Ritorna al cinema il franchise di
Resident Evil, tratto dall’omonimo video gioco che ha incassato più
di qualsiasi altra trasposizione nella storia recente, e lo fa con
questo quinto e spettacolare capitolo, dal titolo Resident
Evil: retribution, ancora una volta scritto e diretto da
Paul W. S. Anderson, fautore della saga insieme
alla moglie, conosciuta sul set del primo capitolo, Milla Jovovich.
Il T-virus mortale della società
farmaceutica Umbrella Corporation continua a devastare la Terra,
trasformando la popolazione mondiale in legioni di zombie affamati
di carne umana. Alice (Milla
Jovovich), l’unica e ultima speranza per la razza
umana, si risveglia all’interno della struttura segreta della
Umbrella e svolgendo indagini approfondite, scopre alcuni segreti
del suo misterioso passato. Senza un rifugio sicuro, Alice continua
a cercare i responsabili dell’epidemia; un viaggio che culminerà
con una sconcertante rivelazione che la costringerà a rimettere in
discussione tutte le sue certezze.
Come recita in maniera perentoria e
anche un po’ ripetitiva la stessa trama del film, la Umbrella
Corporation continua a distruggere la Terra (come se fosse ancora
rimasto qualcosa da distruggere) e come ogni volta Alice è pronta a
combattere contro tutti e tutto.
Se nel primo capitolo erano solo
degli zombie, poi nel secondo è diventato Nemesis, e ancora nel
terzo zombie mutati geneticamente, ora è la volta di un vero
e proprio mostro da laboratorio, sullo sfondo una guerra
apocalittica in fondo a un oceano ghiacciato. Definire surreale la
trama di questo film suonerebbe quasi come un eufemismo, ma
considerato che gran parte della saga è sviluppata su una trama
molto precaria e a tratti contraddittoria, passeremo subito al
punto forte del film, ovvero la spettacolarità di alcune delle
sequenze che forma questo quinto capitolo.
Resident Evil: retribution
Questa volta la messa in scena è
completamente dedita al 3D che indubbiamente conferisce alla
pellicola ulteriore carica spettacolare, invadendo completamente lo
schermo e lo spettatore. Il film è comunque un infinito ripetersi
di azione e fughe che culminano con un tentativo, fin troppo timido
di riallacciare i rapporti con l’intera trama della saga che rimane
comunque molto abbozzato, finendo per diventare solo un pretesto
per dar vita probabilmente ad un sesto capitolo.
In ogni caso, Resident
Evil: retribution è un buon condensatore di
intrattenimento e scene spettacolari, che se non soddisfano gli
spettatori più pretensioni, certamente faranno la gioia di coloro
che cercano lo spettacolo puro ed un effetto stereoscopico
invasivo.
L’Ultimo
Inquisitore è il film del 2006 diretto da Milos
Forman con protagonisti nel cast Natalie
Portman, Javier Bardem e Stellan Skarsgard.
Trama di L’Ultimo
Inquisitore: Spagna, anno 1792. Gli echi della rivoluzione
francese giungono sempre più minacciosi nel regno di Carlo IV
(Randy Quaid) dove soprattutto il clero vede nei giacobini una
minaccia per la propria stessa sopravvivenza.
Ad agitare vescovo e alti prelati
sono anche le irrisorie incisioni del pittore Goya (Stellan
Skarsgard) che si diverte ad ironizzare sulla lussuria e
la corruzione che domina tra i più facoltosi uomini di chiesa. Goya
è visto con ancor maggior timore in quanto divenuto da poco pittore
di corte particolarmente apprezzato dalla regina Maria Luisa di
Borbone (Blanca Portillo) che verso di lui prova
una particolare stima.
E’ per fronteggiare questa
dilagante sfiducia ed un progressivo scetticismo verso la chiesa
che padre Lorenzo (Javier Bardem) proporrà di
ripristinare un regime di rigida e spietata fermezza verso tutte
quelle forme di eterodossia che hanno portato ad una progressiva
degenerazione dei costumi.
La prima vittima di questo
risveglio di oscurantismo da parte del Santo Uffizio sarà la
giovane e bellissima Ines Bilbatùa (Natalie
Portman) figlia di un nobile e ricco cattolico. Vista
rifiutare, al tavolo di una locanda, un piatto di maiale, Ines sarà
accusata di praticare il giudaismo ed una volta entrata tra le mura
del Santo Uffizio sarà impossibile per lei dimostrare la sua
innocenza.
L’arresto della ragazza sarà un
trauma non solo per la sua famiglia ma anche per lo stesso Goya che
aveva nella giovane ed incantevole fanciulla la sua musa
ispiratrice; entrato in contatto con padre Lorenzo a cui stava
eseguendo un ritratto, Goya chiederà a lui di intercedere per Ines
ma il viscido e sinistro prelato non solo non farà nulla ma ne
approfitterà per abusare della giovane tra le segrete delle
prigioni.
Intanto sullo sfondo della vicenda
la storia fa il suo corso e in questa convulsa fase storica il
contesto politico muta con incredibile velocità; al governo
rivoluzionario in Francia si sostituisce il consolato e Bonaparte
prende in mano le redini del paese. Iniziano gli anni delle
conquiste napoleoniche che assoggettano mezza Europa in nome degli
ideali rivoluzionari e anche la Spagna cade sotto le baionette dei
soldati francesi. Con il cambiare dello scenario politico anche i
nostri protagonisti assumeranno e ricopriranno ruoli diversi come
attori di una commedia dell’assurdo.
L’Ultimo Inquisitore
Analisi:L’ultimo inquisitore– The Goya’s ghosts,
è un film del 2006 diretto da Milos Forman,
maestro del cinema mondiale, tratto da un soggetto scritto dallo
stesso Forman in collaborazione con Jean-Claude
Carriere.
Forman disegna un incredibile
affresco storico che racchiude una breve quanto convulsa e mutevole
parentesi che coinvolse l’Europa e la Spagna in particolare tra il
1792 e i primi anni dell’800, un lasso di tempo relativamente breve
in cui accaddero cambiamenti epocali.
All’interno di questo contesto
tumultuoso ed in continua evoluzione ecco la triste e drammatica
vicenda della giovane Ines, vittima innocente della follia
dell’uomo e soprattutto di una chiesa che ancora credeva di poter
legare a sé i propri fedeli con la violenza ed il timore di
Dio.
Quello che più piace di questo film
è indubbiamente il modo con cui vengono tratteggiati i
personaggi che, grazie anche a notevoli interpretazioni, regalano
figure forti e al contempo incisive e ben definite. Javier
Bardem è al solito straordinario nell’interpretare un
personaggio sinistro, negativo, squallido nella sua doppiezza e
volubilità, un uomo senza ideali pronto a vendersi a chi detiene lo
scettro del potere, una sorta di allegoria del tempo (ma anche
molto attuale). Importante anche l’interpretazione di
Stellan Skarsgard il quale fornisce con grande
efficacia l’immagine di un Francisco Goya dotato di grande sarcasmo
e al contempo di grande umanità. Bravissima anche e soprattutto
Natalie Portman che alterna una serie di personaggi sempre diversi
ed estremamente complessi che attraversano la storia con immutata
grazia e personalità.
Se non possiamo eccepire nulla
sulla confezione stessa del film, dai costumi alla meravigliosa
scenografia per arrivare alla raffinata fotografia diretta dal
bravissimo Javier Aguirresarobe, ci sentiamo di avanzare delle
riserve sulla struttura narrativa, sulla sceneggiatura.
