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Emma Stone, Andrew Garfield e Rhys Ifans presentano The Amazing Spider-man a Roma!

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Questo pomeriggio, al St. Regis Hotel di Roma, si è tenuta la conferenza stampa dell’attesissimo film The Amazing Spider-Man, che ha visto la partecipazione del regista Marc Webb, degli attori Andrew Garfield, Emma Stone e Rhys Ifan s e dei produttori Matt Tolmach ed Avi Arad. Di seguito vi riportiamo il transcript integrale della conferenza stampa.

Marc Webb, qual è stato il tuo approccio al personaggio di Spider-Man per realizzare il film?

Marc Webb: Io credo che Spider-Man sia un personaggio iconico e leggendario. Se consideriamo la sua storica tradizione nel mondo dei fumetti, la sua posizione è diversa rispetto a Harry Potter. Spider-Man ormai è in giro da cinquant’anni e offre tantissime storie da raccontare. La nostra è una storia diversa che ha attirato subito il mio interesse, per esempio spiega cosa è successo ai genitori di Peter Parker. Ho cercato di adottare un tono più naturalistico, ed è stato importante capire il personaggio in maniera realistica, partendo dalla perdita dei suoi genitori: questo mi ha consentito di esplorare temi nuovi e inediti.


Per The Amazing Spider-Man ti sei ispirato in particolare al fumetto Ultimate Spider-Man? Quali sono state le tue fonti?

Marc Webb: Credo che esista un aspetto iconico della figura di Spider-Man che deve essere rispettato, ma bisogna anche costruire dei nuovi aspetti della storia da offrire al pubblico. Ultimate Spider-Man ha costituito una grande ispirazione per diverse dinamiche: abbiamo parlato molto con Andrew Garfield del fumetto. Il film è stato complesso, volevamo realizzare un’opera indipendente. Per Gwen Stacy abbiamo preso diversi elementi della versione originale del personaggio. Insomma, il nostro film non è un adattamento filologico della serie Ultimate Spider-Man.

Avete avvertito la pressione di rispettare i vostri personaggi? Qual è il vostro rapporto con i fan?

Emma Stone: Ovviamente da parte nostra c’è una grandissima responsabilità nei confronti dei fan di Spider-Man, ed è qualcosa su cui ho riflettuto fin dall’inizio. Da bambina avevo letto i fumetti di Spider-Man ma non conoscevo Gwen Stacy, ho cominciato a scoprirla davvero grazie al film. The help mi ha permesso di imparare come svolgere il miglior lavoro possibile per dar vita ai miei personaggi. Non potevo soddisfare tutti i fan di Gwen, ma potevo solo fornire la mia personale versione del personaggio.

Andrew Garfield: Io credo che i fan di Spider-Man siano il pubblico più importante. Se riuscissimo a soddisfare innanzitutto loro avremmo già ottenuto un bel risultato, perché questo farebbe sì che il personaggio viva davvero. Ho sentito una fortissima pressione in questo costume, ma era una pressione fantastica. È stato positivo che fossi un fan di Spider-Man, perché provo una profonda empatia per i fan di Spider-Man.

Come avete sviluppato il tema del senso di responsabilità di Spider-Man?

Marc Webb: Mi piace l’idea del personaggio che si evolve lentamente, comprendendo pian piano i vari aspetti di se stesso. Ci sono varie parti della storia che permettono a Peter di imparare varie lezioni, e in alcuni casi si tratta di eventi importanti. Mi piace l’idea di lasciare al personaggio lo spazio per crescere nei prossimi film.

Rhys, come hai costruito il personaggio di Lizard? Sei d’accordo che misceli aspetti dei villain di Batman e di Shakespeare?

Rhys Ifans: Innanzitutto, Bat chi? Sia Mark che io volevamo presentare il dottor Connors non come un semplice scienziato pazzo: all’inizio infatti è una persona con un’etica, che vuole portare benefici all’umanità e conosceva molto bene la famiglia di Peter Parker. C’è una sorta di magia dietro la scrivania dello scienziato, come nel caso del dottor Jekyll e mister Hyde. Abbiamo voluto mostrare cosa accade dietro questa scrivania: abbiamo di fronte un uomo che guadagna il braccio ma perde la testa. C’è un topos shakespeariano in cui il villain si rivolge direttamente al pubblico, spiegando cosa prova e come agirà; questo elemento nel film è trasferito alla macchina da presa, e voi siete il pubblico. Il villain può così avere momenti di soliloquio per chiarire le sue scelte morali.

Marc Webb: È stato divertente seguire il percorso del personaggio, abbiamo compiuto una profonda introspezione su di lui. Connors non è solo un cattivo, ma è un personaggio in cui la parte malvagia emerge pian piano, mentre lui in realtà tenta di portare dei benefici all’umanità. È stato interessante esplorare la sua pazzia.

Marc, come hai gestito l’intreccio fra cinema e fumetto e come ti sei confrontato con la versione di Sam Raimi?

Marc Webb: Credo che Sam Raimi abbia fatto un bellissimo lavoro nel rimanere fedele alla versione originale di Stan Lee. C’è un linguaggio cinematografico nei fumetti, simile agli storyboard, e Sam ha fatto un ottimo lavoro, ma noi volevamo utilizzare un linguaggio diverso. Ci siamo ispirati ad alcune immagini dei fumetti per il linguaggio visivo, ma non ritengo possibile replicare in tutto i fumetti. Quello che ci vuole è trovare attori coscienti e spontanei, impegnati a fornire un ritratto realistico dei personaggi, e questo è il tono che abbiamo scelto. I fumetti invece tendono ad avere un altro approccio, sono dimostrativi da un punto di vista visivo, mentre noi volevamo avere più sfumature e abbiamo puntato soprattutto sulle interpretazioni degli attori.

Una domanda per i produttori: quanto è stato impegnativo un film come The Amazing Spider-Man?

Avi Arad: Siamo un team molto unito e l’impegno verso Spider-Man dura da dodici anni, coinvolgendo persone che hanno amore e rispetto per il fumetto. Ci ha fatto molto piacere avere un cast innamorato dal personaggio: abbiamo delle foto di Andrew con il costume di Spider-Man a tre anni di età, e anche Emma si è immersa nel suo personaggio. Se metti insieme tutti questi ingredienti, la lavorazione diventa facile.

