Andrej Filipov era il più grande
direttore d’orchestra che il Bolshoi avesse mai avuto: finché,
durante il regime di Brežnev, il partito non ordina il suo
licenziamento e quello di tutti i musicisti ebrei, costringendolo
per trent’anni a lavorare in quello stesso teatro che l’aveva visto
trionfare tante volte ridotto a semplice inserviente. Il destino
bussa alla sua porta quando per caso trova un fax proveniente da
Parigi che invita tutta l’orchestra a suonare a Parigi nel
prestigioso teatro Chatelet, dandogli l’idea che potrà cambiare la
sua vita: ricostruire la vecchia orchestra e presentarsi a Parigi,
dove finalmente potrà ultimare il concerto per violino e orchestra
di Čajkovskij interrotto tanto tempo prima e suonare con Anne –
Marie Jacquet, promettente violinista alla quale Andrej deve
rivelare un importante segreto…
Tutta colpa del
Paradiso, è il film del 1985 diretto
da Francesco Nuti e con protagonisti nel
cast Francesco Nuti, Ornella Muti e Roberto
Alpi.
Romeo Casamonica esce di carcere
dopo 5 anni, per una rapina a mano armata. Tornato a casa scopre
che tutto il quartiere dove viveva è stato rilevato dagli
americani, dunque ha perso anche casa sua.
Decide comunque di mettersi nelle
tracce di suo figlio, avuto con una tedesca dell’est ritornata a
casa sua. Il bimbo è stato adottato e venuto a conoscenza di chi
sono i genitori adottivi, decide di andarlo a prelevare. Giunto sul
posto però scoprirà che il piccolo si trova in un ambiente carico
di armonia, quella che lui è consapevole di non potergli
donare.
Secondo film di Francesco
Nuti, datato 1985, successivo a Casablanca Casablanca. Ci
regala una storia delicata, soave, intensa, diciamolo pure quasi
inaspettata da un regista come lui, che in genere dà molto spazio
all’ilarità e all’ironia. Qui sono i sentimenti a prevalere, la
delicatezza; assente la volgarità e poche sono le scene divertenti.
Ad affiancare Nuti, che si è sempre avvalso della compagnia di
belle donne nei suoi film, la bellissima Ornella Muti; con la quale
tornerà a lavorare due anni dopo con Stregati.
A tratti il film rallenta un pò
troppo, ma il tutto è adatto alle caratteristiche positive di cui
sopra.
Nel panorama del cinema italiano,
Nuti ha scritto sicuramente alcune pagine importanti. Nei suoi
lungometraggi, etichettati come cinema spensierato e leggero, il
nostro ha in realtà affrontato anche temi sociali “tra le righe”,
riferiti soprattutto ad una società in profonda trasformazione
qual’era quella italiana a cavallo tra gli anni ’80 e ’90.
Tutta colpa del Paradiso
Molto spazio ha dedicato
all’universo femminile, non idealizzandolo, bensì ponendone in luce
l’aspetto più “umano” e “carnale”. I loro difetti, il loro
carattere determinato, ovviamente anche i loro pregi. In quasi
tutti i film lui le donne “le subisce”, ponendo sotto i riflettori
le difficoltà che nella vita reale gli uomini hanno con loro,
malgrado si credano superiori. Per sua stessa ammissione, ha
affermato che nella vita privata è stato una vittima delle donne e
non certo un playboy come i media hanno preferito dipingerlo.
La sua pecca è stata forse quella
di non aver cercato nuove strade nelle sue commedie, ma di aver
insistito sempre su una figura maschile come detto alle prese con
problemi sentimentali o familiari di turno. Ha saputo, come detto,
sì cogliere l’evoluzione della società, ma non altresì cambiare il
proprio schema narrativo. E il pubblico pure cambia, emergono nuovi
registi in grado di accattivare le nuove generazioni.
E con il pubblico, a voltargli le
spalle ci sono pure i produttori, dimenticando i soldi che
Francesco gli ha fatto incassare per una decina di anni.
Per lui fatale, da un punto di
vista salutare prima ancora che professionale, è stato
Occhiopinocchio (1994), che può essere considerato uno spartiacque
della vita di Francesco Nuti. Il clamoroso flop
economico che ne conseguì (la Cecchi Gori group
rasentò il fallimento causa le ingenti spese che il film girato in
America richiese, non controbilanciato da adeguati ricavi) ha
segnato la sua carriera successiva, fatta di film dalla tiepida
accoglienza di critica e pubblico. Ma anche la vita privata, poiché
cominciarono per lui, tra alti e bassi, l’abuso di alcool,
depressione e vari tentativi di suicidio. Fino al tragico attuale
epilogo.
