«…e così pure questo ragno e
questo lume di luna tra i rami e così pure questo attimo e io
stesso. L’eterna clessidra dell’esistenza viene sempre di nuovo
capovolta e tu con essa, granello della polvere! »
Questa citazione da
uno dei singoli di
punta dei Gazosa ci introduce
direttamente al feeling con cui mi preparo ad affrontare una nuova
incarnazione della Mostra del Cinema di Venezia, che come sempre me
pare ieri che è finita la scorsa edizione, e ogni volta cerco di
ricordarmi quando ho messo inavvertitamente piede
nel boomdotto che mi ha catapultato un anno più avanti
senza nemmeno aver avuto possibilità di fare gli sberleffi a
Ben
Affleck
come Flash in Batman v
Superman. Vabbè.
Rimbocchiamoci le maniche, che poi
tanto si sa che lavoro e cazzeggio nel nostro campo vanno di pari
passo, e anzi il rischio è di confondere le due cose. Ma noi siamo
equilibratissimi e sappiamo che vi siamo mancati come la marmellata
sui peperoni, quindi vi salutiamo con un
abbraccio power metal che ricarichi il potere
dello Sticazzi che risiede in tutti noi (per saperne di
più), e ci prepariamo a una nuova avventura nella
magica atmosfera del Lido settembrino. Che poi, dai, bisogna essere
ottimisti. Non è detto che sia sempre la stessa cosa: non è detto
che il tempo sia anche quest’anno umido e appiccicoso, che i
gestori dei locali siano sempre simpatici come lo scherzo della
camicia in fiamme, che gli Spritz siano allungati col
succo di locusta. Potrebbe essere tutto peggiorato, e questo mi
rincuora.
Insieme a un’altra
cosa: quest’anno, l’offerta del Concorso s’è fatta fresca e
interessante grazie anche all’intervento di giovani e valenti
virgulti nel comitato di selezione, tra cui ci piace
citare Emanuele Rauco al quale andranno
i nostri complimenti per qualsiasi cosa troveremo di positivo nel
Festival, anche completamente svincolata dalla materia
cinefila. Troviamo i cessi
della Sala Pasinetti miracolosamente
puliti? #bravorauco! Non ci sputano sulle
sarde in saor? #bravorauco!
Rimorchiamo? #bravorauco!.
Un hashtag per la vita. Naturalmente, per la quarta legge
di Murphy – le altre sono ovviamente «Ordine pubblico totale»,
«Proteggere gli innocenti», «Far rispettare la legge» –
s’è deciso in redazione che io il Concorso non lo seguo.
Meglio. Mi trincero alla Villa degli Autori dove già mi hanno bello
schedulato il programma delle Interviste per i Venice
Days e tra l’una e l’altra mi ubriaco come una merda, il
che mi aiuterà anche a sciogliere il mio inglese, che mi servirà,
perché i registi so’ tutti lapponi, norvegesi o filippini e nelle
lingue d’origine comunicare è difficile.
A tal proposito, se c’è una
pellicola che mi dispiace perdere della selezione ufficiale –
si fa per dire, poi tanto lo so che me li guarderò tutti lo stesso,
per quell’aberrante senso di collezionismo e completezza che
attanaglia l’addetto ai lavori in queste situazioni, e che ha
rovinato diverse vite anche di persone brillanti, ridotte a uno
stato larvale dall’ineluttabile necessità di assistere anche alle
proiezioni delle opere più inutili e ripugnanti pur di dire ‘i film
quest’anno li ho visti tutti’ – è la nuova opera
di Lav Diaz, che in effetti ci mancava. Non pago di aver
arricchito le nostre esistenze con le 8 ore – otto! –
di Hele sa HiwagangHapis (titolo
internazionale A Lullaby To the Sorrowful
Mystery) in quel di Berlino, deciso che aveva ancora
qualcosina da dire,
il regista, sceneggiatore, produttore , direttore
della fotografia, montatore, attore, stunt-man,
elettricista, addetto al catering e usciere d’albergo
filippino torna con un cortometraggio (appena tre ore) dall’evocativo
titolo Ang walang-katapusang kalawakan ng titiibinibigay ko (per
il mercato internazionale: The
Infinite Immensity of the Big
Fuck I give). Ok, il titolo me lo sono
inventato (suona più o meno come L’infinita immensità del
Gran Cazzo che Me Ne Frega), ma non venitemi a dire che ve ne
eravate accorti. I titoli dei film di Lav Diaz non li
avete mai letti nemmeno voi, siate onesti, almeno con voi
stessi.
