Home Blog Pagina 1165

Non Buttiamoci Giù: recensione del film con Aaron Paul

Non Buttiamoci Giù

Non Buttiamoci Giù, tratto dall’omonimo romanzo di Nick Hornby, è una commedia che racconta la tragedia umana in diverse sfaccettature, prova ad addentrarsi nelle maglie della malattia e del disagio, ma non riesce ad avere il coraggio di indagare a fondo nell’animo dei personaggi.

In Non Buttiamoci Giù durante la notte di Capodanno quattro sconosciuti si trovano per caso sul tetto del grattacielo più alto di Londra. Cosa sono andati a fare? Il loro intento è quello di togliersi la vita, ma non hanno fatto i conti con il fatto che l’edificio in questione è il posto preferito degli aspiranti suicidi, e che la notte di Capodanno è il momento in cui più gente decide di suicidarsi. Ognuno disturbato dall’arrivo dell’altro, decideranno di non buttarsi, stringendo anzi un patto: nessuno dei quattro si suiciderà fino a San Valentino. E’ questo l’inizio di un’amicizia strana, improbabile, fatta di alti e bassi e di tanti momenti in cui condividere e in cui litigare, un’amicizia che malgrado le riserve iniziali, li cambierà tutti.

Non Buttiamoci Giù è una commedia per la fine lieta che ci offre, ma è una tragedia per il dolore e le difficoltà che racconta. Il tono del film si mantiene coerente con i fatti esposti, ma senza osare troppo, senza scavare in profondità, il che potrebbe essere addirittura un pregio, data la straordinaria profondità interpretativa del protagonisti. Anche se Pierce Brosnan, nei panni di Martin Sharp, si cimenta in un ruolo più ‘semplice’, i suoi colleghi non fanno assolutamente sentire la sua mancanza di empatia: Toni Collette si conferma un’artista rara, capace di dar vita alla timida Maureen; Aaron Paul mantiene i toni drammatici che gli sono congeniali (come Breaking Bad ha dimostrato) per interpretare il suo J.J, confermandosi a sua volta come un giovane attore da tenere d’occhio; Imogen Poots (Jess) è una scoperta bellissima, un fiore delicato e vivace che illumina lo schermo con i suoi grandi occhi blu.

Non Buttiamoci Giù

La regia del progetto, che si fa lustro principalmente dei protagonisti e della storia nota di Hornby, è affidata al francese Pascal Chaumeil, che dopo le recenti commedie Il Truffacuori e Un Piano Perfetto, si mette alla prova con toni più drammatici, mettendosi al servizio della storia e regalando, di tanto in tanto, qualche guizzo di personalità dietro la macchina, che fa muovere nello spazio abbracciando personaggi e situazioni e siglando alcuni momenti davvero felici della pellicola.

Non Buttiamoci Giù è una commedia amara, che riesce con equilibrio a raccontare una situazione difficile, strappando pochissime risate, molti sorrisi e toccando corde delicate della natura umana, senza scuoterle troppo, ma permettendo allo spettatore di godere di un buon film senza un eccessivo coinvolgimento.

 
 

Non buttiamoci giù: 2 clip del film con Aaron Paul

Arrivano da Notorious Pictures due clip dell’atteso Non buttiamoci giù, adattamento dell’omonimo bestseller di Nick Hornby, Everyone’s Reading Bastard in Italia tradotto appunto, Non buttiamoci giù.  La pellicola è diretta da Pascal Chaumeil e vede protagonisti Pierce Brosnan, Toni Colette, Aaron Paul e Imogen Poots.

[iframe width=”640″ height=”360″ src=”//www.youtube.com/embed/7ORecJ87cR8?rel=0″ frameborder=”0″ allowfullscreen][/iframe]

[iframe width=”640″ height=”360″ src=”//www.youtube.com/embed/vVVAAqJ2uqs?rel=0″ frameborder=”0″ allowfullscreen][/iframe] 

Non buttiamoci giu-trailerErano pronti a fare un salto di qualità…

Dal Best Seller di Nick Hornby (“About a Boy”, “Alta Fedeltà”), la storia di quattro sconosciuti che, durante la notte di Capodanno, si incontrano in cima al grattacielo più alto di Londra con lo stesso intento, ovvero quello di saltare giù. Questa coincidenza è talmente grottesca da farli desistere temporaneamente e stringere un patto: nessuno dei quattro si suiciderà per almeno 6 settimane, ma la notte di San Valentino si ritroveranno sullo stesso grattacielo per fare il punto della situazione sulle loro vite. Una commedia sull’amore, sull’amicizia e sull’importanza di avere qualcuno con cui condividere qualsiasi cosa, anche il tetto di un grattacielo…

 

 
 

Non buttiamoci giù: 2 clip del film con Aaron Paul

Non Buttiamoci GiùDue nuove clip del film di Notorious Pictures, Non buttiamoci giù in uscita nelle sale oggi 20 Marzo. La regia è di PASCAL CHAUMEIL con Pierce Brosnan, Toni Colette, Aaron Paul e Imogen Poots.

Erano pronti a fare un salto di qualità…

 Dal Best Seller di Nick Hornby (“About a Boy”, “Alta Fedeltà”), la storia di quattro sconosciuti che, durante la notte di Capodanno, si incontrano in cima al grattacielo più alto di Londra con lo stesso intento, ovvero quello di saltare giù. Questa coincidenza è talmente grottesca da farli desistere temporaneamente e stringere un patto: nessuno dei quattro si suiciderà per almeno 6 settimane, ma la notte di San Valentino si ritroveranno sullo stesso grattacielo per fare il punto della situazione sulle loro vite. Una commedia sull’amore, sull’amicizia e sull’importanza di avere qualcuno con cui condividere qualsiasi cosa, anche il tetto di un grattacielo…

 

 
 

Non Buttiamoci Giù Trailer e data di uscita del film con Aaron Paul

Non buttiamoci giu-trailerArriva il trailer italiano e la data di uscita di Non Buttiamoci Giù con protagonisti  Pierce Brosnan, Toni Colette, Aaron Paul e Imogen Poots che uscirà al cinema il 20 Marzo distribuito da Notorius Pictures. Il film è tratto dal bestseller di Nick Hornby mentre la regia è di Pascal Chaumeil. 

Dal Best Seller di Nick Hornby (“About a Boy”, “Alta Fedeltà”), la storia di quattro sconosciuti che, durante la notte di Capodanno, si incontrano in cima al grattacielo più alto di Londra con lo stesso intento, ovvero quello di saltare giù. Questa coincidenza è talmente grottesca da farli desistere temporaneamente e stringere un patto: nessuno dei quattro si suiciderà per almeno 6 settimane, ma la notte di San Valentino si ritroveranno sullo stesso grattacielo per fare il punto della situazione sulle loro vite. Una commedia sull’amore, sull’amicizia e sull’importanza di avere qualcuno con cui condividere qualsiasi cosa, anche il tetto di un grattacielo…

Arriva il trailer italiano e la data di uscita di Non Buttiamoci Giù con protagonisti Pierce Brosnan, Toni Colette, Aaron Paul e Imogen Poots che uscirà al cinema il 20 Marzo distribuito da Notorius Pictures.

 
 

Non buttiamoci giù Trailer del film con Aaron Paul

Non buttiamoci giu-trailerPresentato in anteprima mondiale lunedì 10 febbraio al 64° Festival Internazionale del Cinema di Berlino sezione Berlinale Special, l’attesissimo Non buttiamoci giù, uscirà in Italia il 20 marzo distribuito da Notorious Pictures. Tratto dal best seller A Long Way Down di Nick Hornby. Ad interpretare la commedia diretta da Pascal Chaumeil, Pierce Brosnam, Aaron Paul, Imogen Poots, Toni Collette e Rosamund Pike. Ecco il Trailer: 

[iframe width=”640″ height=”360″ src=”//www.youtube.com/embed/ldiOVIrkO44?rel=0″ frameborder=”0″ allowfullscreen][/iframe]

Sinossi

Dal Best Seller di Nick Hornby (“About a Boy”, “Alta Fedeltà”), la storia di quattro sconosciuti che, durante la notte di Capodanno, si incontrano in cima al grattacielo più alto di Londra con lo stesso intento, ovvero quello di saltare giù. Questa coincidenza è talmente grottesca da farli desistere temporaneamente e stringere un patto: nessuno dei quattro si suiciderà per almeno 6 settimane, ma la notte di San Valentino si ritroveranno sullo stesso grattacielo per fare il punto della situazione sulle loro vite. Una commedia sull’amore, sull’amicizia e sull’importanza di avere qualcuno con cui condividere qualsiasi cosa, anche il tetto di un grattacielo…

 

 
 

Non avrai mai mia figlia: la storia vera dietro al film

Quello della custodia dei bambini è un tema estremamente delicato, che il cinema ha in più occasioni provato a raccontare spesso con ottimi risultati. Film come Kramer vs. Kramer o i più recenti Gifted – Il dono del talento, L’affido – Una storia di violenza, La vita che verrà o l’italiano Mamma o papà? sono solo alcuni esempi a riguardo. Nel 2020 è invece stato realizzato un film per la TV dal titolo Non avrai mai mia figlia, che offre un particolare punto di vista su questo tema.