Era il 2 settembre 2006, e proprio
alla vigilia del ritorno sul set per girare un film insieme a
Sabrina Ferilli e Isabella
Ferrari dal titolo “Olga e i fratellastri Billi”,
Francesco cadde in casa con la testa a terra. Venne ricoverato e
operato d’urgenza al cervello presso il “Policlinico Umberto I” di
Roma, dove subì altri due interventi. Uscì dal coma il 24 novembre
dello stesso anno e venne trasferito nell’ospedale “Versilia di
Lido” di Camaiore, centro specializzato nella riabilitazione
neuromotoria. Nel febbraio del 2009 ritornò a casa, a Narnali nella
sua Prato, dove è comunque seguito da assistenti e ovviamente
dall’affetto della famiglia.
Ancora oggi non riesce a camminare
né a parlare. Ma a farlo per lui ci pensano i tanti film che ci ha
regalato. E tra questi, Tutta colpa del Paradiso è
forse il più riuscito.
Andrew Garfield, prossimo Peter
Parker, si sente così comodo nei panni di Spider-Man, che
pare abbia rinunciato alla controfigura per le scene
‘pericolose’.
In Mr.
Beaver Walter Black (Mel
Gibson) è il presidente di un’azienda di giocattoli,
ha una vita apparentemente perfetta, con una bella famiglia. Un
giorno però cade in profonda depressione, finendo per minare i
rapporti con i propri cari. Spossata dai cambi di umore del marito
la moglie Meredith (Jodie
Foster) lo allontana da casa, causandogli una profonda
crisi, che lo porterà ad adottare un castoro di pezza come alterego
attraverso il quale ricominciare a vivere e comunicare con il
mondo.
Che Mel Gibson avesse una testa particolare lo
avevamo capito; aldilà delle vicissitudini personali, divorzi, liti
con i fotografi, ubriachezza molesta e poco felici uscite
antisemite, anche da uno degli ultimi film in cui figurava come
attore: in Cosa vogliono le donne, ultima commedia
interpretata dal nostro, poco prima di dedicarsi alla regia e al
genere drammatico, lo vedeva nei panni di un manager che grazie ad
un incidente guadagna il potere di sentire i pensieri delle donne,
con conseguente miglioramento della propria relazione con il gentil
sesso di cui riesce a prevedere e assecondarne ogni
comportamento.
In Mr. Beaver, che
segna anche un altro ritorno, quello di Jodie Foster alla regia
dopo quasi 20 anni dall’ultima prova, la commedia A casa
per le vacanze, del 1995, a Gibson viene affidato un ruolo
che viaggia sul limite tra la tragedia e la commedia; un uomo
profondamente depresso che trova una cura autoindotta per uscire
dal tunnel della malattia.
Il suo personaggio è potenzialmente
un uomo felice: benestante, con una bella moglie professionista
affermata, dettaglio confermato dai numerosi Mac presenti sui
tavoli e dagli schemi da architetto che vengono mostrati in un paio
di situazioni, un figlio tanto genio da poter scrivere il discorso
di diploma alla più brava dell’istituto e un altro figlio
amorevole. Tutta questa situazione non lo protegge però da un male
molto diffuso e con cure molto lunghe e difficili oltre che non
ancora definite.
Il film ha dalla sua alcuni momenti
di commedia molto riusciti, soprattutto legati all’interpretazione
di Gibson, per poi spostarsi sul dramma cupo, come a seguire la
linearità della malattia che caratterizza il protagonista. La
sceneggiatura è molto curata anche nei personaggi secondari, oltre
che avere spazio per un cameo molto godibile del
comico/anchor Jon Stewart, presentatore di
The late show, molto popolare negli Stati
Uniti.
L’unica nota decisamente stonata
sono i tre discorsi di automotivazione, di stampo tipicamente e
trionfalmente americano, presenti in tre momenti diversi del film,
accuratamente divisi per generazione e uno dei quali proferito
nientemeno che dal castoro di pezza.
In occasione della presentazione a Cannes del film “La
Conquete”, vi inviamo una video intervista in cui Nicola Piovani,
autore della colonna sonora del film,
Come ti comporteresti se scoprissi
che la moglie del tuo migliore amico lo tradisce? E se tutte le tue
certezze sulla vita di coppia fossero basate su un matrimonio
fedifrago? Sono le domande alle quali si trova costretto a
rispondere Vince Vaughn, co-protagonista insieme a
Kevin James di Il Dilemma, ultimo
film di Ron Howard, dal 20 maggio al cinema.