La prima metà
de L’ultimo inquisitore è indubbiamente
la migliore: tensione, intensità, sequenze che si susseguono con
una carica sempre maggiore di mistero e drammaticità, una
drammaticità che è solo prevista, ipotizzata, attesa come qualcosa
di imminente.
Nella seconda parte il film si
perde in un improbabile intreccio narrativo che smorza notevolmente
la carica emotiva della vicenda principale, cedendo oltretutto a
soluzioni e svolte poco probabili se non poco credibili. La storia
principale smarrisce la strada maestra confondendosi nella
caoticità degli eventi storici, troppi per un solo film.
E con la storia anche i personaggi
che avevano tanto attratto perdono fascino e credibilità e di
conseguenza il film stesso perde spessore. Un peccato non aver
continuato sul percorso tracciato nella prima parte, non aver dato
compimento ad una storia che aveva delle buone basi ma aver
preferito inglobare troppi accadimenti, l’aver sommerso la
narrazione principale sotto uno tsunami di eventi storici che non
hanno lasciato che il relitto di una sceneggiatura troppo
confusionaria.
Nato il 4 luglio è
un film del 1980 diretto dal regista
Oliver Stone e con protagonisti nel
cast Tom Cruise, Willem Defoe, Tom Berenger, Caroline
Kavae Raymond Barry.
La Trama di Nato il 4
luglio : Stati Uniti, 1967. Ron Kovic (Tom
Cruise) è un giovane americano modello: faccia pulita,
bravo studente, campione negli sport, un lavoretto come commesso
dopo la scuola, educato e pieno di vita, l’orgoglio di una famiglia
ferventemente cattolica.
Quando il sergente Hayes
(Tom Berenger) si presenta nella sua scuola per
convincere i giovani studenti ad arruolarsi per partecipare alla
guerra contro i vietcong comunisti ecco che nella testa di Ron
scatta la scintilla; senza sentire niente e nessuno decide di
partire come volontario nel corpo dei marines.
Dopo quasi un anno di servizio
trascorso a combattere i vietcong, Ron viene colpito alla spina
dorsale, e non sente più le gambe. I mesi trascorsi in un
agghiacciante ospedale militare non ridaranno mai più l’uso degli
arti inferiori al nostro protagonista che dovrà quindi tornare a
casa, nella sua piccola provincia americana, seduto su una sedia a
rotelle, da ora inseparabile compagna di vita.
Nato il 4
luglio
Iniziano mesi terribili per Ron e
per la sua famiglia; accudito con amore ed affetto dal padre
(Raymond Barry) Ron si scontra invece con il
perbenismo della madre (Caroline Kava) che quasi
si vergogna di quel figlio storpio e così diverso dal bravo ragazzo
che era.
Nottate trascorse ad ubriacarsi, a
bere in continuazione per dimenticare la realtà, per fuggire da
quell’incubo quotidiano reso ancora più amaro dal constatare
l’indifferenza e, ancor peggio, l’avversione che accompagna i
reduci come lui nella società americana che ha trovato al suo
ritorno.
Inizia un lungo percorso interiore
che lo porterà in una comunità di reduci in Messico, a Villa Dulce,
dove una prostituta e soprattutto uno svitato compagno di bevute
(Willem Defoe) gli faranno ritrovare
quell’equilibrio perduto, dandogli il coraggio di svuotare il suo
animo anche dei più reconditi segreti.
Inizia così per Ron Kovic una nuova
vita che farà di lui uno dei più convinti e accaniti sostenitori
della pace, uno dei leader di quei movimenti contrari a quella
guerra in cui tanto credeva.
Analisi:Nato il 4 luglio è un
film del 1989 diretto magistralmente da Oliver
Stone, uno dei film più riusciti del regista americano e
pietra miliare tra quelli incentrati sul tema della guerra del
Vietnam. La sceneggiatura prende spunto dall’omonimo romanzo
autobiografico scritto proprio da Ron Kovic, il personaggio
interpretato splendidamente da un giovanissimo Tom Cruise.
Nato il 4
luglio è un film di un’intensità rara e incredibile
che tiene lo spettatore incollato allo schermo dalla prima
all’ultima sequenza in cui la tensione emotiva è sempre a livelli
altissimi. Un film intimo, crudo ed emozionante, capace di
impressionare, commuovere e stimolare in profonde riflessioni.
La storia di Ron Kovic è la storia
di uno dei tanti giovani americani che sono partiti per il Vietnam
convinti di fare la cosa giusta per se stessi e per il loro paese
ma che l’orrore della guerra prima e il decorrere dei fatti poi ha
condotto verso una progressiva presa di coscienza di quanto quella
guerra fosse sbagliata. Nel film Oliver Stone pone l’accento su una quantità di
temi correlati al conflitto asiatico che rendono la narrazione
ricca e completa: su tutti il dramma dei reduci, l’incredulità e lo
sbigottimento di giovani partiti da eroi e tornati tra sputi e
insulti.
Quindi l’ipocrisia e la falsità
della società americana che si vergogna dei propri giovani soldati
tornati con qualche arto in meno e seduti su cigolanti sedie a
rotelle; un’ipocrisia personificata mirabilmente nella figura della
madre, che mentre riabbraccia il figlio tornato dalla guerra si
preoccupa con lo sguardo di cosa possano pensare i vicini del
quartiere.
Ma Nato il 4
luglio è soprattutto la storia di un viaggio. Il viaggio
interiore che il giovane Ron vive dentro se stesso e che lo
porterà, dopo un’incredibile sofferenza, a prendere atto di se,
della propria nuova condizione e di tutto quello che lo circonda.
Il percorso che inizia con quell’arruolamento volontario e termina
con il suo primo intervento ad un congresso democratico in nome
della pace simboleggia la maturazione non solo di un singolo ma,
forse, di un intero popolo che realizza quanto sia stato sbagliato
sporcare le mani dei propri giovani col sangue di poveri contadini
lontani migliaia di chilometri.
Alla prima interpretazione in un
ruolo drammatico, Tom Cruise è impeccabile nella
parte del giovane americano modello prima e ancor più in quella del
disperato e sbandato reduce paralitico poi. Un’interpretazione
intensa, commovente e coinvolgente che domina su un film comunque
arricchito da altre straordinarie interpretazioni; su tutte
sottolineiamo quella dell’affettuosissimo padre di Ron, un
bravissimo Raymond Barry, e soprattutto quella
incredibile di Willem Defoe semplicemente perfetto
nel ruolo del reduce arrabbiato e deluso che impreca contro tutto e
tutti.
Nato il 4 luglio è
un film meraviglioso che più di ogni altro riassume e sintetizza
l’epopea americana in quello che è stato il suo più grande dramma
moderno della storia recente; una guerra del Vietnam raccontata non
attraverso i combattimenti, le marce nella giungla o i
bombardamenti al napalm, ma vista dal prospetto della società
civile, delle famiglie colte da quel dramma e dei giovani reduci in
lotta per riaffermare la loro dignità.
Nato il 4 luglio, il
libro
Nato il 4 luglio
(Born on the Fourth of July) è basato sul libro,
autobiografia scritta e pubblicata da Ron Kovic nel 1976.
