“L’ insicurezza è l’unica cosa
di cui non sono insicuro”, ha dichiarato in un’intervista.
Eppure, nel suo variegato percorso artistico fino ad oggi ci sono
teatro, cinema, musica, ambiti in cui è riuscito a conquistarsi il
favore del pubblico con l’attitudine, rara, di chi non sgomita per
primeggiare ma è a suo agio come “spalla” o nelle retrovie. Ma ha
potuto contare anche su una comicità intelligente, un’ironia e un
sarcasmo taglienti, che spesso vanno a braccetto col sud dal quale
proviene, col suo tipicissimo accento lucano. Si definisce:
“un meridionale convinto, che però ama il nord”, ma al suo
meridione non può fare a meno di rimproverare “l’assenza di
meritocrazia” che, dice, “certo non è solo meridionale, ma
si avverte soprattutto da noi”.
Al cinema il grande pubblico lo ha
conosciuto grazie a I Laureati e il lungo sodalizio
con Leonardo Pieraccioni ha poi contribuito molto
a consolidare la sua fama. Ha lavorato con Virzì in Ferie
d’Agosto e con Veronesi in vari progetti dal ’96 al
2004, tra cui Viola bacia tutti, al fianco di
Asia Argento. Oltre alla commedia, ha frequentato
anche territori drammatici, facendosi dirigere da Francesca
Archibugi (Con gli occhi chiusi) e
Michele Placido (Del perduto amore).
Tornato però al genere che gli ha dato il successo, negli ultimi
anni ha contribuito alla fortuna di due commedie amatissime dal
pubblico, due casi cinematografici: Che bella
giornata, accanto a Checco Zalone, e
Nessuno mi può giudicare di Massimiliano
Bruno. Ma la sua più grande vittoria recente è stata
l’opera prima dietro la macchina da presa: lo stravagante, leggero
e poetico Basilicata coast to coast gli è valso
svariati premi come miglior regista esordiente. È così che oggi
giunge a quella che nel mondo dello spettacolo, si sa, è da sempre
la prova più difficile: il secondo lavoro. Dal 17 ottobre è infatti
nelle sale Una piccola impresa meridionale, in cui
torna a raccontare il sud con una metafora di viaggio e di
riscatto.
Antonio Rocco
Papaleo nasce in Basilicata, a Lauria, nel 1958. Da
adolescente si appassiona alla musica e inizia a suonare la
chitarra. La musica sarà un elemento importante della sua arte, che
coniugherà sempre col teatro e col cinema. Dopo il diploma,
intraprende gli studi universitari a Roma, dove vive tutt’ora.
Prima ingegneria, poi matematica. Di quel periodo ricorda: “Sono
cresciuto con l’idea che esprimersi era un di più e che il lavoro
dovesse essere un altro. Non ho mai pensato o sperato che passione
e lavoro potessero sovrapporsi. Pensavo di diventare un professore
di matematica e avere un ampio margine per dedicarmi a quelli che
potevano essere hobby e passioni”. Della formazione
universitaria dice di aver conservato la mentalità: un certo
schematismo e perfezionismo. Ma la sua vera vocazione la scopre per
caso: un’amica lo iscrive a una scuola di recitazione e
frequentandola si ritrova innamorato del teatro e delle
potenzialità espressive della parola. Il debutto sul palcoscenico
risale all’’85. Ma già dalla fine degli anni Ottanta lavora anche
in televisione, dove lo si ricorda nei panni del caporale Rocco
Melloni nella serie tv Classe di Ferro, per la regia
di Bruno Corbucci. Partecipa anche al successivo
Quelli della speciale. Alla tv Papaleo torna con
varie apparizioni in diverse serie, fino ai primi anni 2000.
L’ultima esperienza televisiva importante è stata però di altro
tipo: la sfida della co-conduzione del Festival di San Remo accanto
a Gianni Morandi nel 2012. A lui il compito di alleggerire e
portare una ventata di comicità e allegria al Festival.
A teatro si è prestato con
poliedricità ad esperienze diverse: dal cabaret musicale degli
inizi alla recitazione accanto ad Alessandro Haber
in Un’aria di famiglia e a Silvio
Orlando in Eduardo al Kursaal, ricoprendo
egregiamente il ruolo di “spalla”. Negli anni ha messo a punto,
assieme a un gruppo di fidati musicisti, una forma personale di
teatro canzone che gli ha regalato ottimi successi di
pubblico. È da qui che sono arrivati gli spunti per i suoi
due lavori da regista, nati proprio come spettacoli teatrali. Ed è
proprio questa, dice, la sua dimensione ideale, quella in cui fa
quello che ha realmente sempre voluto: coniugare in un’unica forma
d’arte tutte le sue passioni. Nel ’97 ha esordito come musicista,
pubblicando l’album Che non si sappia in giro, mentre il
lavoro più recente è La mia parte imperfetta, del 2012.