Dopo la parentesi ‘browniana’
Howard ritorna alla commedia e lo fa con il suo stile sobrio, la
sua limpidezza formale e la sua grande capacità di coinvolgere
emotivamente il pubblico attraverso lo scandagliamento viscerale
dei suoi personaggi. Perché lontano dal trend di mercato, il buon
vecchio Ron ci offre uno spaccato anche profondamente doloroso di
una generazione che in America (come nel resto del mondo) non
riesce più a trovare il suo posto all’interno della società,
rivelandosi profondamente inadatto anche rispetto alla vita di
coppia.
Il Dilemma che
poteva trasformarsi in una già vista commedia degli equivoci,
racconta invece con estrema lucidità e con un sorriso amaro il
dilemma, appunto, di quest’uomo che si trova in una posizione
difficile verso l’amico tradito dalla moglie, ma anche verso se
stesso, poiché credeva nel matrimonio grazie all’apparente
perfezione di quello del suddetto amico. Howard riesce anche a
misurare con attenzione l’esuberanza di Vaughn e James, che sono
abituati a tutt’altro tipo di risate, mentre sceglie con cura le
due protagoniste femminili: Winona Ryder, la fedifraga isterica, sembra
aver trovato una nuova giovinezza al cinema, mentre
Jennifer Connelly riesce ancora ad offrire un ritratto
onesto e sensibile di una donna comune, straordinariamente bella e
perfetta.
Il finale sincero e realistico è in
sintonia con il tono del film, rientrando in quei pochi casi in cui
l’autore ha il coraggio di mostrare i fatti così come andrebbero se
si trattesse di situazioni reali invece che di storie di finzione.
Il Dilemma è un film da vedere, per ridere in
maniera intelligente e per farsi anche un po’ trascinare dalla sua
amarezza.
I Bambini ci
Guardano è il film del 1943 diretto
da Vittorio De Sica e con nel
cast Emilio Cigoli, Luciano De Ambrosis, Isa Pola e
Adriano Rimoldi.
Andrea e Nina sono una coppia
sposata medio-borghese. Lei però vede clandestinamente Roberto, una
vecchia fiamma che non vuole spegnersi. Il loro rapporto coniugale
è così funestato da addii e ritorni, rancori e perdoni.
A farne le spese di questo
matrimonio infelice il piccolo Pricò, 7 anni, il loro figlioletto
che assiste con i suoi occhi innocenti, e spesso lacrimanti, ai
peccati della madre. Finché tragedia non li separa. In questo film,
Vittorio De Sica traspone il romanzo di C.G. Viola
Pricò del 1924, incentrando tutta la storia proprio sul piccolo
Pricò, che paga sulla propria pelle le colpe della madre e assorbe
tutte le sofferenze e i tormenti del padre.
Diverse le scene toccanti, sebbene
quella che tocca più di tutte le corde emotive sia proprio quella
finale. De Sica ha spesso riservato spazi nei suoi lungometraggi ai
bambini, ma questo film è completamente dedicato a loro (tanto
quanto Sciuscià) e alle sciagure cui vanno
incontro già in tenera età a causa degli egoismi degli adulti.
Ancor più grave se a farli soffrire sono i loro stessi genitori. La
pellicola è stata giudicata tra i precursori del neorealismo.
Tra gli attori protagonisti, è
giusto dedicare qualche riga al piccolo Luciano De Ambrosis, che
interpreta il triste e malinconico bimbo Pricò. Figlio di un
operaio della Fiat di Torino, scelto dopo una lunghissima selezione
fra centinaia di bimbi, Luciano esordisce all’età di sei anni in
questo film. Considerato unanimemente, con Cesarino Barbetti, uno
dei migliori attori-bambini del periodo bellico, come il suo
giovanissimo collega percorre vie artistiche parallele costruendosi
una discreta carriera in teatro, in televisione e soprattutto nel
doppiaggio, senza accedere comunque mai alla notorietà
divistica.
Dopo I Bambini ci
Guardano di De Sica, il piccolo attore partecipa ad
alcuni film girati durante il periodo della Repubblica Sociale di
Salò tra cui il dittico diretto da Giorgio Ferroni Senza famiglia
dove è un intenso e angosciato Rémy. Dopo altri due film nel
periodo postbellico con il “suo” scopritore De Sica, che non lo
dirige ma gli è accanto come attore, Luciano De Ambrosis, già
adolescente, preferisce ritirarsi dagli schermi cinematografici
percorrendo la via più sicura e più gratificante del teatro. È
accanto a Olga Villi, Ivo Garrani e Luca Ronconi nella prima,
splendida edizione di Tè e simpatia di Robert Anderson nel ruolo di
Ralph, il ragazzo sportivo che si diverte a tormentare il sensibile
protagonista. L’anno successivo fa parte della formazione
Carli-Villa recitando nella commedia di Noel Coward Week-end. Dopo
il teatro, è il doppiaggio ad assorbirlo completamente ed ad
assicurargli una continuità nel campo artistico.