Matt Tolmach: La scelta del 3D ha cambiato la natura della regia e della lavorazione: all’inizio è stato difficile perché il 3D è una tecnologia innovativa, ma è stato anche un processo affascinante. Il 3D è una nuova forma di narrazione, un modo per avvicinare il pubblico ai personaggi

L’eroismo di Peter Parker sta anche nella sua capacità di rinunciare a qualcosa, come l’amore di Gwen, per il bene della comunità. Cosa ne pensi? E cosa pensa il cast degli esperimenti genetici?

Andrew Garfield: Non avevo capito il mio amore per Spider-Man fino a quando non ho iniziato le riprese, è un leader, e spiega cosa vuol dire avere 16 anni. È stato importante capire che aveva un impulso eroico prima ancora dei suoi poteri, e questo è un elemento chiave del personaggio. La sua forza interiore non corrisponde a quella esteriore: questo mi ha ispirato moltissimo quando ero un ragazzino emaciato, in realtà sono ancora un ragazzino emaciato. Peter Parker mette da parte i propri bisogni per gli altri, ha una grande empatia per le vittime, derivante anche dalla sua esperienza personale relativa alla perdita dei propri genitori. In questo modo diventa il protettore di un’intera comunità, e questo destino è parte della sua storia. Il suo senso dell’umorismo gli è necessario per superare gli eventi tragici, lui mette da parte anche la propria vita privata. Per quanto riguarda gli esperimenti genetici, se è possibile fare le cose in modo umano per aiutare gli altri, senza far male agli animali, allora non ci vedo niente di male.

Rhys Ifans: Il dottor Connors ed il suo alter-ego Lizard hanno un profondo legame emotivo con Peter Parker e a lui come al pubblico danno un avvertimento: gli sviluppi della scienza a volte sono così rapidi che spesso non ci danno il tempo di comprenderne gli effetti in termini morali. Spesso ci sono elementi che fanno sì che questi sviluppi siano piegati a interessi di parte. È una forma di presunzione quella del dottor Connors quando diventa Lizard.

Emma Stone: La ricerca sulle cellule staminali produce risultati positivi, ma ci sono anche aspetti politici coinvolti in questo tema, e non avendo le idee ben chiare la mia opinione non dovrebbe essere resa pubblica (ride).

È stata dura preparasti fisicamente per questo ruolo e ci sono stati migliori di altri? 

Andrew Garfield: Avevo tre anni la prima volta che mi sono mascherato da Spider-Man, era un momento fantastico. Mettermi la tuta per questo film è stato molto diverso, avvertivo un’enorme pressione, tanti soldi che giravano, e volevo assicurarmi di fare la cosa migliore per il personaggio. Per me era importante recuperare la stessa emozione anche su un grande set, e per fortuna ho potuto sentirmi libero di sperimentare e divertirmi come quando ero bambino, perché questo fa parte del personaggio. L’ho preso molto seriamente, era una cosa importante e ce l’ho messa tutta. Ci sono stati anche momenti di leggerezza e di gioia, un cast incredibile, e sono stato orgoglioso di trovarmi con questi attori fantastici, soprattutto Sally Field, un’equipe strepitosa.

E quale rapporto avevi con il fumetto di Spider-Man da piccolo?

Rhys Ifans: Non ero uno dei più grandi fan dei fumetti, ma quando mi hanno dato il ruolo ho avuto un ricordo chiarissimo del mio incontro con Spider-Man da bambino, a sette anni: mi hanno dato un fumetto che sul retro aveva una maschera di Spider-Man di carta da tagliare e colorare che potevi indossare. Penso di aver indossato quella maschera prima ancora che nascesse Andrew, peccato che é durata poco…

Nella scena in cui sei rincorsa da Lizard, il tuo volto esprime veramente terrore, anche se in realtà non c’era il personaggio di Lizard, creato con la CGI. in quella specifica scena ed in generale quando reciti, da dove prende le emozioni?

Emma Stone: Ero nello stanzino terrorizzata da Lizard, che doveva dirmi qualcosa del tipo “Sento l’odore della tua pelle”, allora ho chiesto a Rhys di ripetere qualcosa e ha detto delle cose agghiaccianti, ha fatto una cosa sorprendente; è stato anche divertentissimo, tutti ricordano quel giorno sul set. Credo che la cosa fondamentale sia lavorare con attori che ti sostengono e ti aiutano, sono un’enorme fonte di ispirazione. Con dei partner sul set riesci a tirare fuori il meglio di te, proprio come succede nella vita. Ci sono attori invece che sono come delle isole lontae, non riesci a raggiungerli.

Rhys, sul set eri quello con più esperienza. Non ti sei sentito come una sorta di guida per i due attori più giovani?

Rhys Ifans: Non mi sono sentito come un faro, sono sempre stato colpito dalle performance di questi due giovani attori incredibili. È stato fantastico lavorare con loro, erano sempre molto impegnati dal punto di vista fisico ed emotivo.

Come mai avete dato molta importanza alla vicenda dei genitori di Peter Parker?

Marc Webb: Quando ho pensato all’abbandono dei genitori, mi sono reso conto che questo lo avrebbe spinto a non fidarsi del mondo; da qui viene fuori il suo sarcasmo, è un meccanismo di difesa. Questa è stata la base da cui sono partito. È la storia di un ragazzino alla ricerca del proprio padre, ma che alla fine trova se stesso: questi elementi sulla sua identità sono stati molto interessanti. La perdita dei genitori gli lascia un grande vuoto, così come il dottor Connors avverte un grande vuoto per l’assenza del suo braccio.

Andrew Garfield: Peter Parker è un orfano, essere abbandonato è la maggior ingiustizia che possa capitare ad un essere umano, specialmente un bambino. Lo stress post-traumatico accompagna il mio personaggio, e soprattutto nel periodo dell’adolescenza è una cosa difficile da gestire. La perdita dello zio, i problemi legati al primo amore, la lotta con Lizard sono esperienze molto impegnative, ma il fatto di essere un orfano dà a Peter la forza per affrontare tutto questo. Spider-Man è un eroe fallace che però tutti noi amiamo moltissimo.

