Dopo Respiro e
Nuovomondo, Emanuele Crialese
torna alla regia – ma firma anche soggetto e sceneggiatura – con
Terraferma, conquistando la Giuria di Venezia
2011, che gli assgna il Premio Speciale.
Riannoda i fili con la sua
precedente cinematografia il regista romano di origini siciliane:
l’incontro/scontro col diverso, l’altro, lo straniero; il tema
della migrazione, ma anche il racconto dell’Italia e degli
italiani, per indagare come eravamo, come siamo e quale
futuro stiamo costruendo. Perciò, se con
Nuovomondo ci aveva ricordato il nostro passato di
migrazione verso l’America, suggerendoci in prospettiva una lettura
del fenomeno migratorio oggi, con Terraferma si
mantiene su questi temi, muovendosi però nella stretta
contemporaneità.
Siamo in Sicilia, a Linosa, dove
d’estate dal mare, elemento principe del cinema di Crialese,
arrivano due tipologie di esseri umani a scardinare gli equilibri,
già precari, di una piccola comunità di pescatori: sono turisti e
clandestini. Due opposti, due facce della stessa medaglia: il
benessere, che si manifesta attraverso un turismo di massa spesso
arrogante e ottuso, ma ormai quasi unica risorsa per gli isolani.
E, all’altro estremo, la disperazione, la povertà, che spingono i
migranti a inimmaginabili epopee pur di tentare l’approdo a una
nuova terraferma e a una nuova vita.
Crialese riesce a
fotografare in maniera non banale, né semplicistica questi due
fenomeni, in particolare la situazione che l’Italia vive, essendo
uno dei primi approdi europei dei clandestini provenienti
dall’Africa. Una situazione affrontata a livello istituzionale con
la politica dei respingimenti in mare, di cui il film denuncia i
limiti pratici e non solo. Il regista mostra gli isolani posti di
fronte a scelte paradossali in un contesto già complicato, in cui è
alto il rischio di alimentare paura e diffidenza verso gli
immigrati, verso un”altro da noi” col quale dovremmo invece
imparare a confrontarci.
Tutto ciò è esemplificato in
maniera non didascalica, ponendo i protagonisti “nell’occhio del
ciclone”. In quanto pescatori al largo delle coste siciliane,
infatti, essi affrontano in prima persona il problema degli
sbarchi e del soccorso in mare dei migranti. Ognuno lo fa secondo
il suo punto di vista. Ne nasce uno scontro di visioni opposte, in
cui si specchia anche il mutamento del Paese attraverso le
generazioni. Se infatti la generazione dei nonni, come
Ernesto/Mimmo Cuticchio che sembra uscito da un
romanzo verista, non può e non vuole derogare al codice di valori
in cui è cresciuto, che impone soccorso e solidarietà, i
quarantenni sembrano avere altri punti di riferimento, altri
parametri.
Il figlio di Ernesto, ad esempio,
ben interpretato da Giuseppe Fiorello, ha puntato
tutto sul turismo e vede i clandestini come una minaccia ai propri
affari. Sua cognata Giulietta – una efficacissima Donatella
Finocchiaro – vorrebbe essere solidale da un lato, ma
dall’altro teme le conseguenze di gesti illegali per tutta la sua
famiglia. Comunque anche lei, vera protagonista del film, è ben
cosciente dei mutamenti sociali in atto e determinata a scrollarsi
di dosso il passato, a cambiare vita. Non vuol essere una moderna
Penelope. È una donna forte – come sempre le donne di Crialese –
che la Finocchiaro interpreta con intensità e aderenza, impegnata a
garantire un futuro diverso a sé stessa e a suo figlio
Filipo/Filippo Pucillo. Quest’ultimo, ventenne,
sta cercando di capire chi è, chi vuole diventare e l’esperienza
che vivrà sarà decisiva per lui.
Non è manicheo lo sguardo di
Crialese sugli italiani in questo film. I
personaggi sono complessi e ritratti con vivido realismo.
Quelli positivi vi potranno stupire con il loro lato oscuro, mentre
con quelli più antipatici forse finirete per solidarizzare (a
proposito, troverete anche
Claudio Santamaria, insolito nei panni di un
odioso finanziere). Un discorso a parte occorre fare, perché tutto
si fa più asciutto ed essenziale, quando la macchina da presa si
concentra sui migranti e il regista punta al cuore del pubblico:
primi piani di sguardi intensi, fieri e dignitosi. Volti, mani,
corpi, difronte ai quali ogni commento è superfluo.
Coadiuvato da un’ottima fotografia,
lo sguardo si sofferma poi con grande cura sulla natura di
Linosa e, diffusamente, sull’elemento acquatico, che è
l’altro protagonista della pellicola, portatore di novità, dove
tutto ha inizio e tutto termina. Il film, nelle sale dal 09
settembre, è una coproduzione Cattleya e Rai Cinema.