Fra i tanti attori stranieri cui
presta la voce, uno è Yorgo Voyagis, il Giuseppe di Gesù di
Nazareth di Zeffirelli, poi attori americani come Burt
Reynolds, Robert Mitchum, Tommy Lee Jones, il James Caan
di Misery non deve morire, l’Andy Griffith della serie-tv Matlock e
parecchi altri.
A sorpresa il regista Jim Jarmusch, tra i
più celebri del cinema indipendente americano e noto per un cinema
più intimista, a annunciato che presto farà un film sui
Vampiri.
Aki Kaurismaki oggi a Cannes ha
presentato alla stampa il suo ultimo film in Concorso: ‘Le Havre’,
che ha messo una vera e propria opzione ufficiale sull’ambita e
prestigiosa Palma.
Dal 18 maggio al
cinema. Pirati dei Caraibi – Oltre i confini del mare:
Dopo essere sfuggito alle guardie del re nel tentativo di liberare
il vecchio compagno di mare Gibbs, Jack Sparrow si ritrova
prigioniero sulla nave di Barbanera, grazie alla bella e
inaffidabile figlia di quest’ultimo, Angelica, in passato sedotta e
abbandonata da Jack stesso e ora a capo della ciurma di zombie del
padre. Suo malgrado, il nostro fa dunque rotta verso la Fontana
della giovinezza, facendo presto squadra con Barbossa, che si finge
al servizio della corona d’Inghilterra ma in verità cerca la
vendetta su Barbanera, responsabile della gamba di legno che lo
invalida. Per poter ottenere dalla fonte il suo beneficio, a
pirati, soldati e corsari occorrono però alcuni ingredienti di non
facile reperimento: due antichi calici e una lacrima di sirena.
The Tree of Life:
Jack è un bambino di undici anni e ha altri due fratelli. Cresciuto
nel Midwest dai genitori, prende rispettivamente le due diverse
attitudini di guardare alla vita; sua madre, Jessica Chastain, vede
con gli occhi dell’anima, ovvero è paladina di una visione piena di
amore e grazia. Suo padre, Brad Pitt, al contrario tenta di
crescere il figlio con l’insegnamento di mettere la propria persona
davanti a tutto. Quando lo ritroviamo cresciuto, interpretato da
Sean Penn, è un’anima persa nel mondo ma riesce a intravedere
qualche spiraglio di fiducia nelle parole del padre, considerate
prima come troppo dure.
Quinto film per Terrence Malick, un
regista che non lascia mai trapelare notizie sui suoi lavori, tanto
cinematografici quanto televisivi. Da segnalare la presenza del duo
Sean Penn e Brad Pitt, nei panni rispettivamente di Jack O’Brien da
adulto e il signor O’Brien, padre di Jack.
Il ragazzo con la
bicicletta: Cyril ha dodici anni, una bicicletta e un
padre insensibile che non lo vuole più. ‘Parcheggiato’ in un centro
di accoglienza per l’infanzia e affidato alle cure dei suoi
assistenti, Cyril non ci sta e ostinato ingaggia una battaglia
personale contro il mondo e contro quel genitore immaturo che ha
provato ‘a darlo via’ insieme alla sua bicicletta. Durante
l’ennesima fuga incontra e ‘sceglie’ per sé Samantha, una
parrucchiera dolce e sensibile che accetta di occuparsi di lui nel
fine settimana. La convivenza non sarà facile, Cyril fa a botte con
i coetanei, si fa reclutare da un bullo del quartiere, finisce nei
guai con la legge e ferisce nel cuore e al braccio Samantha. Ma in
sella alla bicicletta e a colpi di pedali Cyril non rinuncera’ a
cercare di (ri)trovare la strada di casa.
Questo film mescola sapientemente
alcuni ingredienti di film precedenti dei Dardienne: l’adolescente
di La promesse, la Rosetta del film omonimo, il padre falegname de
Il figlio e ancora il giovane disorientato de L’Enfant. La pietanza
finale sa’ forse di qualcosa già assaggiata e spesso proposta al
banchetto cui siede lo spettatore, ma il modo in cui viene servita
dai registi belgi la rende comunque particolare e da gustare
comunque.
Uscite venerdì 20 maggio.
The beaver: Walter Black, presidente di un’azienda di
giocattoli sull’orlo del fallimento, soffre di una grave forma di
depressione. Quando la moglie lo caccia di casa, tra i rifiuti
trova una marionetta per ventriloqui a forma di castoro (beaver) e
inizia ad animarla. Attraverso l’utilizzo di “the beaver”, Walter
diventa simpaticissimo, un vero vulcano di energia e di idee.