In che modo il personaggio di Spider-Man è entrato a far parte della società americana?

Marc Webb: Stan Lee ha creato qualcosa di trascendentale con questo personaggio. In lui c’è una componente utopica: Spider-Man è il guardiano, l’amico del quartiere, ha un costume colorato, e i bambini avvertono un legame quasi primordiale nei suoi confronti. Non so perché sia così, ma Stan Lee ha toccato delle corde universali. Spider-Man è l’unico supereroe il cui costume copre tutto il corpo e non lascia vedere il colore della pelle; chinque potrebbe immedesimarsi in Spider-Man e quindi a maggior ragione c’è un’universalità in questo personaggio, come dimostrano anche le attestazioni di affetto da tutti i paesi del mondo.

Hunger Games: La ragazza di fuoco, Mia Wasikowska sarà Johanna Mason?

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Le riprese di Hunger Games: La ragazza di fuoco, secondo capitolo della saga tratta dai libri di Suzanne Collins, partiranno alla fine dell’estate: adesso è tempo di casting . In merito, riportiamo la notizia secondo cui in lizza per il ruolo di Johanna Mason ci sarebbero l’Alice di Tim Burton Mia Wasikowska e l’attrice e modella greco-svedese (naturalizzata francese!) Zoe Aggeliki, che nel 2013 vedremo nel sequel di Percy Jackson e gli dei dell’Olimpo. Chi sceglierà il regista Francis Lawrence? La più esperta Wasikowska o la giovanissima Aggeliki? Il personaggio di Johanna Mason proviene dal settimo distretto e ci sa fare con l’ascia.

Hunger Games – La ragazza di Fuoco, il film

Hunger Games – La ragazza di Fuoco è diretto da Francis Lawrence e oltre a Jennifer Lawrence il cast comprende anche Josh HutchersonLiam HemsworthPhilip Seymour HoffmanWoody HarrelsonElizabeth Banks, Lenny Kravitz, Jeffrey WrightStanley Tucci, Donald Sutherland, Amanda Plummer e Lynn Cohen. Tutte le news sulla saga nel nostro speciale Hunger Games. Per tutte le info sul film vi segnaliamo la nostra scheda Hunger Games – La ragazza di Fuoco.

La trama del film: Katniss Everdeen torna a casa incolume dopo aver vinto la 74ª edizione degli Hunger Games, insieme al suo amico, il “tributo” Peeta Mellark. La vittoria però vuol dire cambiare vita e abbandonare familiari e amici, per intraprendere il giro dei distretti, il cosiddetto “Tour di Victor”. Lungo la strada Katniss percepisce che la ribellione sta montando, ma che il Capitol cerca ancora a tutti i costi di mantenere il controllo proprio mentre il Presidente Snow sta preparando la 75ª edizione dei giochi (The Quarter Quell), una gara che potrebbe cambiare per sempre le sorti della nazione di Panem.

Fonte: The Playlist

Morto a 84 anni Anthony Bate

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E’ morto a 84 anni l’attore inglese Anthony Bate, oltre 100 interpretazioni tra grande e piccolo schermo. La sua fama è soprattutto legata al personaggio

John Travolta denunciato da Robert Randolph

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Lo scrittore Robert Randolph, autore di quel You’ll Never Spa in This Town Again in cui si parla delle presunte avventure omosessuali di John Travolta

Reese Whiterspoon in Men Are From Mars, Women Are From Venus

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Reese Whiterspoon (Quando l’amore brucia l’anima) sarà la protagonista di Man Are From Mars, Women Are From Venus, commedia romantica tratta

Barry Sonnenfeld dagli Uomini in nero a quelli di metallo

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Barry Sonnenfeld dagli Uomini in nero a quelli di metallo

Il regista della saga Men in Black, Barry Sonnenfeld, dirigerà l’adattamento cinematografico del fumetto The Metal Men, edito dalla DC Comics negli anni ’60. Questa la storia

Michael Bay parla di Transformers 4

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Michael Bay parla di Transformers 4

Con Transformers 4, nelle sale USA il 29 giugno 2014, il regista Michael Bay saluterà il franchise, che tuttavia proseguirà con un’altra guida (ve ne avevamo parlato qui). Sentito dal LA Times, il regista di Pearl Harbor ha parlato un po’ del quarto Transformers la cui sceneggiatura, affidata a Ehren Kruger, è ancora in elaborazione. Ecco le parole di Bay:

Non è un reboot. Non è la parola giusta. Non voglio parlare di reboot perché a quel punto le persone potrebbero pensare che stiamo per realizzare un nuovo Spider-Man, ricominciando tutto da capo. Ma non è così. Stiamo prendendo la storia che conoscete – quella sviluppata con i primi tre film – e la stiamo portando in una nuova direzione. Lasciando i tre primi film come asse portante. Contano ancora… ma ci stiamo muovendo verso qualcosa di differente[…] Proprio quello che bisogna fare, no? Desidero allontanarmi un po’ dal nostro pianeta, ma non voglio che il film diventi troppo fantascientifico. Ho ancora voglia di rimanere con i piedi per terra.

Michael Bay ha anche dato un occhio al portafoglio, spiegando che il budget è di 165 milioni, oltre trenta milioni più “povero” rispetto a quello di Transformers 3.

Fonte: LA Times

Arriva in Italia La cosa … da un altro anno

Dopo una prolungata gestazione, a partire dal prossimo 27 giugno, arriva finalmente nelle sale italiane La cosa, il tanto atteso prequel dell’omonimo film di Carpenter (a sua volta remake de La “Cosa” da un altro mondo) di Howard Hawks) e uscito negli Usa nell’Ottobre del 2011.

Il cinema e il teatro di Dominic Cooper

Il cinema e il teatro di Dominic Cooper

A giudicare dalle ultime interpretazioni, sembra proprio che la carriera dell’attore britannico Dominic Cooper, stia vivendo un momento favorevole.

Attualmente è sui nostri schermi con il film di Simon Curtis, Marylin, al fianco di una splendida Michelle Williams che interpreta la diva di tutti i tempi: Marylin Monroe; e di Eddie Redmayne, il Colin Clark che con le sue memorie ha fornito un ritratto complesso e sofferente della giovane artista. Cooper  veste qui i panni del fotografo e assistente Milton H Green, cui l’attrice aveva un tempo spezzato il cuore; e, se pur in un ruolo marginale, si dimostra assolutamente maturo ed efficace nel contribuire, con il suo personaggio, alle atmosfere intime e malinconiche che percorrono l’intero film.

