Era il 2012 quando il famoso press-
agent Enrico Lucherini, pilastro del cinema
italiano che fin dal 1959 ha creato miti, sogni, divi, scandali e
celebrità, ha annunciato- proprio in occasione della mostra
dedicata alla sua carriera- di voler lasciare il mondo della
cinematografia italiana, ormai mutato in modo irreversibile e
commerciale, per ritirarsi “a vita privata”.
Da questo presupposto ha inizio il
documentario Ne ho fatte di tutti i
colori, diretto da Marco Spagnoli
grazie al sostegno della Allianz Bank e che ha
debuttato alla scorsa edizione del Festival del Film di Roma. Un
documentario che ripercorre, attraverso il contributo di amici,
divi, personalità pubbliche del dorato mondo dello showbiz
la carriera di un vero e proprio “architetto dei sogni”, un uomo
che ha trasformato la sua passione atavica per la settima arte in
un mestiere ma soprattutto nella sua vita, mescolando il piano
pubblico con quello privato e ritrovandosi, continuamente, alla
ribalta, illuminato dai riflettori, sempre sulla cresta dell’onda.
Lucherini è sicuramente più iconografico e pop (in linea
col la teoria artistica di Wharol) dei suoi stessi divi, un uomo
che ha attraversato- come un viaggiatore dello spazio/ tempo- le
mode, i costumi e le epoche adattandosi ogni volta ai cambiamenti,
riuscendo ad usarli- e a modificarli- a suo piacimento.
Il documentario parte dagli
albori, dall’agenda dei suoi sedici anni con le prima locandine non
a caso colorate e incollate come un collage definito da Lucherini
stesso “simile ad un quadro di Andy Wharol”; il suo debutto davanti
alla macchina da presa, grazie ad artisti come Franca
Valeri e Totò, fino all’incontro con
Sophia Loren, tornata in Italia dopo il successo
hollywoodiano, che ha contribuito a lanciare la sua carriera come
press- agent, fondamentale trait d’union tra i divi e la
stampa, spingendolo a diventare in poco tempo il sovrano assoluto e
incontrastato del suo regno.
Prima ancora di essere un semplice
intermediario, Lucherini è però un creatore, un inventore geniale
di immagini, icone e sogni, capace di riuscire a cogliere, grazie
al suo fiuto e allo sguardo lungimirante, un vantaggio promozionale
in grado di trasformare una situazione, un divo o un film in un
vero e proprio cult.
Fu Lucherini stesso, ad esempio, a
volere a tutti i costi un ghepardo sulla spiaggia di Cannes quando
Luchino Visconti presentò Il
Gattopardo al Festival; e fu sempre lo stesso
Lucherini a respirare l’aria della dolce vita di Via Veneto, quando
era popolata da intellettuali, divi, paparazzi, sceneggiatori
registi e si “utilizzavano i tavolini dei bar come scrivanie”
(Lucherini docet), vivendo fino in fondo quel periodo dorato
immortalato poi da Fellini nel suo capolavoro immortale.
Spagnoli struttura il documentario
come un collage pop, sarcastico, ironico e patinato come il suo
protagonista: raccoglie contributi, affianca il presente al
passato, e lascia che siano le immagini e gli aneddoti di chi lo
conosce bene a raccontare le mille sfaccettature del re dei press-
agent Enrico Lucherini, un uomo che in
sessant’anni di cinema… ne ha fatte- e viste- davvero di tutti i
colori.