Riesce a riconciliarsi con la moglie e il figlio piccolo e a
riportare l’azienda al successo. Ma presto, come sovente accade
quando ci si immedesima troppo in un oggetto, The beaver diventa
troppo ingombrante e, infine, perfino pericoloso.
Quinto film per Jodie Foster,
regista che ha già ampiamente dimostrato la propria bravura nel
trattare i drammi umani in una prospettiva diversa. Gli attori
protagonisti, ovvero la stessa regista e Mel Gibson nei panni di
Black, non si scoprono certo con questo lungometraggio; facilitati
rispettivamente da ruoli sovente interpretati nella loro
carriera.
Il dilemma: Il
nuovo film di Ron Howard, ambientato a Chicago e dintorni, racconta
la storia di un uomo (Vince Vaughn) che una sera, in un ristorante,
vede la moglie del suo migliore amico (Kevin James) in
atteggiamenti intimi con un altro (Channing Tatum) e da quel
momento è ossessionato da un unico pensiero: informare l’amico
della scoperta con tutto quello che ne consegue o fare finta di non
aver visto niente. D’altronde si sa, occhio non vede cuore non
duole e questo vuole essere il senso del nuovo titolo (“quello che
non si conosce non può fare male”).
A interpretare la moglie fedifraga
di Isaac Backman è Winona Ryder che ha avuto la parte battendo le
colleghe Kate Beckinsale, Carla Gugino e Uma Thurman e si è
infilata negli abiti di Geneva Backman dopo essersi spogliata di
quelli di Beth, uno dei personaggi del thriller paranormale di
Darren Aronofsky, Black Swan. Di tutt’altro genere è però questo
film di Howard che sfrutta la presenza di due grandi provocatori
della risata – Kevin James e Vince Vaughn – per offrire leggerezza
e divertimento. A scrivere la sceneggiatura è stato Allan Loeb, lo
stesso che ha scritto Noi due sconosciuti, 21 e Wall Street: il
denaro non dorme mai. Se non altro ciò ha scongiurato che si
trattasse di una delle tante commedie americane banali e da
consumare in fretta senza alcun retrogusto che rimane in bocca.
I fratelli
Dardenne sono di casa a Cannes, dove, a dire la
verità, sono anche parecchio coccolati, e anche quest’anno hanno
scelto il Festival francese per presentare in Concorso il loro
ultimo film Il Ragazzo con la Bicicletta.
In Il ragazzo con la
bicicletta Cyril è un bambino rifiutato dal padre che
trova insperato (e all’inizio non capito) amore presso una donna,
Samantha, che lo accoglie in casa. Come spesso succede, il cinema
dei Dardenne non si basa su sofisticate trame, ma sulle immagini e
sulle emozioni che restituiscono, attraverso uno stile che richiama
il documentario con piani ravvicinati e una macchina molto mobile.
Ne Il Ragazzo con la Bicicletta i due registi fanno esattamente
quello che è tipico di loro: riescono a raccontare una storia
drammatica, struggente, in maniera molto delicata, mostrando per
quello che è la realtà le persone, i volti, su tutti quello del
giovane protagonista per la prima volta sul grande schermo,
Thomas Doret, che interpreta il piccolo Cyril
impersonandone perfettamente turbe e dolori inespressi.
Il ragazzo con la bicicletta, il
film
La sceneggiatura a tratti però
risulta forzata, interrompendo la fluidità del racconto e rivela
qualche crepa nella narrazione. Sicuramente le loro scelte
artistiche sono ragionate, ma i Dardenne dovrebbero aiutare di più
lo spettatore mostrando le ragioni dei personaggi, aiutandolo così
anche a seguire con più interesse la vicenda. Come accennato il
film resta fedelissimo all’impronta autoriale dei due, soprattutto
per quello che riguarda la dinamica padre/figlio, qui esplicata sul
doppio rapporto che intercorre tra Cyril e i due adulti che gli
ruotano intorno.
Molto vividi i colori che la bella
fotografia di Alain Marcoen ci regala,
permettendoci di seguire con piacere le lunghe corse di questo
ragazzino sempre in sella alla sua bicicletta, sempre di corsa
attraverso il piccolo mondo che ha intorno e sempre alla ricerca di
quell’amore dal quale scappa, ma che gratuitamente gli verrà
offerto. Interessante anche l’uso della musica, rarefatto ma
invasivo e fortemente evocativo in punti nevralgici del racconto, a
sottolineare l’emozione improvvisa, come una scarica elettrica che
colpendo nell’animo il protagonista, colpisce nei sensi anche lo
spettatore.