Dominic CooperLa prova successiva  lo chiama a far parte del cast di  La leggenda del cacciatore di vampiri, diretto dal russo Timur Bekmambetov e prodotto da Tim Burton. Il film, in Italia a partire dal 20 luglio e basato sull’omonimo romanzo di Seth Grahame Smith (sceneggiatore di Dark Shadows e autore di Orgoglio e Pregiudizio e Zombie), mette in scena un Abraham Lincoln che si improvvisa cacciatore di vampiri per vendicare l’assassinio della madre, ad opera di un succhia-sangue.

Il cinema e il teatro di Dominic Cooper

Nato a Greenwich, Londra, il 2 giugno del 1978, Dominic Cooper si è formato alla Thomas Tallis School di Akidbrooke; e successivamente ha conseguito la laurea presso la rinomata London Academy of Music and Dramatic Art.

Debutta a teatro nella piece “Mother Clap’s Molly Home”, diretta da Mark Ravenhill. Lo spettacolo, adattamento del libro omonimo di Rictor Norton, ha i toni della black comedy, e ruota attorno al tema della diversità sessuale.

Dopo una serie di partecipazioni televisive, tra cui ricordiamo quella nel The Gentleman Thief di Justin Hardy, approda al cinema nel 2001 con una piccola parte in La vera storia di Jack lo squartatore, diretto da Allen e Albert Hughes, e con protagonista Johnny Depp.

Dominic CooperSenza mai abbandonare il teatro -per il momento la sua vera fonte di soddisfazione- nel 2006 ottiene la parte di uno dei protagonisti di The History Boys, tratto dall’omonima commedia di Alan Bennett, e trasposta al cinema da Nicholas Hytner. L’opera, vincitrice di sei Tony Award, è più che familiare al giovane attore, che l’ha già rappresentata in radio, e sul palcoscenico, guadagnandosi un Drama Desk Award.  Si tratta della storia di un gruppo di otto studenti (Cooper interpreta Dakin), aspiranti alle Università di Oxford e Cambridge; e delle loro bizzarre avventure per superare  la prova d’ammissione.

Nello stesso anno recita al fianco di James Mc Avoy e Rebecca Hall in Il quiz dell’amore (regia di Tom Vaughan), sempre ambientato in campo universitario, e dedicato a un promettente studente di letteratura alle prese con un prestigioso quiz televisivo, University Challenge, che finisce per mettere in crisi la buona condotta e la moralità del concorrente.

Il 2008 è un anno particolarmente prolifero per l’attore britannico, che lo vede impegnato in ben 3 set differenti, dimostrandosi, così, sempre più reattivo e convincente nell’interpretare ruoli molto diversi tra loro.  A cominciare da quello in Prison Escape, di Rupert Wyatt. Qui è James Lacey, prigioniero appena arrivato che, presto vittima di un insostenibile squallore e degrado, progetta e mette in atto la fuga, insieme al compagno Frank (Brian Cox). Il film, presentato al Sundance Film Festival, è stato accolto favorevolmente dalla critica e dal pubblico.

Segue la partecipazione al musical Mamma Mia!, diretto da Phillida Lloyd, e basato sulle musiche del gruppo svedese ABBA. Ad attenderlo è  ruolo di Sky, futuro sposo della bella Sophie, l’Amanda Seyfried che diventerà sua fidanzata nella vita reale.

Infine, recita al fianco di Keira Knigthley e Ralph Fiennes in La Duchessa, film storico dedicato a  Georgiana Cavendish, Duchessa del Devonshire, e ispirato alla biografia scritta da Amanda Foreman. Cooper è Charles Gray, politico britannico e seduttore, con cui Giorgiana ebbe una figlia illegittima.

Dominic CooperNel periodo successivo seguono diversi impegni importanti. In particolare ricordiamo la prova affrontata con intensità e delicatezza in  An Education, diretto da Lone Sherfig e sceneggiato dal frizzante Nick Hornby. Il film, candidato a tre premi oscar ( miglior film, miglior sceneggiatura non originale, e miglior attrice), narra della giovane Jenny Miller (una splendida Carey Mulligan), brillante studentessa e aspirante giornalista, destabilizzata però dall’amore profondo e totalizzante verso un uomo più grande di lei: il trentenne e affascinante David  interpretato da Cooper.

Ma forse la vera sfida che lo lancia alla ribalta è quella accolta con The Devil’s Double di Lee Tamahori, in cui l’attore si cala nei panni del figlio maggiore di Saddam, lo psicotico e sadico Uday, interpretando al tempo stesso,  l’uomo ingaggiato per fargli da sosia, Latif Yahia.

Come lui stesso ha ammesso in un’intervista rilasciata alla redazione di Filmit, le difficoltà non sono state poche nell’affrontare una parte così scomoda e complessa: “Ho dovuto fidarmi del regista perché per impersonare Uday, dovevo spingermi fino in fondo e poi toccava a lui dare forma alla mia performance con il montaggio”. A posteriori possiamo dire che ne è valsa la pena, considerato che è la sua prova a risollevare un film  per il resto piuttosto mediocre.

Sospeso The Thin Man con Johnny Depp!

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Deadline,  ha diffuso oggi la notizia che la Warner Bros ha bloccato il progetto The Thin Man, remake del classico del 34′ L’uomo Ombra. La pellicola doveva essere diretta da da Rob Marshall e interpretato da Johnny Depp,

The Amazing Spider-Man: recensione di Marc Webb

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The Amazing Spider-Man: recensione di Marc Webb

Impossibile non paragonare Andrew Garfield a Tobey Maguire, Sam Raimi a Marc Webb, impossibile guardare al villain Dottor Connors/Lizard e non pensare a Norman Osborn/Goblin. Impossibile non fare un confronto, eppure è necessario lo sforzo. The Amazing Spider-man arriverà al cinema il prossimo 4 luglio, data simbolica e evocativa negli States, quasi a sottolineare che Spiderman, il super eroe con i super problemi, oltre ad essere un personaggi molto amato, è anche un simbolo dell’americanità.