Diretto da Tori Garrett – noto per essere stato il regista di diversi episodi della serie The Rookie -, il film si ispira ad una storia vera e va a raccontare di quelle vicende di custodia che sono rese ancor più gravi e complesse dalla presenza di atti di violenza fisica quali lo stupro. Il film, infatti, nel ripercorrere la reale vicenda a cui si ispira, indirizza l’attenzione degli spettatori verso una serie di carenze legislative e nella tutela dei più bisognosi. 

Si tratta dunque di un film che solleva importanti riflessioni, aggiungendo qualcosa in più a questa tipologia di opere e ai loro racconti. In questo articolo, approfondiamo dunque alcune delle principali curiosità relative a Non avrai mai mia figlia. Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla trama, al cast di attori e alla storia vera dietro il film. Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme streaming contenenti il titolo nel proprio catalogo.

Non avrai mai mia figlia trama

La trama e il cast di Non avrai mai mia figlia

Protagonista del film è Amy Thompson, studentessa di giurisprudenza la cui vita prende una piega tragica quando subisce violenza fisica da un uomo di nome Demetri. Già traumatizzata dalla violenza subita, Amy è ulteriormente scioccata quando scopre di essere rimasta incinta. Nonostante tutto, decide comunque di tenere quella si svela poi essere una bambina, che chiama Maddy. Qualche anno dopo, però, Demetri si rifà vivo chiedendo la custodia della bambina, dando così inizio un caso particolarmente delicato e complesso. 

Ad interpretare Amy Thompson vi è l’attrice Lyndsy Fonseca, celebre in particolare per essere stata la figlia di Ted Mosby nella popolare sitcom How I Met Your Mother. Ha però recitato anche in Kick-Ass e The Ward – Il reparto. Nel ruolo di Demetri, invece, vi è l’attore Hunter Burke, mentre Madison Johnson è Maddy, la figlia di Amy. Recita poi nel film l’attrice Kirstie Alley, celebre per la sitcom Cin cin e i film di Senti chi parla. Quello in Non avrai mai mia figlia è il suo ultimo ruolo prima della scomparsa, avvenuta nel 2022.

La storia vera dietro Non avrai mai mia figlia

Come anticipato, il film è basato su una storia vera, quella di Analyn Megison. La sua vicenda divenne nota quando venne citata in giudizio nel 2010 dal suo stupratore, che voleva ottenere la custodia della loro figlia di 6 anni. Il triste episodio era avvenuto nel 2003, ma Megison decise di tenere la bambina in quanto non voleva considerarsi una vittima. Tuttavia, nel 2010, l’uomo che l’aveva aggredita tornò ad esercitare il proprio potere nella sua vita.

“Il mio stupratore non è mai stato condannato per quello che mi ha fatto. Quando arrivò il giorno in cui mi furono notificati i documenti del tribunale a suo nome, ero terrorizzata dal pericolo che ciò rappresentava per la mia bambina, che non aveva idea di cosa avrei dovuto affrontare per proteggerla”, ha raccontato Megison in un’intervista a USA Today. All’epoca, in Florida, non esisteva infatti alcuna legge che la proteggesse.

Non avrai mai mia figlia cast

Il giudice del caso, però, decise che era necessario avere un’udienza probatoria completa su come era stata aggredita e come era stato concepito il bambino, prima che il caso giudiziario andasse avanti. Alla fine, lo stupratore rinunciò alla causa e Megison ottenne la completa custodia della sua bambina. Ma questo non è avvenuto senza aver trascorso ore a fare ricerche sui diritti parentali degli stupratori negli Stati, tanto che ha redatto una legge modello per la Florida. 

In quel periodo Megison è diventata anche cofondatrice di Hope After Rape Conception, un’organizzazione “che si occupa di cambiare le leggi statali per proteggere i bambini e le vittime di stupro”. Nella sua bozza di legge, Megison ha scritto che qualsiasi persona che risulti aver concepito un bambino attraverso una prova “chiara e convincente” di stupro, vedrà i suoi diritti di genitore negati dallo Stato.

Il disegno di legge è stato poi approvato all’unanimità nel 2013 e nel 2015 il Presidente Obama ha firmato la legge, che vietava ai padri violentatori la custodia condivisa dei figli nati da uno stupro. Al 2020, 30 Stati su 50 hanno consentito la cessazione dei diritti genitoriali degli stupratori coinvolti nel concepimento di un bambino. Altri, invece, richiedono una condanna per violenza sessuale.

Dove vedere il film in streaming e in TV

Sfortunatamente il film non è presente su nessuna delle piattaforme streaming attualmente attive in Italia. È però presente nel palinsesto televisivo di sabato 15 giugno alle ore 21:20 sul canale Rai 2. Di conseguenza, per un limitato periodo di tempo sarà presente anche sulla piattaforma Rai Play, dove quindi lo si potrà vedere anche oltre il momento della sua messa in onda. Basterà accedere alla piattaforma, completamente gratuita, per trovare il film e far partire la visione.

 
 

Non avere paura del buio: recensione del film

Non avere paura del buio

Ritorna nelle sale italiane con Non avere paura del buio Guillermo Del Toro, qui in veste di sceneggiatore  e produttore.

Non avere paura del buio racconta la storia di Sally Hurst, una bambina introversa e solitaria appena giunta nel Rhode Island per vivere con suo padre Alex e la sua nuova compagna Kim in una villa del 19° secolo in ristrutturazione. Mentre esplora la grande residenza, Sally scopre una cantina rimasta nascosta fin dalla misteriosa scomparsa del costruttore della casa, avvenuta un secolo prima. Libera così, involontariamente, malvagie creature che vogliono trascinarla nelle oscure profondità dell’antica dimora. Sally deve convincere Alex e Kim che non si tratta di una fantasia, ma di una terribile realtà che incombe su tutti loro.

Per chi è abituato a grossi intrecci e grandi attimi di tensione nel cinema di Del Toro, forse troverà in quest’ultima opera poco o nulla dei fasti che hanno portato alla ribalta il regista messicano. Già, perché quest’opera nelle sue intenzioni non mira a sorprendere e far sobbalzare (se non una volta) lo spettatore. Al contrario, cuore pulsante della narrazione è la casa, vero centro dell’opera. E’ da essa che vengono fuori le inquietudini che segnano indelebilmente tutti i protagonisti del film. E’ intorno ad essa che le relazioni di Sally, Kim e Alex cadono in un profondo stato di malessere e che probabilmente non ritorneranno ad essere più come prima, ma che in qualche modo faranno riavvicinare padre e figlia, ricostruendo un rapporto fragile. E’ la casa che concretizza le immagini favolistiche scritte da Del Toro e dirette dall’esordiente Troy Nixey, agile nel muoversi con eleganza. E’ soprattutto grazie a una scenografia protagonista che il film regala allo spettatore atmosfere misteriose, oscure, affascinanti. Da questo punto di vista è forse un pregio la capacità della pellicola di rievocare le atmosfere e i strabilianti set dei film della famosa Hammer che tanto ha dato alla storia del cinema di genere.

Il difetto maggiore di Non avere paura del buio sta nella parte centrale della narrazione, incapace di mantenere il ritmo coinvolgente d’inizio film e in un finale che è volutamente irresoluto, lasciando accomodare la vicenda in una conclusione che lascia l’amaro in bocca, soprattutto perché la sensazione è quella di aver lasciato inespresse alcune potenzialità fantastiche della storia, che sono invece il marchio di fabbrica di Del Toro.  Da segnalare il ritorno discreto di Katie Holmes, che regala una positiva interpretazione assieme al suo co-protagonista Guy Pearce. Ma a sorprendere nel cast è senza dubbio la bambina protagonista Sally, interpretata con grande capacità da Bailee Madison, che regala quelle sfumature al personaggio che lo rendono interessante e curioso.

 
 

Non aprite quella porta: prime foto del remake in arrivo su Netflix

Non aprite quella porta
Cr. Yana Blajeva / ©2021 Legendary, Courtesy of Netflix

In attesa di vedere le prime immagini da un trailer ecco le prime foto di Non aprite quella porta, l’annunciato remake del film cult dell’horror che avrà un ennesimo rifacimento questa volta prodotto dalla Legendary Pictures per un film originale Netflix. Non aprite quella porta si baserà su un soggetto scritto da Fede Alvarez (La casa Remake) e Rodo Sayagues e su una sceneggiatura scritta da Chris Thomas Davlin. Dopo essere rimasto nascosto per quasi mezzo secolo, Faccia di cuoio torna a terrorizzare, colpendo alcuni giovani amici idealisti che accidentalmente interferiscono con il suo mondo occulto in una remota cittadina del Texas. Il film è diretto da David Blue Garcia. Nel film protagonisti sono i volti giovani di Elsie Fisher, Sarah Yarkin, Nell Hudson, Jacob Latimore.

La trama

Melody (Sarah Yarkin) e la giovane sorella Lila (Elsie Fisher) raggiungono con gli amici Dante (Jacob Latimore) e Ruth (Nell Hudson) il paese sperduto di Harlow, nel Texas, per dar vita a una nuova e visionaria iniziativa imprenditoriale. Ma il loro sogno si trasforma in un incubo quando senza volerlo disturbano Faccia di cuoio, il serial killer squilibrato che con la sua eredità di sangue continua a tormentare gli abitanti della zona. Tra questi c’è Sally Hardesty (Olwen Fouéré), l’unica sopravvissuta al tristemente famoso massacro del 1973 che è determinata a ottenere vendetta.