Marta torna nella natia Reggio
Calabria, dopo aver vissuto dieci anni in Svizzera. Ad accoglierla
il vento e il cemento, insieme ad una comunità bigotta e triste,
che trascina i suoi giorni sopravvivendo passivamente alla
quotidianità. Nella sua opera prima, Alice
Rohrwacher (sorella di
Alba Rohrwacher) mostra con lucidità e sensibilità la
crescita, l’educazione, la curiosità di un essere elegante e
selvaggio, la piccola e bravissima protagonista Yile
Vianello, che nel ruolo di Marta mostra maturità ed una
grande capacità attoriale.
Significativo per l’economia del
racconto il personaggio di Santa (Pasqualina
Scuncia), a metà tra una perpetua e una catechista,
incarna il fanatismo bigotto di provincia che esaudisce nella
religione libresca lo scopo della sua intera esistenza, un
personaggio spaventoso ed innocuo che nelle pieghe della sua mente
atrofizzata, nasconde la crudeltà dell’ignoranza. Anche
Salvatore Cantalupo, che interpreta Don Mario il
prete ‘politico’, ha il giusto viso per dare ambiguità a questa
figura a metà tra luce ed ombra.
Al centro del racconto di
Corpo Celeste c’è proprio la figura della Chiesa
nella società contemporanea, e la regista con grande onestà si
chiede se il suo possa ancora essere un ruolo trainante, di
riferimento, come cerca di costruirlo disperatamente Santa. Quello
che però pervade la pellicola in maniera inesorabile è l’estraneità
su diversi livelli: quella di Marta dalla città di cemento che
abita, quella della Chiesa stessa dalle sue ‘pecore’, quella del
prete che cerca una posizione migliore, fino ad arrivare a quella
dello spettatore stesso che rimane interdetto dal linguaggio così
diretto eppure sofisticato che la Rohrwacher
utilizza. E quindi il vero Corpo Celeste, l’estraneo, diventa il
film stesso, sospeso com’è tra la realtà che mostra e
l’estraniazione che ne deriva.
Corpo Celeste
riesce a guardare lì dove la bruttezza della realtà incontra
un’anima tanto sensibile da riuscire a guardare con curiosità anche
il più asfittico e morto degli ambienti. La regista confeziona così
un prodotto coraggioso, forse a tratti noioso, ma sicuramente di
valore nel nostro panorama omogeneizzato.
Sono in corso a Londra le
riprese di le riprese di The Dark Knight Rises sono attualmente in
corso in quel di Londra. Stanno girando le scene al Farmiloe
Building di St. John’s Street, ovvero il dipartimento di polizia di
Gotham City. Ecco alcune foto.
Ogni tanto arriva un film che
cambia per sempre il corso del cinema. E’ successo con
Quarto Potere, con Psycho, con 2001: Odissea nello Spazio. Succede
con i grandi geni del cinema, i Maestri, quelli che non seguono il
linguaggio cinematografico comunemente conosciuto, ma che lo
inventano.
The Tree of
Life, quinto film di
Terrence Malick in quasi 40 anni di carriera, ha
forse questa potenzialità. Ovviamente solo il sedimentarsi del
tempo potrà dirci quanto e come questo film sia (stato) epocale,
resta il fatto, all’indomani della visione, che il cinema di Malick
entra dentro. Stilisticamente e registicamente perfetto,
The Tree of Life è un susseguirsi di
impressioni visive, di macrocosmo universale e microcosmo umano che
si fondono nel medesimo, unico flusso narrativo.
The Tree of Life, il film
E’ la storia di Jack che cresce nel
Texas degli ani ’50, lacerato dall’amore per un padre severo e
irremovibile (Brad
Pitt) e per la madre (Jessica
Chastain) eterea creatura, amabile, di impalpabile
sostanza e di ineffabile bellezza. Jack da adulto (Sean
Penn) percorre con il ricordo la sua infanzia, perso
come si sente tra la modernità che lo circonda guarda al passato,
arrivando all’origine della vita. Una prima parte di cosmogonica
meraviglia ci conduce fino alla nascita di Jack, e alla sua
meraviglia di essere al mondo.
Malick racconta
attraverso un pretesto narrativo la Storia dell’uomo, il suo
conflitto tra Natura e Spirito, passando per una concezione del
divino che mai come in questa pellicola viene esplicitata nella
figura del Dio cristianamente inteso, senza però mai sostenere una
dichiarazione d’intenti, sottendendo la narrazione di quello
spiritualismo che in The New World era personificato dalla
principessa Pocahontas e che in questo caso passa parzialmente
attraverso la figura della madre.
Il Dio a cui tutti si rivolgono nel
film sembra un altro misero essere senza grazia e senza lode, che
non interferisce con le vicende umane, che permette la tragedia e
la sofferenza. Per un regista, un uomo così restio al mondo,
The Tree of Life mostra una perfetta conoscenza
della sue dinamiche cosmiche ed intime, e in questo film Terrence
lo mostra mettendosi molto più a nudo di quanto abbia fatto fino ad
ora, rasentando l’autobiografia che tanto si allontana dalla sua
palese agorafobia.
