’esistenza di questa donna che lo
ha fatto capitolare. Ma all’improvviso accade l’imprevedibile: la
misteriosa “lei” sul tram si avvicina e tenta di conoscerlo.
Il giorno in più, il
film
Ma nonostante le difficoltà la loro
prova per il grande schermo sembra più che riuscita: il film
si presenta come una classica “rom-com” che parla di sentimenti ma…
non indugia nel sentimentalismo; scorrevole e mai banale, merito
dei dialoghi brillanti, riesce a far dimenticare allo spettatore
quegli aspetti più “surreali” e cinematografici della vicenda (che
la allontanano dalla verosimiglianza con la realtà) grazie alle
forti caratterizzazioni dei personaggi di Giacomo e Michela ma pure
dei comprimari che ruotano intorno al loro microcosmo. Si parla di
amore in questa pellicola, ma non solo: si parla dell’amore ai
tempi della crisi, che è una crisi globale, che investe i ruoli e
le strutture sociali; i due protagonisti incarnano i dubbi e le
ansie di una generazione di passaggio, che vuole prima di tutto
lottare per l’affermazione di sé come individuo all’interno della
caotica vita odierna, e che è talmente impegnato nella ricerca
spasmodica del proprio posto nel mondo da non avere tempo di
pensare a “qualcun altro”, a un compagno/a, relegando così la sfera
del sentimento a un secondo piano apparentemente meno
necessario.
Gran parte del fascino de
Il giorno in più risiede, inoltre, nella scelta
accattivante delle location: Milano e New York, due metropoli
caotiche ed indifferenti, la seconda addirittura è una sorta di
“non luogo” cinefilo e urbano in cui tutto può davvero succedere
inaspettatamente. Naturalmente questa pellicola ha un debito
forte con la ricca tradizione della commedia sentimentale americana
ed inglese a cui rimanda continuamente, tirando in ballo film di
culto come Harry ti presento Sally di Rob
Reiner o pellicole più recenti dal fascino fortemente
indie come (500) giorni insieme di Marc
Webb.
Il giorno in più
uscirà nelle sale italiane il 2 Dicembre 2011 e si appresta a
richiamare al cinema un pubblico composto da amanti delle commedie
brillanti e, naturalmente, da tutti coloro che hanno letto il libro
e si sono letteralmente “innamorati” della storia di Giacomo e
Michela.
E’ morto ieri sera a Sellia Marina, in
provincia di Catanzaro, il regista Vittorio De Seta, uno dei più
grandi documentaristi italiani, nato a Palermo nel 1923.
L’esordio avviene nel 1961 con Banditi a Orgosolo, sul fenomeno del
banditismo sardo, premiato come migliore opera prima al festival di Venezia.
Durante la cerimonia dei
premi Gotham Indipendent Film Awards, tenutasi ieri, il
presidente della 20th Century Fox, Tom Rothman ha avuto modo
di rilasciare alcune dichiarazioni a Comingsoon.net, in merito ai
sequel de L’alba del pianeta delle scimmie
e X-men l’inizio. Il produttore ha
confermato la decisione della Fox di proseguire con entrambi i
franchise, e che l’idea è quella di coinvolgere ancora una volta i
registi RupertWyatt e MatthewVaughn nella
regia dei due sequel.
“Entrambi i film
avevano degli script fantastici, e quindi al momento dobbiamo
concentrarci sulle sceneggiature dei due sequel,” ha spiegato.
“Stiamo lavorando duramente sugli script, e la speranza è quella di
proseguire”.
Il film X-Men –
L’inizio, prequel della trilogia cinematografica
dedicata ai personaggi della Marvel, gli X-Men (X-Men,
X-Men 2, X-Men – Conflitto finale), narra le vicende di Charles
Xavier (Professor X), Erik Lehnsherr (Magneto) e del loro primo
tentativo di formare una scuola per i ragazzi mutanti.
Tratto dall’omonimo fumetto della
Marvel, il film racconta della
giovinezza di due amici che scoprono di avere poteri speciali,
Charles Xavier e Erik Lensherr; del loro lavorare assieme, con
altri mutanti, contro la più grande minaccia che il mondo abbia
affrontato; del loro allontanarsi causa un dissidio che li vedrà
diventare arcirivali con i nomi di Professor X e di Magneto. Il
film è ambientato negli anni ’60, all’alba dell’era spaziale,
l’epoca di JFK. Un periodo storico all’insegna della Guerra Fredda,
in cui l’intero pianeta era minacciato dalle crescenti tensioni fra
Stati Uniti e Russia. L’era in cui il mondo scoprì l’esistenza dei
mutanti.