 
 

Non aprite quella porta: le t-shirt per i 40 anni!

Il film cult horror diretto da Tobe Hooper Non aprite quella porta, che ha dato i natali al leggendario Leatherface e la sua inseparabile motosega, quest’anno compie 40 anni e dagli States arrivano le T-shirt celebrative.

[nggallery id=666]

Non aprite quella portaNon aprite quella porta (The Texas Chain Saw Massacre) è un film del 1974 diretto da Tobe Hooper. Il film, un horror indipendente e a basso costo, venne distribuito nelle sale cinematografiche nel 1974.Il film narra la storia di un gruppo di cinque ragazzi texani che finiscono nelle grinfie di una famiglia di assassini cannibali tra i cui componenti spicca Leatherface, che diverrà uno dei più famosi assassini seriali del cinema dell’orrore oltre che il personaggio principale di questo ed altri film. Il personaggio è distinto da una maschera di pelle umana, un grembiule da macellaio insanguinato e soprattutto da una motosega, che usa come arma per massacrare le sue vittime.

 
 

Non aprite quella porta: la storia vera dietro la saga horror

non aprite quella porta storia vera

Non aprite quella porta è un grande classico del genere horror. Se il primo film della saga (composta da otto pellicole) è stato realizzato nel 1974 con un badget bassissimo e in maniera indipendente, il suo successo è stato pazzesco.

La saga che si è sviluppata negli anni a venire ha sempre al centro un unico protagonista, Leatherface (o Faccia di Cuoio), colui che, armato di motosega, fa a brandelli i diversi personaggi dei film. Eppure, la sua storia non è proprio inventata, ma si basa una persona e degli eventi reali.

Ecco, allora, tutto quello che c’è da sapere sulla storia vera di Non aprite quella porta.

Non aprite quella porta è una storia vera

non aprite quella porta storia vera

Leatherface,  conosciuto con il nome di Thomas Hewitt o di Jedidia Sawyer, è il protagonista della saga di Non aprite quella porta. Tuttavia, in pochi sanno che il personaggio di Leatherface si rifà ad una storia vera e alla persona di Ed Gein, un serial killer del Wisconsin.

Edward Theodore Gein è considerato come uno dei peggiori uccisori seriali che la storia americana (e anche quella mondiale) abbia mai conosciuto: nato nel Wisconsin il 27 agosto del 1906, è responsabile della morte di almeno due donne e di aver occultato (si stima) circa una ventina di tombe, commettendo su di esse degli atti di necrofilia e di squartamento.

La caratteristica che tale per cui Leatherface si avvicina a questa persona, è il fatto di essersi costruito della maschere per il viso con la pelle umana delle sue vittime. Il personaggio della saga, infatti, già nel primo film della saga di Tobe Hooper, dimostra una certa “abilità” con il cucito: dapprima si mette a creare delle facce di cuoio dalle carcasse di animali morti, per poi passare agli esseri umani. Questo suo passatempo, per così dire, diventa un modo per nascondere il suo volto sfigurato che non riesce ad accettare.

La vera storia di non aprite quella porta

non aprite quella porta storia vera

Ed Gein, di fatto, è il protagonista della storia vera che si cela dietro Non aprite quella porta e che ha contribuito anche a delineare altri personaggi cinematografici come, ad esempio, accadde per Norman Bates in Psyco (1961) e ha influenzato anche Il silenzio degli innocenti (1991).

Ed Gein era il secondo figli di Augusta, gran lavoratrice, religiosa fino all’estremo, e George, padre violento e pesantemente alcolizzato. Gein si lasciò influenzare pesantemente dalla madre, attraverso le letture della Bibbia tutti i pomeriggi, il totale isolamento in cui lui e il fratello dovevano fare i conti, oltre che ricordarsi di quanto il mondo fosse immorale.

Era la madre la persona con cui aveva creato un legame morboso con il piccolo Ed: tutte le donne, al di fuori di lei, erano considerate delle poco di buono, il sesso si praticava solo per la procreazione e l’autoerotismo era da condannare. Detto ciò, è chiaro capire come Gein fosse un bambino insicuro, timido e disturbato, cosa che lo rendeva il bersaglio principale dei compagni di scuola e contribuì ad isolarlo socialmente, un valore aggiunto alla sua follia latente.

Nel momento in cui i genitori e il fratello morirono, la follia di Gein cominciò ad avere libero sfogo. Nel film di Hooper, Thomas è un ragazzo nato sfigurato che vive all’interno di un mattatoio con sua fratello Charlie, ammattitosi dopo essere stato nella Guerra di Corea.

Thomas cresce, la sua repulsione verso il suo volto e verso la società che lo emargina continua ad aumentare e, quando il mattatoio chiude, la rabbia repressa di quegli anni ha libero sfogo, facendo della motosega la sua arma identificativa. Negli ultimi film del franchise, il personaggio di Leatherface assume maggiormente i connotati di Ed, facente parte di una famiglia disagiata e con un evidente ritardo mentale.

Il film non aprite quella porta è una storia vera

non aprite quella porta storia vera

Il Leatherface di Non aprite quella porta riprende le uccisioni e le mutilazioni perpetrate da Ed Gein nei confronti della sue vittime, dopo che la morte della madre e la dubbia morte del fratello non lo lasciano solo e, quindi, nella completa libertà di agire e di dare sfogo alla sua pazzia.

Dopo essere stato arrestato nel novembre del 1957 per sospetto omicidio nei confronti di Bernice Worden, che venne poi rinvenuta all’interno del capanno dell’omicida, vennero scoperti innumerevoli orrori che arredavano la casa. Nel momento in cui le autorità cominciarono a segnalare tutti i ritrovamenti, venne stimato che Ed aveva conservato delle ossa umane usate come arredamento, teste di donne come decorazione muraria, pelle umana conciata e usata come tappezzeria e per realizzare diversi strumenti, come un tamburo, dei vestiti e i macabri volti, per non parlare dei crani umani utilizzati come ciotole.

Durante il processo, lo stesso Gein ammise di aver razziato il cimitero, violando una ventina di tombe e confessando diversi omicidi, negando di ricavare piaceri sessuali dai cadaveri e con il desiderio di voler cambiare sesso dopo la morte della madre.

Non aprite quella porta: una storia vera solo in parte

Quella di Non aprite quella porta è una storia vera solo in parte. Infatti, nella fattispecie, il personaggio di Leatherface ricorda molto quello di Ed Gein, ma ha una propria identità ben diversa. Leatherface (Faccia di cuoio) è un uomo nato con il volto sfigurato, con un ritardo mentale e che crede di essere costantemente minacciato dal tutto il mondo esterno alla sua famiglia.

I film della saga che vedono Leatherface protagonista, subiscono anche dei cambi di nome del personaggio, con alcune divergenze biografiche. Se nel secondo film della saga di Tobe Hooper il protagonista porta il nome di Thomas Hewitt, cresce all’interno di un mattatoio e, quando questo chiude, la sua follia prende pieno possesso della persona, Leatherface ha assunto anche il nome Jedidiah Sawyer: egli ha un legame materno intenso e, dopo alcuni eventi traumatici, lo rendono ancor di più un bambino solitario che comincia ad indossare facce di pelle umana su consiglio della madre, compiendo i suoi assassini perché ritardato mentalmente, con problemi d’identità e per il terrore che vive e ha vissuto in famiglia.

Della saga a lui dedicata, sono stati realizzati ben 8 film, tra cui l’originale, 3 sequel, un remake, un prequel, un film in 3D e anche un prequel originale: Non aprite quella porta (1974), Non aprite quella porta – Parte 2 (1986), Non aprite quella porta – Parte 3 (1990), Non aprite quella porta IV (1994), Non aprite quella porta (2003), Non aprite quella porta – L’inizio (2006), Non aprite quella porta 3D (2013) e Leatherface (2017).

Fonti: IMDb, cosmopolitan

 
 

Non aprite quella porta: il set diventerà un ristorante a tema!

Arriva una notizia che farà la felicità dei fan dell’horror del cult del genere Non aprite quella porta, noto con il titolo originale Texas Chain Saw Massacre. Secondo quanto apprendiamo da Bloody Disgusting sembra che qualcuno abbiamo comprato la stazione del gas utilizzata nel film culto degli anni 70′ per convertirla in un ristorante barbecue a tema Horror, con l’intento di farla diventare un’attrazione. Sembra inoltre che ci sarà spazio per uno spazio per musica dal vivo per diventare anche un luogo di concerti metal. Tra i proprietari c’è anche l’attore originale che ha interpretato Jason Voorhees.

[nggallery id=2636]

Non aprite quella porta 3DNon aprite quella porta (The Texas Chain Saw Massacre) è un film del 1974 diretto da Tobe Hooper, girato in forma di mockumentary. Il film, un horror indipendente e a basso costo, venne distribuito nelle sale cinematografiche nel 1974.