Il reboot racconta le origini dell’uomo ragno in maniera alternativa, senza ricalcare la storia scelta da Raimi e bisogna dire che nei momenti in cui i nodi narrativi sembrano ricalcare quelli dello Spiderman del 2002, il film diventa davvero banale. Molti sono i momenti in cui ci ricordiamo di altri film e altri riferimenti, magari involontari, come al Batman Begins di Christopher Nolan, o addirittura all’ultimo Mission Impossible (il Protocollo Fantasma) e di questo purtroppo possiamo solo chiedere conto al regista Webb, che pur dimostrandosi un bravo tecnico, soprattutto nelle scene d’azione, manca di quella personalità che Raimi possiede in abbondanza.

I protagonisti, Andrew Garfield e Emma Stone, che pure potrebbero rientrare esteticamente nei canoni dei personaggi, risultano però goffi e impacciati, soprattutto nelle scene in cui recitano insieme, regalandoci i loro momenti migliori nell’assolo.

The Amazing Spider-ManVero punto a sfavore di questo film però è la sceneggiatura che non riesce a tratteggiare con convinzione i personaggi, lasciandoli in balia degli eventi, compromettendo forse tutto l’esito del film. A differenza dei giovani attori, spicca per bravura e personalità Rhys Ifans, splendido villain e folle Lizard che imperversa per la città nel panico.

The Amazing Spider-Man, il reboot con Andrew Garfield

Tutte queste sono carenze che non si possono sottovalutare, tuttavia il film presenta degli effetti visivi e delle scene d’azione davvero ben congeniate che riescono a farci entrare nella tela del ragno. I momenti migliori del film sono infatti quelli totalmente originali, senza alcun riferimento ad altri immaginari visivi e senza alcuna eco dei film di Raimi; in quei frangenti il film si rivela essere un godibile passatempo, corredato da un 3D di buona fattura, che sceglie un registra misto tra il comico e il drammatico, catturando l’attenzione e l’emozione dello spettatore con pochissime scene ben congeniate.

Ovviamente The Amazing Spider-Man era un film del quale non si sentiva necessità, essendo un reboot così vicino all’originale, tuttavia può essere una rilettura interessante che, una volta messa in carburazione, potrà far meglio per i sequel (non ufficiali ma facilmente intuibili) a venire.

The Amazing Spider-Man

Hunger Games: la ragazza di fuoco, iniziano le riprese

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Partono le riprese de “la ragazza di fuoco” sequel del fortunatissimo “Hunger Games”, le riprese inizieranno probabilmente ad agosto e a breve dovrebbero essere annunciati i casting per trovare importanti personaggi come Finnick Odair, Johanna Mason e Plutarch Heavensbee. La pellicola, diretta da Francis Lawrence arriverà nel nostro paese in contemporanea con gli Stati Uniti il 22 novembre 2013, confermati Jennifer Lawrence, Josh Hutcherson e Liam Hemsworth, ma anche Elizabeth Banks, Paula Malcomson, Stanley Tucci, Woody Harrelson, Lenny Kravitz e Donald Sutherland.

Hunger Games – La ragazza di Fuoco, il film

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Anche Charlie col Machete

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Charlie Sheen si è unito al cast di Machete Kills, il sequel diMachete firmato sempre da Robert Rodriguez. E’ lo stesso sceneggiatore

Barbarella: arriva la serie tv

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Barbarella: arriva la serie tv

Sarà Nicolas Winding Refn (Drive) a dirigere la serie televisiva direttamente ispirata  al fortunatissimo fil di Roger Vadim con la

Arriva in Friuli Naomi Watts

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Arriva in Friuli Naomi Watts

Dopo Donald Sutherland, il premio Oscar Geoffrey Rush e Jim Sturgess, arriva in Friuli Naomi Watts. L’attrice sara’ a Trieste il prossimo 12 e 13 luglio per le riprese di ”Caught in flight”, film biografico che racconta gli ultimi anni e la morte a Parigi della Principessa Diana, nei cui panni si cala, appunto, la Watts.A Trieste saranno ambientate le sequenze relative all’arrivo di Lady D. al Hotel Ritz di Parigi, ultima tappa di Diana e Dodi Al Fayed prima del tragico incidente che tolse loro la vita nelle vie della capitale francese il 31 agosto del 1997.

Nathalie Rapti Gomez sarà Rosaline in Rome Adn Juliet di Carlo Carlei!

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Nathalie Rapti Gomez sarà Rosaline, la rivale di giulietta nel  nuovo film di Carlo Carlei, Romeo and Juliet, che per la prima volta cinematograficamente darà spazio anche al personaggio di Rosaline, il primo amore di Romeo.

Argentero, Chiatti e Belen doppieranno “Gladiatori di Roma” di Iginio Straffi!

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Saranno Luca Argentero, Laura Chiatti e – per la prima volta in veste di doppiatrice – Belen Rodriguez le voci di Timo, Lucilla e Diana, protagonisti di GLADIATORI DI ROMA, il nuovo film di animazione in 3D diretto da Iginio Straffi.

Rock of Ages – intervista ai realizzatori!

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Arriva l’intervista ai realizzatori di Rock of Ages. Al cinema dal 20 giugno con Tom Cruise nel ruolo della rock star Stacee Jaxx. Fra gli altri intervistati Catherine Zeta-Jones,  Paul Giamatti, Alec Baldwin e Mary J. Blige.

Toby Stephens e Caity Lotz in The Machine

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Toby Stephens e Caity Lotz saranno i protagonisti del thriller fantascientifico The Machine, le cui riprese inizieranno il mese prossimo.

Pacific Rim, Guillermo del Toro parla delle battaglie!

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Pacific Rim, Guillermo del Toro parla delle battaglie!