L’uso sapiente di
musica e luce rende The Tree of Life un
prezioso affresco di cinema malickiano, che nella sua idea totale e
personale di cinema si conferma uno dei registi più classici in
circolazione, riuscendo a poeticizzare fiumi e vulcani, lasciando
la Natura libera dalle briglie della Cultura, la sintassi filmica
indipendente dalle esigenze narrative, le voci divincolate dai
corpi ai quali appartengono regalando con un atto d’amore la
bellezza infinita del mondo al suo pubblico.
Ogni volta che
Malick torna al cinema si verifica un rito (i più
cinici direbbero un miracolo) che genera da sé le sue regole senza
la necessità che qualcuno o qualcosa contribuiscano ad aumentarne
il fascino. Perché il silenzio che Terry osserva nella vita forse
da l’illusione di preservare qualcosa di prezioso che solo in
questo modo riesce ad apparire poi sullo schermo. E noi rispettiamo
questo silenzio, e aspettiamo, seguendo le sue regole non
scritte.
In Pirati dei Caraibi:
Oltre i Confini del Mare dopo aver combattuto contro
Barbossa con la sua ciurma fantasma, contro Davy
Jones e infine dopo essere arrivato ai confini del mondo, Jack
Sparrow (Johnny
Depp) sbarca presso la Fonte dell’eterna giovinezza,
mettendoci ben 130 minuti, quelli interminabili del quarto episodio
della saga piratesca che lo vede protagonista.
Si, perché se c’è una costante in
Pirati dei Caraibi è che sai quando comincia il
film, ma non sai quando finisce. Come era già successo alle due
precedenti pellicole (si salva solo La Maledizione della
Prima Luna), i personaggi diventano macchiette, la
sceneggiatura degenera e i grandi attori che compongono il cast
toccano i punti più bassi della loro carriera.
Si fa riferimento qui soprattutto a
Penelope Cruz, che qui riesce a fare addirittura
peggio che in Bandidas, del 2006. La caliente
spagnola interpreta Angelica, figlia del temibile Barbanera e amata
(?) dell’irriverente Sparrow, che questa volta farà di tutto per
aiutarla a raggiungere l’agognata fonte. Ian
McShane è Barbanera, visivamente affascinante, che con i
pirati ha avuto già a che fare in Shreck Terzo,
sua infatti la voce di Capitan Uncino. Il buon vecchio Sparrow, un
Depp sempre più eccessivo, si conferma per il fannullone e
imbroglione che è sempre stato, solo che in questo quarto capitolo
non c’è il suo contraltare onesto e valoroso, rappresentato prima
di Orlando Bloom.
Pirati dei Caraibi:
Oltre i Confini del Mare
A sostituire la bella coppia di
innamorati formata da Keira Knightly e
Orlando Bloom, abbiamo qui un improbabile prete e
una misteriosa sirena, che seguiranno la ciurma di Barbanera nel
suo avventuroso viaggio.
Meno male che c’è Hans
Zimmer, che con le sue potenti note contraddistingue anche
questo film permettendoci di poterlo gustare, forse di più, ad
occhi chiusi. E se è vero che tutto ciò che può andare peggio lo
farà, ecco che si mette in mezzo il 3D, anche in questo caso
superfluo.
Ma dopotutto finché la mucca fa
latte, si continua a mungerla, poco importa che sapore abbia.
Fast & Furious
5 si conferma al primo posto raccogliendo altri 2
milioni di euro: l’action movie con Vin Diesel mantiene un’ottima
tenuta al suo secondo fine settimana, giungendo a quota 8,5 milioni
in dodici giorni.
Red
debutta al secondo posto, incassando 1 milione di euro da venerdì a
domenica (1,3 milioni nei cinque giorni), seguito da
Thor, che con altri 727.000 euro arriva a
6,8 milioni complessivi e mostra di reggere piuttosto bene.
L’altra new entry ‘di peso’ (!),
ovvero Beastly, esordisce al quarto posto
portando a casa 616.000 euro nei tre giorni (756.000 euro da
mercoledì a domenica); il film potrebbe tuttavia risentire del
passaparola, che non è particolarmente positivo…
Quinto posto per
Rio, che risale di una posizione con
286.000 euro: il cartoon in 3D arriva dunque a 6,4 milioni
totali.
Come l’acqua per gli
elefanti precipita al sesto posto: dopo un esordio
deludente, gli spettatori diminuiscono ancora e la pellicola
raccoglie altri 277.000 euro, giungendo così a un totale pari a
858.000 euro.