Il film narra la storia di un gruppo di cinque ragazzi texani che finiscono nelle grinfie di una famiglia di assassini cannibali tra i cui componenti spicca Leatherface, che diverrà uno dei più famosi assassini seriali del cinema dell’orrore oltre che il personaggio principale di questo ed altri film. Il personaggio è distinto da una maschera di pelle umana, un grembiule da macellaio insanguinato e soprattutto da una motosega, che usa come arma per massacrare le sue vittime.

 
 

Non aprite quella porta: i migliori creatori di Hollywood si sfidano per il franchise

non aprite quella porta storia vera

Non aprite quella porta è al centro di un contenzioso che sta coinvolgendo alcuni dei produttori hollywoodiani più importanti degli ultimi anni. Ma andiamo in ordine. I cambiamenti epocali nell’industria cinematografica post-pandemica sono innegabili e Hollywood sta cambiando rotta. L’era in cui si superava senza sforzo la barriera dei 500 milioni di dollari al botteghino globale con ogni blockbuster ad alto budget sembra svanita. Questo nuovo contesto sta spingendo molti studi a riconsiderare il loro programma, rendendo più difficile il via libera per molti costosi film estivi di successo.

In risposta a questa difficoltà, le produzioni si stanno rivolgendo con rinnovata attenzione a film horror più accessibili. Questo genere dimostra costantemente il suo valore, offrendo solidi ritorni al botteghino a fronte di un investimento ridotto. Il successo di questo approccio è già evidente, con un’ondata di franchise horror iconici che vengono rivitalizzati. Di recente abbiamo assistito a trionfali “requel” e a nuovi episodi che hanno dato nuova vita a serie come Final Destination, Scream e Saw.

E la rinascita dell’horror non accenna a fermarsi: progetti come So cosa hai fatto, Venerdì 13 e L’esorcista sono tutti attivamente in fase di sviluppo, preannunciando un futuro entusiasmante per il genere.

Ma in mezzo a questa rinascita, un classico dell’horror sta generando un’eccezionale quantità di entusiasmo, innescando una feroce guerra di offerte tra i principali studi cinematografici e le piattaforme di streaming. La proprietà intellettuale al centro di questa intensa competizione? Nientemeno che Non aprite quella porta.

Il classico slasher degli anni ’70 sta scatenando una vera e propria guerra di offerte al momento e sono coinvolti alcuni nomi molto interessanti, tra cui:

  • Si dice che il co-creatore di Yellowstone, Taylor Sheridan, sia molto interessato, essendo originario del Texas.
  • Oz Perkins (Longlegs, La scimmia) starebbe collaborando con Bryan Bertino (Gli sconosciuti) per un film prodotto da Neon.
  • J.T. Mollner, regista del prossimo adattamento di “La lunga marcia” di Stephen King, sta collaborando con il produttore Roy Lee per una serie TV su A24.
  • Separatamente, Lee ha anche un’offerta per un film su “Non aprite quella porta” su Netflix.
  • Infine, Jordan Peele (Scappa – Get Out, Nope) e la sua Monkeypaw Productions si sono uniti al gruppo e puntano a produrre un film per Universal.

I diritti del franchise di Non aprite quella porta sono attualmente controllati da Exurbia Films, una società parzialmente posseduta da Kim Henkel, co-sceneggiatore dell’originale del 1974. Exurbia ha incaricato l’agenzia Verve di supervisionare un’accesa guerra di offerte per la proprietà. Le proposte formali da parte di studi e registi inizieranno il 9 giugno 2025. L’ultimo capitolo della serie Non aprite quella porta è l’omonimo film del 2022, diretto da David Blue Garcia. In uscita in esclusiva su Netflix il 18 febbraio 2022, il film si configura come una continuazione diretta dell’originale del 1974, riprendendo la storia cinquant’anni dopo.

Non aprite quella porta è incentrato su un gruppo di giovani cittadini che si recano in una remota cittadina del Texas con l’intenzione di rilanciarla, solo per risvegliare l’orrore a lungo sopito di Leatherface. Nonostante la sua distribuzione di alto profilo, il film è stato accolto negativamente, ottenendo un punteggio del 30% dalla critica su Rotten Tomatoes e solo il 25% dal pubblico, sulla base di oltre 1.000 valutazioni degli spettatori.

 
 

Non aprite quella porta… e sono 4

Evidentemente tre film non erano abbastanza e qualcuno invece di chiuderla definitivamente a doppia mandata, quella portaNon aprite quella porta 3D-locandina

 
 

Non Aprite Quella Porta trailer del capolavoro restaurato in 4K per i suoi 40 anni

leatherface1Per celebrare i quarantanni dall’uscita nei cinema di tutto il mondo (qui potete trovare un’altra iniziativa), Non Aprite Quella Porta  di Tobe Hooper ha ricevuto un restauro completo in 4K finanziato da MPI/Dark Sk y Films e dallo stesso regista che celebra così questo trattamento:

“Questa restauro era necessario per questa occasione, non ho più rivisto Non Aprite Quella Porta per molti anni al cinema e il restauro che abbiamo effettuato è veramente incredibile, il migliore che abbia mai visto. Il colore e la nitidezza sono spettacolari e i dettagli non sono mai stati così percettibili!”

 

Per ora non si hanno notizie per un’eventuale uscita italiana ma vi terremo informati qualora ci fossero news in questo senso.

Non aprite quella porta (The Texas Chain Saw Massacre) è un film del 1974 diretto da Tobe Hooper. Il film, un horror indipendente e a basso costo, venne distribuito nelle sale cinematografiche nel 1974.Il film narra la storia di un gruppo di cinque ragazzi texani che finiscono nelle grinfie di una famiglia di assassini cannibali tra i cui componenti spicca Leatherface, che diverrà uno dei più famosi assassini seriali del cinema dell’orrore oltre che il personaggio principale di questo ed altri film. Il personaggio è distinto da una maschera di pelle umana, un grembiule da macellaio insanguinato e soprattutto da una motosega, che usa come arma per massacrare le sue vittime.

Fonte: Variety

 
 

Non aprite quella porta torna al cinema dal 23 al 25 settembre

non aprite quella porta storia vera

Midnight Factory, etichetta di proprietà di Plaion Pictures che racchiude il meglio dell’offerta horror, cinematografica e home video, è lieta di festeggiare oggi l’arrivo al cinema dell’evento horror dell’anno. Dal 23 al 25 settembre, in occasione del 50° anniversario di uno dei più grandi capolavori dell’horror, Non aprite quella porta di Tobe Hooper ritorna sul grande schermo in Italia con una nuova, straordinaria versione restaurata in 4K. Questo iconico film, proiettato per la prima volta nei cinema italiani in versione originale sottotitolata, sarà disponibile inversione integrale, frutto di un meticoloso restauro supervisionato dallo stesso Hooper.

Questo evento cinematografico rappresenta un’occasione imperdibile per i fan del genere horror, vecchi e nuovi, per vivere o riscoprire il film che ha ridefinito i confini del terrore sul grande schermo. Non aprite quella porta, rilasciato originariamente nel 1974, è considerato il capostipite del genere slasher e ha introdotto una delle figure più terrificanti della storia del cinema: Leatherface. Con la sua motosega e la maschera fatta di pelle umana, Leatherface è diventato un’icona intramontabile dell’horror, ispirando numerose generazioni di registi.

non aprite quella porta storia veraNon aprite quella porta è un’opera che non solo ha scioccato il pubblico di tutto il mondo con la sua crudezza e il suo stile visivo disturbante, ma ha anche lasciato un’impronta indelebile nella cultura pop. Dalla sua uscita, il film ha continuato a influenzare autori e registi, consolidando il proprio status di pietra miliare dell’horror. Questa nuova versione del film,restaurata e portata per la prima volta sul grande schermo in 4K, offre un’esperienza cinematografica senza precedenti. Gli spettatori maggiorenni potranno godere di ogni dettaglio del capolavoro di Tobe Hooper con una qualità audio-visiva impeccabile, che esalta l’oscura atmosfera e l’inquietante brutalità del film.

Leggi anche – Non aprite quella porta: prime foto del remake in arrivo su Netflix

Le proiezioni si terranno dal 23 al 25 settembre 2024, per soli tre giorni, offrendo agli appassionati la possibilità di rivivere la paura e il massacro come mai prima d’ora o di scoprire per la prima volta l’orrore originale che ha dato vita a una delle saghe horror più celebri di sempre.

La trama di Non aprite quella porta

A Newt, nel Texas, qualcuno ha profanato alcune tombe, amputando gli arti e la testa ai cadaveri. Le autorità sono allertate, ma sembrano incapaci di venirne a capo. Nel frattempo, un gruppo di giovani decide di trascorrere il week-end in quella regione a bordo di un furgoncino. Rimasti a corto di benzina, i ragazzi e le ragazze raggiungono separatamente una casa abitata da una famiglia di macellai: il cui pater familias, però, ha tutta l’intenzione di alimentare il proprio mattatoio con i loro corpi.

 
 

Non Aprite Quella Porta featurette dal Blu-ray celebrativo del 40 anniversario

Qualche tempo fa vi abbiamo mostrato il trailer che celebrava l’uscita al cinema di Non Aprite Quella Porta rimasterizzato in 4K, ma gli eventi per il quarantesimo compleanno del film di Tobe Hooper non sono finiti qui.