Guillermo del Toro è impegnatissimo con la realizzazione di Pacific Rim, la sua nuova fatica incentrata su un epico scontro tra robot e mostri giganti. Nel cast, Charlie Hunnam, Charlie Day, Rinko Kikuchi, Max Martini, Willem Dafoe, Robert Kazinsky, Clifton Collins Jr., Diego Klattenhoff e Ron Perlman. Il regista, entusiasta della sua creatura, ne ha parlato con la rivista Total Film. Vi presentiamo un interessante passaggio in cui del Toro parla delle battaglie:

Abbiamo una scena ambientata a Tokyo, girata qui a Toronto. Abbiamo avuto diverse scene a Hong Kong e qualcuna in Australia, mostrate attraverso la televisione. Potremo vedere brevemente i kaiju anche nei pressi di San Francisco. L’intero Pacific Rim è permeato da un senso di pericolo […] Abbiamo girato battaglie dappertutto! Due o tre avranno luogo in posti dove non si sono mai scontrati kaiju e robot. Dal fondo dell’oceano fino all’atmosfera terrestre. C’è anche una battaglia nel bel mezzo di una tempesta marina! Ogni battaglia abbiamo cercato di crearla in modo diverso. Una è percepita interamente dal punto di vista di una singola persona, non ci siamo mai staccati da questa prospettiva.

Pacific Rim uscirà negli USA il 12 luglio. Al Comic-Con 2012 (12-15luglio) verranno probabilmente presentati un sacco di materiali in anteprima. Qui trovate la sinossi ufficiale del film.

Fonte: Super Hero Hype

Adrien Brody: dalla scuola che ispirò Saranno famosi agli onori dell’Academy

Ricordate le parole dell’insegnante di danza Lydia Grant, della scuola d’arte di Fame – Saranno famosi? L’efficace discorsetto con cui toglieva dalla testa dei nuovi allievi ogni idea di successo facile e veloce? “Voi fate sogni ambiziosi: successo, fama. Ma queste cose costano, ed è proprio qui che cominciate a pagare, col sudore”. Adrien Brody di cui parliamo ha realizzato quei sogni senza sottrarsi alla fatica necessaria, anzi, facendone il suo punto di forza e proprio partendo dalla scuola che ispirò la nota serie televisiva americana.

È il più giovane attore statunitense ad aver ottenuto l’Oscar ed anche l’unico ad essersi accaparrato un César.

Adrien Brody: dalla scuola che ispirò Saranno famosi agli onori dell’Academy

Meticoloso e preciso, ama immedesimarsi il più possibile nei personaggi che interpreta, anche a costo di dure prove e pesanti trasformazioni. Basti ricordare che per l’interpretazione che gli è valsa l’Oscar – quella di Wladyslaw Szpilman ne Il pianista di Roman Polanski – ha perso 13 chili, ha imparato a suonare Chopin al piano, ha venduto la casa e la macchina e lasciato la fidanzata.

Tutto ciò proprio per provare a sperimentare su di sé, almeno in parte e per quanto possibile, privazioni e sofferenze che lo avvicinassero a questo pianista ebreo polacco della Varsavia della Seconda Guerra Mondiale. Ma per fare al meglio il suo mestiere è anche diventato un ventriloquo, si è rotto il naso tre volte girando scene d’azione,  e così via.

Per la  sua duttilità espressiva, per l’abilità nell’immedesimazione – nella quale, ha affermato, i costumi di scena possono coadiuvarlo fortemente – per la sua versatilità, per la profondità e intensità interpretativa che lo contraddistinguono, sono stati scomodati paragoni importanti. Lo stesso Tony Kaye – regista del più recente lavoro che lo vede protagonista, Detachment – Il distacco – lo ha definito a pieno titolo un esponente della cosiddetta “scuola di New York”, quella per intenderci di De Niro, Pacino e Hoffman. Lui apprezza il paragone e ne è lusingato, ma allo stesso tempo afferma che preferirebbe essere considerato il primo sé stesso, piuttosto che il nuovo Al Pacino. Grande carattere e consapevolezza di sé  e delle proprie capacità, dunque, da parte di questo attore (e ora anche produttore) newyorkese con evidentissime origini europee.

Adrien Brody nasce il 14 aprile 1973 a New York, nel quartiere popolare del Queens dalla fotografa e giornalista Sylvia Plachy – figlia di un aristocratico ungherese cattolico e di una ceca ebrea – e da Elliot Brody, un professore di storia di origine ebraica polacca. Fin da bambino ama mettersi in mostra con piccoli spettacoli di magia alle feste di compleanno, facendosi chiamare “The Amazing Adrien”.  Le sue prime apparizioni televisive risalgono a quando aveva appena dodici anni. I genitori lo incoraggiano da subito a perseguire la strada della recitazione. Frequenta, come detto in apertura, la LaGuardia High School of Music & Art and Performing Arts di New York, poi l’università statale a New York.

Dopo gli esordi in tv del 1988 (la sit-com Annie McGuire e il film Home at Last), riesce a ritagliarsi uno spazio in New York Stories, lavoro collettivo che vede alla direzione tre grandi del cinema Usa come Francis Ford Coppola, Woody Allen e Martin Scorsese, prendendo parte all’episodio diretto da Coppola, La vita senza Zoe. Nel 1991 si trasferisce a Los Angeles, dove due anni e un grave incidente motociclistico dopo, ottiene una piccola parte nel film di Steven Soderbergh Piccolo grande Aaron. Seguono partecipazioni ad alcune pellicole indipendenti, come Bullet di Julien Temple (1996).

Ma la prima grande occasione del giovane Brody arriva quando Terrence Malick gli propone il ruolo da protagonista ne La sottile linea rossa (1998).  Caso e regista vogliono che, pur essendo stato inizialmente pensato come il protagonista del film (interpreta il caporale Fife), le scene che lo riguardano subiscano tagli pesantissimi. Tuttavia, il nostro non si perde d’animo: si gode l’esperienza, condividendo il set con attori come Sean Penn, Nick Nolte e George Clooney in quello che non è solamente un film di guerra, incentrato su un plotone dei marines in prima linea in Oceania nel 1942 – e secondo molti uno dei migliori del genere – ma anche un film corale che riflettendo sulla guerra, lo fa anche sulla natura umana a un livello più ampio. Inoltre, i pur pochi momenti di presenza di Brody nella pellicola fanno notare il suo straordinario talento non solo al pubblico, ma, cosa assai più importante, ai registi che contano. È evidente che quel ragazzo dal fisico asciutto e slanciato, dai lineamenti  particolari e con lo sguardo triste è nato per recitare. Così, su consiglio di Malick, manda il suo provino a Spike Lee, che non esita a sceglierlo per S. O. S. Summer Of Sam – Panico a New York (1999). Brody offre qui un’altra ottima interpretazione nei panni di un musicista punk nel Bronx del ’77. Questo gli spalanca definitivamente le porte di Hollywood. Nello stesso anno è infatti contattato da Barry Levinson, che lo vuole per la sua pellicola Liberty Heights, in cui affronta temi legati al razzismo. Mentre nel 2000 torna al cinema indipendente ed è Ken Loach a dirigerlo in un dramma non privo di momenti divertenti sul tema delle rivendicazioni sociali, dei diritti del lavoro, dell’immigrazione, in pieno stile Loach: Bread and Roses.