(Ang)

Ragazzi, non vi nascondo che non
vedo l’ora di seguire il concorso. L’unico problema è che l’ultima
volta che ho provato a vedere un film di Lav Diaz sono entrata in
sala la sera d’apertura del festival e sono uscita prima della
premiazione. Ti siedi e ti attaccano flebo e catetere. Poi ogni
tanto passa un’infermiera filippina a vedere se sei ancora lucido o
inizi a recitare il monologo di Servillo nella ‘La grande bellezza’
(“A questa domanda, da ragazzi, i miei amici davano sempre la
stessa risposta: “La fessa”. Io, invece, rispondevo: “L’odore delle
case dei vecchi”. La domanda era: “Che cosa ti piace di più
veramente nella vita?”).
Detto questo, se stai a fa Servillo,
ti puniscono lasciandoti lì a vedere almeno 192 ore di film,
conscio del tuo grandissimo errore, tipo punizione. Poi ti fanno
uscire.
Se invece lo guardi e l’ultimo
giorno dici ‘noooo ne vorrei ancoraaaaaaa, vi prego, alte 340
ore di film così’ viene proprio Lav Diaz e ti schiaffeggia,
urlando:
“Bobo, pelikula na ito ay isang
pagsusugal bahagya man ang aking mga kaibigan
Pilipino sa bar. Nawala ko at ito ay ang iyong kasalanan,
titi baliw. Pumunta sa paghahanap para sa puki bilang lahat ng tao
ay!”
Che in filippino significa:
“Coglione! Sto film era na
scommessa al baretto co gli altri amici filippini, avevo detto che
non sarebbe sopravvissuto nessuno. M’hai fatto perdere, disturbato
maniaco che noi sei altro. Vai a figa come tutti!”
Dicono che questo dura meno, ma io
non me fido. Me vedo gli altri film in programma e se va male me la
prendo con Rauco, che gli vogliamo tanto bene ma se guardo anche un
solo film utile come i video di Gianluca Vacchi allora siuo che ti
hackero il canale YouTube.
Tornando a bomba a Sorrentino, io
quest’anno non vedo l’ora di vedere la serie, non vedo l’ora di
vedere Malick, Kim Ki-Duk, Ciafrance, Ozon, Andrei
Konchalovsky ma mammamia che bel programma.
Certo dentro ce sta
pure Muccino, ma forse era un pacchetto all-inclusive, gli altri
registi hanno detto ‘veniamo solo se c’è quer matto di Gabriele che
se pija a parolacce cor fratello, sai come se tajamo che al lido
non succede mai niente, mai ‘na gonna che si alza, mai un
DiCaprio che perculi Lady Gaga,
cose così.
Ma poi lo sapete? C’è anche
Emir Kusturica! Che tanto come al solito tutti lo
scambiano per Goran Bregovic e daje a ride quando
arrivano in sala col birrino pronti a pogare e invece niente, mai
una gioia. Però se fate i bravi Kusturica nei titoli di coda vi
canta
‘La musica balcanica ci ha rotto i coglioni
è bella e tutto quanto ma alla lunga rompe i coglioni
Certo ne avrei senz’altro tutta un’altra opinione
se fossi un balcanico, se fossi un balcone
ma siccome non sono croato né un balcone balcano
io non capisco perché tutti quanto continuano insistentemente a
suonare questa musica di merda’
(Il complesso del primo
maggio, Elio e le storie tese)
Si scherza ragazzi, questo racconto
cazzone è frutto della fantasia di una che ha fatto poche ferie e
questo weekend dovrà fare Tetris con la roba da ficcare in una
valigia troppo grande, al solito, per un viaggio che alla fine ci
piace e ci sembra – nonostante tutto – sempre troppo breve. Ma per
tenervi compagnia, insieme a Ang, questo e altro. So che ci
tenete.
Ci vediamo a Venezia!
(Vi)
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