Infatti è prevista un’edizione Blu-ray speciale che mantiene il lavoro di conversione fatto da MPI/Dark Sky Films e che avrà numerosi contenuti esclusivi tra interviste, scene inedite e un lungo documentario sul making-of. Oggi siamo in grado di mostravi una clip tratta proprio dal documentario sopracitato che vede spiegare Teri McMinn l’agghiacciante scena dell’uncino che ancora oggi risulta estremamente brutale ed efficace.
Di seguito potete vedere una foto del cofanetto speciale, mentre a questo LINK la featurette.

texas-chain-saw-massacre-black-maria

Non aprite quella porta (The Texas Chain Saw Massacre) è un film del 1974 diretto da Tobe Hooper. Il film, un horror indipendente e a basso costo, venne distribuito nelle sale cinematografiche nel 1974.Il film narra la storia di un gruppo di cinque ragazzi texani che finiscono nelle grinfie di una famiglia di assassini cannibali tra i cui componenti spicca Leatherface, che diverrà uno dei più famosi assassini seriali del cinema dell’orrore oltre che il personaggio principale di questo ed altri film. Il personaggio è distinto da una maschera di pelle umana, un grembiule da macellaio insanguinato e soprattutto da una motosega, che usa come arma per massacrare le sue vittime.

Fonte: Collider

 
 

Non Aprite quella Porta 3D: recensione del film con Alexandra Daddario

Non aprite quella porta 3D

Non aprite quella porta 3D è un horror-movie diretto da John Luessenhop che uscirà nelle sale italiane a partire dal prossimo 28 febbraio. La trama riprende da dove il grande classico di Tobe Hooper del 1974 ci aveva lasciati: la terribile vendetta della piccola comunità di Newt che, avute conferme sui raccapriccianti delitti avvenuti nella tenuta dei Sawyer, decide di incendiare la casa con tutti i loro abitanti all’interno.

Dalla strage di quella notte sopravvisse solo la piccola Heather, cresciuta lontano dagli echi di quei fatti sconvolgenti; ma il passato è sempre pronto a tornare, soprattutto se è un passato carico di avvenimenti terribili e agghiaccianti, e anche la giovane Heather non potrà sottrarsi ai suoi inossidabili legami di sangue.

La trama di Non aprite quella porta 3D

La giovane e bellissima Heather (Alexandra Daddario) riceve una misteriosa lettera in cui si parla di una non meglio precisata eredità, un’eredità di cui lei stessa è l’unica depositaria. A indicarla come unica erede dei propri beni è una nonna che la ragazza non sospettava nemmeno di avere.

Ansiosa di saperne di più su un passato a questo punto tutto da riscrivere, Heather decide di recarsi a Newt, piccola località del Texas, dove l’attende la misteriosa eredità. Accompagnata dal fidanzato Ryan (Trey Songz) e da una coppia di amici, Nikki (Tania Raymonde) e Kenny (Keram Sanchez), la bella Heather scoprirà con gran stupore di essere unica intestataria di un’immensa villa colonica circondata da un meraviglioso giardino. Tutto all’apparenza sembra fantastico ma in realtà la villa nasconde un terribile mistero che dagli scantinati della casa non tarderà a rivelarsi e per i giovani amici sarà solo l’inizio di un avventura da incubo.

Non Aprite quella Porta 3D

Non aprite quella porta 3D riprende tutte le caratteristiche tipiche del genere horror: sangue a fiumi, mutilazioni e sequenze da stomaci forti, il tutto condito con la solita dose di tensione accompagnata da musiche adatte al contesto. Quindi il film di Luessenhop si porta dietro pregi e difetti del genere, facendosi apprezzare da quegli spettatori amanti dello splatter ma lasciando a desiderare in quanto a logica narrativa.

La sceneggiatura di Non aprite quella porta 3D infatti ha più buchi di un campo da golf, presentando situazioni al limite dell’assurdo e del non-sense compresa l’improbabile “conversione” della protagonista che si lascerà attrarre dagli antichi legami di sangue anche al cospetto degli efferati delitti di cui sarà testimone. Ma come ben sappiamo il genere horror non sempre esige particolari riscontri con la razionalità anzi spesso la rifugge e forse anche questo li rende così amati al loro affezionatissimo pubblico e al contempo così “poco” inquietanti, innocui.

Tra i giovani protagonisti spicca l’interpretazione della bella Alexandra Daddario, attrice dagli occhi di ghiaccio e una discreta espressività; ben immedesimati nella parte anche gli altri giovani protagonisti che ben rappresentano i soliti ragazzi americani un po’ sciocchi e superficiali che raffigurano le vittime ideali in questo genere di film. Tra loro anche il rapper Trey Songz, per la prima volta sul grande schermo.

Un ultima considerazione la dedichiamo alla decisione di girare il film con la tecnica 3D, una tecnica che anche in questo caso non ci sembra dia un contributo sostanziale al film, non immette nulla di tecnicamente e visivamente rilevante. Persistiamo quindi ad avere sani e incontestati dubbi riguardo l’efficacia di questa particolare tecnica di ripresa che tutto ci sembra fuorché oggettivamente rivoluzionaria.

 
 

Non aprite quella borsa

I Festival non iniziano con il primo film proiettato. Non iniziano nemmeno con il ritiro dell’accredito. Non iniziano nemmeno quando per la prima volta metti piede sul luogo. Iniziano molto prima, con la valigia. Proprio sul letto, quella di un lungo viaggio. Un mostro orrendo che ogni operatore del settore costretto ad almeno dodici giorni di tempo imprevedibile – che i bollettini meteo sono meno chiari della Pizia delfica, in certe occasioni – e presumibilmente variabile, deve affrontare, e che farebbe scappare a gambe levate Frankenstein, Dracula e il mostro della Laguna Nera – tanto per restare in tema – che rispetto alla laguna veneziana e alle sue zanzare laureate in Antropologia Culturale è un’accogliente piscina per famiglie.

Per le signorine il problema è veramente rilevante, dato che sono solitamente propense a portarsi dietro dei container ricolmi di scarpe d’ogni tipo, e dunque si debbono ingegnare: chi le manda in anticipo con uno spedizioniere, chi le incastra ‘modello Tetris’ in una valigia con triplo fondo, che ha inventato appositamente un mezzo di teletrasporto per proiettarle direttamente da casa propria al Lido. Una volta un’amica mia è entrata erroneamente in una capsula con un paio di decolleté in pelle scamosciata e si è fusa geneticamente con esse, ora non può più portare nessun altro modello e potete capire la sofferenza.

Per noi maschietti è tutto più facile. Apriamo la valigia, ci buttiamo dentro tutto quello che abbiamo nell’armadio seguendo il testatissimo metodo ‘alla cazzo di cane’, ci aggiungiamo il rasoio, la schiuma da barba, il pc e per chi ha qualche speranza i preservativi, e stamo apposto. O almeno così crediamo, perché poi il problema è che la borsa non si chiude nemmeno con un miracolo.

E allora è il momento di applicare l’antica arte dalla ‘Bagagliomachia’, l’eterna lotta tra l’uomo e il fagotto. Una leggenda metropolitana nota nell’ambiente vuole che molti wrestler professionisti siano nati giornalisti di cinema e abbiano imparato le prese nel tentativo di domare i loro fardelli rigurgitanti mutande, calzini e K-Way dalle improponibili tinte in caso di pioggia. Nel 2008 Darren Aronofsky volle omaggiare la categoria con un celebre film che venne selezionato per il concorso, per il quale Mickey Rourke ormai ridotto a un sosia di ‘Faccia di cuoio’ (quello di Non aprite quella porta, anche il carattere era più o meno lo stesso) costrinse un povero addetto stampa a prendersi cura tutto il tempo del suo cane, che aveva un nome ridondante (tipo Heimdall, Faramir o Flegetonte, adesso non ricordiamo bene) ma era un Chihuahua, per giunta vecchio e cacacazzi, e pisciava in ogni dove.

Il film vinse il Leone d’oro. Il cane è morto un mese dopo. Alla memoria.

(Ang)

Non aprite quella borsa

Secondo un recente studio della Nonmifacciomaiicazzimiei School of Management pare che l’espressione più pronunciata dalle critiche cinematografiche alla vigilia di un festival sia ‘…e mo’?’.

L’ ‘…e mo’?’ in questione, in tutte le varianti dialettali, si manifesta in preda a una sensazione di sconforto e sdegno qualche giorno prima della partenza. Le giovani critiche lo sanno da tempo che arriverà quell’espressione lì, ma ogni anno sperano di sfangarla.

Per chi non lo sapesse il vero problema festivaliero è la valigia. I preparativi della partenza sono un qualcosa che ma ciao Bree Van de Kamp e tutta Desperate Housewives. La stanza inizia a riempirsi di vestiti, appesi in ogni dove, l’asse da stiro diventa parte dell’arredamento e il ferro sempre acceso, con conseguenze devastanti sulla messa in piega.