Nel 2002 interpreta un ventriloquo in Dummy di Greg Pritikin. Per immedesimarsi nel ruolo impara davvero a fare il ventriloquo (e il burattinaio), per poter recitare lui stesso le scene del film che richiedono quest’abilità, dal vivo sul set, senza bisogno del doppiaggio.

A questo punto della carriera, Adrien Brody è pronto per la sua grande occasione – “il ruolo di una vita”, dirà ritirando l’Oscar – che puntualmente si presenta: è la parte del protagonista Wladyslaw Szpilman ne Il Pianista di Roman Polanski.

L’attore interpreta con grande intensità la travagliata e dolorosa vicenda umana di questo giovane pianista ebreo miracolosamente sopravvissuto all’orrore dell’Olocausto nel ghetto di Varsavia. All’efficacia dell’interpretazione concorrono tutte le doti di Brody, non ultima, lo si diceva in apertura, la meticolosità nel preparare il personaggio. A questo proposito ha affermato: “Il livello di disagio che ho provato è stato significativo per me, anche se minimo in termini assoluti. Ma quest’esperienza ha ampliato la mia consapevolezza rispetto a un livello di sofferenza che esiste in questo mondo ed è terribile. Penso sia importante per i giovani conoscerlo per diventare esseri umani migliori. Se non avessi fatto quest’esperienza sarei diverso adesso. Può avermi ferito in un certo senso, ma mi ha introdotto nell’età adulta e mi ha dato modo di apprezzare ed essere grato per ogni momento in cui sono libero da quel tipo di sofferenza.” Il risultato di questo lavoro d’immedesimazione è una performance di grande efficacia ed impatto emotivo. Il film ottiene un enorme successo di pubblico e vale al suo protagonista la prima nomination all’Oscar come miglior attore, subito trasformata nella sua prima statuetta e accompagnata da svariati altri riconoscimenti. Brody ha solo 29 anni, è il più giovane attore ad aver ricevuto il premio e può dire di aver avuto la meglio su un quartetto di colleghi non facili da battere: Michael Caine, Jack Nicholson, Daniel Day-Lewis e Nicolas Cage. Insomma, è già ai vertici della fama mondiale. Durante la cerimonia di consegna delle statuette all’Academy appare visibilmente emozionato, ma riesce ugualmente a stupire la platea, alternando toni brillanti – “Arriva un momento nella vita in cui tutto sembra acquisire un senso. Questo non è uno di quei momenti” – a toni più seri. Non mancano i ringraziamenti di rito, mentre i colleghi in platea gli tributano ben due standing ovation: una al suo arrivo, l’altra a fine discorso quando dimostra ancora il suo carattere deciso, fermando l’orchestra (intervenuta assurdamente a discorso non ancora concluso), per ricordare il dramma del conflitto iracheno in corso: il premio, dice, “mi riempie di grande gioia, ma sono anche pieno di tristezza stanotte, perché sto accettando un riconoscimento in un momento così strano. La mia esperienza nel fare questo film  mi rende molto consapevole della tristezza e della disumanizzazione delle persone in tempo di guerra, delle ripercussioni della guerra.”

E riferendosi più esplicitamente al conflitto in corso, ne auspica una “pacifica e rapida risoluzione”.  Oscar anche alla sapiente regia di Roman Polanski, che riesce a tirar fuori dal cilindro della sua esperienza personale di vita, oltre che dalla biografia di Szpilman, qualcosa di ancora originale e potente sul tema dell’Olocausto. Palma d’Oro a Cannes per il miglior film e David di Donatello come miglior pellicola straniera.

Adrien entra così a pieno titolo nello star system hollywoodiano e lo vediamo nei primi anni 2000 prendere parte a pellicole come i thriller The Village (2004)di M. Night Shyamalan, in cui veste i panni del giovane disabile mentale Noah Percy, e The Jacket (2005) di John Maybury, in cui è il veterano di guerra Jack Stark e recita accanto a Keira Knightley, o il remake di King Kong (2005) di Peter Jackson. Nel 2007 è invece nella strampalata e riuscita commedia Il treno per il Darjeeling di Wes Anderson e interpreta il torero Manuel Rodíguez Sánchez in  Manolete di Menno Meyjes, accanto a Penélope Cruz. Non poteva che essere lui a interpretare questo ruolo, vista l’incredibile somiglianza con il famoso toreador. Brody ricorda che durante le riprese del film in Spagna, la gente lo apostrofava per strada come Manolete, e di essersi sentito investito di una grande responsabilità nell’interpretare colui che, comunque la si pensi sulla corrida, è stato un’icona della cultura spagnola. Qui l’attore si mostra ancora una volta abile nel rendere i contrasti di una personalità come quella del grande torero: da un lato profondamente timido e introverso – al contrario di Brody, che dice di sé: “sono socievole, mi trovo molto a mio agio con la gente” – dall’altro, al centro dell’attenzione e alle prese con la propria immagine pubblica, con una fama che andava oltre i confini della stessa Spagna. A questo proposito dice: ““So come ci si sente a diventare famosi, a raggiungere rapidamente la popolarità. Le aspettative che arrivano assieme a questo, la presunzione che la gente sappia chi sono, o che tutto sia perfetto, che la mia vota sia grandiosa”. Parlando di questo ruolo, l’attore americano ribadisce l’importanza che rivestono i costumi di scena nel suo lavoro: “Se i costumi sono quelli giusti, sono molto utili per me nella trasformazione, psicologicamente. Quando sono in costume di scena sono una persona diversa”.

