Festen (Dogme
#1-Festen, Dan., Sve., 1998) è il primo film girato secondo i
dettami del manifesto del movimento Dogma 95. I
primi ad aderire al movimento, oltre al regista del film in
questione
Thomas Vinterberg e all’altro firmatario del
manifesto (detto “voto di castità”)
Lars Von Trier, furono Kristian
Levring e Soren Kragh-Jacobsen.
Come è noto, il manifesto si
proponeva di contrastare una certa tendenza del cinema che siamo
soliti definire mainstream, rinunciando agli effetti speciali, agli
investimenti ad alto budget, alle luci, a musiche non diegetiche,
etc… , reagendo così anche all’impiego delle tecnologie digitali in
uso nei film hollywoodiani e indicando una proposta alternativa di
uso delle nuove tecnologie.
Eppure non si può non essere
iconoclasti. Specialmente se si è della razza che farebbe cinema
anche con gli specchietti retrovisori, o anche senza specchietti,
semplicemente viaggiando in moto o attraversando la città. (Enrico
Ghezzi)
Analizzando qui una sequenza del
film, mi propongo di rintracciarne le affinità di tipo tecnico e
linguistico con tutta una serie di altri canali mediatici
storicamente e linguisticamente diversi da quello cinematografico
in senso tradizionale. Da qualche tempo a questa parte si assiste
infatti a quella che alcuni critici e teorici dei media hanno
definito nei modi più diversi “contaminazione”, “ibridazione”,
“intersezione”, “rimediazione”, etc… tra i linguaggi dei media così
come storicamente li conosciamo e il nuovo volto che essi stanno
assumendo nell’era del digitale.
Come nota giustamente Sanfilippo
nel suo saggio La mimesi come produzione, i primi “film dogma”
Festen e Idioti (Dogme #2-Idioterne, Dan., Sve.,
Fra., Ola., Ita., 1998) sono spie di un nuovo corso della
produzione cinematografica che “cerca di attestare il suo potere
mimetico non attraverso l’ideologia dell’illusione referenziale ma
imitando alcune pratiche diacritiche del video amatoriale”.
In tal senso, l’operazione svolta
da Vinterberg con Festen si configurerebbe dunque come la ricerca
di una strategia narrativa, espressiva mimetica diversa da quella
dell’illusione referenziale del cinema classico e dell’attuale
cinema mainstream, che sembra trovare il proprio corrispettivo
linguistico appunto nelle varie pratiche attuali di video
amatoriale.A questo proposito è necessario innanzitutto guardare al
modo in cui i registi firmatari del manifesto si accostano al nuovo
mezzo digitale, e dunque la telecamera da essi scelta.
Vintenberg usa delle telecamere da
consumer più che da prosumer (e in tal senso la sua scelta
apparirebbe, almeno sotto questo aspetto, più radicale di quella di
Von Trier, che invece usa per il suo Idioti una telecamera
analogica tradizionale da cui elimina però le lenti anamorfiche).
Ne consegue un diverso modo di girare, di inquadrare, di narrare.
Lo stesso Von Trier propone come nuovo termine atto a definire le
operazioni da lui svolte in quanto operatore: “puntare”, più che un
“inquadrare”.
L’operazione svolta da Vinterberg con Festen
Viene messa da parte la
regolarità del découpage tradizionale, e il modo di girare sembra
farsi più sensibile alle tentazioni del caso. Mi sembra che ritorni
a questo proposito un’affermazione di Godard, che vale la pena
citare per intero: “Ci sono grosso modo due generi di cineasti.
Quelli che camminano per la strada con la testa bassa e quelli che
camminano con la testa alta. I primi per vedere quel che avviene
attorno a loro sono costretti ad alzare spesso e d’improvviso la
testa e girarla ora a sinistra ora a destra e cogliere con una
serie di sguardi ciò che si presenta ai loro occhi. Essi vedono. I
secondi non vedono nulla, guardano, fissando la loro attenzione sul
punto preciso che li interessa. Al momento di girare un film le
inquadrature dei primi saranno ariose, fluide (Rossellini), quelle
dei secondi precise al millimetro (Hitchcock). Nei primi si troverà
un découpage senza dubbio disparato ma sensibilissimo alla
tentazione del caso (Welles), e nei secondi dei movimenti di
macchina non solo di straordinaria precisione in teatro di posa ma
con un valore astratto di movimento nello spazio (Lang).”