Il nemico n 1 della critica cinematografica è il meteo,  preciso come le taglie di Zara. Non aiutano le colleghe sui social che iniziano a postare di sciagure, trombe d’aria e cataclismi di ogni sorta. Il vero problema è che Venezia cade in quel meraviglioso periodo che oscilla tra ‘Moda mare Positano’ e le piogge dei monsoni del Nepal, per cui amen, t’adadattà. Così la valigia diventa un armadio 4 stagioni, top striminziti accanto a giacche di pelle, stivali, colbacchi. Alla fine pare Portaportese, ma tu ti senti previdente e non ci pensi più.

Il nemico n 2 della critica cinematografica è il problema capelli: voi uomini, fatela finita, cosa ne potete sapere che non ne avete. Spazzole, asciugacapelli, anticrespo che a Venezia c’è un umido che diventi mutante, piastra. Capite bene che ficcare tutto in una sola, misera valigia inizia a diventà un attimo difficile. Ecco l’idea: chiamo il proprietario di casa. ‘Mi scusi, ma non è che, per caso, in casa c’è almeno un asciugacapelli?’ ‘Cara ma che credi che a quella modica cifra io ti metto a disposizione un salone di Jean Louis David?’. E niente, t’adadattà. Vabbè che al lido ce stanno i parrucchieri, ma poi piove, che me frega, me li lego. E metti dentro direttamente Aldo Coppola.

In nemico n 3 della critica cinematografica è il viaggio stesso: se molte non hanno la fortuna di avere maritififdanzatiamantiamicicolleghi che prendono gli stessi mezzi il problema diventa di proporzioni bibliche. Per le più fortunate è solo un treno più il vaporetto. Per le sfigate, like me, i treni so’ due. Io non lo so perché mi ostino fastidiosamente a pagare la palestra quando potrei tenere tutorial su youtube su come fare squat sollevando la valigia sui binari.  Sarei ricchissima, lo so. E insomma t’adadattà. Per cui, niente, devi distribuire bene il peso sennò rischi di pompare solo una parte del corpo con nefaste conseguenze estetiche.

Insomma, potrei continuare all’infinito, ma questi i principali nemici pre-partenza. Per cui sai già che disferai 16mille volte la valigia, che le proverai tutte. ‘Ah tolgo il golfino!’ ‘Semmai lo compro!’ Come se quei due grammi fossero più risolutori rispetto alle 50 zeppe che pesano quanto Giove. Gli omini delle emozioni alla consolle della tua vita ti fanno attraversare tutte le sfumature di stati d’animo. Sadness si impossessa di te. La valigia è un ricordo di base, ormai blu*.

Alla fine, stanca dalla dura lotta tra il (vestire) bene e il male, opti per il solito, rincuorante ‘acazzodicane’.

Quel che c’è c’è. D’altronde: t’adadattà.

(Vì)

*per chi non lo sapesse la citazione è da Inside Out (2015)

 
 

Nomination Razzie Awards: che vittoria per Jack e Jill!

Signore e signori, ecco il film peggiore del 2011! Un pienone di premi per Jack e Jill – la commedia di Dennis Dugan con Adam Sandler, Katie Holmes e Al Pacino – alla 32ma

 
 

Nomination Razzie Awards: Adam Sandler fa il pieno!

La Golden Raspberry Award Foundation ha annunciato le nomination per la 32ma edizione dei Razzie Awards, gli “anti-Oscar” che vanno a premiare

 
 

Nomi su nomi per Superman

Secondo fonti attendibili che hanno già dato informazioni sul Black Swan di Darren Aronofsky, il regista è stato sentito più volte parlare della regia di Superman, prossimo atteso reboot della serie sull’uomo d’acciaio.

Lo studio sta cercando di coinvolgere nel progetto anche Natalie Portman per occupare il ruolo di Lois Lane, assumendo così a coppia artistica già vista collaborare insieme per Black Swan. Portman sta già interpretando Jane Foster nel prossimo film di Kenneth Branagh, Thor. Quindi, se dovesse diventare anche Lois Lane,sarà un altro degli attori a prendere parte sia a progetti della Marvel che della DC Comics. Intre, sempre riguardo a Superman la Warner Bros e Christopher Nolan si affrettano per promuovere l’avvio del film cercando un protagonista che possa indossare la tuta azzurra. Alcuni dei nomi considerati per la regia  sono Tony Scott (Nemico pubblico, True Romance), Matt Reeves (Let Me In, Cloverfield), Jonathan Liebesman (Clash of the Titans 2, The Texas Chainsaw Massacre: The Beginning), Duncan Jones (Luna ) e Zack Snyder (Watchmen, 300) oltre ad Aronofsky. Ma ora arriva anche la notizia che la WB ha recentemente incontrato con Ben Affleck (The Town, Gone Baby Gone) per dirigere “Superman”. Ironia della sorte, Affleck ha interpretato, se non Superman, l’attore che negli anni 30 lo interpretava e che morì in circostanza oscure in Hollywoodland, ruolo per il quale ha vinto la Coppa Volpi a Venezia. L’idea era venuta alla Warner dopo aver visto lo splendido The Town di Affleck, ma a quanto pare lo stesso premio Oscar per Will Hunting ha  si è tirato fuori dalle trattative.

Fonte: wrostpreview

 
 

Nomi di battesimo: ecco come si chiamano le star

Alcuni sono noti, celebri, altri una vera e propria sorpresa: ecco di seguito le star che utilizzano un nome d’arte ma che sono nati sotto altro nome. Ecco i nomi di battesimo delle star:

 
 

Nome di donna: trama e cast del film con Cristiana Capotondi

Nome di donna film

In occasione della giornata contro la violenza sulle donne, è possibile ritrovare nella programmazione televisiva il film Nome di donna, scritto e diretto dal regista Marco Tullio Giordana, autore già noto per I cento passi e La meglio gioventù. Nel nuovo lungometraggio, a cui ha collaborato insieme a Cristiana Mainardi, si racconta dunque di una realtà ancora oggi purtroppo diffusa e che proprio negli ultimi anni è tornata a far parlare con più urgenza di sé: le molestie sessuali. Con la forza e l’incisività che da sempre contraddistingue il suo cinema, Giordana porta lo spettatore in territori scomodi, mostrando l’urgenza di un dibattito su questi.

Il regista mancava dagli schermi cinematografici dal 2010, anno di Romanzo di una strage. Rompe così il suo silenzio con un argomento ancora oggi taboo per il cinema e la società, sviluppando il suo film come un legal drama e mostrando quanto di “horror” possa esserci anche in storie di questo tipo, dove l’essere umano può diventare il mostro peggiore. Sostenuto da un cast di noti interpreti del cinema italiano, il film prende così forma, con riprese che si svolgono prevalentemente a Villa Mazzucchelli a Ciliverghe di Mazzano. Una volta pronto, questo viene distribuito in sala nella data simbolo dell’8 marzo del 2018.

Nome di donna si è poi affermato come un discreto successo al box office, ottenendo maggior risalto grazie ad una serie di riflessioni nate proprio a partire dal film e dal suo tema. Grazie ad esso nasce infatti una maggior attenzione nei confronti del problema trattato, ancora oggi lungi dall’essere risolto. Prima di cimentarsi nella visione del film, può però essere utile scoprire alcune curiosità legate ad esso, e a fine lettura si vedrà su quali piattaforme e quali canali televisive è possibile ritrovarlo per una comoda visione.

Nome di donna: la trama del film

La storia è quella di Nina, una giovane madre single che si trova a dover lasciare Milano per trasferirsi in un piccolo paese della Lombardia. Qui ha infatti trovato lavoro presso il Baratta, una prestigiosa clinica per anziani facoltosi. Le cose sembrano procedere bene per lei, che inizia a stringere rapporti tanto con i pazienti quanto con le altre donne che vi lavorano. Questo luogo elegante e quasi fiabesco, però, cela uno scomodo segreto, legato al torbido sistema di favori messo in piedi da Marco Maria Torri, il manager della struttura. Quando Nina scoprirà tutto, verrà inizialmente isolata dalle colleghe, preoccupate di perdere il posto di lavoro. Ma ben presto le donne troveranno tutte la forza di affrontare il direttore e lanciarsi in un’avvincente battaglia per i loro diritti e la loro dignità.

Nome di donna cast

Nome di donna: il cast del film

Protagonista del film, nel ruolo di Nina Martini, vi è l’attrice Cristiana Capotondi. L’attrice torna a ricoprire un ruolo impegnato dopo quello in 7 minuti, dove lottava per il diritto alla pausa sul luogo di lavoro. Dichiaratasi entusiasta del movimento formatosi intorno a tale problema, l’attrice non ci ha pensato due volte a ricoprire il ruolo, consapevole della sua importanza. Nel parlare del personaggio, la Capotondi ha poi affermato di sentirsi particolarmente simile a Nina, condividendo con lei l’alta dignità di sé stessi e ritrovandovi un ideale da seguire. Si ritrova poi la celebre attrice Adriana Asti, che interpreta qui Ines, un’anziana attrice residente nella clinica, e la quale ha invece un’opinione particolare e diversa delle molestie.