Torniamo però al cinema. L’esordio
è con il maestro Mario Monicelli nel 1989 nel dramma Il male
oscuro, dove interpreta il vicino di casa del protagonista,
Giancarlo Giannini. Dopo un’apparizione in
Senza pelle di D’Alatri e in Con gli occhi
chiusi di Francesca Archibugi, il film che
lo fa conoscere al grande pubblico e gli permette di misurarsi con
un ruolo più corposo è senza dubbio I laureati (1995)
di Leonardo Pieraccioni, che lo stesso Papaleo
definisce “il mio talent scout”, anche se, aggiunge, “fu
Giovanni Veronesi (soggettista e sceneggiatore accanto a
Pieraccioni ndr) a suggerirmi a lui”. Il quartetto di
trentenni fuori corso che non sanno decidersi a prendere saldamente
in mano le redini della propria vita, formato appunto da
Pieraccioni (Leonardo), Papaleo (Rocco), Gianmarco
Tognazzi (Bruno) e Massimo Ceccherini
(Pino) regala momenti di genuina comicità e un quadro d’insieme
realisticamente tipico, caratterizzato da quella pigra
inconcludenza che tutti abbiamo conosciuto in qualche fase della
nostra vita. I successivi lavori di Pieraccioni perderanno
purtroppo la freschezza e la spontaneità dell’esordio, ma il
sodalizio con Papaleo e Ceccherini proseguirà.
L’attore lucano prende poi parte al
corale Ferie d’agosto di Paolo Virzì
e a Il barbiere di Rio di Veronesi, accanto a
Diego Abatantuono. È protagonista del
cortometraggio di Antonello De Leo Senza
parole, candidato all’Oscar nel ’97 e vincitore del David
di Donatello. Rinnova la collaborazione con Veronesi in Viola
bacia tutti (1998), dove interpreta Nicola, che assieme a
Valerio Mastandrea (Samuele) e Massimo
Ceccherini (Max) ha la vita sconvolta dall’ingresso
dell’affascinante ladra Asia Argento (Viola). Lo
stesso anno, è diretto da Michele Placido nel drammatico Il
perduto amore, rievocazione storico sociale della
Basilicata negli anni Cinquanta, che si snoda attorno al
personaggio della coraggiosa comunista Liliana (Giovanna
Mezzoggiorno, premiata col Nastro d’Argento), maestra di
scuola e vita per un gruppo di ragazzini disagiati in un ambiente
ostile e conformista. Papaleo interpreta efficacemente Cucchiaro,
esponente della DC locale, ricevendo una nomination ai Nastri
d’Argento come miglior attore non protagonista.
Il nuovo millennio si apre per
l’attore con la direzione di un cortometraggio,
Cecchigori-Cecchigori?, candidato al David di
Donatello. Dopo la collaborazione con Salemme (Volesse il
cielo) e Vanzina (Il pranzo della domenica),
torna a lavorare con Pieraccioni in Il paradiso
all’improvviso (2003). Ma il regista toscano lo vorrà in
tutti i suoi lavori successivi: Ti amo in tutte le lingue del
mondo (2005), Una moglie bellissima (2007),
Io & Merylin (2009) e Finalmente la
felicità (2011). Film che ottengono buoni risultati
al botteghino ma convincono meno la critica per l’eccessivo
affidamento fatto da Pieraccioni e dal suo collaboratore di sempre
a soggetti e sceneggiature Veronesi, sul solito plot che
vede il regista e attore protagonista folgorato improvvisamente
dall’amore per una bellissima donna (di solito straniera) che
irrompe nella sua vita sconvolgendola; per mancanza di originalità;
per il ricorso a cliché piuttosto triti. Per certi aspetti diverso
dal solito copione, quello di Io & Marylin, con una
incursione nel fantasy. In tutte queste pellicole, ai compagni di
sempre, Papaleo e Ceccherini, è affidato il compito di
controbilanciare con inserti squisitamente comici la vicenda
romantica: Papaleo in particolare, lo fa puntando su
un’espressività composita ed esilarante, sul disincanto e
l’indolenza dei suoi personaggi, su una schiettezza che non fa
sconti, e sul sempre efficace accento lucano, creando spesso
personaggi felicemente stralunati come quello di Arnolfo
nell’ultimo film citato. A proposito dell’uso del dialetto,
diventato un vero marchio di fabbrica della sua recitazione,
l’attore ha dichiarato: “Il dialetto è la mia lingua naturale,
lo utilizzo per una questione di verità, soprattutto nei personaggi
che interpreto”.
La fine del primo decennio degli
anni Duemila ha portato a Papaleo una manciata di ottimi successi.