Ron Kovic è un giovane
americano nato il 4 luglio 1946 da una famiglia di
religione cattolica e di sentimento tradizionalista. Nel 1964,
ispirato dal presidente John Fitzgerald Kennedy,
Ron, all’età di 18 anni, si arruola volontario nel corpo dei
Marines, desideroso di servire la patria come i suoi antenati nella
guerra di indipendenza americana e nelle guerre mondiali.
Nell’ottobre 1967, con il grado di sergente, viene destinato a
partire per la guerra del Vietnam, dove scopre la cruda realtà
della guerra, unita anche al rimorso dopo aver ucciso
accidentalmente un suo commilitone nel corso di una feroce
battaglia in un villaggio pieno di civili innocenti uccisi.
Il 20 gennaio 1968 viene ferito
gravemente alla spina dorsale durante un’imboscata, perdendo di
conseguenza l’uso delle gambe e costretto in sedia a rotelle.
Tornato in patria e decorato con la Bronze Star Medal, Ron,
paralizzato e impotente, avendo difficoltà d’inserimento decide di
dedicarsi all’attivismo pacifista e confrontarsi con gli orrori
della guerra, finendo varie volte arrestato in varie manifestazioni
di protesta nonostante in sedia a rotelle.
Nel corso dell’estate che segna il
passaggio dalla scuola media al liceo, la scoperta della sessualità
e una realtà sempre più scomoda le porterà verso nuove direzioni,
alcune inaspettate. Stefano Mordini, noto regista
di documentari, dirige e scrive assieme a Giulia
Calenda e Silvia Avallone,
Acciaio, trasposizione di uno dei più grandi
successi letterari italiani degli ultimi anni.
In Acciaio Anna e
Francesca hanno tredici anni e vivono a Piombino, città in cui la
realtà dell’acciaieria Lucchini sembra essere l’unica possibilità
di vita. Sognano un giorno di poter cambiare le loro esistenze, ma
in realtà desiderano soltanto lasciarsi alle spalle una vita fatta
di famiglie spezzate. Al lato opposto c’è Alessio, fratello di
Anna, operaio amante del suo lavoro, saldo nei suoi principi,
innamorato da sempre di Elena, che ritorna in città dopo aver avuto
altre esperienze lavorative, nonostante sia passato tanto tempo, i
due non si sono mai dimenticati.
Acciaio è stato
presentato per la prima volta durante la 69°
Mostra del Cinema di Venezia nelle Giornate degli
Autori e porta sullo schermo la realtà di questa fabbrica
senza però scendere nelle relazioni umane associate a questo
lavoro, molto più forte è la situazione delle due ragazze che si
ritrovano ad attraversare e crescere in questo mondo
operario, soffrendo nel relazionarsi con quest’ultimo e quindi
trovarsi a vivere un “adolescenza a metà potenziale”.
Acciaio punta sulle due esordienti Matilde
Giannini e Anna Bellezza cambiando così lo sguardo e la
profondità che aveva la fabbrica nel libro. Il regista ci tiene a
mostrare la realtà e le domande delle ragazze, però sottovalutando
la realtà in cui vivono i giovani operari toscani e su cui si
basano molte realtà limitrofe riducendo, così, il tono che porta
con sé il libro.
Acciaio, il film
Inoltre poco accennato è il ritorno
sul grande schermo della classe operaia che prende bene le distanze
dall’ideologia politica ed inquadra esclusivamente la vita di
Alessio (Michele
Riondino – Dieci Inverni) un ragazzo (ormai) padre di famiglia
cresciuto con dei valori ed appassionato del suo lavoro, da
apparire quasi un eroe anomalo, perché sembra accontentarsi della
sua vita senza ambizioni, dall’esistenza quasi leggera ma bella
anche se continuamente precaria. Altro personaggio sfuggente e poco
approfondito è Elena (Vittoria
Puccini – Magnifica Presenza) che pur trovandosi in una
situazione privilegiata, lontana dalla fabbrica e della sua vita
dura ne è coinvolta emotivamente, un personaggio che scappa dalla
città e che riflettere troppo velocemente sulle ipotesi di un
futuro che non deve essere per forza altrove. Una donna indecisa e
sbilanciata rispetto alle giovani adolescenti, che sembra non avere
né la forza né il coraggio di decidere della sua vita.
Quindi anche se vediamo la fabbrica
sin dai titoli di testa che con la sua attività incessante cerca di
riflettersi con delle immagini-metafore nelle storie coinvolte
nella pellicola, (il fuoco che plasma la materia prima di
solidificare) queste vite in realtà sono troppo fragili per
sostenere tutto il processo, anche quello del film. Anche se lo
stile e il tono di regia sono delicati e rispettosi senza lasciarsi
andare a banalismi, c’è sempre il rischio del fraintendimento o
della doppia lettura, segnato forse da delle azioni poco incisive
per personaggi così complessi.
“Dopo Gomorra volevo fare un
film diverso, cambiare registro e così ho provato a fare una
commedia.”
Esordisce così in conferenza stampa
il regista Matteo Garrone, che oggi a Roma a
presentato il suo ultimo film, Reality, in concorso al
Festival
di Cannes e Gran premio della Giuria, presieduta da Nanni
Moretti.
Ecco alcune foto rubate dal set di
uno dei due prossimi film di Terrence Malick, quello ancora senza
un titolo che ha trai protagonisti il lanciatissimo Ryan Goslinge
il folletto oscuro di Fincher Rooney Mara, in queste foto quasi
irriconoscibile in confronto con l’aspetto della sua Lisbeth
Salander.
Sul set vediamo anche attivo e
apparentemente molto in forma, il caro Terry che segue da
vicinissimo i suoi due giovani attori.
Fonte: Collider – Foto: JustJared
Si ringrazia il nostro lettore Giovanni De Simone,
Presentato in concorso al Festival
di Cannes 2012 e vincitore del Gran Premio della
giuria arriva nelle sale il nuovo film di Matteo
Garrone (Gomorra), fra i pochi in Italia ad essere
autore di un cinema capace di raccontare storie personali ma allo
stesso tempo raggiungere ampio respiro e grandi platee. Non è da
meno quest’ultimo lavoro, Reality, un racconto
fortemente radicato nel territorio e sul filo del rasoio fra realtà
e sogno, fra aspirazioni e illusioni, fra contorni fiabeschi e
grande virtuosismo registico.
Reality racconta
una storia semplice: Luciano è un pescivendolo napoletano che per
integrare i suoi scarsi guadagni si arrangia facendo piccole truffe
insieme alla moglie Maria. Grazie a una naturale simpatia, Luciano
non perde occasione per esibirsi davanti ai clienti della pescheria
e ai numerosi parenti. Un giorno, spinto dai familiari, partecipa a
un provino per entrare nel Grande Fratello. Da quel momento la sua
percezione della realtà non sarà più la stessa.
Reality, il film
Nella sua semplicità, quello che
colpisce di Garrone è senza dubbio la capacità di mettere in scena
una storia dalle innumerevoli sfumature e dai connotati di grande
cinema, e nello stesso tempo capace di affrontare una riflessione
sincera, umile ed innocente su un paesaggio contemporaneo e su un
contesto sociale forse troppo legato alle apparenze e alle
illusioni, allontanatosi troppo in fretta dai valori veri e dalle
emozioni reali. Un paesaggio che assuefatto dalla società di
consumi perde la testa e smarrisce la strada, perdendosi negli
inganni e nei trabocchetti di una macchina divoratrice di sogni e
di speranza. Ma la favola descritta dall’autore è anche qualcosa di
estremamente leggero, tanto da diventare un viaggio attraverso i
meandri di un giovane Pinocchio che ben presto dovrà fare i conti
con il grillo parlante e con la realtà della sua esistenza, fatta
di una famiglia e di amici che lo amano e che lo sostengono
anche e soprattutto nei momenti difficili, peccando forse
d’ignoranza, ma diventando un parafulmini infallibile dalle saette
della “macchina del consumo” grazie alla loro innocenza.