Ad interpretare il ruolo del problematico direttore Marco Maria Torri vi è invece l’attore Valerio Binasco. Celebre per noti film come Un giorno perfetto e Il giovane favoloso, egli ha raccontato di essersi avvicinato al personaggio cercando di non giudicarlo. Sarebbe altrimenti stato difficile per lui poter essere veritiero nella sua interpretazione. Per riuscirvi ha dunque ricercato degli elementi di umanità e fragilità in Torri, non dimenticando però della gravità della sue azioni. L’attrice Michela Cescon, celebre per Primo amore, interpreta qui l’avvocatessa Tina Della Rovere, la quale aiuterà Nina nel suo caso. Nel film si ritrovano poi anche Bebo Storti nel ruolo di Don Roberto Ferrari, e Renato Sarti in quelli di Don Gino, uomini di chiesa particolarmente rilevanti nella vicenda. Linda Caridi, nota per Ricordi?, interpreta qui Cecilia Torri.

Nome di donna: il trailer e dove vedere il film in streaming e in TV

Per gli appassionati del film è possibile fruire di questo grazie alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete. Nome di donna è infatti disponibile nel catalogo di Rakuten TV, Chili Cinema, Google Play, Apple iTunes, Rai Play e Tim Vision. Per vederlo, basterà sottoscrivere un abbonamento generale o noleggiare il singolo film. Si avrà così modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità video. È bene notare che in caso di noleggio si ha soltanto un determinato periodo di tempo entro cui vedere il titolo. Il film sarà inoltre trasmesso in televisione il giorno mercoledì 25 novembre alle ore 21:35 sul canale Rai 1.

Fonte: IMDb

 
 

Nome di donna: recensione del film di Marco Tullio Giordana

Nome di donna

Arriva in sala l’8 marzo Nome di Donna, il nuovo film di Marco Tullio Giordana con protagonista Cristiana Capotondi.

In Nome di Donna Nina (Cristiana Capotondi) si trasferisce da Milano in un piccolo paese della Brianza per lavorare come assistente in una residenza per anziani facoltosi, con un parroco responsabile del personale che sembra più esperto di aliquote iva che di rosari e un amministratore, Marco Maria Torri, che ha instaurato un sistema di favori alle sue dipendenti con un secondo fine. Quando anche Nina si troverà ad affrontare l’amministratore Torri (Valerio Binasco) si dovrà scontrare con mille avvesità per far rispettare la sua dignità.

Marco Tullio Giordana mancava dagli schermi cinematografici dal 2010, anno di Romanzo di una strage. Dopo alcuni film per la tv, tre anni fa si è imbarcato nella realizzazione di questo film che affronta una tematica taboo per il cinema e la società: la molestia di stampo sessuale sul luogo di lavoro. Il film si sviluppa come un legal drama, che prima di arrivare in tribunale espone il problema in forma quasi di thriller, con alcune scene girate in modo tale da rendere l’idea di come l’abuso di potere perpetuato da Torri fosse diventato, coscientemente o meno, una sorta di rito di passaggio da cui le dipendenti passavano per avere assicurato il posto e anche degli aiuti supplementari.

Nome di donna, il film

In questa “normalità” si inserisce Nina, che ha come priorità il rispetto di se stessa e capisce subito come ci sia qualcosa di storto nel comportamento di colleghe e superiori. La parte più difficile è trovare la forza di sfondare il muro di gomma di omertà e di sfiducia che le si crea intorno. Giordana rende bene chiari quali sono i nemici, quelli più ovvi: il comportamento malato del superiore, la reazione tesa a insabbiare lo scandalo della dirigenza ecclesiale, ma anche quelli inaspettati: i sindacati che vogliono usare Nina per portare l’azienda in tribunale, le colleghe che vogliono che Nina si adegui.

Raggelanti sono due battute; una collega apostrofa Nina dicendole, prima che lei incontri il superiore per la prima volta: “Perchè devi lavorare? Non hai un uomo che lavori per mantenerti?  Allora è l’uomo sbagliato!” e la battuta della formidabile Adriana Asti, che qui interpreta un’anziana attrice ancora in attività che vive nella residenza anziani e  che ricorda l’opinione di Catherine Denevue sulle molestie e sul movimento #metoo: “Molestie? Ai miei tempi si chiamavano complimenti”.

Queste due battute vanno pesate in modo diverso, ma in comune hanno l’opinione che la donna era costretta ad avere di se stessa: una persona passiva, che non poteva partecipare al suo benessere, quindi lavorare, ma che doveva riceverlo da altri, così come doveva accettare, in modo passivo, i “complimenti”, facendo finta di niente su quelli più pesanti.

Per quanto sia essenziale in tutta questa discussione mantenere una lucida distinzione tra molestia, violenza e, per citare nuovamente la Deneuve, la semplice goffagine di qualche uomo incapace di corteggiare in modo galante, il film pone finalmente il riflettore su di una quotidianità comune a molte donne che viene iscritta nella normalità ma che non rientra affatto nella normalità lavorativa, in cui tutti, di qualsiasi sesso, etnia e religione, dovrebbero avere la garanzia di riuscire a lavorare senza subire molestie di alcun tipo.

 
 

Nome di donna: al via le riprese del nuovo film di Marco Tullio Giordana

Nome di donna

Primo giorno di riprese per Marco Tullio Giordana tornato dietro la macchina da presa per dirigere il suo nuovo film: Nome di donna.

È la storia di Nina, una giovane donna che si trasferisce con la figlia in un paesino della bassa Lombardia. Ha trovato impiego in una prestigiosa clinica privata dove lavorano molte altre ragazze, italiane e straniere. Una piccola comunità femminile eterogenea e tuttavia molto unita, anche da un segreto.

Il cast è composto da Cristiana Capotondi, Valerio Binasco, Michele Riondino, Adriana Asti, Michela Cescon e Laura Marinoni. Soggetto di Cristiana Mainardi, sceneggiatura di Cristiana Mainardi con Marco Tullio Giordana.

Il film, interamente girato in Lombardia, è prodotto da Lionello Cerri per Lumière & Co con RaiCinema e coprodotto da Celluloid Dreams.

 
 

Nome di Donna, il nuovo film di Marco Tullio Giordana

Arriverà al cinema distribuito da Videa Nome di Donna, il nuovo film di Marco Tullio Giordana con protagonisti Cristiana Capotondi, Valerio Binasco, Stefano Scandaletti, Michela Cescon, Bebo Storti, Laura Marinoni, e con Anita Kravos, Stefania Monaco, Ronato Sarti, Patrizia Punzo e Patrizia Piccinini. 

Nome di Donna uscirà al cinema dall’08 Marzo 2018.

https://www.youtube.com/watch?v=WcQREWwm_J8&feature=youtu.be

 

Marco Tullio Giordana ha commentato: “Questo film parla delle molestie sul luogo di lavoro, tema balzato di recente agli onori della cronaca ma nascosto per anni sotto il tappeto. Non è un film di “denuncia”, l’ultima cosa al mondo che m’importa è fare il moralista. Il film indaga più che sul “fatto”, sul sasso lanciato nello stagno, sulle conseguenze che ne derivano, sui cerchi che si allargano fino a lambire sponde anche molto lontane. Una di queste è l’ostilità che immediatamente avvolge la vittima, l’insinuazione che “se la sia cercata”, la solitudine in cui si trova chi non intende sottostare. Un film che racconta l’omertà, la compiacenza, il disonore generale e il coraggio invece di una giovane donna che sfida tutto questo e si ribella dimostrandosi più forte del luogo comune.”

Nome di Donna, la trama

Nina (Cristiana Capotondi) si trasferisce da Milano in un piccolo paese della Lombardia, dove trova lavoro in una residenza per anziani facoltosi. Un mondo elegante, quasi fiabesco. Che cela però un segreto scomodo e torbido. Quando Nina lo scoprirà, sarà costretta a misurarsi con le sue colleghe, italiane e straniere, per affrontare il dirigente della struttura, Marco Maria Torri (Valerio Binasco) in un’appassionata battaglia per far valere i suoi diritti e la sua dignità.

 
 

Nome d’arte: il vero nome delle star di Hollywood

Se dicessimo “quanto è brava Neta-Lee Hershlag“, quasi nessuno capirebbe a chi ci stiamo riferendo, ma se dovessimo usare il suo nome d’arte, Natalie Portman, sarebbe tutta un’altra storia.

Ecco alcune star che hanno adottato un nome d’arte

[nggallery id=3020]

Il caso di Natalie Portman è dovuto dall’esgenza di comunicabilità, dato che il suo nome israeliano è più difficilmente memorizzabile, allo stesso modo Helen Mirren ha optato per una inglesizzazione del suo nome russo. Ben Kingsley ha messo da parte il suo Krishna Bhanji per un altrettanto regale nome che porò potesse essere ‘capito’ su scala internazionale.

Appare buffo quando il nome d’arte è adottato per evitare omonimia, come nel caso di Michael Douglas che ha scelto di farsi chiamare Michael Keaton, per evitare proprio l’omonimia con l’altro Michael Douglas, figlio di Kirk. Stesso problema si è presentato per la cantante Katheryn Hudson, che lungi incorrere in equivoci con l’attrice Kate Hudson, ha deciso di cambiare il suo nome in Katy Perry.

Molte volte però la scelta del nome dipende anche da riferimenti e omaggi che l’artista in questione vuole fare ad altri artisti, considerati mentori (Marylin Manson si chiama così in omaggio a Marylin Monroe e – sob – Charles Manson).