Innanzitutto, un esordio da regista di lungometraggio pluripremiato
come Basilicata coast to coast. Il film è un viaggio
alla scoperta di una terra sconosciuta ai più – molto d’effetto, in
proposito, il monologo iniziale sulla mafia, di cui il regista
parla così: “L’invettiva iniziale è un po’ una provocazione:
dire che non abbiamo nemmeno la mafia, perciò non ci conosce
nessuno. Almeno con quella si sarebbe conosciuto qualcosa su di
noi. È un pezzo di vent’anni fa che facevo, con la canzone
Basilicata ai tempi dei primi spettacoli”. Il film
nasce infatti da uno spettacolo di teatro canzone che lo stesso
Papaleo ha portato prima in scena con successo, e poi adattato per
il cinema assieme a Valter Lupo. È anche un
viaggio alla scoperta di sé che ciascuno dei personaggi del
variegato e affiatato cast compie. Ci sono infatti, oltre allo
stesso Papaleo, Alessandro Gassman, Paolo
Briguglia, Giovanna Mezzoggiorno e un
inedito Max Gazzè: tutti autori di ottime
interpretazioni, in un mix tra comicità, disincanto, leggerezza e
poesia. Una stravagante brigata, che si imbarca in un’impresa alla
Easy rider – la traversata della Basilicata da costa
a costa appunto, per partecipare a un festival di teatro canzone e
alimentare così il sogno di una vita: la musica. Il tutto, adattato
alla mentalità e ai ritmi del nostro meridione, e dunque non in
motocicletta, bensì a piedi. Un inno alla lentezza, come afferma il
regista: “C’è l’idea di slow, di godere passo passo il suolo da
calpestare, cosa che viene da una mia attitudine da
camminatore”. Centrale è l’idea di non tradire sé stessi, di
non rinunciare ai propri sogni: “Volevo sostenere che bisogna
inseguire le proprie passioni, anche se non portano retribuzione.
Le passioni soddisfatte ti offrono una ricompensa esistenziale. Se
poi si è fortunati, queste coincidono con la fonte di
sostentamento. Nel film i protagonisti non diventano certo rock
star, ma danno un senso a sé stessi”. Come miglior regista
esordiente, Papaleo guadagna il David di Donatello, il Nastro
d’Argento e il Globo d’Oro, riscuotendo apprezzamento sia dalla
critica che dal pubblico. E la soddisfazione arriva anche per il
suo lavoro di musicista. Viene infatti premiato assieme a
Rita Marcotulli e Max Gazzè col
Ciack d’Oro per la migliore colonna sonora; riceve il David di
Donatello come miglior musicista, sempre assieme alla
Marcotulli.
Il 2010 è segnato da due scelte
azzeccate di Papaleo attore. Partecipa a due fortunate commedie. In
Che bella giornata di Gennaro
Nunziante, seconda prova di Checco Zalone
al cinema, l’attore di Lauria interpreta Nicola, padre di Checco
(Checco Zalone). Il film è il caso cinematografico
dell’anno, ottenendo il maggior incasso del cinema italiano di
tutti i tempi. In Nessuno mi può giudicare, esordio
alla regia cinematografica di Massimiliano Bruno –
che vale alla sua protagonista Paola Cortellesi il
David di Donatello per l’interpretazione di una ricca borghese che
si ritrova piena di debiti a fare la escort per necessità – Papaleo
dà vita a un’altra delle sue vivide caratterizzazioni nei panni di
Lionello Frustace, indolente abitante di un folkloristico
condominio del Quarticciolo, personaggio che pesca sì nello
stereotipo del meridionale ottuso, fieramente razzista e omofobo,
ma anche pronto a cambiare ipocritamente idea, se si presenta
l’occasione. Il tutto è reso però credibile dall’interpretazione di
Papaleo. A lui spetta anche parafrasare una celebre battuta del
Nanni Moretti di Ecce bombo
(Bianchi e neri siamo tutti uguali? Ma che siamo in un film di
Nanni Moretti? Te lo meriti Nanni Moretti!). Per
l’interpretazione ottiene una nomination al David di Donatello come
miglior attore non protagonista.
Dopo la partecipazione a E’
nata una star? di Lucio Pellegrini, tratto
da un racconto di Nick Hornby, accanto a
Luciana Littizzetto, Papaleo si dedica a un nuovo
spettacolo teatrale, scritto con Valter Lupo:
Una piccola impresa meridionale, che si muove
nell’ambito di quel teatro canzone caro all’artista lucano e che
diventa ispirazione per un nuovo film da lui diretto, attualmente
nelle sale, dal titolo omonimo. Nel cast, stavolta, accanto allo
stesso regista nel ruolo di un prete spretato, ci sono tra gli
altri Riccardo Scamarcio e Barbora
Bobulova. Di nuovo tutti al sud, alle prese con la
ristrutturazione di un vecchio faro e delle proprie esistenze
per quella che Papaleo definisce “una commedia sui pregiudizi e
sulle micro rivoluzioni”, ossia quelle personali, che
riguardano la propria vita, quelle che ciascuno di noi può fare.
Sempre, a suon di musica: la colonna sonora è opera di Papaleo con
Rita Marcotulli.