V per Vendetta è
un film del 2006 diretto da James McTeigue e
scritto dai Fratelli Wachowski, ora noti come
Lilly e Lana Wachowski. Nel cast del film
Natalie Portman,
Hugo
Weaving, Stephen Rea, Rupert Graves, Stephen Fry,
Sinéad Cusack e John Hurt.
“Non si sfugge al
Giudizio!”
La mia idea per questa recensione è
la seguente: indurre alla riflessione. E non è un caso che io abbia
cominciato esponendovi un’idea, poiché V per
Vendetta vuole celebrare innanzitutto il potere delle
idee, come rivelato nel prologo. Mi accingo pertanto a
presentarvi un’opera cinematografica che, in virtù delle sue
analogie con la nostra attualità, continuerà a far discutere ancora
per molto.
V per Vendetta è
tratto dalla graphic novel di
Alan Moore illustrata da David
Lloyd, pubblicata per la prima volta nel 1988. Tra i
numerosi fan del fumetto troviamo i fratelli Andy e Larry
Wachowski che, dopo aver scritto la sceneggiatura del
film anni fa, sono riusciti a mettere in atto il progetto, diretto
da James McTeigue: prima esperienza per lui alla
regia.
V per Vendetta
L’intreccio appare piuttosto
diverso rispetto all’originale, motivo per cui Alan
Moore ha preferito dissociarsi dal progetto: in realtà,
nonostante vari cambiamenti – tra i quali le coordinate temporali,
per ovvie esigenze – la sceneggiatura risulta efficace e
convincente.
V per
Vendetta è ambientato a Londra in un futuro a noi
prossimo – la vicenda si svolge intorno al 2030 – in cui il Regno
Unito è divenuto uno stato totalitario governato da un regime di
matrice nazi-fascista. Il leader del governo è l’Alto Cancelliere
Adam Sutler (Susan, nell’originale), il cui nome – e non solo
quello – richiama la figura di Adolf Hitler.
Si tratta di un’epoca di
grande oppressione in cui gli Stati Uniti non esistono più per cui,
appropriandosi dello scenario politico, “l’Inghilterra domina”:
questo è il motto del regime. Quest’ultimo esercita una forte
discriminazione che si manifesta nella xenofobia, nel razzismo,
nell’odio nei confronti del ‘diverso’ inteso anche in termini di
ideologia: tra i principali nemici del governo, tra l’altro, vi
sono i musulmani.
Su questo sfondo cupo
e opprimente si staglia un individuo attivista e carismatico che,
sentendosi tradito da Madame Giustizia, si rifugia tra le braccia
dell’Anarchia: il suo nome è V. Il suo volto è celato dietro una
maschera di Guy Fawkes, il cittadino britannico che il 5
novembre 1605 tentò di far esplodere il Parlamento inglese in nome
di un’idea. Volendo imprimere questa data nella memoria di tutti, V
ci insegna la filastrocca del “Ricorda per sempre il 5
Novembre”.
Nel momento in cui V esce
dall’ombra, o meglio, dalla Galleria della Ombre, come chiama la
sua casa, egli si imbatte in una giovane donna che viene aggredita
dai Castigatori, o uomini del Dito, la polizia speciale. V salva la
ragazza, Evey Hammond che, da quel momento, si schiererà dalla sua
parte in nome della libertà.
V è infatti un eroe anticonformista
che si impegna in una lotta politica, contro il regime totalitario,
e personale, contro coloro che hanno devastato la sua vita. Egli
intende vendicarsi a causa degli eventi che hanno caratterizzato il
suo oscuro passato: prima di tutto, prima di essere un Violento,
egli è una Vittima. E porta avanti una lotta senza esclusione di
colpi, agendo da terrorista.
In apertura, egli pone fine
all’opprimente silenzio del suo Paese facendo esplodere l’Old
Bailey in un ‘concerto’, come da lui definito, reso festoso da
musica e fuochi d’artificio. Ma V non teme nulla e ha ben altro in
mente: Guy Fawkes aveva infatti intenzione di far saltare in aria
il Parlamento perché, afferma V, “l’edificio è un simbolo, come lo
è l’atto di distruggerlo”. E sono gli uomini a conferire potere ai
simboli.