Ciò è simile a quanto possono
trovarsi a fare coloro i quali usano la videocamera compatta o
qualsiasi strumento da consumer o videoamatore (oggi anche i più
avanzati modelli di telefoni cellulari). Un videoamatore
probabilmente non si dà tanto pensiero di ottenere un’inquadratura
corretta o un corretto découpage secondo le regole della grammatica
cinematografica. La sua attenzione è invece di volta in volta
attirata da questo o da quell’elemento, da questa o quella
situazione, in maniera più o meno casuale e imprevedibile.
Credo che in effetti Vinterberg
somigli ai cineasti che camminano a testa bassa. Non sembra
curarsi, proprio come un cineamatore della precisione delle
inquadrature offrendo un decoupage disparato ma sensibilissimo alla
tentazione del caso. Vengo ora all’analisi di una sequenza del film
che mi sembra particolarmente rappresentativa di quanto appena
enunciato.
È la sequenza in cui Kristian, dopo
essere stato scacciato dal fratello Mikhael, rientra nella sala
dove si sta festeggiando il sessantesimo compleanno di suo padre,
tra parenti e amici, dinanzi ai quali ha accusato il genitore di
aver abusato sessualmente di lui e della sorella (ora morta
suicida) da bambini, e ora accusa violentemente la madre di essere
rimasta indifferente di fronte alle atrocità compiute dal marito
sui figli.
Kristian rientra nell’Hotel dove si
tiene il festeggiamento, e si dirige con decisione verso la sala da
pranzo. Un montaggio parallelo ci mostra il percorso di Kristian e
ciò che avviene nella sala del festeggiamento, dove sua nonna sta
cantando una canzone di fronte ai commensali. Il momento in cui
Kristian rientra nell’Hotel è ripreso con una macchina a mano
particolarmente vivace: la macchina inquadra dall’alto il pomello
della porta ruotato da Kristian. Quando questi entra, la mdp lo
riprende dapprima frontalmente, poi lo segue lasciandocene
intravedere la quinta. Nel momento in cui la porta viene aperta c’è
un sensibile aumento di illuminazione, così forte (e brutalmente
inelegante, sporco) da non lasciarci percepire in maniera netta i
contorni dell’ambiente. Stacco. Si torna alla sala da pranzo, dove
la nonna di Kristian, inquadrata in MF in piedi di spalle sta
cantando davanti ai commensali. A uno stacco segue un primo piano
della donna ripresa di profilo. Dopo un altro stacco vediamo
Kristian, inquadrato prima –wellesianamente- dal basso e poi di
spalle a MF percorrere i corridoi dell’albergo e aprire le porte
che conducono alla sala dove si tiene il ricevimento.
Segue un’altra inquadratura in PP
del profilo della nonna di Kristian, poi un’altra inquadratura di
Kristian di spalle mentre apre una seconda porta, ripresa con una
lente a focale corta che distorce le linee dell’inquadratura,
quindi di nuovo un’inquadratura di Kristian ripreso dal basso, e un
PP della nonna nella sala da pranzo pressoché identico al
precedente. A questo punto la mdp propone un ulteriore primo piano
della nonna ma da una diversa angolazione, inquadrando il volto
della donna frontalmente. Dopo un breve zoom all’indietro, la mdp,
seguendo, quasi, il rumore della porta della sala da pranzo mentre
viene aperta, panoramica brutalmente a schiaffo verso sinistra, per
farci scoprire la sorgente del rumore: è Kristian, che appena
rientrato, si dirige nuovamente verso il suo posto a tavola e
facendo tentennare il bicchiere per richiamare l’attenzione degli
ospiti, si accinge a riprendere il suo j’accuse nei confronti della
madre. Uno stacco in jump-cut (che viola per altro la regola dei
30°) ci mostra Kristian in MF mentre riprende la parola, ma a
questo punto una nuova panoramica a schiaffo verso destra scopre il
fratello di lui Mikhael che prontamente si accinge a scacciare
nuovamente Kristian dalla sala, aiutato da altri due invitati.
Stacco sul nero dell’abito di uno degli invitati.