Reality ancora una
volta è girato magnificamente, con sorprendenti piani sequenza, che
confermano la grande padronanza del linguaggio del regista,
sottolineati e raffigurati in uno splendido gioco di luci e ombre
che è l’ultima fotografia del grande Marco
Onorato. Da menzione speciale in fine è la “favolosa”
partitura di Alexander Desplat che sostiene la
messa in scena del regista e portano il film in una dimensione
fiabesca di grande fattura, com’è del resto anche l’interpretazione
di tutto il cast principale. Se bisogna trovare un neo a questa
pellicola è forse nel ritmo che presenta i punti di debolezza,
generati prevalentemente da una sceneggiatura a tratti ridondante
che tuttavia, non impedisce alla spettatore di arrivare nella
splendida sequenza finale, un vero fiore all’occhiello del cinema
contemporaneo.
La piccola Cosette è protagonista
del nuovo poster di Les Miserables. L’addatamento cinematografico
del famoso musical tratto dall’omonimo romanzo di Victor Hugo
uscirà sui nostri schermi all’inizio del 2013:
Sylvester Stallone aveva progettato un
Rambo 5 sottotitolato The Savage Hunt, uno nuovo film della serie
dove il protagonista andava lala ricerca di una creatura semiumana
frutto dell’ingegneria genetica,
Ecco il trailer
di Promised Land, nuovo film di Gus
Van Sant con protagonista Matt Damon. La
pellicola è basata su di John Krasinski,
inizialmente sviluppata dallo scrittore Dave
Eggers
Ecco la prima foto di Hugh Jackman
nei panni di The Wolverine nel nuovo adattamento. La pellicola
ariverà
nell’estate2013 in
Italia con il titolo THE WOLVERINE, il film,
distribuito dalla 20th Century Fox, che vede il ritorno di Hugh
Jackman nei panni del più famoso mutante della Marvel.
Basato sul celebre arco narrativo a
fumetti, in The Wolverine troviamo Logan, il guerriero
eterno, in Giappone. Lì, l’acciaio dei samurai si scontrerà con gli
artigli d’adamantio, mentre Logan affronterà una misteriosa figura
dal suo passato, in un’epica battaglia che lo cambierà per
sempre.
Dal 27 al 30
settembre 2012 la Casa del Cinema di Roma ospiterà il
MOVIEMOV ROMA_ASIAN NEW WAVE, diretto da Goffredo
Bettini e realizzato dalla A.C. Playtown
Prorogato fino al
15 ottobre il termine ultimo per partecipare al
Concorso di cortometraggio in omaggio a Michelangelo
Antonioni, nel centenario della sua nascita, dal titolo
“Omaggio a Michelangelo Antonioni”,
E’ finita la stagione estiva, e
si vede. Il box office di questa settimana dei film più visti nelle
sale americane è completamente rimescolato e pieno di nuove uscite
tra i primi posti. End of watch in cui Jake
Gyllenhall veste i panni di un poliziotto minacciato di morte dal
cartello della droga, si posiziona infatti in prima posizione, con
un incasso di 13 milioni di dollari. Alla regia, David Ayer, che di
storie di poliziotti, più o meno corrotti ma comunque nei guai è un
esperto, avendo scritto Training day, film di
Antoine Fuqua con Denzel Washington e Ethan Hawke. In seconda
posizione si ferma, a parimerito, House at the end of the
street, con appunto un incasso di 13 milioni di dollari e
con protagonista Jennifer Lawrence, reduce dal successo di
Hunger games. Il terzo posto è occupato
dall’apparente versione ottuagenaria di Moneyball
con Brad Pitt. Anche in The trouble with the curve
il protagonista è un allenatore di baseball che però ha le
sembianze di Clint Eastwood, il casta è interessante, visto
che sono presenti anche Amy Adams e Justin Timberlake. Il film ha
incassato poco meno dei primi due in classifica: 12,7 milioni di
dollari. In quarta posizione troviamo la versione
rimasterizzata ed adattata al 3D di Finding Nemo,
che incassa 9 milioni di dollari, per arrivare ad un totale di
30. Al quinto posto scende in picchiata Resident Evil:
Retribution, ultimo capitolo della saga decennale, che
forse inizia un po’ a stancare. Il film ha incassato quasi 7
milioni di dollari, portando il suo totale a 33. In sesta
posizione troviamo il remake di Dredd, in versione
3D, in cui Karl Urban prende il posto di Stallone come Judge Dredd,
un’operazione, che, visti i risultati di Total
recall, altro classico anni ’90 rifatto quest’anno, non
sembra funzionare moltissimo. Il film incassa 6 milioni di
dollari. Il settimo posto è occupato dall’atteso film su
Scientology (apparentemente) di Paul Thomas Anderson, The
master, con Joaquin Phoenix e Philip Seymour Hoffman
freschi vincitori a parimetrito della coppa Volpi per
l’intepretazione maschile all’ultimo Festival di Venezia. Il film ha incassato
6 milioni di dollari. L’ottavo posto è occupato dal film
horror The possession, che scende inesorabilmente
nel gradimento, incassando solo 2 milioni di dollari questa
settimana per un totale di 45. In nona posizione scende a
picco Lawless, con un incasso settimanale di 2
milioni di dollari che portano il suo totale a 34, dopo un mese in
sala e in classifica, chiude la classifica il film di animazione
ParaNorman che ha incassato 2 milioni di dollari
questa settimana portando il suo totale a 52.
La prossima settimana si
aspettano le uscite di: Hotel Transylvania, un
film di animazione russo, Looper, un film d’azione
con un cast di tutto rilievo: Joseph Gordon Levitt, Emily Blunt e
Bruce Willis e Won’t back down con Maggie
Gyllenhall.
Ne Sherlock 2×03
Il Professor James Moriarty non è un avversario comune: l’iconica
nemesi di Sherlock Holmes, assoldata da Sir Arthur Conan Doyle allo
scopo di eliminare un protagonista talmente famoso e amato da
essere divenuto scomodo e ingombrante, ha sempre affascinato la
cultura popolare ben oltre i limiti imposti dalla pagina scritta,
colpevole di aver esaurito la figura del villain nelle poche pagine
del racconto “The Final Problem”(presente nella raccolta
Le Memorie di S. H.); difficile trovare un adattamento che
abbia resistito alla tentazione di ampliare il più possibile la
storia del Napoleone del Crimine, per regalare ad Holmes uno
scontro degno di questo nome e portare sotto i riflettori le
leggendarie Cascate di Reichenbach, iconico luogo dove il Detective
sembra perire insieme al suo nemico e che fa venire i brividi a
tutti gli appassionati del Canone.