Oggi viviamo
l’era post-11 settembre e un simile discorso può apparire
sfrontato. Ma ciò che è da considerare e valutare è il contenuto,
non la forma. La domanda più scottante è: può un terrorista essere
un eroe? Del resto questo film fa maturare un’inquietante
considerazione circa l’identità del colpevole: è V il nemico, il
terrorista, che uccide, che assale, che distrugge? O è il governo,
che ha asservito la scienza, la religione, i media, la
giustizia, che opera un massacro e viola l’identità
dell’uomo?
Nel corso della vicenda saranno
fatte importanti rivelazioni, e l’uomo imparerà che non sono i
popoli a dover temere i propri governi, bensì sono i governi che
dovrebbero aver paura dei popoli. L’unità non si ottiene attraverso
la forza, bensì nella condivisione di un medesimo ideale. Per
questo non ha alcuna importanza il volto di colui che si cela
dietro la maschera perché, come dice V, “dietro la maschera non c’è
solo carne: dietro la maschera c’è un’idea”. A seguire l’idea e a
precedere l’azione ci sono le parole: con le parole V riesce ad
entrare nel cuore della gente e nel cuore di Evey.
Ma, parlando di un film, non
bisogna dimenticare che l’aspetto più importante nella
caratterizzazione di un personaggio è l’interpretazione. E
interpretare un personaggio del calibro di V risulta un’impresa.
Ebbene, Hugo Weaving ci ha regalato una performance straordinaria:
“Interpretare un personaggio con una maschera”, ha dichiarato, “è
per un attore una specie di esercizio tecnico, ma a poco a poco la
cosa si è fatta interessante”. Come spiega l’attore, oltre alle
varie difficoltà tecniche che si riscontrano nel recitare con una
maschera, è necessario dare vita alla maschera: questo avviene
mediante le parole, il tono della voce, i gesti, anche i movimenti
più insignificanti. Ed egli è riuscito magistralmente nell’impresa,
offrendoci un personaggio eccentrico e carismatico, dotato di una
certa teatralità. Il culmine è nel punto di vista dello spettatore
giacché, a seconda delle scene e con la progressiva familiarità che
instauriamo col personaggio, sembra che la maschera assuma
paradossalmente espressioni diverse.
Lodevoli anche le interpretazioni
del resto del cast, a partire da un’eccellente Natalie
Portman che si rivela la migliore interprete che si
potesse ingaggiare per il ruolo di Evey Hammond. L’attrice ha
inoltre dimostrato un certo coraggio: per esigenze di copione,
in una scena del film, la Portman si è sottoposta alla
completa rasatura dei capelli, che prelude alla trasformazione
interiore del personaggio. Da sottolineare che l’attrice, in uno
dei ruoli migliori della sua carriera, è in grado di eccellere
nelle scene più emotive e ricche di pathos.
V per Vendetta
risulta impeccabile anche tecnicamente: dalle bellissime
musiche di Dario Marianelli agli effetti speciali,
superbi nella sequenza finale; la fotografia, che riproduce le cupe
atmosfere del regime; la scenografia, esuberante soprattutto nella
rappresentazione della Galleria delle Ombre. Una nota di
approvazione anche per il doppiaggio, in particolare per il
personaggio di V – la voce italiana è di Gabriele Lavia – ma il
film in lingua originale è nettamente superiore. Infatti la
versione originale rende al meglio le citazioni, da Shakespeare
(Macbeth e La Dodicesima Notte)
al Conte di Montecristo. E, a proposito di citazioni, è facile
cogliere le affinità di V per Vendetta
con un’altra grande opera: 1984 di George
Orwell, tra le fonti di ispirazione del fumetto.
È dunque un film politico? Un
monito, una visione del futuro? Ebbene, come afferma Natalie
Portman, “tutto dipende da chi sei tu, dal contesto dal quale
provieni e soprattutto da ciò in cui credi”.
Di certo si tratta di un film che
induce alla riflessione sull’importanza delle parole,
dell’espressione, della libertà di pensiero. V per
Vendetta intrattiene con interesse il pubblico – che può
inoltre dilettarsi nell’enumerare i vari riferimenti alla ‘V’ e al
‘5’ –, commuove e fa pensare. Non è semplicemente “V per
Vendetta“, ma V per Vox Populi. Valori. Virtù. Volontà.
Vittoria. E soprattutto… Verità.