La macchina riprende ora
lateralmente Kristian che si dimena mentre viene portato con forza
verso l’uscita della sala. Segue un PP che include Kristian e
Mikhael, poi un PPP del padre dei due mentre chiede che il figlio
sia allontanato. Dopo un altro stacco ecco un CM della tavolata,
che include sul fondo il gruppo di invitati che trascinano a viva
forza Kristian fuori dalla porta. Stacco. Altro primo piano di
Kristian fuori dalla porta. Stacco. Un invitato, ripreso dal basso,
che si oppone a Kristian e chiude la porta della sala. La mdp
inquadra per qualche istante la porta chiusa. Panoramica a schiaffo
verso destra. Stacco. Segue un primo piano del padre di Kristian,
che esprime la sua costernazione per l’episodio e invita la madre
perché riprenda a cantare.
Anche da questa descrizione si può
evincere come il modo di girare di Vinterberg costituisca qualcosa
di profondamente diverso rispetto alla cinematografia mainstream, e
come egli si accosti invece a certe soluzioni del video amatoriale,
con il loro carico di disattenzioni, sporcature e quanto la
grammatica cinematografica considera “errori”. Ne sono
testimonianza, ad esempio, i succitati movimenti di panoramica a
schiaffo, sporchi, ineleganti, così come alcuni stacchi di
montaggio (la jump cut su Kristian che riprende posto a tavola, e
lo stacco conclusivo sul volto del padre), nonché le sensibilissime
variazioni nei toni della luce: una per tutte, le sovraesposizioni
che si verificano quando i personaggi aprono delle porte.
Tutto ciò arriva a configurare,
come sostiene Sanfilippo nel saggio più sopra citato, come una
strategia mimetica alternativa e un regime di enunciazione altro
rispetto a quello convenzionalmente stabilitosi nella narrazione
cinematografica. Sanfilippo parla infatti di “sguardo soggetto”,
indicando con ciò la figura produttrice dell’enunciazione che
imprime una forte soggettività alla visione (a differenza di un
enunciatore “oggettivo”, ma che non è ancorabile a una coscienza
soggettiva vera e propria, che fa anche trasparire l’attività del
processo di produzione del racconto. Con le dovute cautele, credo
che tale discorso sia paragonabile a quello fatto a suo tempo da
Pasolini a proposito della soggettiva libera indiretta.
Si tratta sostanzialmente della
presa di possesso da parte di un narratore-autore (letterario,
cinematografico, etc.) del discorso di un personaggio della sua
opera, facendo sì che questo influenzi linguisticamente la stessa
modalità di esposizione del narratore. Pasolini sosteneva che
cinematograficamente si può giungere ciò quando lo stile del
film è influenzato dallo stato d’animo dominante di uno dei
personaggi e che ciò consenta al regista una certa libertà
linguistica e tecnica provocatoria, anche a prezzo di rompere il
tabù del cinema classico che vuole che non si avverta la presenza
della macchina da presa.
La macchina di Vinterberg, invece,
“si sente”, e in maniera forte, quasi avesse fatto propria la
soggettività ribelle di Kristian, e si sente fino a far coincidere
il poverismo ascetico-asettico del Dogma con una forte matrice
metalinguistica e materica. Nel film di Vinterberg infatti le
inquadrature sono sporche, sgranate o sovraesposte, e si vedono,
per un attimo, operatori in campo. I contorni delle inquadrature si
sfaldano per effetto delle sfocature e delle sovraesposizioni fino
a non poter più discernere in maniera netta campo e fuori campo.
Come per Kristian tutto deve essere rivelato sfidando il padre,
così per Vinterberg (e il suo operatore Dod Mantle) tutto diventa
inquadrabile, da tutto la telecamera può essere attirata, proprio
come l’occhio del cineamatore più sprovveduto ma sensibilissimo
alle tentazioni di una realtà in fieri.
Benedetto Alessandro Sanfilippo, La
mimesi come produzione, in Passages. Drammaturgie di confine, a
cura di Antonella Ottai, Bulzoni Editore, Roma. In realtà non si
può parlare di macchina da presa in senso stretto, essendo il film
girato con una telecamera digitale. Per ragioni di comodità qui
viene comunque usata la sigla “mdp”. Pier Paolo Pasolini, Empirismo
eretico, Garzanti, Milano.