“Is the Napoleon of crime,
Watson. He is the organizer of half that is evil and of nearly all
that is undetected in this great city. He is a genius, a
philosopher, an abstract thinker. He has a brain of the first
order. He sits motionless, like a spider in the center of its web,
but that web has a thousand radiations, and he knows well every
quiver of each of them.” ( Sherlock Holmes, The Final Problem,
Arthur Conan Doyle).
Col terrorizzante nome di Moriarty
pronto a far capolino sin dal primo episodio, sapevamo che anche
per lo Sherlock della BBC il momento della resa
dei conti sarebbe presto arrivato: ciò che ignoravamo era che
Steven Thompson, terzo sceneggiatore della serie spesso considerato
la penna più debole del team(per alcune ingenuità in The
Blind Banker, suo precedente episodio), sarebbe stato in
grado di costruire la complessa architettura di un finale tanto
splendido ed efficace, pronto a sorprendere e commuovere come mai
prima.
Concepito come il lungo flashback
di un distrutto John Watson (Martin
Freeman) , ritornato da quella terapista che ben 18
mesi prima era stata resa inutile dall’incontro con Sherlock
(Benedict
Cumberbatch), The Reichenbach Fall
rompe gli indugi svelando subito ciò che fu per i primi lettori di
Doyle uno shock senza precedenti: Sherlock Holmes è morto,
lasciando l’amico John a sopportare il peso di un mancanza talmente
dolorosa e assurda da dover essere quasi rinnegata, come un brutto
incubo dal quale è ancora possibile svegliarsi (”You… you told
me once that you weren’t a hero.Umm, there were times I
didn’t even think you were human. But let me tell you this, you
were the best man, the most human… human being that I’ve ever
known, and no-one will ever convince me that you told me a lie, so
there. I was so alone, and I owe you so much. But, please, there’s
just one more thing, one more thing, one more miracle, Sherlock,
for me. Don’t be… dead. Would you do that just for me? Just stop
it. Stop this.).
Se il disappunto dei fan vittoriani
per la fine di Holmes fu tale da costringere il suo autore a
rimediare con una lesta resurrezione, oggi sappiamo per certo che
la salvezza del personaggio non è più in discussione, ma
continuiamo egualmente ad attendere questo momento con impazienza
non tanto preoccupati per il destino del Detective quanto per il
povero Dottore, lasciato nello sconforto e tenuto all’oscuro di un
disegno che puntualmente vorremmo rivelargli.
Sherlock 2×03, l’episodio
Eccoci allora 3 mesi prima
dell’evento, quando tutto sembra andare per il meglio e la fama di
Sherlock, indissolubilmente legata all’eccezionale ritrovamento del
quadro” Le Cascate di Reichenbach ” di William Turner (furbo
stratagemma per introdurre la location senza davvero utilizzarla),
è in costante ascesa. Quando le sorprendenti capacità di Holmes
sono ormai universalmente riconosciute Jim Moriarty (Andrew Scott)
torna in scena in grande stile, usando una misteriosa chiave
d’accesso per violare la sicurezza di tre dei luoghi più blindati
del Regno Unito: la Torre di Londra, la Banca di Inghilterra e la
Prigione di Pentonville restano improvvisamente prive di
protezione, mentre il Criminale attende comodamente l’arrivo degli
agenti sulla sedia dell’Incoronazione deciso a farsi arrestare.
Dopo un processo farsa che gli
rende la libertà in breve tempo, con la pazienza di un ragno (nelle
parole di Sherlock e dello stesso Conan Doyle) Moriarty continua a
tessere la sua tela per raggiungere l’obiettivo a lungo prefissato
di schiacciare l’avversario, non grazie a una rapida morte ma a una
totale e irreparabile distruzione della sua reputazione: Sherlock
Holmes è solo un impostore, l’uomo comune che ha assunto un attore
di nome Richard Brook per impersonare il ruolo di Moriarty,
null’altro che una persona ordinaria con manie di protagonismo alla
ricerca di notorietà; le capacità deduttive di Sherlock sono troppo
straordinarie per essere vere ed è più facile credere che non siano
mai esistite, piuttosto che accettare la realtà.
Dopo aver compreso
che la Corsa di Moriarty potrà fermarsi solo col suicidio del finto
Detective, pubblica ammissione di colpa per la grande menzogna
raccontata, Sherlock si presenta sul tetto del St Bartholomew’s
Hospital ed affronta il suo avversario, certo di poter scambiare il
codice di accesso a tutti i sistemi di sicurezza che ogni criminale
di Londra sta disperatamente cercando: auspicando un finale degno
delle sue aspettative Moriarty è pronto a rispondere ad arte
mettendo sotto tiro John, Lestrade (Rupert Graves)
e Mrs Hudson (Una Stubbs) per farli uccidere all’istante se
Sherlock si rifiuterà di saltare dall’edificio; per essere sicuro
che il suo avversario non possa risalire al comando necessario a
fermare i suoi cecchini, Jim Moriarty esce di scena sparandosi un
colpo alla testa, costringendo quindi Holmes a mettere fine alla
sua vita per salvare i suoi amici.
Precipitatosi sul posto dopo essere
stato allontanato dallo stesso Sherlock con uno stratagemma( qui è
un presunto incidente mortale a Mrs Hudson, sulla carta era la
malattia improvvisa di una Signora sconosciuta), John riceve una
straziante telefonata dall’amico: la confessione fra le lacrime di
aver mentito sin dall’inizio e un ultimo addio prima di saltare nel
vuoto sotto gli occhi atterriti del fido Watson.
La parola fine in Sherlock
2×03 sembra così scritta sulla lapide di Holmes,
suggellata dal saluto militare che John riserva al compagno
d’avventure che l’aveva salvato dalla solitudine: sopravvissuto
alla caduta in circostanze sconosciute Sherlock rimane in
disparte, guardando l’amico allontanarsi. C’era una volta un
detective brillante e solitario(“Alone is what I have, Alone
protects me”), talmente sicuro delle sue capacità da essere
disposto a rischiare la vita pur di provare la propria superiorità
intellettuale: il sociopatico iperattivo di A Study in
Pink sembra molto lontano dall’uomo che abbiamo visto in
The Reichenbach Fall, deciso a gettare via nome e
reputazione per seguire le ragioni del cuore.
Anche se privata della spettacolare
location delle Cascate, la soluzione del “problema finale” offerta
dalla seconda serie di Sherlock non solo conserva il fascino
dell’originale, ma piuttosto amplifica l’epicità dello scontro con
un intreccio ricchissimo, abile a mischiare le classiche trame
della lotta fra bene e male con le ambizioni di un thriller dal
sapore quasi Nolaniano: l’eroe getta la maschera e sacrifica il
simbolo positivo che incarna per proteggere un bene superiore,
mentre quel mondo che non era pronto ad accoglierlo sceglie di
abbracciare la menzogna solo perché è più facile convivere con la
mediocrità che con l’eccezione.
In una non troppo velata critica al
potere dei media e alle morbose manipolazioni della stampa (forse
il più eclatante punto debole di cui soffre il Regno Unito)
Thompson fa un balzo degno del miglior cinema di genere, riservando
al famigerato Genio del Crimine un congedo sconvolgente: molti
troveranno il suo suicidio una forzatura imprevista, ma quando
Moriarty comprende che Sherlock non è più un affascinante
Doppelgänger ed è pronto a mettere gli affetti al di sopra di
tutto, la sfida perde improvvisamente d’ interesse e la fine è
l’unica soluzione auspicabile(“ Every fairy tale needs a good
old-fashioned villain.You need me or you’re nothing.