Adrien Brody

A proposito di immagine e, perché no, anche di guardaroba in senso lato, in questi anni il nostro attore si toglie anche una serie di “sfizi”: partecipa a diverse campagne pubblicitarie, tra cui quelle di alcune note bibite, ma anche di certi noti marchi di moda, come accade per lo stilista italiano Ermenegildo Zegna, confermando la sua passione per la moda, l’amore per lo stile, per l’eleganza. Inaugura così una fortunata “carriera parallela” da testimonial che lo porterà, nel 2012, addirittura ad esordire come modello per la collezione invernale di Prada. Inoltre, da amante della musica – che si diletta a comporre nel tempo libero – non rifiuta certo l’invito di una delle più belle e brave cantautrici del rock anni ’90 made in Usa, Tori Amos, che gli offre una partecipazione al video di A Sorta Fairytale.

Tornando al cinema, nel 2009 e nel 2010 lavora con Dario Argento che lo dirige in Giallo, accanto a Emmanuelle Seigner e Elsa Pataky, sua ex compagna. Il film però si rivela un pasticcio, non solo perché non è dei più riusciti, ma anche per le burrascose vicende che lo accompagnano. Alla fine uscirà solo in dvd, con Brody che ricorre alla Corte Federale della California per bloccarne l’uscita negli Usa e  denuncia i produttori. Meno travaglio per il thriller di Vincenzo Natali Splice, del 2010. Nello stesso anno il poliedrico Adrien non si fa sfuggire Predators di Nimrod Antal, mentre è scontato il suo sì a Woody Allen, che lo vuole nel ruolo di Salvador Dalì per Midnight in Paris (2011).

Infine, il 2012 è l’anno di Detachment – Il distacco per la regia di Tony Kaye. Forse uno dei ruoli in cui è stato più facile immedesimarsi per l’attore del Queens quello dell’insegnante in una scuola americana con ragazzi problematici, considerato che suo padre è stato un insegnante di storia. Lo conferma lo stesso regista, che parla di come sia stato facile lavorare con Brody: “Io non ho dovuto fare niente. Lui era un insegnante, fin dal primo momento”. Parlando del suo personaggio alla presentazione del film al Tribeca Film Festival 2011 l’attore ha affermato: “E’ un uomo che ha avuto molti problemi nella vita difficili da affrontare, ma nel profondo,  il suo desiderio è davvero quello di aiutare questi studenti. Vuole incoraggiarli a diventare individui, che si pongano domande su sé stessi e sul mondo che li circonda. Mio padre era un insegnante polacco. Ho frequentato la scuola pubblica a New York. Quindi interpretare un insegnante è stato molto importante per me. Mi ha fatto riconoscere il contributo di mio padre.” Al centro del film, dice, “un gruppo di persone interiormente lacerate (fractured ndr) che cercano di cavarsela”. In particolare, per l’insegnante da lui interpretato, il problema è proprio riuscire a trovare quel distacco dalle proprie ferite interiori di cui si parla nel titolo: “Il problema è che devi muoverti al di sopra di queste cose e aiutare a non creare generazioni future di persone “fratturate”. Devi essere lì, presente per loro”. La pellicola, nelle sale italiane dal 22 giugno, è prodotta da Paper Street Films, Appian Way e Kingsgate Films e vede lo stesso Brody al suo esordio come produttore.

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Marc Marronier (Gaspard Proust) è un trentenne che fa il critico letterario di giorno e il giornalista nei locali di notte. Per lui non è molto difficile essere circondato da ragazze disponibili, ma il suo matrimonio fallito, gli amici donnaioli e i suoi stessi genitori lo portano a formulare una teoria sull’amore. Una teoria che prevede che questo sentimento abbia, per tutti, una data di scadenza: dopo 3 anni l’amore è destinato prima ad ammuffire e poi a disintegrarsi del tutto.

Tale certezza, che diventa la base del libro d’esordio di Marc, comincia però a vacillare quando Alice (Louise Bourgoin) entra nella vita del ragazzo, sconvolgendola. La naturalezza della giovane donna, la sua avvenenza e i suoi modi fuori dall’ordinario iniziano infatti a minare le convinzioni di Marc che, istantaneamente, si innamora di lei e rivede mentalmente tutte le sue tesi precedenti sui limiti temporali dell’amore.

Purtroppo per lui, però, le sue vecchie idee sono ormai nero su bianco e il libro di cui è autore ha un enorme successo. Così Alice, che aveva deciso di stare con lui, scopre il suo passato di immaturo misogino e decide di lasciarlo…

L’amore dura tre anni

L'amore dura tre anni recensioneEd ecco servita l’ennesima produzione, rigorosamente francese, carina ma assolutamente non incisiva, né convincente. La commedia, che scorre senza intoppi né picchi, presenta battute vivaci ed éscamotage registici degni di nota per la loro originalità, come i titoli di testa o di coda, ma sostanzialmente non parla di nulla. Tutto il progetto sembra mancare di spina dorsale: dalla nullità della storia, alla pochezza dei dialoghi, all’assenza di ogni parvenza di sentimento (si sta parlando d’amore, giusto?).

Gli interpreti, forse complice come al solito un doppiaggio approssimativo, non sembrano né talentuosi, né convincenti e in certi passaggi alcuni cliché noiosi sfumano impercettibilmente fino a diventare addirittura fastidiosi.

Il tono che si avverte in generale sembra scaturire direttamente da qualche trasmissione televisiva di basso livello ed è decisamente perdente l’idea di far girare un film (tra l’altro tratto dall’omonimo libro scritto dal regista stesso) intorno ad una domanda degna di una rivista per teenagers: “L’amore è eterno o ha una data di scadenza?”.

Il personaggio migliore? L’editrice cinica.

Il peggiore? Il protagonista.

E il fatto che il contorno sia meglio della portata basta per rendere il tutto poco godibile. Forse sulla scia di The Artist o di Quasi Amici la cinematografia francese sta conoscendo un boom (almeno per quanto riguarda la distribuzione in Italia), ma quantità non vuol dire qualità e di questi filmetti di secondo ordine ci bastano i nostri.

L’amore dura tre anni? Beh, il film dura solo 98 minuti…e sembrano comunque troppi!

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