Dopo l’ottima accoglienza al
Festival di Cannes, Habemus Papam
conferma la settima posizione con altri 277.000 euro: il film di
Nanni Moretti, che potrebbe aspirare a qualche premio, arriva
dunque a 5,2 milioni complessivi, ma difficilmente supererà i 6
milioni (quota abbattutta da Il caimano).
Source
Code scende all’ottavo posto con altri 212.000 euro e
giunge a quota 1,7 milioni, mentre
Machete perde ben cinque posizioni e
conferma il pessimo esordio: il film di Robert Rodriguez arriva a
soli 792.000 euro con altri 211.000 euro.
Chiude la top10 Con gli
occhi dell’assassino, che debutta con appena 188.000
euro (200.000 euro nei cinque giorni).
Come titola BoxofficeMojo.com,
Thor mantiene il trono della prima posizione del
Box Office statunitense. Con questa settimana, infatti, raggiunge
un incasso di 119 milioni di dollari, di cui 34.5 realizzati in
questi ultimi sette giorni.
A seguire il film di Branagh tratto
dal fumetto Marvel, con un considerevole
distacco in termini di milioni di dollari, è la wedding comedy,
genere di gran grido di questi tempi nelle sale americane,
Bridesmaid. Tra le protagoniste, una delle stelle
del Saturday Night Live, Kristen Wiig. Il film era molto atteso e
infatti ha avuto immediatamente un riscontro di incasso: 24 milioni
di dollari netti in una sola settimana per le damigelle.
In terza posizione, un film
esattamente agli antipodi della commedia da matrimonio:
Fast Five, ultimo capitolo della saga con
protagonista Dominic Toretto, che in questo episodio rimette
insieme buona parte del cast delle puntate precedenti, resiste con
un incasso settimanale di 19 milioni di dollari.
Un’altra nuova uscita in quarta
posizione: Priest, nel quale questa volta Paul
Bettany non interpreta un prete in preda all’autofustigazione e
alla pianificazione di loschi piani come avveniva nel Il
codice Da Vinci, ma, in un parallelo un po’strano da
capire, combatte i vampiri.
A metá classifica resiste il film
di animazione Rio, ultimo prodotto di Carlos
Saldanha, regista de L’era glaciale, che aggiunge
altri 8 milioni di dollari al suo incasso complessivo che raggiunge
cosí quota 125 milioni.
Una doppietta di film da matrimonio
in sesta e settima posizione: Jumping the broom,
commedia sofisticata e degli equivoci e Something
borrowed che nonostante il cast di attori di richiamo, non
arriva neanche a metá classifica dopo due settimane nelle sale.
Anche il mélo Water for
elephants galleggia nelle zone basse del box office, lo
ritroviamo, con un totale di 48 milioni di dollari di incasso dopo
quasi 4 settimane di presenza nelle sale, in ottava posizione.
In nona resiste la commedia
Madea’s big happy family e dopo piú di un mese
nelle sale è ancora nella classifica dei dieci film piú visti
Soul surfer storia di coraggio e di riscatto che
doppia il budget di produzione, arrivando a un incasso di 36
milioni di dollari a fronte dei 18 che sono serviti a realizzare la
pellicola.
La prossima settimana, l’unica
uscita sottolineata da imdb.com è quella dell’ultimo capitolo della
saga dei pirati: Pirates of the Caribbean: On stranger
tides. Inutile competere con questo sicuro blockbuster
presentato come proiezione speciale a Cannes in questi giorni, cosí
come è stato presentato e accolto con calore sulla Croisette,
l’ultima fatica di Woody Allen, in apparente ricerca di una nuova
cittá-musa.
Questa volta infatti, dopo Londra e
Barcellona, il film è ambientato a Parigi, e si muove su un
gioco di rimandi con il passato. Non resta che aspettare che anche
Midnight in Paris esca anche da noi.
Proiezione mattutina per la stampa
festivaliera, che ha potuto ammirare per prima l’atteso The Tree of
Life, presentato da Brad Pitt e Jessica Chastain.
Giuseppe Tornatore sembra ormai
aver preso abitudine ad avere grosse. Direttamente da Cannes arriva
la notizia che è riuscito ad ottenere un budget di 100 milioni
di dollari,
Neil Jordan dopo Ondine, si appresta
ad iniziare il suo prossimo film che è già in fase di casting.
Giunge notizia infatti che Saoirse Ronan e Gemma Arterton
saranno le protagoniste
Un ragazzo senza amore, allontanato
dal padre che non lo vuole, e accolto, senza un apparente motivo da
una donna che gratuitamente gli dona amore disinteressato.
Che cosa fareste se scopriste che
la moglie del vostro migliore amico se la fa con un altro? Come vi
comportereste? Lo direste alla vittima o chiedereste alla fedifraga
di smettere di vedere il suo amante?