Because we’re just alike, you and I, except you’re boring. You’re
on the side of the angels”).
La prova di
Andrew Scott, vincitore del BAFTA come migliore attore
non protagonista, è impeccabile, ma il controllo della scena rimane
ancora una volta ben saldo fra le mani del gigantesco Sherlock di
Benedict Cumberbatch: il suo addio a Watson, ancora
più straziante perché raccolto per telefono e non per lettera, è
una scena che porteremo nel cuore per molto tempo e dinanzi alla
quale le lacrime sono quasi inevitabili; dall’altra parte della
strada, un attonito
Martin Freeman completa l’episodio grazie a una
performance perfettamente in sintonia col suo personaggio, leale
fino alla fine contro tutto e tutti ( “I know you for
real”) e pur trattenuto dinanzi alla morte dell’amico,
costretto a lasciare che il contegno militare e la sua indole
introversa prendano il sopravvento per sopravvivere alla
sofferenza.
Sappiamo per certo che Sherlock è
sopravvissuto e che la dolce patologa Molly Hooper( Louise Brealey)
ha avuto un ruolo determinante(il Detective le chiede aiuto poco
prima di affrontare Moriarty), ma questo non rende la ferita meno
dolorosa: abbiamo bisogno che Sherlock e John tornino subito da
noi, di nuovo insieme, di nuovo uniti più che mai. Il countdown per
la terza serie, prevista per l’autunno 2013, è già iniziato.
Martedì 25 – The Story of the Film: Mark
Cousins regista e storico, adatta il suo libro dal medesimo titolo
in una 15 ore di esplorazione del cinema come arte, con una
prospettiva globale, dall’epoca del muto all’era digitale.
Mercoledì 26 –
Magical Mystery Tour: Per i nostalgici del gruppo musicale
più famoso del mondo, un lungometraggio che li vede protagonisti di
un tour canoro sullo sfondo del paesaggio inglese. Il film, del
quale i Beatles sono anche autori e registi, era stato richiesto
dalla televisione inglese nel 1967.
Venerdì 28 –
Reality: Luciano è un pescivendolo napoletano che per
integrare i suoi scarsi guadagni si arrangia facendo piccole truffe
insieme alla moglie Maria. Grazie a una naturale simpatia, Luciano
non perde occasione per esibirsi davanti ai clienti della pescheria
e ai numerosi parenti. Un giorno, spinto dai familiari, partecipa a
un provino per entrare nel “Grande Fratello”. Da quel momento la
sua percezione della realtà non sarà più la stessa.
Elles: Anne ha un
marito, due figli, una bella casa a Parigi. Anne è una giornalista
del magazine “Elle” per il quale ha recentemente condotto
un’inchiesta intervistando due studentesse che si prostituiscono.
L’incontro con la polacca Alicja e con la francese Lola (che poi le
rivelerà di avere un altro nome) la turba profondamente. Mentre un
mattino sta tentando di trasformare le interviste in un articolo e
intanto prepara la cena che vedrà come ospiti il capo del marito
con sua moglie, quanto confidatole in quegli incontri si rivela
sempre più perturbante.
Resident Evil:
Retribution: Il film precedente, sul ponte dell’Arcadia.
Ci sono 3 tipi di zombi: “Russians”, “Las Plagas” e quelli di
Tokyo. Il look degli zombie è più realistico questa volta, ce ne
sono di più ma si muovono in piccoli gruppi. Alcuni vecchi
personaggi, che erano morti, sono tornati in vita grazie
all’Umbrella, la quale lavora anche alla clonazione.
Appartamento ad
Atene: Nel 1943, ad Atene, un appartamento viene requisito
per ospitare un ufficiale tedesco. Nell’appartamento vivono gli
Helianos, una coppia di mezza età un tempo agiata. Hanno un ragazzo
di dieci anni, animato da melodrammatiche fantasie di vendetta, e
una bambina di dodici. Con l’arrivo del capitano Kalter, tutto è
cancellato. Metodico, ascetico, crudele, Kalter è un dio-soldato
che impone il terrore. E gli Helianos si sottomettono, remissivi.
Sono servi, adesso, senza altra identità che la loro
acquiescenza.
L’era glaciale 4 –
Continenti alla deriva: Manny, Sid, Diego, Ellie e Scrat
sono stati completamente ghiacciati, ma un museo dei giorni nostri
decide di esporre i nostri eroi non sapendo che in realtà sono
ancora vivi.
The Five-Year
Engagement: Tom e Violet si sono fidanzati ufficialmente,
ma il loro piani di matrimonio vengono regolarmente sconvolti da
qualche avvenimento che finisce col prolungare all’inverosimile il
periodo del loro fidanzamento.
Arriva al
cinema ParaNorman, il nuovo film in
stop-motion diretto da Chris Butler e Sam Fell e distribuito dalla
Universal Pictures. Nella piccola e tranquilla cittadina di Blithe
Hallow il giovane Norman Babcock non ha una vita semplice e felice.
Apparentemente normale ed uguale agli altri ragazzi, il nostro
Norman ha una dote non proprio convenzionale: può vedere e parlare
con gli spiriti…coloro passati a miglior vita.
Questa particolarità gli crea non
pochi problemi dovuti alla diffidenza e allo scetticismo della
gente; in casa deve sorbire le quotidiane ramanzine di un padre
disperato nel vedere un figlio tanto strambo oltre al dileggio da
parte di Courtney, una sorella alquanto altezzosa. Solo la madre
cerca di comprenderlo e giustificarlo pur palesando una certa
inquietudine verso le stranezze del figlio.
A scuola le cose non vanno di certo
meglio in quanto il nostro giovane protagonista è puntualmente
oggetto di scherzi e battute che hanno come ispiratore principale
Alvin, il classico bullo della scuola tutto muscoli e niente
cervello. E’ così a Norman non rimane che l’amicizia di Neil, un
ragazzino grassottello e pavido con cui condivide una solitudine
forzata.
Intanto a Blithe Hallow è prossimo
l’anniversario della morte di una terribile strega che duecento
anni prima lanciò una maledizione sul giudice e la giuria che
sentenziarono la sua condanna. Lo zio di Norman, uno svitato ed
eccentrico eremita, unico a riconoscere le capacità occulte del
nipote, lo avvertirà che solo lui è in grado di leggere la formula
per evitare il ritorno della strega pronta a invadere la tranquilla
cittadina con un piccolo esercito di zombie e dare così compimento
alla sua maledizione…sarà in grado il giovane Norman di salvare la
comunità?
In uscita nelle sale italiane dal
prossimo 11 ottobre, ParaNorman è l’ultimo
prodotto della premiata ditta Focus Feauteres e
LAIKA già note per il precedente successo di Coraline e La
porta magica. Come per Coraline anche per
ParaNorman assistiamo all’uso della tecnica
in stop-motion con la particolarità, non trascurabile, di vedere
combinata questa tecnica con la concezione stereoscopica ossia
fotografata in tredimensioni.
LAIKA ha una lunga
storia nello studio e nella sperimentazione animata in stop-motion,
basta ricordare che ha dato un contributo tecnico fondamentale ad
un altro lungometraggio, poi premiato con l’Oscar, La sposa
cadavere diretto nel 2005 da Tim Burton.
