Un documentario ambizioso scritto e
diretto da Mark Cousins, nato da una profonda
passione per il cinema e i viaggi, e tratto dal suo omonimo
libro. The story of the film – nelle sale dal
25 settembre – è un progetto ammirevole che, nel soffermarsi sulle
tappe fondamentali dell’innovazione cinematografica, ne ripercorre
l’intero ciclo evolutivo, dalla genesi, nel lontano e magico 1895,
fino alla rivoluzione odierna.
Cousins ha girato il mondo,
esplorato luoghi inenarrabili – come l’appartamento di Ejzenstein a
Mosca o il villaggio indiano in cui fu girato Pather
Panchali di Satyajit – raccolto testimonianze, preziosi
spunti e frugato nelle menti di alcuni tra i più grandi maestri del
cinema.
Da Hollywood a Mumbai, dalla Londra
di Hitchcock a Tokyo, passando per Parigi, Mosca, Dakar, e Teheran,
tutti i luoghi esplorati sembrano conservare ancora quell’essenza
vintage e sublime del cinematografo di un tempo. Cruciali incroci
di idee, di registi e attori leggendari, attraverso i quali Cousins
ci racconta come il cinema sente e riflette i cambiamenti storici,
esaltandone l’esuberanza e la tristezza.
The story of the film, il
film
Poderosa opera filmica, un puzzle
di circa mille spezzoni di film, che cerca di tracciare i confini
di epoche che, nell’incessante sovrapporsi, si contraddistinguono
in quanto a peculiarità tecniche e concettuali. 15 capitoli per 15
ore, non il semplice frutto di un collage di interviste, fotografie
e grafici, ma il risultato di una profonda urgenza comunicativa,
non un banale compendio della storia del cinema, bensì la volontà
di trasmetterne l’anima e la poesia. In quest’ottica vanno
interpretate le tante scene girate all’alba e al crepuscolo con una
voce fuori a campo a suggerisce un pò l’effetto di lampada
magica.
A dare mordente, ad esempio, ai due
episodi proiettati – La devastazione della guerra e il nuovo
linguaggio filmico del secondo dopoguerra e Il nuovo
cinema americano dal ’67 al ’79 – è la capacità del regista di
descrivere stili, generi, influenze e contaminazioni, andando alla
riscoperta di preziose pellicole, adoperando raffronti di
inquadrature tesi ad evidenziare le conquiste tecniche e
stilistiche. Si pensi alla rivoluzione della profondità di campo,
inaugurata da Ford e legittimata da Welles, o alla
de-drammatizzazione voluta dal Neorealismo italiano che, al
contrario del contemporaneo cinema hollywoodiano, bandiva eventi
forzati ed esagerati per dare spazio a inquadrature povere,
traballanti e tragicamente aderenti alla realtà.
Pregevole anche il dibattito sul
nuovo cinema americano, su come esso sia stato attraversato,
all’alba delle rivoluzioni studentesche, da correnti antagoniste ma
ugualmente influenti. Da una parte il cinema manierista di
Bogdanovich e Peckinpah, devoto al cinema classico, di cui
propone una versione rivisitata; dall’altra, un cinema
d’opposizione sdoganato dagli avventurosi Hopper a Altman fino a
Coppola e Scorsese. Ma c’è anche il filone satirico che, nel
proclamare la sua estraneità al dibattito, sbeffeggiava la società
– in malora – sul modello dei fratelli Marx.
The story of the
film è tutto questo, un’ode al cinema e alla sua magia, ma
anche il racconto personale di un viaggiatore nel tempo e nello
spazio, nonché il tramite prediletto della sua curiosità e delle
sue emozioni.
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