La Summit Entertainment e la
Lions Gate Entertainment potrebbero presto fondersi in un’unica
casa di produzione. A rivelarlo è Bloomberg. Per chi non conoscesse le due case
la Summit ha raggiunto il successo grazie al franchise Twilight,
mentre la seconda oltre ad avere un parco film di tutto rispetto,
produce anche serietv come Mad Men.
Midnight in
Paris è il film del 2011 scritto e diretto da
Woody Allen e con protagonisti nel cast
Owen Wilson,
Rachel MacAdams,
Adrien Brody, Tom Hiddleston, Michael Shwwn,
Marion Cotillarde Lea
Seydou Una commedia brillante e surreale sullo sfondo
della città dell‘amour, una Parigi travolgente,
esteticamente mozzafiato, con le sue luci, le sue strade, i suoi
inimitabili luoghi.
Midnight in Paris,
in uscita nelle sale il prossimo 2 Dicembre, è l’omaggio del grande
regista Woody Allen alla sua amata Parigi, un amore
indimenticabile sbocciato durante le riprese di Ciao Pussycat, suo
debutto come sceneggiatore e attore cinematografico. Un amore
sconfinato per un luogo da amare e da sognare, un amore degenerato
inevitabilmente in rimpianto. Perché, come ha detto lo stesso
Allen, «se non vivessi a New York, Parigi sarebbe la mia città di
adozione» e perché Parigi non si può non amare. Allo stesso modo,
Gil, protagonista di questa stupefacente pellicola, si ritrova
improvvisamente a Parigi con la sua fidanzata Inez, al seguito dei
genitori di lei.
Vagando per la città sogna
ad occhi aperti, vuole essere libero, coltivare la sua passione per
la scrittura nonostante l’insistenza della fidanzata a proseguire
nel suo talentoso e molto più remunerativo lavoro da sceneggiatore.
Pressato, vorrebbe rifuggire la realtà, dedicarsi al suo libro,
scrivere sulle orme dei suoi grandi idoli americani degli anni
Venti.
Finché, una notte, alla scoccare
della mezzanotte, Gil viene invitato da alcuni sconosciuti a salire
su di una macchina. Ed è qui che inizia il viaggio di Gil
nella Parigi del passato. Tra un locale ed un altro conosce la
coppia Fitzgerald, gli artisti Salvador
Dalì e Pablo Picasso, il suo adorato
Hemingway. Ma soprattutto conosce Adriana, bella e
sensuale, della quale si innamora perdutamente. Eppure Gil capisce
che l’amore non può vivere in un non presente.
Dopo un viaggio nella
Belle Epoqué parigina, tanto sognata da Adriana, Gil sceglie di
tornare nel presente e di restarci, lasciando la sua amata a vivere
nel passato del passato assieme a famosi pittori. In fondo, come
osserva lui stesso, in qualsiasi passato si scelga di vivere ci
sarà sempre un rimpianto per un passato ritenuto migliore.
Stanziarsi nel presente significa, invece, annullare
l’insoddisfazione per la vita e seguire i propri istinti e le
proprie passioni.
Gil sceglierà quindi di alimentare
la sua libertà, di ancorarsi infine ad una Parigi intrisa di magia,
posto speciale dove poter camminare anche sotto la pioggia
assaporando ogni magnifico squarcio di questa stupenda città.
Il trailer italiano del
film “Qualcosa di Straordinario (Big Miracle)”, di Ken Kwapis, con
Kristen Bell, Drew Barrymore, Dermot Mulroney e John Krasinski.
Il 7 dicembre esce in 300 sale italiane Ligabue
Campovolo – IL FILM 3D. Grazie alla spettacolarità del live,
all’innovativa tecnica usata per le riprese 3D e alla potenza
dell’audio (mixato negli studi di George Lucas in California), il
film trasporta gli spettatori all’interno della trascinante
esperienza dell’evento estivo che Luciano ha organizzato il 16
luglio a Reggio Emilia.