ParaNorman si propone quindi un risultato
ancora più sorprendente che, associando le due tecniche, ambisce a
realizzare un film in cui lo spettatore si senta davvero parte
integrante, protagonista in ogni singola sequenza.
Per chi non conoscesse la tecnica
stop-motion accenniamo semplicemente al fatto che fotogramma per
fotogramma gli animatori manipolano meticolosamente oggetti
tangibili, veri, reali (sia personaggi che parti della scenografia)
collocandoli su un piano di lavoro. Ogni inquadratura viene
fotografata e le migliaia di inquadrature sono poi proiettate in
sequenza animandosi in un movimento continuo. Questo per rendere
l’idea dell’enorme mole di lavoro affrontato dai tecnici e dalla
coppia di registi che hanno reso possibile questo film di
animazione: Sam Fell e Chris Butler.
Il risultato è indubbiamente
interessante e ammirevole. La tecnica stop-motion conferisce un
realismo agli oggetti così come ai personaggi che va oltre la
semplice animazione mentre la tecnica stereoscopica dovrebbe
aggiungere quel pizzico di magia di ultima generazione (essendo la
stop-motion una tecnica ben più datata). E qui sorgono i
nostri dubbi nel senso che il 3D non conferisce quel qualcosa in
più che ci aspetterebbe, non riesce a proiettarti dentro ad ogni
sequenza, non lascia una traccia particolarmente tangibile.
Riguardo la trama narrativa di ParaNorman
siamo in difficoltà nel catalogare questo film come un film
per bambini, essendo a nostro avviso più adatto ad un pubblico che
quantomeno parta dai 13-14 anni in su, sino agli adulti.
E’ vero che il mondo dell’horror
con i suoi mostri, i fantasmi e gli zombie qui viene esorcizzato
con una continua lettura comica e demenziale ma alcune sequenze
sono di una tensione eccessiva per un pubblico troppo giovane.
Quella di Norman è una storia semplice e non certo originale, la
storia di un ragazzo diverso che fatica ad essere accettato in una
società convenzionale e chiusa. Quindi la storia si inerpica su
sentieri più tortuosi in cui ad un certo punto si crea una sorta di
contrapposizione tra il mondo dei morti, gli zombie, e il mondo dei
vivi, non meno zombie e non meno inquietanti; questa è la sfumatura
che più ci è piaciuto sottolineare.
Il finale prende una tangente
eccessivamente complicata e confusa, dove si vuole mescolare un
insieme di luoghi comuni e sentimentalismi che ne riducono
l’incisività e l’immediatezza. In ogni
caso ParaNorman è indubbiamente un
interessante modello di animazione proposta con criteri tecnici
innovativi ed abbastanza efficaci, un film da vedere che sa far
ridere e persino spaventare, un film per grandi e piccini, anche se
non troppo piccini.
Se la vostra città subisse un
attacco da parte degli zombie, chiedereste sicuramente aiuto a
quello che vi sembra il ragazzino più sveglio e intraprendente del
luogo… e sbagliereste. Ve lo dimostrerà ParaNorman, il
nuovo film d’animazione della Laika Entertainment, nelle sale
italiane dal 12 ottobre. La pellicola, così come la precedente
Coraline e la porta magica, candidata all’Oscar nel 2010,
è girata con la tecnologia stop-motion e sarà distribuita anche
nella versione in 3D.
Un fantasy ‘ospedaliero’? No, più
semplicemente una commedia a sfondo socio-politico, tratta
dall’omonimo romando di Hector Tobar: questo il nuovo progetto
messo in cantiere da Daniel Barnz (Beastly, Won’t back down). Al
centro della storia, i Torres-Thompsons, una coppia di origini
messicane e statunitensi, che impiega come collaboratrice domestica
Araceli, immigrata illegale anch’essa messicana.
In seguito a una serie di
accadimenti, avviati da alcuni cattivi investimenti e proseguiti
con una causa relativa a un giardino lasciato incolto, i due,
all’insaputa l’uno dell’altra, decideranno di ‘scomparire’ per
qualche giorno, lasciando la domestica sola con i loro tre figli.
Non sapendo cosa fare, la giovane decide così di portarli dal loro
nonno messicano, proseguendo la catena di equivoci che prima le
costeranno un’accusa di rapimento e poi porteranno il caso sui
media, facendo esplodere addirittura tensioni razziali, in un clima
e in una concatenazione di eventi che ricorda in parte Il falò
delle vanità di Tom Wolfe. Nel frattempo, Barnz porterà a breve
sugli schermi Wont’ back down, con Maggie Gylenhaal e Viola
Davis.
Dopo aver scelto gran parte del
cast del suo debutto da regista, Winter’s Tale, Akiva Goldsman
prosegue nel ‘reclutamento’: le più recenti new entries nel
progetto sono Matt Bomer, Lucy Griffiths ed Eve Marie Saint, Oscar
per Fronte del Porto e protagonista di Intrigo internazionale. Lo
stesso Goldsman ha scritto il film, adattamento dell’omonimo
raccordo di Mark Helprin. Protagonista sarà Colin Farrell, un ladro
che penetrato in un lussuoso appartamento di Manhattan, finirà per
innamorarsi della giovane donna che lo abita, in procinto di morire
(Jessica Brown Findlay).
Questa è però solo una delle
vicende raccontate nel libro, che si snoda dal 19esimo secolo ai
giorni nostri. Del cast faranno parte anche William Hurt, Russell
Crowe e Will Smith, questi ultimi due solo in brevi apparizioni.
Bomer e Griffith interpreteranno i genitori del personaggio di
Farrell (per lo più in flashbak); sul ruolo assegnato a Eve Marie
Saint vige al momento il più stretto riserbo. Goldsman avvierà le
riprese il mese prossimo. Bomer, conosciuto più che altro per la
serie tv White Collar, ha recentemente interpretato uno degli
spogliarellisti di Magic Mike. Lucy Griffith, dopo essere apparsa
in Robin Hood e Collision è apparsa nell’ultima stagione di True
Blood. Eve Marie Saint, ritiratasi da tempo dalla scene, si concede
qualche sporadica apparizione: la più recente, quella in Superman
Returns (2006).
Dopo anni in cui ha fatto notizia
più per tragedie famigliari e scandali che per i propri film, per
John Travolta sembra si stia aprendo una nuova fase, in cui la sua
attività di attore sembra fortunatamente destinata ad avere un
ruolo centrale: dopo aver partecipato a Le Belve di Oliver Stone,
l’attore ha annunciato di aver in cantiere altri due progetti.
Il primo è il reboot di The Killer
di John Woo, mentre il secondo è un biopic dedicato al
pluridecorato coach di football americano Vince Lombardi; a questo
secondo progetto Travolta tiene particolarmente: suo padre fu
infatti allenato da Lombardi a inizio carriera. L’allenatore vince
due Super Bowl con i Green Bay Packers negli anni ’60, e lo stesso
trofeo è intitolato a lui. Per quanto concerne il remake del film
di Woo, Travolta sarà diretto da John H. Lee. Nel frattempo,
lo vedremo assieme Robert De Niro in Killing Season. Altro
pogetto in cantiere, il fim dedicato alla cosca mafiosa
italo-americana dei Gotti, per ora lasciato in stand-by.