Altri nomi ancora custodiscono una storia di famiglia, come quella di Destiny Hope Cyrus che decise di farsi chiamare Miley a 15 anni, in onore del nomignolo affettuoso che suo padre le aveva dato da piccolina.

Mark Vincent avrebbe guidato forte come Vin Diesel?

Fonte

 
 

Nomadland: trailer del film con Frances McDormand

Nomadland il nuovo lungometraggio Searchlight Pictures vincitore del Leone d’Oro alla 77esima edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, arriverà prossimamente nelle sale italiane, distribuito da The Walt Disney Company Italia.

Diretto dalla regista Chloé Zhao e interpretato dall’attrice premio Oscar Frances McDormand, il film è basato sul libro di Jessica Bruder “Nomadland. Un racconto d’inchiesta”, edito in Italia da Edizioni Clichy.

Dopo il collasso economico di una città aziendale nel Nevada rurale, Fern carica i bagagli sul proprio furgone e si mette in strada alla ricerca di una vita fuori dalla società convenzionale, come una nomade moderna. Terzo lungometraggio della regista Chloé Zhao, Nomadland vede nel cast la presenza dei veri nomadi Linda May, Swankie e Bob Wells nel ruolo di mentori e compagni di viaggio di Fern durante il suo vagare attraverso i vasti paesaggi dell’Ovest americano.

Fern è una donna di sessantun anni che ha perso suo marito e tutta la sua vita precedente, dopo che la città mineraria in cui viveva è stata sostanzialmente dissolta. Ma durante il suo percorso, diventa più forte e trova una nuova vita. Fern trova la propria comunità nei raduni tra nomadi a cui partecipa, nella forte amicizia con Dave (interpretato da David Strathairn) e nelle altre persone che incontra durante il suo viaggio. Ma soprattutto, come afferma Chloé Zhao, “…nella natura, mentre lei si evolve; nelle terre selvagge, nelle rocce, negli alberi, nelle stelle, in un uragano. È qui che trova la propria indipendenza“.

 
 

Nomadland: recensione del film di Chloé Zhao

nomadland recensione

Dopo l’esordio Songs My Brothers Taught Me e The Rider, bellissimo lavoro presentato a Cannes, Chloé Zhao, regista cinese con una formazione occidentale, tra Londra e New York, torna a raccontare comunità atipiche, dimenticate, ai margini del mondo con Nomadland, un viaggio tra le (non) comunità di nomadi che popolano gli Stati Uniti, spostandosi fra Sud e Nord Dakota, il Nebraska, il Texas.

Il viaggio di Fern

La storia è quella di Fern, una donna che sceglie una vita da nomade dopo che la crisi economica ha causato la chiusura dell’azienda per cui lavorava, nelle campagne del Nevada, una crisi così nera che ha spinto l’intera cittadinanza del paesino costruito intorno all’azienda ad andare via, abbandonando quel posto, quelle case prefabbricata, lasciando dietro di sé solo polvere, arbusti e stoppa. Portando con sé tutti gli oggetti che in qualche modo le ricordano la vita in quel posto e suo marito, scomparso da qualche anno, Fern, a bordo del suo van percorre la strada, da sola o in compagnia, entrando di volta in volta in contatto con nomadi come lei, percorrendo il deserto, scrutando l’orizzonte, inventandosi una vita che non riconosce più e ancorandosi al ricordo del passato che non tornerà ma che continua a vivere proprio il quel ricordo. 

Nomadland è un omaggio a quella popolazione che sceglie di vivere su quattro ruote, è un’ispezione in punta di piedi di un territorio mozzafiato, ma è anche un viaggio interiore, una ricerca esistenziale e il racconto del dolore che spinge ad andare avanti ostinatamente, evitando qualsiasi altra possibilità di legame, di stanziamento, di relazione che non sia con i proprio ricordi. Così Fren stringe tante amicizie, intesse relazioni e rapporti, ma solo per poi lasciarli cadere una volta risalita a bordo del suo van. Persino quando un’amicizia romantica le offre la possibilità di un focolare domestico, lei rifiuta e ci sembra che in quel rifiuto ci sia rammarico, ma anche dispiacere e necessità di tornare indietro ai proprio ricordi.

Un vuoto incolmabile, uno spazio senza confini

NOMADLAND Gotham Awards 2020

Fren deve riempire il vuoto lasciatole dentro dalla perdita del suo posto, in cui per tanto tempo ha vissuto di ricordi, ma sceglie di farlo con tanti piccoli legami provvisori: l’amicizia con i nomadi che domani potrebbe non incontrare più, i lavoretti saltuari a seconda del posto in cui si trova. Solo tornare sui suoi passi e nei luoghi che ha lasciato la metterà in pace con se stessa. Nomadland è un viaggio in quel’America post crisi, senza industrie, senza futuro, tra una generazione che a oltre metà della sua vita si è trovata senza lavoro, senza più certezze, persone con mille e una risorsa ma anche senza prospettive. Il racconto di Chloé Zhao è poetico, si avvale di immagini mozzafiato e di paesaggi spettacolari, ma è anche politico dal momento che fotografa una situazione di precarietà profonda. E ancora, Nomadland è un racconto umano e sociale, che evidenzia come, attraverso l’aiuto reciproco, anche questa precarietà si può arginare, come mostrano le sparute ma vivaci scene conviviali tra Fern e i nomadi che trova lungo la strada.

Chloé Zhao si affida a Frances McDormand che produce anche il film e che interpreta una Fren strepitosa. Ogni sua ruga, ogni sua espressione è dedicata ad una donna che sembra conoscere e capire intimamente, un ruolo che non fa altro che confermare la delicatezza di un’interprete che negli ultimi anni ha dato prova di migliorare film dopo film, performance dopo performance, nonostante partisse già da livelli altissimi. Ma oltre McDormand, i volti che restano davvero impressi nella mente sono quelli di Linda May, Swankie, Bob Wells, nomadi veri, persone autentiche.

Nomadland, chi è ricordato non muore mai

L’occhio di Zhao mostra e racconta con una compassione e una delicatezza rara, costruisce il film passo dopo passo così come i suoi protagonisti un pezzo alla volta ricostruiscono la loro vita, sempre proiettati lungo la strada come fossero carovane di pionieri senza però nulla da scoprire. La ricerca malinconica e disillusa di un nuovo posto in cui stare si rivela presto essere solo una scusa per continuare ad andare avanti, nel ricordo di persone e posti che non torneranno, ma che, proprio perché ricordati, non moriranno mai.

Nomadland, basato sull’omonimo romanzo di Jessica Bruder, ci accompagna lungo queste strade desertiche e queste umanità spezzate ma caparbie sulle note di Ludovico Einaudi che invadono la scena, spesso stringendo anche con le immagini di difficoltà, alle quali però conferiscono dignità e poesia. Zhao realizza un ritratto dell’America post-industriale profondo, delicato, dalla parte dei perdenti che comunque riescono a ingegnarsi e ad andare avanti, senza mai dirsi addio, così come è tradizione tra le comunità di nomadi. “Ci si vede lungo la strada” si dicono, un arrivederci a non si sa quando ma un saluto fiducioso verso un ignoto futuro.

 
 

Nomadland, trailer ufficiale del film con Frances McDormand

È stato diffuso il trailer ufficiale di Nomadlandnuovo film di Chloé Zhao con protagonista la due volte premio Oscar Frances McDormand.

Nomadland segue Fern (McDormand), una donna che, dopo il collasso economico di una cittadina rurale nel Nevada, fa i bagagli e parte nel suo van per provare la vita on-the-road, fuori dalla società convenzionale, da moderna nomade. Il film include i nomadi veri Linda May, Swankie e Bob Wells che fanno da mentori e compagni a Fern nel suo viaggio attraverso il vasto paesaggio dell’Ovest americano.

Nomadland è prodotto da Frances McDormand (Olive Kitteridge su HBO), Peter Spears (Chiamami col tuo nome), Molly Asher (The Rider), Dan Janvey (Re della Terra Selvaggia), e Chloé Zhao (The Rider – Il sogno di un cowboy). Protagonista del film, oltre a McDormand, è David Strathairn (Good Night, and Good Luck.). Zhao torna a lavorare con il suo direttore della fotografia per The Rider, Joshua James Richards (La terra di Dio). Le musiche nel film sono del compositore italiano Ludovico Maria Enrico Einaudi e il montaggio di Zhao. Alla Searchlight, il film è stato coordinato dai presidenti della produzione Matthew Greenfield e David Greenbaum e dal vice presidente della produzione Taylor Friedman.

Chloé Zhao è una regista, sceneggiatrice, montatrice, e produttrice rinomata per il suo lavoro nel suo film d’esordio, Songs My Brothers Taught Me (2015), presentato in prima mondiale al Sundance Film Festival. Il suo secondo lungometraggio, The Rider (2017), ha ricevuto diversi riconoscimenti fra i quali le candidature agli Independent Spirit Awards per miglior film e miglior regista. Zhao ha diretto il film di prossima uscita dei Marvel Studios Eternals, programmato per il 2021 e distribuito da Walt Disney Studios.