Da tanto tempo si parla di un
quinto Indiana Jones, ma il progetto non parte
mai; nel frattempo, gli anni si accumulano sulla schiena di
Harrison Ford: siamo a quota 70. In una recente
intervista, Steven Spielberg ha spiegato che
tutto potrebbe partire se soltanto George Lucas si
decidesse a dare un colpo sull’acceleratore. Sentiamo
Spielberg:
“Tutto è
nelle mani di George. Io ci sono, Harrison è pronto: sta a George
realizzare la sceneggiatura o almeno preparare la scaletta e la
storia”
Ricordiamo che farà parte del
progetto anche Shia LaBeouf. Ma davvero si andrà
fino in fondo? I fan cominciano a temere che il procrastinarsi
della cosa possa mestamente portare a un nulla di fatto. L’ultimo
capitolo della saga, Indiana Jones e il regno del teschio
di cristallo, è uscito nel 2008.
Un documentario ambizioso scritto e
diretto da Mark Cousins, nato da una profonda
passione per il cinema e i viaggi, e tratto dal suo omonimo
libro. The story of the film – nelle sale dal
25 settembre – è un progetto ammirevole che, nel soffermarsi sulle
tappe fondamentali dell’innovazione cinematografica, ne ripercorre
l’intero ciclo evolutivo, dalla genesi, nel lontano e magico 1895,
fino alla rivoluzione odierna.
Cousins ha girato il mondo,
esplorato luoghi inenarrabili – come l’appartamento di Ejzenstein a
Mosca o il villaggio indiano in cui fu girato Pather
Panchali di Satyajit – raccolto testimonianze, preziosi
spunti e frugato nelle menti di alcuni tra i più grandi maestri del
cinema.
Da Hollywood a Mumbai, dalla Londra
di Hitchcock a Tokyo, passando per Parigi, Mosca, Dakar, e Teheran,
tutti i luoghi esplorati sembrano conservare ancora quell’essenza
vintage e sublime del cinematografo di un tempo. Cruciali incroci
di idee, di registi e attori leggendari, attraverso i quali Cousins
ci racconta come il cinema sente e riflette i cambiamenti storici,
esaltandone l’esuberanza e la tristezza.
The story of the film, il
film
Poderosa opera filmica, un puzzle
di circa mille spezzoni di film, che cerca di tracciare i confini
di epoche che, nell’incessante sovrapporsi, si contraddistinguono
in quanto a peculiarità tecniche e concettuali. 15 capitoli per 15
ore, non il semplice frutto di un collage di interviste, fotografie
e grafici, ma il risultato di una profonda urgenza comunicativa,
non un banale compendio della storia del cinema, bensì la volontà
di trasmetterne l’anima e la poesia. In quest’ottica vanno
interpretate le tante scene girate all’alba e al crepuscolo con una
voce fuori a campo a suggerisce un pò l’effetto di lampada
magica.
A dare mordente, ad esempio, ai due
episodi proiettati – La devastazione della guerra e il nuovo
linguaggio filmico del secondo dopoguerra e Il nuovo
cinema americano dal ’67 al ’79 – è la capacità del regista di
descrivere stili, generi, influenze e contaminazioni, andando alla
riscoperta di preziose pellicole, adoperando raffronti di
inquadrature tesi ad evidenziare le conquiste tecniche e
stilistiche. Si pensi alla rivoluzione della profondità di campo,
inaugurata da Ford e legittimata da Welles, o alla
de-drammatizzazione voluta dal Neorealismo italiano che, al
contrario del contemporaneo cinema hollywoodiano, bandiva eventi
forzati ed esagerati per dare spazio a inquadrature povere,
traballanti e tragicamente aderenti alla realtà.
Pregevole anche il dibattito sul
nuovo cinema americano, su come esso sia stato attraversato,
all’alba delle rivoluzioni studentesche, da correnti antagoniste ma
ugualmente influenti. Da una parte il cinema manierista di
Bogdanovich e Peckinpah, devoto al cinema classico, di cui
propone una versione rivisitata; dall’altra, un cinema
d’opposizione sdoganato dagli avventurosi Hopper a Altman fino a
Coppola e Scorsese. Ma c’è anche il filone satirico che, nel
proclamare la sua estraneità al dibattito, sbeffeggiava la società
– in malora – sul modello dei fratelli Marx.
The story of the
film è tutto questo, un’ode al cinema e alla sua magia, ma
anche il racconto personale di un viaggiatore nel tempo e nello
spazio, nonché il tramite prediletto della sua curiosità e delle
sue emozioni.
Torniamo indietro nel passato ma
neanche di troppo, per plasmare dei racconti narrati dai nostri
nonni e che improvvisamente paiono divenire reali.
Appartamento ad Atene, di Ruggero
Dipaola, prende come spunto la storia vera di
Glenway Wescott per innescare le storie che i suoi
cari gli hanno raccontato nel tempo e trasmettere il senso del
disagio che nasce laddove la parola libertà non trova più il suo
posto.
Il protagonista di questo film
(Appartamento ad Atene) è un appartamento, la casa
di una famiglia benestante, gli Helianos, che per via dei suoi
spazi ampi e raffinati è stata scelta dal Capitano Kalter per
soggiornarvi e viverci. Le stanze luminose, ben arredate e che
esprimono il carattere dei singoli personaggi sono improvvisamente
colonizzate da uno straniero, che in un primo momento non usa
alcuna cortesia per gli indigeni di quel luogo. La storia si
articola in un via vai continuo narrando l’evoluzione di un
rapporto e il suo tragico epilogo.
Appartamento ad Atene, il film
All’interno di questo microcosmo si
assiste al nervosismo di una madre, intollerante verso la
prepotenza di uno straniero e gelosa per i suoi spazi, accuditi con
molta dedizione, da contrapporre alla gentilezza e comprensione del
capo famiglia per un uomo dall’occhio vitreo e impenetrabile, che
pare subire un lieve cambiamento, tale da alterare i limiti
instaurati e da ingannare la percezione di chi lo accoglie. Il
racconto del regista non si immerge a pieno nel dramma di una
guerra, ma utilizza solo degli elementi per mettere in risalto le
relazioni umane, per paragonare le conseguenze causate da
atteggiamenti diversi ed esprimere quanto il concetto di cultura e
morale possa cambiare radicalmente da una formazione ad
un’altra.
Così, lo spettatore osserva delle
dicotomie che cercano di trovare il giusto ingranaggio per una
migliore convivenza: il piccolo Alex, scontroso e irrisorio, si
oppone alla personalità inesistente e vanitosa della sorella
maggiore Leda, la forza e determinazione di una madre è affiancata
alla cortesia e troppa pacatezza del Signor Helianos e infine la
cultura e lungimiranza di quest’utlimo sembra inizialmente
accostarsi all’animo del Capitano, ma questo finto abbaglio
condurrà, inevitabilmente, verso un dramma senza speranza.
In Appartamento ad
Atene, il regista affianca delle situazioni molto simili,
degli eventi che mutando, determinano il capovolgimento dei ruoli
ma al contempo evidenzia quanto diverse siano le reazioni di chi
vive eventi simili ma letti e analizzati da prospettive lontane fra
loro.
Il presidente dei
Marvel Studios Kevin Feige, intervistato da
MTV, ha parlato della possibilità di vedere nei prossimi anni un
nuovo film interamente dedicato a Hulk,
Innocence of Muslims,
breve e artigianale film anti musulmano che sta incendiando il
Medio Oriente, può restare su Youtube: nessun effetto infatti ha
sortito il tentativo di Cindy Lee Garcia,una